Finalmente la conclusione, per la fanfic che mi è costata più fatica in assoluto. Ma cercate di capirmi, abituata come sono alle MitKo...^^;;

Naturalmente, Rukawa e Sakuragi sono frutto del genio immenso di Takehiko Inoue e io prometto di non sfruttarli mai più, anche perché ho capito che questo pairing non fa per me.

Comunque, buona lettura.


Begin the Begin

di Stella

03: Straight to you

 

 

Quando giro l'angolo della scogliera lo vedo. Una chiazza rossa spalmata sulla spiaggia. Sono due giorni che va avanti così, prima di cominciare l’allenamento esco e vengo a correre fino qui. So che in qualche modo lui si aspetta di vedermi, anche se nessuno dei due ha per il momento coraggio sufficiente per ammetterlo. Il siparietto è sempre lo stesso: lui mi insulta, io gli mostro la maglia della Nazionale e me ne vado. Mi accontento di poco, in fondo… 

Al ritorno Sendo mi guarda sempre con occhi maliziosi, aspettandosi chissà quale rivelazione. Sa che ho deciso di dirglielo e a suo modo tifa per me. Insiste perché sia io a fare il primo passo, sostiene che in queste cose è del tutto inutile tormentarsi e girare attorno al problema, e in un mondo perfetto gli darei piena ragione. Peccato che questo sia tutto tranne che un mondo perfetto, peccato che la persona alla quale dovrei “dichiararmi”, per usare una delle sue espressioni idiote, sia un ragazzo e non la dolce compagna di banco o sorella del compagno di squadra o che altro. Un ragazzo che sospetto non sia minimamente interessato a me, almeno non da un punto di vista affettivo, nonostante quello che dice Sendo.

“Ma quanti altri indizi ti servono? L’hai visto l’altra sera o no?”

“Non è detto che fosse geloso, come dici tu. Magari era solo invidioso, o depresso.”

“Sakuragi depresso? Per favore, Rukawa… sei tu il primo a non crederci.”

 

È probabile che Sendo sia nel giusto, che io stia cercando di rinviare il momento nonostante tutti i buoni propositi e la mia rinnovata sicurezza. Diciamo che sto elaborando una strategia che mi permetta di non fare la figura del deficiente totale. In fondo, per me è più semplice, io ho fatto luce sui miei sentimenti e posso dire di sapere quello che voglio… non so invece come prenderebbe lui questa storia assurda, e di conseguenza cerco di sondare il terreno come posso: correndo sulla spiaggia, scherzando con lui, facendomi insultare, anche. È comunque un contatto.

Prima di uscire, Sendo mi ha fermato sulla porta delle nostra stanza. Con gli occhi pesti di sonno, ha biascicato che se non concludo entro oggi va diritto alla clinica e glielo dice lui, che mi piace. Ha detto che non è da me, una tale esitazione. Quello che mi fa incazzare è che il bastardo ha sempre ragione. Sono abituato a puntare all’essenza delle cose, non lascio mai che le circostanze mi distraggano dai miei obiettivi. 

Però… è colpa mia se certe cose è più facile capirle che spiegarle?

 

A quanto sembra, stamattina sulla spiaggia c’è un cambio di sceneggiatura. Quando gli passo davanti non alza nemmeno lo sguardo, ha la testa seppellita tra le ginocchia e tiene un foglio tra le mani. Legge avidamente, sul viso un’espressione assorta. Continuo a correre per qualche metro e poi mi fermo. Torno sui miei passi, piazzandomi davanti a lui. Il sole del mattino getta la mia ombra su di lui, e finalmente alza il viso. 

Ha gli occhi arrossati e gonfi, e appena mi mette a fuoco se li sfrega rabbioso col dorso della mano e si tira su da terra, scrollandosi la sabbia dai pantaloncini. 

“Tutto a posto?”

“Certo Kitsune, fatti gli affari tuoi!”

Non mi freghi, Hanamichi. Stavi piangendo. E devo sapere il motivo. 

“Cattive notizie da Harukina?” Non so perché mi viene questa frase acida, non era questo quello che volevo dirgli, e innesca la solita reazione ostile.

“E anche se fosse? A te cosa importa?”

“Niente, niente… solo… alla fine si scopre che il Tensai è una femminuccia piagnucolosa…” Sono un idiota.

Il pugno mi arriva talmente rapido che non faccio neanche in tempo a vederlo, figuriamoci a scansarlo, e finisco gambe all'aria sulla sabbia. Mi sta bene, dopotutto. 

“Vaffanculo, Rukawa!”

Sakuragi è fuori di sé. Allora ci ho preso… cattive notizie da Harukina… Le mie stesse parole pungono il cuore come una piccola ape furiosa. Se è per questo, che soffre, non ho alcuna speranza. No, non voglio neppure pensarci. Mi sollevo e mi avvicino a lui con cautela. Sembriamo due trichechi sul punto di iniziare una battaglia per la compagna. Mi passo la mano sul labbro giusto per verificare quanto sangue sto perdendo, perché non c'è dubbio alcuno che me lo abbia spaccato. Se non fossi così stordito e confuso mi verrebbe da ridere, sembra un remake del nostro primo incontro…

Ho i pugni serrati e il respiro affrettato, e lui non è da meno. In più, ha gli occhi dilatati dalla rabbia e arrossati dalle lacrime. Sto per dirgli qualcosa, qualsiasi cosa, ma lui mi sferra un altro pugno, e allora è guerra. Va bene che mi piace, va bene che non sopporto di vederlo in questo stato, ma adesso è troppo. Rispondo colpo su colpo, uno dopo l'altro, fino a quando non cadiamo rotoliamo sulla sabbia.

Io direi anche basta, non è per questo che sono venuto stamattina, ma lui mi si avventa contro e continua a picchiare.

“Sakuragi!”

Niente, non sente.

“Sakuragi, basta!” È sopra di me, non riesce a calmarsi.

Hanamichi!! Mi stai facendo male!

Eccole qua, le parole magiche. Il suo nome sulle mie labbra, e un'ammissione di debolezza. Sbatte le palpebre e lentamente esce dalla nebbia. Rotola sulla schiena e rimane così, a fissare il cielo azzurrissimo, tirando su col naso le ultime lacrime. Credo non abbia smesso di piangere un secondo. Mi rialzo piano, dolorante e ammaccato. Mi sciacquo il viso con l’acqua di mare, il sale brucia in maniera assurda sui tagli freschi. Sono pieno di sabbia, tra i capelli, negli occhi, minuscoli granelli appiccicati ovunque. Ed è perfettamente inutile provare a toglierli, non farei altro che peggiorare la situazione... Dovrei odiarlo, per tutto questo… invece…

“Hana, ma che cazzo ti è preso?”

Silenzio, solo quei deboli singhiozzi che vanno calmandosi poco a poco.

“Tutto questo perché la sorella di Akagi senpai ti ha scaricato?”

“Lei non c’entra niente! Non me ne frega più niente di lei!” urla sollevandosi in piedi. Vorrei parlare, ma la sua voce mi travolge per prima. Almeno, questa volta non sono i suoi pugni.

“Non riesco a recuperare!”

“Eh?” Sul serio, non ho capito. Che cosa non riesce a recuperare? Davanti al mio sguardo perplesso, la rabbia monta di nuovo.

“La schiena, stupida volpe! La schiena!”

Okay, adesso è tutto chiaro. Faccio un respiro profondo e chiudo gli occhi.

“La terapista che dice?”

“Che è normale.”

Mi esce una risatina, non ci posso far niente. Lui fa per mollarmi uno schiaffo in testa, ma questa volta sono più veloce e riesco a scansarmi in tempo.

“Oi, la pianti di menarmi? Che cazzo c’entro io?” 

In realtà so benissimo che cosa c’entro. È su di me che Sakuragi basa i suoi progressi, che costruisce la sua carriera di giocatore. Ma io non mi sono mai fatto male, io sono in ritiro con la Nazionale, io non ho niente da dimostrare, solo obiettivi da raggiungere. Ai suoi occhi, io sono e sarò sempre quello da superare e possibilmente sconfiggere, niente di più. Distolgo lo sguardo e fisso la sabbia in cui sprofondano i miei piedi e le mie speranze. 

Già, niente di più. 

Il foglio che stava leggendo con tanto interesse, e che mi è costato una marea di lividi, è lì vicino. Sembra un referto medico, una TAC o qualche altro esame specialistico. Per mia fortuna non sono pratico di questa roba, ma non mi sembra di leggere parole come “lesione permanente” o cose del genere.

“Qui sembra tutto a posto…”

“Certo che è tutto a posto, stupida volpe! Ma mi fa sempre male, anche se faccio terapia da quasi un mese… e i medici dicono che ce ne vogliono almeno tre, prima di guarire! TRE, ti rendi conto?”

“Ho capito, ma…”

Ma un cavolo, Kitsune! Fra tre mesi tu sarai in America o da qualche parte con Sendo, il torneo invernale sarà alle porte e io sarò sempre il solito idiota incapace e solo, e tutto per colpa di uno stupido infortunio!”

Stop. Time out. Pausa. 

L’ho ascoltato parlare, finora, ma non ho sentito quello che mi stava dicendo veramente. In questo delirio di parole senza senso, il mio cervello ha registrato due frasi che solo ora cominciano a dialogare tra loro. 

Non me ne frega più niente di lei!

Fra tre mesi tu sarai in America o da qualche parte con Sendo.

Posso crederci, che il significato sia quello che spero? Mentre ancora una volta mi perdo nei labirinti dei miei pensieri, Sakuragi se ne sta andando. 

Il sole si è alzato ormai del tutto, rosso nell’azzurro accecante, e mentre vedo le sue spalle allontanarsi ho una specie di visione. Il bambino silenzioso e testardo, quello che un giorno aveva deciso di chiudere occhi e orecchie al mondo e concentrarsi sull’unica cosa che sapesse fare bene, si risveglia per ricordarmi quanto sia importante, a volte, pensare in piccolo. Ripartire dalle basi, dai fondamentali, che sono poi l’unica cosa a cui puoi aggrapparti quando le cose girano male. 

“Hanamichi aspetta!” Lo raggiungo e lo afferro per la spalla. “Senti, io…”

Cazzo, cazzo, cazzo! Ma perché dev’essere così difficile? Ho finalmente imparato a sentire, come dice mia sorella, ma non a esprimere. Ho provato questo dialogo centomila volte negli ultimi due giorni, ho scelto le parole con cura, una per una, e adesso sono qui, davanti a lui, con la mente completamente vuota. Perché non sono solo parole quelle da comunicare, sono emozioni profonde. E io non sono mai stato troppo amico delle parole.

“Che vuoi, Kitsune? Lasciami andare…”

“A proposito di Sendo…”

“Non mi interessa. Non sono affari miei. Divertitevi, fate quel che vi pare.”

“Vuoi stare a sentirmi, una volta tanto? Non so che idee ti sei fatto, ma Sendo ed io siamo solo amici! Perché a me piaci tu!” 

 

Nessuna di queste fa parte delle parole che avevo immaginato per fargli capire quel che provo per lui, ma va bene lo stesso. Succeda quel che succeda, ora non ci sono più dubbi o ambiguità. Da qualche parte ho sentito dire così, che l’amore è mostrarsi nudi, nella forza e nella fragilità.

La sua espressione è stupenda; il primo pugno che ha preso in una rissa non deve averlo sorpreso con la stessa violenza. Io vorrei accarezzargli una guancia, percorrere con la punta delle dita la linea delle sopracciglia e sfiorargli le labbra, ma non riesco a muovermi. Il rumore delle onde, l’aria leggera sul viso, l’odore salmastro… e l’eco delle mie frasi ancora lì, sospeso e immobile tra la luce e il mare. 

“Ripetilo.” Un sorriso, timido e incerto.

“A me piaci tu.” 

“Ancora!” 

“A me piaci tu!” Posso ripeterlo all’infinito, come un mantra. Voglio ripeterlo all’infinito.

La mia mano, ancora appoggiata alla spalla, si sposta dietro la nuca e attira la sua testa verso la mia. Le nostre fronti si toccano, poi sono le sue labbra sulle mie. Mi piacciono, anche se è una sensazione strana. Non sono come le avevo immaginate… sono più… calde, ruvide, salate. È un sapore nuovo, che mi avvolge e mi sommerge. Il taglio mi fa male, ma non cambierei questo dolore con niente al mondo. Lungo la spina dorsale serpeggiano miliardi di brividi. Il suo odore mescolato al mio è inebriante. Oso appena sfiorargli le spalle, ma il mio corpo è calamitato dal suo e gli finisco addosso. 

Alla fine è lui a lasciarmi andare… troppo, troppo presto. Però continua a tenere il mio viso tra le mani, fronte contro fronte. I nostri occhi si accarezzano, ancora increduli per quanto successo. Gli allaccio le mani dietro la schiena, proprio all’altezza dei reni. 

“Ripetilo”, bisbiglia lui sulle mie labbra.

“No.”

Lo sento irrigidirsi, i suoi muscoli tendersi e il suo respiro arrestarsi.

“Ho parlato a sufficienza, Hanamichi. Adesso tocca a te, non credi?”

 

E per una volta, la prima e unica, Hanamichi Sakuragi rimane senza parole.

Si scioglie dall’abbraccio e si allontana, facendo scorrere lo sguardo lungo il mio corpo. Non mi piace quell’espressione, è quella che porta guai, quella che mette su quando sta per fare uno dei suoi numeri da decerebrato… E infatti, nel momento in cui mi avvicino per bloccarlo è già troppo tardi, sta già urlando a squarciagola.

“Mi piaci, Kaede Rukawa!” grida con i pugni sui fianchi.

Lo avranno sentito fino in America. Scrollo la testa, forse sono ancora in tempo per filarmela… perché, di tutte le persone al mondo, è stato proprio questo idiota a insinuarsi poco a poco nel mio cuore? Non ho tempo per rispondere alla mia stessa domanda, perché Hanamichi mi salta addosso e ancora una volta roviniamo a terra, sulla sabbia. 

“Credevi non ne avessi il coraggio, eh Kitsune? Non posso lasciare che tu mi batta anche in questo!” Mi sta schiacciando col suo corpo, le mani appoggiate sulle mie spalle. Sta per baciarmi di nuovo, ma io non riesco a trattenermi.

“Quindi è solo per questo che l’hai detto, do’aho… Per dimostrare che sei più forte di me?” 

“Ma allora è vero che sei solo una stupidissima volpe!” Si rialza bruscamente e si allontana tenendo il broncio. Fantastico, sono passati neanche dieci minuti e stiamo già litigando come una coppia di vecchi sclerotici. 

“Allora, ti muovi? Devo tornare in clinica, voglio essere pronto per il campionato invernale… e per altre cose, Kitsune… Vieni con me?”, aggiunge con voce morbida. La domanda mi colpisce, il tono in cui la pronuncia, come se quelle ultime tre parole celassero un significato più profondo e ancora troppo difficile da comunicare. 

Vieni con me? Verrai con me? Per sempre?

Mi tende la mano e io esito un attimo prima di afferrarla e sollevarmi. Io non so se basti, quello che sentiamo così vivo qui e ora, davanti a questo mare e in questa luce. Sempre è un tempo molto lungo. Però, tutto quello che so è che da questo momento, senza di lui, non vado da nessuna parte.

 

.:: End ::.

 

 

Grazie ai martiri che si sono sottoposti alla lettura e che hanno retto fino a questo finale… siete degli eroi!

Commenti e insulti sono graditi (beh, gli insulti magari no…^^)

 

 


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