Capitolo interlocutorio, quasi un ponte verso il gran finale. Sakuragi solo sullo sfondo, molto Rukawa e una guest star… Akira Sendo. Che volete farci, all’inizio era il Verbo (Prin e le sue SenRu), ma ora… RuHana!^__^

I personaggi? Di Takehiko Inoue.


Begin the Begin

di Stella

02: Half a Chance

 

 

Alla fine ce l’ho fatta. Un piccolo passo in avanti verso l’obiettivo che mi sono prefisso, è arrivata la convocazione per la nazionale juniores. È stato quasi un atto dovuto, in fondo: una mia eventuale esclusione era semplicemente inimmaginabile, e non lo dico perché sono presuntuoso o arrogante. È un dato di fatto, che sono il miglior rookie della prefettura di Kanagawa, qualsiasi cosa possa affermare quell’idiota di Kiyota Nobunaga. Siamo le uniche due matricole qui, ma sappiamo farci rispettare. 

Divido la stanza con Akira Sendo del Ryonan, e all’inizio la cosa mi rendeva furioso. Mi sembrava più logico essere in camera con uno della mia età, ma l’allenatore ha pensato bene di abbinarci a due senpai. A Kiyota è toccato un tizio della prefettura di Aichi, a me Sendo. Poteva andarmi peggio, potevo finire con Sawakita del Sannoh. Quello ancora mi guarda storto, in allenamento. Da un lato lo capisco, nemmeno a me andrebbe giù tanto facilmente. Basta pensare a come ho reagito quando mi hanno comunicato il nome del mio compagno di stanza. Mi è sembrato un vero scherzo del cazzo, mettermi con l’unico rivale che riconosco, l’unico giocatore che riesce a tenermi testa e a farmi sentire incompleto anche quando è lo Shohoku a vincere… eppure poco a poco la sua presenza si è fatta sempre più vicina. 

Sendo, suo malgrado, ha contribuito molto alla mia evoluzione come giocatore. Lui e Anzai sensei mi hanno aperto gli occhi su alcuni difetti strutturali del mio gioco, errori che sto cercando di superare. Oltre a tutto questo, Akira si sta rivelando anche un ottimo amico. La nostra rivalità adesso si ferma sul campo da basket, perché al di fuori scopro giorno dopo giorno che è un tipo sensibile, e divertente anche. Uno di cui ci si fida per istinto, un po’ come Akagi senpai. Dividendo la camera si finisce per forza col conoscersi sempre meglio, anche partendo da uno standard incredibilmente glaciale come il mio. 

“Si vede che sei dell’Hokkaido, Rukawa”, mi ha apostrofato un pomeriggio, poco prima di cena.

Non mi sono neanche dato la pena di commentare con uno dei miei soliti “Nh”, e ho continuato a vestirmi. 

“Il freddo vi congela anche i muscoli della faccia. Sarà per quello che hai sempre la stessa espressione.”

“A parte che non so chi ti abbia detto che vengo dall’Hokkaido, perché non ti fai i cazzi tuoi?”

“Aspetta, aspetta… venti parole tutte in fila? Un miracolo!”

Ammetto che mi è venuto da ridere. Come fai a prendertela con uno così, che sembra fatto di gomma?

“E che vieni dall’Hokkaido l’ho visto sulla tua scheda. Quanti anni avevi quando ti sei trasferito?”

“Dieci.”

“Io ho traslocato da un quartiere all’altro, quando ne avevo sette, ma già quello mi sembrò un viaggio ai confini del mondo…”

Non ho fatto commenti, ma all’improvviso non ero più così insofferente. A lui va il merito di aver rotto il ghiaccio, a me quello di aver messo da parte la solita ostinazione. Ma, alla base di tutto, c’era il giorno della partita col Sannoh a muovere le mie azioni. È come se, da allora, io mi fossi trasformato. Sono sempre io, Rukawa Kaede, eppure sono una persona diversa. Non so quanto di questo traspaia all’esterno, probabilmente pochissimo, e d’altra parte è una sola la persona che vorrei lo sapesse… 

 

Ieri sera Sendo è perfino riuscito a convincermi a sgattaiolare fuori dall’albergo e a fare un giro in città, per dare un’occhiata alle bancarelle del tradizionale mercatino estivo. Roba che se ci beccavano ci potevamo scordare la nazionale, per sempre, e anche il campionato studentesco… Davvero non so come abbia fatto a trascinarmi, visto che su di me quei sorrisetti da decerebrato non attaccano… 

Come se non bastasse, ha addirittura rimorchiato due ragazze, così, mentre passeggiavamo sul lungomare. Non che abbia fatto fatica, ha la parlantina sciolta, ma mi ha comunque stupito. È disinvolto, sicuro di sé… Per alcuni aspetti mi ricorda Sakuragi: quei due sembrano avere il fuoco dentro, solo che in Sendo cova sotto le braci, mentre in Hanamichi divampa al minimo contatto. 

Quando si è appartato io sono rimasto con l’altra, seduto sulla spiaggia, e non sapevo cosa fare. Cioè, lo sapevo benissimo, le occasioni non mi sono certo mancate finora, ma non mi interessava. Mi ha detto di chiamarsi Yurie, un nome che ho registrato appena. Era carina, immagino, quel tipo di ragazza che in genere un ragazzo si volterebbe a guardare; inoltre, era palesemente disponibile, ma io mi sono tenuto sulle mie e mi sono limitato a rispondere a monosillabi ai suoi insistenti tentativi di conversazione, in perfetto Rukawa-style. Il mare mi entrava negli occhi e nelle orecchie, blu intenso, confondendosi con un cielo altrettanto scuro ma ravvivato da piccole stelle qua e là. Yurie era l’ultimo dei miei pensieri, in quel momento.

Questo perché, da qualche parte nella mia mente, un cretino con la testa rossa si diverte a farmi scherzi stupidi, ultimamente. Manda segnali di un tipo e poi si comporta in un altro; per esempio, mi viene a salutare quando parto per il ritiro, con quella faccia imbarazzata e sbruffona, vaneggiando sul fatto che se hanno convocato me è solo perché lui sta male… ma poi devo venire a sapere da Sendo che quella stupida scimmia sta facendo riabilitazione in una clinica a pochi chilometri da qui. Gli costava troppo avvertirmi, idiota…

A questo pensavo, mentre la povera Yurie si affannava per strapparmi un sorriso o un complimento.

Sendo è tornato dopo una mezz’oretta con la ragazza aggrappata addosso, le labbra un po’ più gonfie di prima e la maglia fuori dai pantaloni, e non gli è sfuggita la delusione dipinta sul viso della mia compagna. Però non ha fatto commenti, ha solo inarcato le sopracciglia e si è stretto nelle spalle. Sono convinto che se avesse sospettato che stasera non avevo voglia di pomiciamenti, si sarebbe portato anche lei, prima. Ci siamo mossi per rientrare e, una volta tornati tra le bancarelle, abbiamo salutato le ragazze e continuato nel nostro giro, escogitando un sistema per non farci beccare al rientro. 

“Non vorrai farmi credere che davvero non hai fatto niente!”

“No, proprio niente…”

“Rukawa, tu devi essere malato! Ma l’hai guardata? Non solo ti moriva dietro, ma era proprio messa bene!” 

“Sinceramente non l’ho notato…” Avrei voluto aggiungere altro, ma le parole mi sono morte in gola. Un tonfo al cuore. Come se si fosse staccato e stesse precipitando a terra, o si rifiutasse, per un attimo, di continuare a battere.

 

Sakuragi Hanamichi. 

Da solo, che camminava annoiato.

I nostri sguardi si sono incrociati e quello che ho letto nel suo ha fatto di me una statua di sale. 

Sorpresa, nel rivedermi. Felicità sincera, mentre si avvicinava con quel suo sorriso luminoso e spalancava la bocca per gridare “Kitsune!”. Dolore, quando ha visto con chi ero. Solitudine, davanti ai nostri visi sorridenti.

Si è girato e se n’è andato, senza voltarsi, senza rispondere alla voce di Sendo che lo chiamava, ha semplicemente fatto dietro-front ed è sparito tra la folla. 

Io volevo chiamarlo, corrergli dietro, afferrarlo per le spalle e costringerlo a guardarmi, a parlare con me. 

Io, che voglio costringere qualcuno a parlare con me. 

No, non qualcuno: solo uno stupido do’aho di nome Hanamichi. 

Me ne sono reso conto in quel momento, che tra me e me lo chiamo sempre per nome. Sendo ha fatto una battuta che non ho capito, poi mi ha guardato come per chiedermi una spiegazione, ma è rimasto zitto. 

Immagino che i miei occhi stessero già rispondendo a qualsiasi domanda.

 

Dopo, in camera, ne abbiamo discusso a lungo. Ci sono molte cose che odio di Sendo, la sua sfrontatezza per esempio, per non parlare dell’abilità con cui riesce a servire sempre il compagno smarcato, ma quella sera ho ringraziato il cielo per avermelo fatto conoscere. 

Per avermi insegnato che non ci sono domande da non fare, e neppure risposte da non dare. 

“Hai visto la faccia di Sakuragi, prima?”

“Nh.” Non voglio parlarne, e comunque non con te.

“Sembrava quasi… geloso…”

“Nh.” Taci, Akira Sendo, o giuro che ti spacco la faccia.

Ha riso, e io mi sono sentito un idiota. Ho preso il walkman e mi sono messo gli auricolari, pronto per il futon. Heavy metal, adesso. Faccio sempre così, quando voglio chiudermi al mondo; e più tardi sarà il turno dei Cure, per il colpo di grazia.

“Sareste una bella coppia”, ha commentato un attimo prima che la musica mi inondasse le orecchie. Tempismo perfetto.

Non c’era malizia nella sua voce, non aveva alcuno stupido sorrisetto sulle labbra. Al contrario, era molto serio, seduto a gambe incrociate sul futon di fianco al mio. Come abbia fatto a capire quello che nemmeno io avevo del tutto chiaro è e rimane ancora oggi un mistero, ma suppongo c’entrino molto il concetto di amicizia e il fatto che sia un buon osservatore, mentre io continuo a essere più cieco di un cieco al buio. Quasi mai presto attenzione a quello che mi succede attorno, sono sempre concentrato su me stesso. Tengo le porte ben chiuse, perché quello che c’è fuori non è affatto rassicurante. 

È un mio vecchio difetto, mia sorella non si stancava mai di farmelo notare. 

“Ti sto ascoltando Kaori, parla pure.”

“Kaede, non si tratta di ascoltare… si tratta di sentire. Capisci la differenza?” 

No, non la capivo… prima di ieri sera, prima di Hanamichi, prima di tutto il resto. 

Con il dito ancora appoggiato sul pulsante Play, ho tolto gli auricolari, l’ho guardato negli occhi e gli ho risposto, senza neanche rendermene conto.

“Tu dici?” 

Abbiamo fatto l’alba, parlando di me e di Hanamichi. Di quello che finora era stato solo un pensiero sullo sfondo, un’idea vaga che esitava a prendere corpo. Per assurdo, a questo punto posso dire di dovere a Sendo anche parte della mia evoluzione come persona. 

Naturalmente, oggi il nostro allenamento è stato una vera pena. Questo mi irrita moltissimo, e ho giurato a me stesso che non succederà più.

Ma almeno, adesso so quello che devo fare. In fondo, io sono quello che se ha anche solo una mezza possibilità di fare canestro, si ammazza pur di sfruttarla fino in fondo.

 

***

A breve, il finale. Sempre che abbiate apprezzato questa parte: commenti e critiche sono il mio nettare, perciò fatemi sapere! 

Per gli insulti, invece, rivolgetevi al mio avvocato!^^;;



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