DEDICHE: Auguri Melania (noi due non
ci conosciamo moltissimo ma ti considero comunque una buona amica, sperando
che gli esami alla tua università ti vadano bene e che il tuo computer si
metta a posto visto che continua a darti problemi ti auguro una giornata
speciale carica d’amore e di doni ed inoltre ti faccio questo piccolo regalo
(se non dovesse piacerti fammelo sapere che ti regalo qualcos’altro)). Un
bacione. Ise
NOTE: Allora
direttamente dai cinema e dal piccolo schermo ecco a tutti voi la mia
risposta alle Charlie’s angels (le mie sorelle stra vedevano per questo
telefilm negli anni ’80 e io mi sono sorbita innumerevoli stagioni). Lo
stile che userò per scrivere questa storia dovrebbe essere pomposo e a
tratti molto esagerato nelle descrizione di fatti e persone (maggiori
spiegazioni nell’angolo di Ise) ma volevo renderlo più simili al registro
narrativo del primo film, il secondo infatti non l’ho visto ancora. Ditemi
se devo continuare questa fic oppure è meglio se la usi come carta straccia.
Mi sa che sarebbe meglio la seconda ipotesi. Commentate mi
raccomando!!!!!!!!!!!!! Io aspetto nuove direttive.
In questo capitolo
presenterò solo gli angeli per cui non succede niente.
Un ultima cosa ho
preferito abolire il basket dalle vite di tutti almeno per il momento per
non scontentare nessuno.
Con questo è tutto.
Ciao. Ise
Ayako's
Angel
parte I
di Ise
1° CAPITOLO – LA
CHIAMATA DEGLI ANGELI
Era una giornata veramente molto fredda
(magari fosse così anche qui da noi Sfogo di Ise che sta morendo dal caldo)
ma al ragazzo non importava mentre agitava le anche passando con grande
maestria tra i cumuli di neve che troneggiavano in quella pista da sci. Il
suo corpo era completamente ricoperto da una tuta foderata di colore blu
con finiture gialle che fasciava perfettamente le sue linee rivelando un
personale esile ma nel contempo muscoloso. Anche il suo volto era
completamente coperto da un paio di occhiali scuri enormi e da un berretto
che gli ricadeva sulla fronte negando ad occhi indiscreti la possibilità di
scorgere il colore dei suoi capelli. Solo il mento pallido e la bocca
sottile erano rivelati ma la sua velocità impediva a chiunque di soffermarsi
su quei particolari. Tuttavia la sua andatura sinuosa e felina, il suo
portamento eretto e fiero, la sua statura superiore a quella della norma, la
sua agilità fuori dal comune facevano catalizzare l’attenzione di tutti i
presenti su di lui.
Molti sciatori si
fermarono dalle loro attività per guardarlo quando con un balzo felino e un
abile colpo di reni sollevò le gambe dal terreno portando con se la
tavoletta che sembrava far parte del suo stesso corpo visto che si muoveva
in perfetta sincronia con lui e oltrepassò un solco per poi riadagiarsi
nella pista e continuare a svettare verso il basso. Praticare lo snowboard
in quelle montagne era pericoloso ma nessuno aveva osato impedirglielo,
infatti, pure i controllori delle piste si erano fermati a fissarlo con gli
occhi colmi di un misto tra l’invidia e l’ammirazione.
Piegò le
ginocchia per affrontare la curva a gomito che gli si era parata davanti
senza avere un minimo di esitazione. La sua velocità non subì modifiche di
sorta mentre lambiva l’erba spruzzata di neve del boschetto che costeggiava
il super curvone del diavolo (era così che veniva chiamata quella curva
perché, se non si faceva attenzione, si rischiavano incidenti molto
pericolosi). Superato quell’ostacolo ci sarebbe stata solo una super discesa
spericolata che portava fino al rifugio e per lui sarebbe stata uno scherzo.
Però purtroppo
trovò appena uscito dalla curva che oscurava la visuale sul resto della
pista un imprevisto. Si ritrovò di fronte proprio lungo la sua stretta
traiettoria ad un tronco di legno caduto nella notte a causa del forte vento
e non tolto dai responsabili perché considerato non pericoloso. Il ragazzo
tuttavia non si lasciò intimorire, le sue spalle s’incurvarono come a dire è
tutto sotto controllo, celermente fece un salto lasciando lo snowboard che
passò sotto il tronco mentre lui lo sorvolava e dopo ricadde sulla sua
tavoletta con una perfezione assoluta continuando la sua corsa.
Rapidamente scese
giù per la discesa e quando fu in fondo con un abile impennata girando su se
stesso si fermò. Adagiò uno dei piedi sulla neve e con l’altro colpì il
retro rialzato dello snowboard in modo che gli arrivasse in mano.
Applausi sinceri nacquero dalla folla che si
trovava lungo la pista da sci e nel rifugio e aveva assistito alla sua
ultima acrobazia dovuta al tronco. Quello era uno spettacolo che non
capitava tutti i giorni da vedere, quel ragazzo era davvero in gamba.
Il giovane però sembrò indispettito da tutto
quel caos, con non chalance senza guardare in faccia nessuno si diresse
verso la porta dell’albergo-rifugio di montagna dove era alloggiato. Era una
tipica casa di montagna in legno scuro con un tetto spiovente. Davanti aveva
un piccolo terrazzo in cui c’erano dei tavoli dove la gente si sedeva per
guardare gli sciatori. L’entrata era rialzata e delle scale sempre di legno
ne permettevano l’accesso.
Gli spettatori prima
sorpresi dal comportamento scostante dal giovane quando si ripresero non
sembrarono gradire il suo modo di agire. Aveva infranto le regole praticando
lo snowboard sulle piste mettendo in pericolo se stesso e gli altri e ora
che si congratulavano con lui dato che era andato tutto bene, lui faceva
l’indisponente. Era una cosa che non accettavano. Molti ragazzi stavano
quasi per andare da lui e dirgliene quattro, quando l’interessato si tolse
gli occhiali e il capello rivelando capelli neri come l’ebano che sembravano
di seta, una pelle bianca e vellutata e due occhi blu intensi e passionali
come il mare, il suo volto era impassibile ma era di una bellezza eterea ed
evanescente. Poteva avere al massimo venticinque anni, forse meno. Era
bellissimo! Sarebbe stata una perfetta regina delle nevi, se fosse stata una
donna.
Le ragazzine presenti
cominciarono a gridare in preda all’eccitazione, un fusto così bravo, dalla
bellezza folgorante non potevano di certo lasciarselo sfuggire. Una di loro
provò anche ad avvicinarlo mentre era ancora nel ripiano che precedeva
l’entrata, gli porse la mano gracchiando “Prima sei stato molto bravo, mi
piacerebbe conoscerti meglio”.
Lui la gelò con lo
sguardo e lei si ritirò spaventata.
Fece per mettere la
mano sulla maniglia quando uno squillo lo fece leggermente trasalire.
Portò una mano sul
taschino davanti della tuta da sci e ne estrasse un telefono cellulare
dell’ultima generazione. Schiacciò un tasto e con voce grave e seccata
esclamò “Pronto”
Una voce maschile a lui nota gli disse
semplicemente “Rukawa. La vacanza è finita. C’è del lavoro urgente da
sbrigare”
Il ragazzo che rispondeva a quel nome mugugnò
“Hn” prima di riattaccare come se niente fosse.
Dopo di che aprì la porta e si diresse nella
sua camera, maledicendo dentro di se quello stupido nanerottolo (indovinate
chi è il nanerottolo? N. di Ise) che lo aveva disturbato durante la sua
prima vacanza dopo quattro anni di lavoro stressante e pericoloso. Si
spogliò della tuta da sci e andò a farsi una doccia veloce.
Nel giro di dieci minuti era già pronto.
Uscì dall’albergo che ancora tutti stavano
guardano la porta da dove era entrato. La gran parte della gente si stava
chiedendo se quel ragazzo freddo, scostante, sfuggente dai lineamenti
angelici e raffinati e dall’abilità innaturale esistesse sul serio oppure
fosse stata solo un miraggio collettivo mentre le altre persone soprattutto
le ragazze si struggevano pensando a lui che già consideravano come il loro
idolo.
Quando di nuovo si affacciò alla porta a tutti
prese un colpo. Il suo aspetto era ancora più piacevole rafforzato
dall’abbigliamento indossato. Pure gli uomini deglutirono a vuoto sentendosi
avvampare in punti nevralgici mentre le ragazze cominciarono letteralmente a
sbavare (Era qui che dicevi che esageravi vero? N. di Hana Perché secondo te
la descrizione di Ru è troppo pompata? N. di Ise Certo! Solo il genio fa
questo effetto alle persone N. di Hana -________- N. di Ise)
Il moretto portava una
soprabito nero aperto sul davanti le cui estremità si muovevano ad ogni
passo ondeggiando sulle gambe, rivelando in quel modo un paio di pantaloni
sempre neri attillati che gli fasciavano gli arti inferiori e una maglietta
nera a giro collo che metteva in risalto i suoi pettorali. Il tutto era
completato da un paio si scarpe scure scintillanti messe a lucido e un paio
di occhiali da sole che gli nascondevano solo gli occhi permettendo alla sua
pelle lattea di risaltare. Era un’autentica visione. (E’ vestito circa come
Neo in Matrix per capirsi. N. di Ise).
Lentamente con
un’andatura fiera senza mai voltarsi in direzione di chi lo guardava con
tanta ammirazione si diresse verso il parcheggio delle auto.
Appena ne ebbe messo piede una limousine si
mosse e andò verso di lui. Si fermò proprio davanti al moretto e ne scese un
tipo corpulento, molto alto dai lineamenti marcati e carnagione scura in
livrea. Aprì la portiera e s’inchinò “Signor Rukawa, s’accomodi pure”
“Grazie Akagi” biascicò il ragazzo in
questione “In ufficio” poi ordinò.
L’uomo conoscendo la ritrosia alle parole del
suo datore di lavoro non si soffermò in convenevoli, richiuse la portiera e
si sedette sul posto di guida. Ingranò la quinta e s’immise nella strada
montana che portava fuori da quella località turistica.
Nel frattempo Kaede Rukawa cullato dal comfort
della sua super equipaggiata autovettura, si distese sul sedile super
spazioso foderato di pelle e cominciò a domandarsi quale importante
missione avrebbe dovuto affrontare sta volta dato che era stato disturbato
prima dello scadere delle sue ferie. Cosa poteva essere così importante da
richiamare lui l’angelo più agile di Ayako? Boh, solo al suo arrivo lo
avrebbe saputo. Non era di sicuro il tipo di fasciarsi la testa prima di
rompersela anzi….se non stava già affrontando una missione meno pensava alle
cose meglio stava. Così con questi ultimi pensieri sulla testa finì con
l’addormentarsi. Lui adorava dormire se non c’era niente d’interessante a
cui dedicarsi.
* * *
La velocità, il rischio
del pericolo, la polvere da sparo erano tre delle sue più grandi passioni e
c’era un solo posto doveva poteva assaporarle tutte insieme se escludeva il
suo lavoro. Lui in prima fila e lo start che spara il colpo che decreta
l’inizio della gara. I finestrini aperti per far filtrare quell’odore agre
che gli stuzzica i sensi e lo eccita all’inverosimile se combinato con
quello del suo motore a quattro cilindri. In un millesimo di secondo poi
trovarsi in una pista con tutti che tentano di venirti addosso per buttarti
fuori dai giochi. E lui che li schiva con maestria e a sua volta li colpisce
in una baraonda di colpi senza fine. Quella che sta affrontando è una
competizione molto popolare negli Stati Uniti, ci sono innumerevoli persone
che in quel paese vi partecipano per il gusto del pericolo e per poter
incassare i soldi che spettano al vincitore. Per lui però è valido solo il
primo motivo, i soldi passano in secondo piano. Certo potrebbe comprarci un
regalo per il suo ragazzo ma…non ha esigenze immediate.
E’ stato fortunato che
proprio in quell’anno gli organizzatori della “Crash car” (non sono sicura
che si chiama così quella manifestazione in cui i concorrenti tentano di
rompere le macchine degli avversari per vincere ma non ho avuto tempo per
controllare. Scusate. N. di Ise) abbiano deciso di far scalo in Giappone per
una delle gare proprio nel periodo in cui dopo tanto tempo finalmente aveva
potuto prendersi le meritate vacanze.
Non ci aveva pensato neanche dieci secondi
prima di iscriversi, aveva sempre sognato di prendere parte a quella
competizione. L’idea lo elettrizzava e gli faceva scorrere il sangue più
velocemente nelle vene. Lui adorava sentirsi al centro del pericolo, in
passato molti piloti di talento avevano provato quella gara e, a causa di
gravi incidenti, erano rimasti mutilati o peggio uccisi. L’organizzazione
garantiva una certa sicurezza ed infatti le autovetture dovevano rispettare
certi canoni. Erano molto leggere e l’abitacolo era extra resistente ma
all’interno della pista potava capitare di tutto, incendi, macchine che si
ribaltavano ecc.ecc. per cui era difficile che tutti ne venissero fuori
incolumi. Era una gara al limite del legale ed era per questo che era
avvincente.
Dopo l’iscrizione era andato alla ricerca di
un buon team e lo aveva trovato nei meccanici che erano stati suoi colleghi
di lavoro fino a cinque anni prima in un officina meccanica in periferia.
Avevano preso una macchina dal recupero, una Pegiout 306 e le avevano
rifatto completamente il motore rendendolo più potente. Ne avevano
potenziato i lati e l’abitacolo. Avevano sostituito i freni e la batteria.
Insomma ne era venuto fuori un piccolo gioiello.
L’iscrizione e il trovare un team comunque
erano state le parti più facili di tutta l’organizzazione, per partecipare
infatti doveva avere pure uno sponsor e per un pilota sconosciuto come lui
trovarlo non era stato semplice. Avrebbe potuto chiedere al suo collega di
lavoro Rukawa ricco sfondato com’era ma…non gli andava d’immischiare vita
privata e lavoro.
Comunque grazie al suo fascino sfrontato
indiscusso dovuto ai suoi occhi tenaci che sembrano sempre sul punto di
sbranare qualcuno, ai suo capelli di colore castano scuro corti e
perennemente spettinati e soprattutto alla sua cicatrice sotto il mento
ricordo di un’adolescenza turbolenta nelle bande di paese che gli dava
un’aria di uomo vissuto a cui tutti nel bene o nel male sentivano di portare
rispetto (A me non sembra di aver mai portato rispetto a Mitchi. N. di Hana
Bhe…effettivamente ma ti ho detto no che questa fic è tutta un’esagerazione,
per cui non prenderla seriamente N.di Ise Va bene! Ma io non voglio
portargli rispetto N. di Hana Ok! Vedrò quello che riuscirò a fare N. di Ise)
era riuscito a convincere il proprietario di una catena di negozi di bassa
lega di prestargli il suo nome e così adesso era li sulla pista a sfrecciare
sicuro sentendosi quasi un Dio. Sentiva il suo cuore battere all’impazzata
mentre dal suo volto scendeva a rivoli il sudore. Le sue mani però non erano
sudate, erano secche e tenevano saldamente il volante, stava benissimo.
Se il suo ragazzo avesse saputo dove si
trovava, sarebbero stati grossi guai visto che era un tipo apprensivo e non
voleva che corresse pericoli, ma d’altra parte c’erano così tante cose che
il suo amore non sapeva di lui e della sua vita. Ed era meglio così, avrebbe
solo sofferto per nulla, visto che comunque l’unica cosa che contava erano i
loro sentimenti e il fatto che, in qualche modo, tornava a casa sempre tutto
d’un pezzo nonostante le missioni pericolose che ogni giorno doveva
affrontare.
In confronto alle sue missioni quella gara era
un gioco per bambini.
Ridacchiò mentre un altro concorrente con la
sua macchina gli colpì il parabrezza posteriore per danneggiargli il motore.
Si fermò di colpo e con la retromarcia lo lanciò fuori dalla pista a tutta
velocità, poi con una cingana riprese a correre. Superò diverse autovetture
che tentavano di impedirgli il sorpasso colpendolo ai lati, lui ogni volta
accettava la sfida e riusciva a farle finire nella giara che copriva un lato
della pista o addosso al muro che costeggiava l’altro lato. Ad un tratto una
macchina di fronte a lui fece un testa coda e colpì con violenza l’angolo
destro del davanti della sua macchina. Mantenendo il sangue freddo, riuscì a
sterzare il volante in modo da riassettare le ruote che volevano portarlo
fuori pista e a rimettersi in carreggiata. In questo modo, però, oltre ai
piloti che aveva già davanti, altri tre concorrenti riuscirono a superarlo
ma non si diede per vinto.
Mise il piede sull’acceleratore e a tutta
velocità s’insinuò al centro di due macchine che tentarono
contemporaneamente di danneggiarlo lambendolo ai lati. Lui capendo le loro
intenzioni diede un’altra sgommata in avanti e così i due finirono di
scontrarsi fra loro.
Aveva ancora cinque macchine da superare, le
prime due lo lasciarono passare accorgendosi che era troppo forte. La terza
invece tentò di colpirlo in retromarcia ma lui fu più rapido e la urtò per
primo lanciandolo contro il muro. La quarta autovettura venne eliminata da
chi comandava la corsa, così che si ritrovarono solo lui e l’altro a
contendersi il trofeo. Le altre macchine, infatti, erano ben distanziate.
Con una bella
accelerata il ragazzo riuscì a superare l’ultima macchina senza che
l’avversario potesse fare niente per impedirlo. Quest’ultimo però non ci
stava a perdere con uno stridere di ruote fece un balzo in avanti fino ad
arrivare sotto la sua macchina. La colpì con molta violenza e cominciò a
trascinarlo fuori dalla pista. Il castano mise il piede sul freno e si
oppose a quel destino. Si accorse che per vincere aveva un’unica
possibilità. Doveva riuscire a trascinare l’altro concorrente in un punto
critico e dopo farlo girare su se stesso. Lasciò il freno e l’altro si
ritrovò sbalzato in avanti, il ragazzo piegò il volante per curvare in modo
da rientrare in pista ma proprio in quel momento il suo telefono cellulare
che aveva dentro il taschino della tuta da corsa rossa in ricordo della
Ferrari suonò. Si lasciò deconcentrare e la sua Pegiut finì con l’arenarsi
nella ghiaia.
“Merda” ringhiò mentre
si affrettava a rispondere. Tuttavia tranquillizzò la voce mentre diceva
“Pronto” C’era un’unica persona che aveva il numero di quel telefonino che,
qualunque cosa facesse, doveva portarsi sempre con se ed, infatti, non fu
deluso di sentire all’altro capo del telefono una voce che conosceva
benissimo “Mitsui, la vacanza è finita. Ayako ti vuole. Vieni subito in
ufficio”
“Va bene! Arrivo
subito. Il tempo di lavarmi e salire in moto” confermò di aver recepito il
messaggio e dopo riattaccò.
Uscì dalla macchina
mentre la corsa continuava ancora, c’erano ancora infatti tre macchine in
pista ma non gli importava. Sollevò le spalle e zigzagando tra i resti delle
autovetture sfasciate durante la gara arrivò ai suoi box.
I suo compagni
meccanici erano amareggiati ma tentarono di tirargli su il morale
“Ci dispiace per
l’accaduto, ma cos’è successo? Mi sembravi sulla buona strada per fregare
quell’idiota”
“Vedrai che sarà per la
prossima volta, sei destinato a vincerla prima o poi questa competizione sei
troppo bravo”
“Se fra qualche anno
gli americani organizzeranno ancora qualcosa del genere da queste parti, sai
a chi rivolgerti per preparare l’auto”
Lui aprì le sue labbra
in un ghigno e s’inventò una grossa bugia per giustificare la sua uscita di
pista “Purtroppo pensavo di avercela fatta ma…quel bastardo è riuscito a
colpirmi di riflesso il parabrezza davanti di lato sbilanciandomi e
lanciandomi fuori. Speriamo sul serio di avere altre occasioni per
dimostrare il nostro valore. Non preoccupatevi non mi dimenticherò di voi
ma…ora se non vi spiace dovrei andarmene a casa, c’è il mio ragazzo che mi
aspetta”
I suoi meccanici gli credettero, sapevano
infatti che il fidanzato del loro pilota era all’oscuro di quella gara e
visto che era deluso per l’accaduto Mitsui quasi sicuramente voleva farsi
consolare dal compagno.
Il castano entrò nel locale dove si trovano le
docce. Si spogliò e s’immerse nell’acqua dimenticandosi per un po’ di tutto,
della delusione per la sconfitta e, si, che bastava che quel nanetto lo
avesse chiamato con mezz’ora di ritardo perché tutto andasse secondo i suoi
piani e, pure, della missione. Chissà infatti che caso poteva essere così
urgente da richiamare al lavoro lui, Hisashi Mitsui, il miglior tiratore ed
esperto in meccanica degli angeli di Ayako. Doveva essere qualcosa di grave
pensò. Si frizionò le spalle con una spugna per tonificare i muscoli che gli
dolevano dato che in macchina erano stati molto in tensione e dopo alcuni
minuti uscì. Indossò una tuta nera da moto ma la lasciò aperta sul nudo
torace. Uscì dai box e salutò con un “Arrivederci, la prossima volta vi
offro da bere” cordiale i suoi compagni di avventura o meglio di sventura
visto com’era andata a finire. Nemmeno chiese chi aveva vinto la gara, se
non era stato lui a passare per primo il traguardo, allora quella gara aveva
perso ogni attrattiva ai suoi occhi.
Andò verso i parcheggi della pista e tirò
fuori le chiavi della sua moto. Fece passare le sue gambe intorno alla sella
in modo da cavalcarla. Prima però di metterla in moto, estrasse il cellulare
privato da una tasca e compose velocemente un numero.
“Si” rispose con voce dolce il suo ragazzo.
“Ciao amore, sono io Hisashi, purtroppo mi
hanno richiamato in ufficio e devo andare a vedere cosa vogliono. Credo che
arriverò tardi a casa. Non aspettarmi svegliato”
“Ma neanche durante le vacanze ti lasciano in
pace?” sospirò l’altro.
“Purtroppo no. Ma dopo tutto sai che sono il
miglior ingegnere che hanno. Se hanno qualche problema non possono che
chiamarmi”
“Ok. So che sei eccezionale. Ma ricordati che
devi farti perdonare, oggi infatti mi avevi promesso una cenetta con i
fiocchi”
“Mi farò perdonare puoi starne certo” sussurrò
Hisashi con voce maliziosa “Ciao”
“Non vedo l’ora di sapere come ti farai
perdonare. A domani” sospirò l’altro con voce roca di rimando per poi
riattaccare.
Mitsui rimase per qualche istante con il
telefono sull’orecchio e con un sorriso ebete stampato sul volto come a
cullarsi delle parole del suo amore. Poi, però ritornò in se, alzò la
cerniera della tuta che indossava per chiuderla anche sul davanti, in modo
da non prendere freddo. Si mise il suo pregiato casco nero in testa
regalatogli anni addietro da Ayrton Senna, prima che questi morisse e a
tutta velocità cavalcò la sua moto fino al luogo del ritrovo.
* * *
Le nocche nude picchiettavano con violenza
contro il sacco da box attaccato al soffitto mentre nelle sue orecchie
continuavano a ripetersi all’infinito le parole di rifiuto dell’ennesima
ragazza a cui aveva fatto la corte “No, mi dispiace ma non mi interessi. Ho
già un ragazzo. E’ Jun il campione di body bilding”. Non che al ragazzo dai
capelli rossi, fisico possente, pelle abbronzata e volto dai lineamenti
interessanti e marcati importassero sul serio di per se quelle parole
proferite da quella tipa, non cercava una relazione importante con quelle
stupide ragazzine a cui lui aveva chiesto di mettersi insieme e che avevano
osato dirgli di no, non ne amava nessuna, voleva solo farsi passare la noia
in cui era caduto da quando era in vacanza dal lavoro.
Lui odiava le ferie
perché lo ributtavano a pieno titolo in un mondo di cui non avrebbe più
voluto fare parte. Lo costringevano a passare troppo tempo in un
appartamento che in lui risvegliava solo sogni ormai spezzati e tristi
ricordi. L’unica cosa piacevole di stare in vacanza era il poter vedere i
propri amici di sempre Noma. Okusu, Takamiya e Mito più spesso ma questo era
valido solo per la sera visto che al pomeriggio i quattro lavorano. Noma e
Okusu erano impiegati in una società di computer, Takamiya degustava i cibi
in un ristorante e Mito beh…lui era quello più disponibile visto che era il
proprietario della palestra in cui si trovava in quel momento, ma lo stesso
il rossino non voleva e non poteva passare tutto il suo tempo li, visto che
finito il periodo di vacanza sarebbe tornato al suo eccitante tram, tram di
vita che lo portava a stare via anche dei mesi prima di poterli reincontrare.
Non gli sembrava giusto far pesare loro troppo la sua presenza in quel
periodo e dopo andarsene senza farsi vivo per tanto a volte troppo tempo.
Chissà come facevano quei quattro a sopportarlo e a considerarlo ancora come
un loro amico, forse perché quando tornava si divertivano un mondo con lui,
a ridere dei suoi rifiuti, delle sue facce sceme, dei suoi atteggiamenti di
pompato megalomane. E forse era proprio per questo che lui con loro si
comportava ancora così. Non voleva perderli. Forse era per questo che quando
si ritrovava in loro compagnia fingeva di corteggiare tutte le ragazze
carine che gli capitavano a tiro come ai tempi del liceo che avevano
frequentato insieme atteggiandosi ad innamorato perso e, poi, a respinto
addolorato. Voleva che loro si divertissero, perché voleva avere sempre un
posto dove tornare anche se quel posto aveva segnato la fine della sua vita
spensierata in cui pensava che tutti sotto, sotto fossero buoni, che non
esistessero i veri cattivi ma solo persone turbate che hanno perso qualcosa
e che si atteggiano a duri solo per trovare un po’ di rispetto. Era li che
era cresciuto ed era diventato il ragazzo che era ora. Un buffone
matricolato, un perdigiorno senza speranza per chi lo conosceva poco ma in
verità un lavoratore instancabile alla continua ricerca di qualcosa per cui
valga la pena di vivere, alla continua ricerca di qualcosa che gli stimoli
il suo istinto super sviluppato.
E allora perché se non
gliene importava niente era li che si sfogava in quel modo con un povero
sacco? Semplice l’ultima delusione d’amore se così si poteva chiamare
l’aveva avuta in quella palestra poche ore prima e Mito aveva assistito per
cui avendo una credibilità da difendere non aveva che potuto fingersi
deluso, solo che il suo amico con un sorriso sincero gli aveva fatto
ricordare che da quando si conoscevano non lo aveva mai visto uscire con una
ragazza, che addirittura alle superiori era stato rinominato mister
cinquanta rifiuti, il re dei due di picche e il suo ego, così, ne aveva
risentito.
Insomma era vero, mai nessuna ragazza che
aveva corteggiato per diletto del suo gruppo di amici aveva accettato di
uscire con lui ed era una cosa che non poteva soffrire. Va bene che si
atteggiava a montato e buffone ma insomma in giro c’era gente molto peggiore
di lui che riusciva a rimorchiare come il pane e perché lui no? Era bello,
aveva un fisico da urlo e un fare che era un misto tra il duro e il
cucciolone che non poteva che attirare l’attenzione. Che fosse sul serio
colpa dei suoi capelli rossi come gli dicevano i professori a scuola a farlo
considerare pericoloso anche se non lo era. Boh! Il fatto era, però, che al
lavoro i suoi capelli non gli avevano dato mai dei problemi, quando il suo
obiettivo era conquistare una pulzella lo faceva senza nessuna difficoltà,
era un genio, il migliore sul campo altro che Mitsui e Rukawa ed il suo
carattere non era poi così tanto diverso da quello di tutti i giorni, a
parte il fatto che era più responsabile, tant’è che non passava giorno che
Kaede lo guardasse con la puzza sotto il naso additandolo a Do’aho. Se
sbagliava anche se capitava raramente ad un mostro di bravura come lui, la
volpe malefica come lui chiamava il moretto stra ricco del suo gruppo, a
causa della sua assomiglianza con quell’animale infido e subdolo non gliela
faceva mai passare liscia ed era per questo, che tra loro due era un
continuo punzecchiarsi. Allora quel’era il motivo per cui nessuna ragazza
che corteggiava in vacanza voleva stare con lui? Non riusciva a capirlo.
Possibile che avessero un sesto senso che usavano per capire che non faceva
sul serio. Le donne era un mistero e forse era meglio che rimanessero tali.
In effetti delle donne
non gliene fregava niente e forse era per questo che non otteneva molti
risultati con loro se non quando si sforzava sul serio per conseguirli. Lui
era gay e lo aveva scoperto in un modo sconvolgetene per un tipo come lui.
Per un po’ di tempo
infatti aveva potuto possedere una delle creature più belle che il pianeta
avesse mai generato (Ehi cos’è questa esagerazione? Ru è solo passabile N.
di Hana E chi ti ha detto che parlo di Ru. N. di Ise Come? N. di Hana Non ti
dico niente, dovrai scoprire chi è questo tizio N. di Ise che ride sotto i
baffi che non ha) ma dopo a causa sua le cose fra loro erano finite in malo
modo. La sua incapacità di legarsi per non più soffrire, il lavoro
pericoloso, il loro orgoglio li aveva fatti allontanare. Chissà come sarebbe
andata a finire se lui non avesse avuto paura.
Sbuffò colpendo con
violenza il sacco che ondeggiò.
Non ne poteva più di
quella situazione, lui odiava sentirsi inutile e, quindi, finiva con lo
pensare a cose che voleva dimenticare. Dopo tutto in verità la relazione con
quel ragazzo non era mai finita, quante volte anche dopo che si erano
lasciati l’uno finiva nella camera dell’altro dove con la disperazione della
loro solitudine, sfogavano il loro amore represso con del sesso violento e
passionale.
Mollò un altro pugno
per non pensare a tutto questo, per non sentirsi un vigliacco incapace di
ascoltare il proprio cuore e di rispettare le proprie decisioni, aveva
bisogno di fare dell’altro. Avrebbe voluto sul serio avere un avversario di
fronte a se e colpirlo fino a buttarlo sul tappeto. La box era sempre stata
il suo sport e, nonostante il dolore sordo che gli partiva dal cuore, quando
si ricordava la delusione che aveva provato nel capire che quel mondo
sportivo era un lerciume, e la rabbia e la tristezza di averlo capito nel
modo peggiore, al cui pensiero ancora non riusciva a trattenere le lacrime
beh….quando sentiva le sue mani nude colpire il volto di un avversario …la
sua anima si liberava da tutto.
Adorava la sensazione
che provava quando metteva KO un avversario, lui doveva essere il più forte,
il migliore altrimenti non c’era gusto ed era per questo che negli ultimi
anni aveva imparato quante più arti marziali poteva. Doveva diventare sempre
più forte perché così i suoi sensi di colpa nei confronti di tutto e tutti
calavano, gli davano la possibilità di credere di aver potuto salvare suo
padre.
Sferrò una raffica
infinita di colpi sul sacco che cominciò a ribaltarsi sembrava sul punto di
cadere quando una voce calma lo fece tornare in se “Hey Hana quel sacco
costa, per favore non rompermelo”
“Scusami Yohei” sussurrò il rossino con il
fiatone “Stavo pensando ad una cosa e non sono riuscito a controllarmi”
“Pensavi ancora a …”
“No, non dirlo. Non mi
va di parlarne, non ora almeno. E’ meglio comunque se me ne torno a casa, ho
bisogno di riposarmi e stare solo. Credo che per qualche tempo non ci
rivedremo”
“Torni a lavorare?”
“Si, spero di si. Ho bisogno di dedicarmi a
qualcosa che non mi faccia pensare”
“Ma così è più doloroso, le cose dovresti
affrontarle per superarle”
“Non ti preoccupare, so quello che sto
facendo” sorrise il ragazzo dai capelli rossi.
“Sei sicuro? Non mi hai mai detto che lavoro
fai? Non è niente di illegale vero?”
“No. E’ pulitissimo”
“Bene. Ma sappi che se hai bisogno di qualcosa
sai dove trovarmi”
“Certo. Ciao. Salutami anche gli altri,
vedrete che comunque mi farò vivo presto”
“Ok. Guarda che ci conto. Ciao”
Il rossino si diresse verso le docce, si
spogliò rapidamente della canottiera e pantaloncini corti che indossava e
che si erano tutti appiccicati a lui come una seconda pelle e si diresse
verso la doccia mostrando con noncuranza tutte le sue grazie agli altri
occupanti dello spogliatoio. Aveva un corpo fuori dal comune, atletico, ben
tonico, con dei pettorali ben scolpiti, spalle larghe, un sedere perfetto e
un sesso di discrete dimensioni. Molti si voltarono a guardarlo con
ammirazione e qualcuno pure sbavò.
Doveva dire che con gli uomini aveva più
successo che con le donne e visto i suoi gusti era meglio così. Ridacchiò
dentro di se e si lavò. Uscì che era tutto gocciolante. Si diresse verso il
suo armadietto lasciando cadere gocce d’acqua sul pavimento incurante e ne
tirò fuori un asciugamano con cui si strofinò prima le gambe, poi in mezzo
alle gambe ed infine il mezzo busto superiore con gesti provocanti anche se
istintivi. Per una volta aveva voluto togliersi lo sfizio di stuzzicare gli
altri e c’era riuscito visto gli sguardi che gli lanciavano i maschi
presenti, sembravano sul punto di saltargli addosso. Se lo avessero fatto,
però, li avrebbe ammazzati tutti, non aveva paura di affrontare più
avversari per volta, ne era avvezzo. Doveva proprio ammetterlo era bello
essere ammirati (Si tutti mi ammirano e mi vogliono N. di Hana Ah questa non
è un’esagerazione N. di Ise Certo che no il tensai è il re degli ammirati)
Rincuorato da quella
sensazione, in quel momento aveva proprio bisogno di recuperare la sua auto
stima e il suo buon umore, si rivestì. Indossò gli abiti più sgargianti che
fossero mai stati visti. Una maglietta arancione ricoperta da giacca
sfibrata in vita stile cow-boy gialla e pantaloni extra attillati rossi.
Adorava vestirsi se poteva in modo irriverente ormai chi lo conosceva bene,
infatti, non ci faceva più caso.
Estrasse il cellulare
dal taschino della giacca e dopo un profondo respiro si decise a comporre il
numero della sua casa base. Voleva tornare a lavorare, non ne poteva più di
fare niente per tutto il giorno e avere perennemente i pensieri rivolti
verso ricordi pericolosi per la sua psiche. Gli sarebbe bastato un caso
piccolo da fare da solo. Il nano doveva acconsentire.
Ci fu uno solo squillo
prima che una voce maschile conosciuta rispondesse dicendo subito “Sakuragi,
quale coincidenza. Ti stavo chiamando io. Le vacanze sono finite, Ayako ha
bisogno di voi per una missione urgente”
“Siiiiiiiiiiiiiiii”
urlò il rossino euforico “Non ne potevo più di stare nell’ozio, stavo giusto
per chiederti un lavoretto da fare da solo”
“Hanamichi” cominciò
con un tono più informale il ragazzo dall’altra parte della linea “Non
essere così contento, ancora non so in cosa consiste la missione visto che
Ayako mi ha solo riferito di chiamarvi, ma se l’ha fatto durante le ferie
vuol dire che deve essere successo qualcosa di brutto”
“Vedrai che
risolveremo questa faccenda in fretta. Non mi sembra il caso che ti
preoccupi. Noi angeli siamo i migliori. Sarò li da te prima di subito” disse
Hanamichi agganciando.
Uscì dalla palestra e
si mise in mezzo alla strada per fermare un taxi in corsa e questi quasi lo
investì.
Bloccò sul nascere le
imprecazioni del taxista porgendogli in anticipo i soldi per la corsa e gli
indicò la destinazione.
Non sapeva il motivo
per cui Ayako aveva deciso di richiamare lui, Hanamichi Sakuragi, l’angelo
più potente ed istintivo del gruppo ma, qualunque cosa fosse, si sentiva al
settimo cielo. Finalmente per un po’ sarebbe stato libero dagli incubi del
suo passato.
FINE 1° CAPITOLO – LA
CHIAMATA DEGLI ANGELI
Ise: Ho finito. Che faticaccia pompare così i
personaggi. Non ne sono proprio abituata.
Hana: Davvero? Ma non capisco dove mi hai
pompato. Io sulla scena della doccia ero immenso come al naturale. Però è
vero è difficile lavorare su personaggi come Kaede e Mitsui che sono poco
più che passabili e tu invece li hai resi veramente divini.
Ise: Veramente….
Kaede: Chi è che sarebbe passabile?
Hana vistosi scoperto: Mitsui ovviamente, tu
sei la luce dei miei occhi, una persona bellissima e stupenda.
Kaede: Bene. Vedo che ci siamo capiti. Ma a
proposito Ise chi è il tizio con cui Hana fa le cosacce (imitando Tesla che
saluto).
Ise: Bhe non si è capito?
Kaede ed Hana: No!!!!!!!!!!!!!!
Ise: Bhe se siete tardi non è colpa mia. Lo
capirete più avanti anche che questo caso non ha a che fare con il passato
di nessuno di voi tre protagonisti.
Mitsui: Già perché sta volta il protagonista
sono anch’io. Non sto più nella pelle.
Hana e Kaede: Mitsui io non ne sarei così
felice, Ise ha una predilizione per torture i protagonisti fino allo spasmo.
Mitsui: Davvero?
Ise: Si e a proposito eccoti il tuo copione.
Mitsui: Come? Non è
possibile!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! Che qualcuno mi faccia
uscire da questa fic.
Ise sorriso sadico: Ormai è troppo tardi.
Vedrai che ci divertiremo.
L’ANGOLO DI ISE
Allora qui vi parlerò
delle mie scelte sui personaggi.
Per Kaede Rukawa ho
preferito pompare l’agilità e l’aspetto fisico semplicemente perché è il più
ammirato nel manga e ho voluto rimanere in linea con questa tendenza. Dei
suoi pensieri e del suo passato si sa poco, ma è voluto….doveva rimanere un
personaggio misterioso.
Per Hisashi Mitsui ho
aumentato la sua sfrontatezza e l’ho reso in personaggio intrigante amante
dei motori e delle armi, l’ho fatto per via della sua vita da teppista
passata (cosa che ho accennato nel pezzo a lui dedicato e che riprenderò più
avanti). L’ho fatto fidanzato con….avete capito vero chi è? Comunque come si
sono messi insieme e il suo passato lo capiremo più avanti. Intanto la sua
psicologia doveva esserci ma doveva essere solo abbozzata.
Per Hanamichi Sakuragi
ho potenziato la sua forza e il suo istinto. L’ho fatto più disinibito (nel
pezzo finale) e comunque ho analizzato molto i suoi pensieri perché volevo
renderlo più simile a se stesso anche se rivela molte differenze. Volevo che
il rossino fosse lui ma in parte non lo fosse. E’ cambiato a causa di eventi
passati di cui ho accennato senza rivelare troppo. Li scoprirete più avanti.
Spero che il capitolo
vi piaccia anche se ne dubito, l’ho scritto troppo in fretta. In quattro
ore fino a notte tarda con mia madre che rompeva ed un mal di testa
terribile (chissà quanti errori ci saranno).
S
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