Disclaimers:non sono miei, sigh sob! Ma del mitico Inoue!

Dediche: a Najka dedico la mia prima semi-lemon (fa schifo, lo so -.-) RuHana! Ma chi l’avrebbe mai detto?

Bo!

E alla piccola Simona, con la speranza che dimentichi il bufalo per trovare di meglio!

E ora (parappappà) la fiction! Unica nota: gli asterischi separano i “momenti topici”.

Fatemi sapere!

Marty

Ah, io volevo metterci uno scontato, noioso, banale happy end…

Il finale in sospeso è un’idea di Tesla, se avete qualcosa da ridire prendetevela con lei!

Cmq chissà…

Magari una side story…

Che ne dite?^^

 

Ps: grazie alla mia kitsunina per le notine!

Marty




Avrei voluto dirtelo...

di Marty


La notte scendeva lentamente sulla città.

Le luci dei lampioni permettevano al ragazzo moro di vedere dove metteva i piedi, senza però che potesse vedere dove questi lo portavano.

I suoi capelli scuri svolazzavano incorniciando l’ovale perfetto del suo viso, mentre il vento gelido dell’inverno inoltrato gli gelava il sangue nelle vene.

Si frizionò energicamente le braccia con le mani aperte, cercando di scaldarsi un po’.

Poi, con le sue dita affusolate scostò dall’ampia fronte pallida una ciocca corvina, rivelando uno sguardo di gelido blu.

Quegli occhi, che provocavano più di un batticuore in chi aveva la fortuna di incrociarli, si posarono su un’insegna scolorita dal tempo: DualPart.

È proprio in quella direzione che si diressero i suoi passi.

Avvicinandosi si rese conto che l’insegna era anche storta, dato che uno dei ganci che lo ancoravano al muro aveva ceduto.

Scrollò le spalle e si piegò per passare sotto l’arco, decisamente basso per un ragazzo alto come lui.

Si ritrovò in un piccolo salottino, alle cui pareti di velluto erano stati attaccati minuscoli frammenti di cristallo, che scintillavano come stelle nel firmamento notturno.

Per un attimo catturato da quello spettacolo inusuale, non si accorse di ostruire l’ingresso, e così un altro cliente gli andò contro.

“Mi scusi” biascicò l’altro imbarazzato.

“Hn” rispose il moro, ed entrò nella sala.

Dopo pochi gradini una luce chiara ma accogliente lo accolse, mentre un ragazzo con i capelli castani e gli occhiali tondi gli andava incontro sorridendo.

“Sono contento che tu sia venuto, Rukawa” gli disse.

“Io e Takenori abbiamo riservato un tavolo anche per te, guarda, qui vicino al palco.

Vedrai, ne vale davvero la pena!”

“Lo spero…” disse, più a se stesso che all’amico, l’impassibile Kaede Rukawa.

“Te lo assicuro, questo cantante è davvero fantastico!

Quando l’ho visto per la prima volta ho pensato che fosse troppo bello per essere vero…”

Mentre Kogure parlava, due braccia forti lo afferrarono per la vita, tirandolo contro il loro proprietario.

“Dovrei essere geloso, eh, Kimi-kun?” chiese il gigante alle sue spalle con fare burbero.

Ma il ragazzo scosse il capo e regalandogli uno sguardo pieno d’amore gli sussurrò “Nel mio cuore ci sei e ci sarai solo tu, Take, per sempre” e i due si baciarono teneramente.

Kaede sbuffò e si mise a sedere, tamburellando con le dita sul lucido tavolo di marmo in attesa che i due gli rivolgessero di nuovo la loro attenzione.

Ma sembrava che i suoi amici avessero dimenticato la sua presenza e così il moro iniziò a passeggiare nel locale, ancora pressoché vuoto, che si andava riempiendo a vista d’occhio.

Passando accanto all’entrata degli artisti sentì un rumore di vetri infranti, seguito da uno strano singulto strozzato e da una voce irata che sibilò “Basta, è ora di finirla, lasciaci in pace”

“Guarda che non lo obbliga nessuno” rispose un’altra voce altrettanto bassa.

“Ma è stanco, e si fa del male!

Non capisci quanto soffre…” la frase si spense in un sospiro gonfio di dolore.

Poi un cameriere gli passò accanto, dicendogli che il pubblico non poteva accedere a quella parte del locale, e che lo spettacolo stava per cominciare ed era quindi il caso che si accomodasse.

Rukawa tornò al tavolo di malavoglia, rimuginando su quello che aveva sentito, facendo congetture che scartava poi con una rapidità sorprendente.

Ma il suo cervello si spense insieme alle luci della sala.

Al centro del palco c’era un ragazzo con le ginocchia strette al petto.

Le sue spalle tremavano.

Intorno a lui iniziarono a volteggiare caute le note di un pianoforte, e il ragazzo sollevò la testa dall’incavo delle braccia.

I suoi occhi dorati erano velati dalla tristezza, e i capelli rossi che ricadevano scomposti sulla sua camicia nera gli davano un’aria ancora più affranta e disperata.

Poi, senza preavviso, il ragazzo iniziò a cantare.

 

Cruel to the eye

I see the way he makes you smile

Cruel to the eye

Watching him hold what used to be mine

Why did I lie?

Why did I wander where to fly?

 

Il cantante si alzò faticosamente, dirigendo i propri passi lenti verso la ribalta, e poi sollevando la mano verso il cielo, mentre gli occhi si facevano lucidi, continuò

 

I can’t breathe easy

Can’t sleep at night ‘till you’re by my side

I can’t breathe easy

Can’t dream or have another dream

Without you lying next to me there’s no way

 

Cadendo in ginocchio, la stessa mano che prima cercava di protenderlo verso il cielo si strinse a pugno colpendogli il petto.

 

Crushed me inside

For every word that caused you to cry

Crushed me inside

I won’t forget no I won’t baby

I don’t know way

I left the one I was looking to find

Oh why!

 

Gli occhi di Kaede erano rapiti, come anche il suo cuore, il corpo, l’anima.

Tutto se stesso vibrava, a contatto con quel dono del cielo.

Era perfetto.

Una voce meravigliosa, un corpo da urlo, una capacità interpretativa fuori dal comune.

Metteva quasi paura avvicinarlo.

 

Out of my mind

Nothing makes sense anymore

I want you back in my life

That’s all I’m breathing for…

 

E con queste ultime parole cariche d’angoscia, il rossino si accasciò nuovamente al suolo.

Le luci che avevano illuminato debolmente la sua esibizione, si spensero tutte.

Quando la sala fu di nuovo illuminata, il ragazzo non c’era più.

Rukawa però non smise di fissare il centro del palco, come se il guardarlo avesse potuto riportare a lui quell’angelo caduto.

“Allora?” domandò una voce alle sue spalle.

Ma non riuscì a rispondere.

Le parole a sua disposizione (già poche di base) erano ora completamente focalizzate su un solo pensiero: lui.

Un leggero mormorio sorpreso lo fece voltare: sul palco erano fiorite una miriade di rose, di tutti i colori e le forme.

La stanza sembrava essere diventata un immenso giardino.

In quel momento Kaede si rese conto che dovevano essere passati parecchi minuti dalla fine dell’esibizione precedente, tempo che gli era scivolato addosso mentre si perdeva nell’immagine di quel ragazzo sconosciuto.

Ed eccolo, come rispondendo al suo richiamo, uscire dal giardino.

Era a torso nudo, ed una bandana blu elettrico allontanava i capelli dal suo viso.

Ora che era possibile vederla, il moro si accorse che quella pelle abbronzata aveva il colore del miele più puro, e contrastava con i pantaloni jeans di un bianco quasi accecante che, pur cadendo morbidi sui fianchi dell’artista, grazie a degli strappi disseminati sulla superficie lasciavano perfettamente immaginare le muscolose forme che nascondevano.

Il piede destro, ornato da una semplice catenella d’oro alla caviglia, accennò un passo di danza, seguito poi dal corpo di quell’incredibile figura, che si muoveva ora con una grazia inaspettata sui sentieri tracciati per lui tra i cespi fioriti.

La musica era lenta e struggente, e il ragazzo ondeggiando il capo sembrava volerla afferrare.

La sua voce calda e forte intonò quella che aveva tutta l’impressione di essere una ballata d’amore.

 

Usted no se merece mi amor

Porquè yo me entrego desde el alma y con la vida

Usted se entrega la mitad

Su frialdad me llega a helar

Usted me està matando dia a dia

Talvez yo tenga poco que ofrecer

Pero lo que soy se lo entrego por entero

Se puede dar sin recibir

Hasta el punto de morir

Usted es mi locura no lo niego

 

E mentre la tonalità saliva, la sua danza si faceva più dolce, conturbante, avvolgente.

 

Talvez usted no entiende

Que tan sòlo se pretende

Crear un mundo nuevo de los dos

Tan sòlo si pudiera ver que muero de dolor

Al ver como se quiebra el corazòn

Porquè si amar es entregarse

Desde luego no lo hace

Y me tejas dando vueltas

Tras las huellas de su amor

Es hora de perderlo

De amarlo y no tenerlo

No dejo de pensar que usted talvez

No se merce mi amor

 

La musica diede un attimo di respiro al rosso, che si asciugò il sudore dalla fronte con la fascetta nera che portava al polso sinistro.

Kaede, il cui cervello era in stand by, riuscì solo a capire che c’era qualcosa di familiare in quella scena, ma prima che potesse chiarire questo pensiero il cantante sedette su un’altalena intrecciata di ghirlande profumate e continuò.

 

Talvez usted no sienta como yo

Y me derrito con sus falsas esperanzas

Me hace soñar que alguna vez

Usted me entregue su querer

Quizas es sòlo un juego de palabras

 

Usted no se merece mi amor…

 

 

E mentre le ultime note si disperdevano, tirando un sospiro, il ragazzo si voltò verso la platea e sorrise.

Un sorriso luminoso e fresco, come la pioggia estiva, che fece fermare il cuore nel petto al volpino.

Mentre si andava a cambiare, una voce avvertì il pubblico che lo spettacolo sarebbe terminato di lì a breve con un’ultima esibizione.

Ancora una canzone, e poi sarebbe finita.

L’avrebbe perso.

Prima di allora, avrebbe dovuto farsi avanti.

Si alzò con le gambe che gli tremavano e si diresse a passo incerto verso il bagno.

Forse un po’ d’acqua fredda sul viso gli avrebbe fatto tornare il buon senso.

In effetti, quando tornò in sala, aveva quasi recuperato il controllo di sé.

Ma fu una breve illusione: le luci infatti calarono nuovamente, lasciando presagire il ritorno del cantante.

E infatti dal soffitto iniziò a scendere della polvere che spandeva bagliori dorati nella luce ambrata del palcoscenico.

Un fumo con un vago sentore di fiori d’arancio dilagò nella stanza, intorpidendo i sensi del povero moretto che cercava di mantenere un contegno più o meno normale, fallendo miseramente.

Un fischio modulato annunciò l’inizio della canzone: il rosso, che dava le spalle al pubblico, indossava una casacca bianca bordata di rosso e oro, che cadeva morbida su un paio di pantaloni scuri, aderenti come una seconda pelle, ricoperti di scaglie a effetto coccodrillo, lucidi e leggermente svasati sul fondo.

L’aria sembrò tremare per un istante, satura di aspettativa.

 

Quando sei venuto giù

Questo mondo non capì

Ti coprirono di spine

In un lontano venerdì

Molti risero di te

E di chi ti accompagnò

Ma il potere di ogni re la tua parola cancellò

Tra l’amore e la pietà

Questa certa verità

È rimasta dentro l’anima con noi

Ora guardaci se puoi

E ricordati di noi

 

Poi il ragazzo si voltò di scatto, producendo una raggiera di goccioline d’acqua scintillanti come pietre preziose, che i suoi capelli stillavano copiosamente.

Afferrò il microfono con gli occhi chiusi, annegando nelle note che crescevano.

 

Dove sei stanotte tu

Se la gente adesso va

In un mare non più blu per elemosine in città

Dove sei adesso tu

Se nel buio di una via

C’è chi vende e c’è chi compra il niente che ti porta via

Devi dirci dove sei

Perché vivere vorrei

Quanto male si è fermato adesso qui

Dove sei finito

Mentre qui combattono

Mentre tutti scappano

Mentre qui calpestano la dignità degli uomini

Tu dicci come vivere

 

L’asta cadde con un rumore secco, mentre il rosso scivolava in ginocchio fino al bordo del palco, fissando i suoi occhi ardenti in quelli di un Kaede ormai travolto dalle emozioni che lo avevano invaso.

 

Dove sei stanotte che

Queste lunghe malattie

Han lasciato cicatrici grandi come quelle tue

Dove sei ritorna qui

Perché il debole non sia

Una vittima lasciata sola al freddo per la via

Devi dirci dove sei

Perché dirtelo vorrei

Che la vita non è facile per noi

Come siamo soli!

Mentre qui combattono

Mentre tutti scappano

Mentre qui calpestano la dignità degli uomini

Tu dicci cosa scegliere

 

Alzandosi lentamente attaccò la strofa finale, appoggiando le spalle al muro, come se il peso di quelle parole fosse insostenibile per lui.

 

Dove sei stanotte io ti cercherò

Dove sei se non ci sei io non ci sto

Dove sei adesso tu?

Dove sei stanotte tu?

Dove sei che questa luce deve accendersi

E non spegnersi mai più

 

Il coro soppiantò piano la voce del cantante che, ridotta ad un sussurro, mentre una lacrima gli scivolava lungo la guancia, concluse la canzone:

 

Padre Nostro…

Dove sei…?

 

E con un ultimo guizzo della chitarra elettrica fu il silenzio.

Completo, irreale silenzio.

Nessuno aveva il coraggio di spezzare l’incantesimo che quella canzone aveva creato.

Poi, una sedia smossa diede il via e l’applauso si levò alto, compatto, avvolgente.

Il cantante arrossì e, inchinandosi, uscì dalla quinta.

A quel punto, Rukawa lasciò definitivamente cadere la maschera e si avvicinò a Kiminobu.

“Chi è quello?” chiese, senza preamboli.

Kogure spalancò gli occhi e poi scoppiò a ridere.

“Ti ha conquistato vero?

Ne ero sicuro!

Ma ti conviene lasciar perdere, è un’impresa disperata!

Nessuno sa niente di lui, non parla mai con nessuno dopo i concerti, si sa solo che si chiama Hanamichi.”

“Hanamichi…” ripete Kaede facendo sciogliere quel nome dolce sulla punta della lingua.

Non gli importava se era un tipo silenzioso, magari anche con un caratteraccio; era così anche lui!

Avrebbero potuto correggere insieme gli spigoli e magari fondere insieme i loro difetti per avere ogni giorno qualcosa di nuovo da ricordare.

Certo, il ragazzo non degnava di uno sguardo nessuno, ma lui era Kaede Rukawa, il ragazzo più bello e corteggiato di Kanagawa, voleva pur dire qualcosa!

Quantomeno doveva provarci, non avrebbe mai ammesso di avere paura del momento in cui quei grandi occhi si sarebbero posati su di lui, era il freddo che gli faceva tremare le mani, non l’ansia di sentire cosa quella voce suadente avrebbe risposto alla sua.

Mentre rimuginava, si era avvicinato ai camerini.

Come sempre, non si era accorto di trovarsi proprio davanti alla porta, e così qualcuno che stava uscendo di corsa lo travolse e si trovarono a terra, in un groviglio di gambe e braccia.

Stava già per lanciare qualche improperio a quello sciocco che non guardava dove andava quando il suo sguardo blu annegò nelle pagliuzze d’oro di quello di Hanamichi.

“Ba…ba…ba…tu-tu…se…se..scu…” balbettò senza riuscire a formare una parola coerente, distogliendo immediatamente lo sguardo.

Una mano grande e morbida gli accarezzò la guancia, e portandosi poi sotto il suo mento riportò gli occhi a contatto.

Sembrava che volesse sincerarsi del fatto che stesse bene, ma nel suo sguardo c’era un terrore del tutto fuori luogo.

Si guardò attorno con circospezione, come cercando aiuto, poi si alzò e gli porse la mano per aiutarlo a rialzarsi.

“Io…” iniziò Kaede, ma venne interrotto da passi veloci e una voce preoccupata che chiamava Hanamichi.

Dopo una manciata di secondi un ragazzo dai capelli neri impomatati, un viso da ragazzino ma un corpo ben piazzato, li raggiunse con il fiato corto.

Mise una mano sulla spalla del rosso, dicendo con voce allegra “Ma eri qui, stupido scemo!

Non sai quanto mi stavo preoccupando…”ma il sorriso si spense non appena si avvide del moretto, che ancora teneva una mano di Hana nelle sue.

Il cantante seguì lo sguardo del nuovo arrivato e, accorgendosi della situazione, sciolse la stretta imbarazzato e scappò verso l’uscita.

Rukawa si trovò squadrato dalla testa ai piedi, poi il ragazzo moro disse “Allora sei tu…”

E nei suoi occhi si accese una punta di tristezza.

“Lascialo in pace, non avvicinarti a lui, mi hai capito?” gli intimò in tono rude di comando, da persona che è abituata a farsi obbedire.

Ma aveva trovato pane per i suoi denti.

“Io faccio quello che voglio, Hanamichi è un uomo, non ha bisogno di una balia, sa scegliersi le compagnie!” rispose lanciandogli uno sguardo di sfida.

L’altro socchiuse gli occhi e prendendolo per il collo della camicia lo sbatté al muro stringendolo in una presa ferrea da cui il volpino non riusciva a liberarsi.

“Se ti rivedo ronzargli intorno” gli sibilo a pochi centimetri dal viso “io ti ammazzo, parola di Yohei Mito!”

Dopo di che, lo lasciò cadere a terra e se ne andò a passo svelto per raggiungere il rosso.

Rukawa si alzò, si spolverò la camicia e, incrociando le braccia, disse: “Hanamichi diventerà il mio compagno, lo giuro, parola di Kaede Rukawa!”

 

********************

 

I giorni si susseguivano, accatastandosi in settimane.

Rukawa era ormai ospite fisso del locale.

Ogni volta cercava di avvicinarsi ad Hanamichi, ma puntualmente Mito o uno degli altri amici del rosso lo tenevano a debita distanza.

Non avrebbero voluto neppure che il cantante si accorgesse della sua presenza, però i suoi occhi lo cercavano prima di ogni esibizione, e i suoi occhi si illuminavano quando lo scorgeva lì, nel solito angolino, mentre tamburellava con le lunghe dita sul tavolino, come sempre faceva quando era nervoso.

Per Kaede quella situazione era molto strana, non ci capiva nulla.

Se al rossino lui interessava, perché lasciava che gli altri lo allontanassero?

E poi c’era quella sensazione, quella che gli diceva che gli era sfuggito un particolare importante.

E fu proprio quella sera che scoprì di cosa si trattava.

L’ultima sera in cui Kaede andò al DualPart.

La sera in cui Hanamichi ballò uno stacco di break dance.

Ormai il cervello di Rukawa si scollegava automaticamente appena varcava la soglia del locale, rimanendo però vigile, per approfittare del primo momento di distrazione dei buttafuori e delle guardie del corpo del rossino.

Alla fine del balletto, Hanamichi arrotolò la manica della felpa americana che indossava e si asciugò il sudore con l’inseparabile fascetta nera.

Nella testa del volpino suonò un campanello: era come la sua!

Quella fascetta era uguale a quella che usava quando giocava a basket!

Era l’unico a portarla, ne era certo.

L’aveva comprata a New York, in Giappone non erano in commercio

Allora…come faceva il rosso ad averla?

Poi ebbe la sua seconda folgorazione: ricordò la sua disperazione il giorno che, prima della finale del torneo che aveva disputato alle scuole medie, non l’aveva più trovata.

Aveva giocato senza, avevano vinto, ma si sentiva nudo.

Poi, per fortuna era riuscito a farsene mandare una nuova, che aveva custodito gelosamente da allora.

Scattò in piedi e corse a casa, per verificare l’idea che gli era spuntata in testa.

Non si accorse dello sguardo accusatore che Mito aveva lanciato ad Hanamichi, che aveva chinato il capo e sussurrato a fior di labbra “Mi dispiace”.

Intanto, a casa, Rukawa aveva tirato giù dallo scaffale tutti i vecchi annuari.

Erano pieni di polvere ed ingialliti, ma intonsi.

Neanche una firma, una nota, una parola da parte di qualcuno.

Era sempre stato solo.

Non aveva mai avuto nessuno da considerare abbastanza importante da volerlo ricordare per sempre.

Buttò tutto all’aria, cercando le foto dell’ultimo giorno delle medie.

Alla festa scolastica c’era anche quella scuola sconosciuta…non ricordava il nome…

Ah, sì, la scuola media Kisagiri!

Era una piccola scuola, l’unica di un paesino sulle montagne.

Il preside aveva loro concesso quella gita in via del tutto eccezionale, non si erano mai visti gli alunni della Kisagiri in città.

Sfogliò febbrilmente tutte le foto che aveva, guardando attentamente tra i visi piccoli che si trovavano sul fondo e, proprio quando disperava, lo vide.

Hanamichi.

Era seduto in alto, sugli spalti, ed una lacrima gli solcava la guancia.

Guardava verso il campo di gioco, rapito ed estasiato, mentre Mito gli stringeva un braccio con aria preoccupata.

Tra le mani del rosso era stretta convulsamente la sua fascia di spugna.

Cadde a sedere sul parquet della sua stanza.

L’aveva presa lui.

Hanamichi.

Aveva preso la sua fascia portafortuna.

Ora la portava ogni sera.

Ma cosa voleva dire tutto questo?

Non aveva che una persona a cui chiederlo, e decise di farlo la sera seguente.

 

*******************

 

Ma tutti i suoi buoni propositi andarono ad infrangersi contro i petti palestrati dei buttafuori del locale, che avevano avuto l’ordine tassativo di non farlo più entrare.

Quello che Mito e gli altri non sapevano, era che Kaede Rukawa non si arrende mai

(come il conte Arkas?^^ ndMarty tu scrivi e zitta, che già mi hai fatto girare le balle di brutto!ndHana Ma perché, che ho fatto?ndMarty ho letto il canovaccio della fic…ndHana O_O oh-oh…ndMarty)

Così sedette su alcune casse sul retro del locale ed aspettò che il suo amato uscisse.

L’attesa fu lunga e noiosa, il volpino rischiò di addormentarsi più di una volta, ma alla fine fu premiato: la porta si aprì cigolando ed Hana con i suoi amici ne uscirono, dirigendosi poi verso la casa del rossino.

Kaede, senza farsi vedere, li seguì.

Giunsero alla fine di fronte ad una grande villetta bianca con il tetto rosso e le tendine di pizzo alle finestre (KAWAI!^^ndMarty ma sei scema?! Oltretutto pure una donnicciola?! Ma si sono mai viste le tendine di pizzo nella casa di un uomo?! Non ti sembra di aver fatto (o progettato) abbastanza danni?!è_è ndHana va bene, va bene…niente tendine, uffa…-.-)

Hanamichi era stato zitto per tutto il tempo, come pure i suoi amici.

Non si voltò neppure a salutarli.

Suonò il campanello e un ragazzo venne ad aprire.

Era basso, con lunghi capelli neri intrecciati in grossi rasta, la carnagione più scura di quella del rossino e le gambe magre e ossute.

Il petto glabro, rivestito solo di una canottiera verdognola, non faceva altro che sottolineare l’assoluta nullità dei suoi lineamenti.

Infatti, il volto dal profilo appuntito ed il naso adunco del ragazzo, che contrastava con le labbra decisamente troppo carnose, sembrava un’accozzaglia casuale.

Gli occhi erano l’unica cosa che dava ad intendere una qualche forma di parentela tra lui ed il nostro rossino: sembravano acciaio liquido, brucianti, come quelli di una tigre selvaggia.

Prese Hanamichi per un braccio e lo tirò in casa, strepitando: “Ma perché ci hai messo tanto,eh?

Io sono tornato da un pezzo, mi stavo preoccupando!

Non è che…” lo guardò dritto negli occhi, mentre il ragazzo distoglieva lo sguardo arrossendo.

“Aspettavi lui!

Certo, dovevo immaginarlo!” gli diede una pacca affettuosa sulla spalla.

“Dai, lascia stare, non va bene per te!

Dai retta al tuo fratellone, ne troveremo uno migliore di quel freezer ambulante!”

E così dicendo, chiuse la porta di casa.

Rukawa era sempre più confuso.

Così decise di seguire gli altri del gruppo, sperando di carpire qualcosa dai loro discorsi.

“…Kazushi dovrebbe smetterla…” stava dicendo Mito.

“Si è divertito abbastanza, non credete?”

“Smettila, Yohei!” lo riprese un ragazzo con dei vistosi ricci biondi.

“Sai bene che non lo fa per egoismo!

Lo fa anche per Hana!

È stato lui a voler continuare, ricordi?”

“Ma lui è così…indifeso…” argomentò il moro.

“E poi ora c’è anche quel Rukawa, maledizione!

Certo che è un maestro nell’apparire al momento meno opportuno!

Ma vi rendete conto di quello che potrebbe fargli?”

“Io credo che lo farebbe solo felice” concluse uno con dei pronunciati baffetti.

“E lascia che Hana se la veda da solo, non potremo proteggerlo per sempre!

Se non si fa le ossa, caro mio, è spacciato!

Ed ora andiamo a dormire, sono stanco morto!”

I ragazzi si allontanarono, ma non prima che Yohei chiedesse “Allora, chi va a prendere Hana alla scuola di danza?”

“YOHEI!!!!!” lo ripresero gli altri, evidentemente stufi del suo comportamento.

“Ma dai, Okusu, la Bandai è dietro casa tua!”

“Neanche per niente, domani ho i corsi di recupero e anche voi!

Quindi lasceremo che Hana se ne torni tutto solo, per una volta, dopotutto saranno solo le otto di sera!”

Alla fine Yohei dovette capitolare, mentre il cuore di Kaede accelerava.

Avrebbe potuto vederlo da solo, finalmente!

Gli avrebbe detto tutto!

Non vedeva l’ora che arrivasse l’indomani.

 

********************

 

“Ecco, insomma, Hana, mi piaci tantissimo.

E credo di piacerti pure io, perché hai preso la mia fascetta portafortuna quattro anni fa.

E…e poi mi guardi sempre quando vengo al locale e mi hai accarezzato la guancia quando ci siamo scontrati e poi tu sei bellissimo e i tuoi occhi grandi quando ti guardano ti risucchiano l’anima insomma io ti vorrei baciare ma se tu non vuoi non importa io capirò volevo solo lo sapessi perché non mi lasci mai avvicinare e io allora pensavo che forse non sapevi se io beh ecco timido e quindi eccomi qua cosa cazzo sto dicendo ah si eccomi qua ti amo e quindi ora puoi non essere più timido e dirmi cosa prmmmph”

Ma il suo meraviglioso e sentitissimo discorso fu bloccato da due labbra morbide e calde che accarezzavano le sue.

Ancora affannato per il lungo discorso, Kaede gli cinse il collo con le braccia e gli si appoggiò contro, mentre la sua lingua si sporgeva curiosa ad accarezzare i contorni della bocca di Hanamichi.

Quest’ultimo non si fece pregare, e lasciò che anche la sua facesse lo stesso, fino ad incontrare quella del volpino che sentì un tremore incontrollato invadergli tutto il corpo, dalla punta dei piedi alla cima dei capelli.

Si staccarono ansimando in cerca di fiato, era il primo bacio per tutti e due, questo era chiaro, e non sapevano come gestire il respiro.

Rukawa era felice: ora aveva la prova che il suo amore non era a senso unico!

Ma quando sollevò lo sguardo, Hanamichi non c’era più.

Lo vide allontanarsi correndo mentre si sfregava le nocche sulle labbra.

E un sottile spillo di dolore gli trafisse l’anima.

 

********************

 

La notte sembrava non voler mai finire.

Rukawa si girava e rigirava nel letto, senza riuscire a prendere sonno.

Quella sera era andato al locale, sperando che fosse tutto un immenso equivoco.

Stranamente, il buttafuori lo aveva lasciato entrare.

Ed era stato terribile.

Il rossino era lì, cantava come sempre, ma non lo degnava di uno sguardo.

E poi, mentre si dirigeva deciso verso i camerini per chiarire la situazione una volta per tutte, lo aveva visto uscire.

Mano nella mano con Mito.

Lui gli sussurrava qualcosa all’orecchio e il cantante ridacchiava arrossendo.

Aveva sentito distintamente il suo cuore schiantarsi.

Ed era corso via, cercando il conforto di quattro mura che, per quanto fredde possano essere, non ti giudicheranno se ti lasci un po’ andare.

Sentiva ancora sulla sua la bocca di Hanamichi.

Sentiva ancora le sue braccia intorno al collo, i suoi capelli tra le dita, il suo petto premuto addosso, il suo profumo intenso nelle narici…

Si schiacciò il cuscino sul viso per soffocare un ringhio irritato.

Poi saltò a sedere sul letto, gli occhi che mandavano lampi.

No.

Non si sarebbe lasciato mettere da parte così.

Lui era Kaede Rukawa, e se davvero Hanamichi aveva solo voluto divertirsi con lui, se lo aveva preso come un giocattolino da usare e poi gettare via, beh, si era proprio sbagliato!

Gli avrebbe dimostrato che chi ha un orgoglio lo difende con le unghie e con i denti!

Ora aveva un motivo in più per sperare che il sole spuntasse presto.

 

********************

 

Alle cinque Kaede lasciò casa sua, e si diresse verso la scuola di danza.

Si era informato, quella mattina: era bastato un’ombra di sorriso perché le ragazze della scuola facessero a gara nel dirgli tutto quello che sapevano del misterioso rossino.

Da quello che aveva capito da quel branco di oche starnazzanti, Hanamichi Sakuragi era un ragazzo schivo e silenzioso, nessuna di loro ci aveva mai parlato.

Seguiva corsi individuali, e quando non studiava o si esercitava, si ritirava nella solitudine della terrazza del palazzo.

Ci passava ore, e una volta che una di loro curiosa era andata a sbirciare lo aveva trovato a danzare da solo, ad occhi chiusi, seguendo una melodia esistente solo nella sua testa.

La ragazza, incantata nel ripensarci, disse che gli era sembrato un angelo.

Però…

C’era sempre un’ombra nei suoi grandi occhi dorati.

Nessuna sapeva spiegarsi il perché.

Aveva ottimi voti a scuola, era il miglior ballerino dell’accademia, era bello e corteggiato…

“Beh, canta anche divinamente, no?” aveva domandato retoricamente Kaede, a conoscenza del fatto che l’accademia comprendeva anche il canto come disciplina di studio.

Ma la risposta lo sorprese: “Veramente non ne ho idea.

Non l’ho mai visto a lezione!”

Le altre confermarono: Sakuragi non aveva mai frequentato il laboratorio di canto.

- Il mistero s’infittisce – pensò il moretto, mentre saliva con il suo passo felino le scale per la terrazza dove sapeva di trovare il rosso.

Socchiuse lentamente la porta.

Lui era lì.

Ma non stava ballando: guardava lontano, verso l’orizzonte, appoggiato alla ringhiera.

“Sei qui” sibilò chiudendosi la porta alle spalle.

Hanamichi si voltò verso la voce, ma sbiancò appena se lo trovò di fronte.

“Allora, sentiamo, caro il mio cantante di successo: perché mi hai baciato?”

Il rosso chinò lo sguardo, ma non rispose.

“Volevi umiliarmi?

Prendermi in giro?

Forse ti eccitavo e basta!

Forse avevo un bel faccino, o forse ero solo l’unico che non ti eri sbattuto…

O che non ti si è sbattuto, non ho ancora ben chiare le tue preferenze sessuali!”

Gli ringhiò tutto questo con tutto l’odio e il disprezzo di cui era capace, ma l’altro continuò a guardarsi le scarpe.

Poi sospirò e si voltò di nuovo verso la città, riprendendo le riflessioni interrotte dal suo arrivo.

A questo punto Rukawa non ci vide più: lo afferrò per il colletto e lo gettò a terra.

Poi gli saltò addosso, iniziando a colpirlo, senza freni, senza controllo, un pugno, un altro, vedeva il sangue di Hanamichi mentre qualcosa dentro di lui gridava “anche io sto sanguinando!

Perché le mie ferite non si vedono?”

E intanto continuava ad insultare il rossino, ormai col fiato corto per lo sforzo.

“Ti faccio così schifo che nemmeno mi guardi in faccia?

Rispondimi, cazzo, rispondimi!

Che cosa vuoi da me?

Perché mi hai fatto questo?

Cosa ti aspetti da me adesso, eh?

Maledetto!

Ti rendi conto di quello che mi hai fatto?

Hai distrutto la mia vita in una manciata di secondi, e per cosa?

Cosa hai ottenuto?

Rispondimi!

Ma sei sordo?!”

“Fermati!” gli intimò una voce nota.

Si alzò di scatto, furente e con il viso contratto dall’odio, dalla rabbia, dal rancore.

Stava per scagliarsi contro l’essere che gli aveva portato via l’amore, ma si fermò quando lo vide avvicinarsi lentamente a loro e accoccolarsi accanto ad Hanamichi.

Gli terse il sangue dalla guancia, e gli sorrise.

Un sorriso dolce, ma anche triste.

Mito sollevò lo sguardo e cercò il suo.

I suoi occhi lucidi sembravano sul punto di esplodere.

Come attirato, Kaede si avvicinò.

Mito si alzò in piedi e gli strinse forte il braccio.

“No” sussurrò “Hanamichi non è sordo.

È muto”.

 

********************

 

“Guarda, si riprende!

Ehi, volpino, stai bene?

È tutto a posto?”

Rukawa batté le palpebre un paio di volte, per recuperare conoscenza, e si ritrovò in una stanza arredata all’occidentale, sdraiato su un grande divano, con una pezza umida sulla fronte e i piedi sul bracciolo.

Un’intera parete di quel salone era un’immensa vetrata, da cui si poteva vedere un meraviglioso tramonto che tingeva di rosso fuoco l’intera stanza.

Accanto a lui, seduti in divanetti vicini, c’erano i quattro amici di Sakuragi.

Un tramestio nella stanza accanto annunciò l’ingresso del fratello di Hanamichi, che portava un vassoio con tè e biscotti.

Senza dire una parola, Kaede si mise a sedere in modo da fargli spazio accanto a lui sul divano.

Ma invece di sedersi fece un cenno a Mito e gli disse qualcosa sottovoce.

Lui annuì e poi, voltandosi verso gli altri, disse: “Venite un momento con me. TUTTI.”

Senza recriminare i sei uscirono dalla porta finestra che dava sul giardino, lasciandolo solo.

Il moro appoggiò la testa allo schienale del divano chiudendo gli occhi.

Non era possibile.

Lo aveva sentito cantare, lo aveva visto con i suoi occhi.

Non poteva essere.

Qualcuno gli toccò delicatamente il braccio.

Aprì gli occhi e si trovò ad annegare nelle pagliuzze dorate di quelli di Hanamichi.

Quest’ultimo accennò timidamente un sorriso e allungò una mano verso di lui.

Kaede istintivamente si ritrasse, e sul volto del rossino si dipinse un’espressione ferita.

Senza fare rumore, il ragazzo uscì e lo lasciò nuovamente solo.

“Pronto per la verità?” gli domandò Mito, rientrando.

Il moro cercò di annuire, ma non era sicuro di esserci riuscito.

Comunque a Mito sembrò bastare, dato che gli si sedette a fianco e, presa una tazza di tè, lo guardò aspettandosi qualche domanda.

Facendo un respiro profondo, Kaede si preparò a scoprire cosa ci fosse dietro a tutto questo.

 

*******************

 

“Hanamichi è nato così.

Non ha mai detto una parola.

Non ne sarebbe capace.

L’ho conosciuto all’asilo.

Alcuni bambini più grandi lo stavano picchiando, ed io l’ho difeso.

Da allora non l’ho più lasciato.

Il mondo sa essere molto cattivo con quello che non capisce.

Forse non avrebbe bisogno del mio aiuto, è forte anche se non sembra”.

“Come la mettiamo con il locale?

Voglio dire, io ho sentito…

Ho visto…”

“Quello che canta è suo fratello, Kazushiro.

Come avrai notato, la differenza tra lui ed Hana è abissale.

Ed il nostro rossino è sempre stato un ballerino eccezionale.

All’ennesimo provino in un locale, il proprietario disse a Kazushi che la sua voce era incredibile, ma l’estetica proprio non andava; per andargli incontro, propose di trovare un ragazzo che gli avrebbe “prestato” la bellezza che a lui mancava.

È stato allora che Kazushi ha avuto l’idea.

Le canzoni che lui canta le scrive Hanamichi.

Quindi le conosce meglio di chiunque altro, e non avrebbe quindi avuto problemi a cantare in playback.

Fecero un tentativo ed il risultato fu strepitoso.

Inoltre ad Hana bastava ballare per essere felice, e in questo modo rende felice anche Kazushi.”

“Ma allora perché avete avuto quella discussione l’altra sera?”

“Ci stavi seguendo, eh?

Me lo immaginavo, non sei uno che si arrende.

Beh, diciamo che per Hana sta diventando difficile scappare per non parlare con nessuno, dover fingere sempre e comunque…lui è schietto, sincero, innocente.

Ma d’altro canto non mi perdonerebbe mai se gli impedissi di ballare.

Gli hanno negato l’ingresso in tutte le maggiori scuole di danza, a causa del suo “handicap”.

Quella che frequenta ora è stata l’unica ad accettarlo.

Non parliamo poi delle proposte di lavoro.

Quindi per lui è un sogno esibirsi ogni sera, anche se a metà”.

C’era un’altra cosa che Rukawa voleva sapere, ma che non osava chiedere.

Yohei, che aveva capito, gli scoccò un sorriso incoraggiante.

“Ma…io…gli piaccio?” trattenne il respiro in attesa della risposta.

“No” rispose asciutto Mito.

“Io gli piaccio”.

Kaede chinò il capo sconfitto, ma una mano sulla spalla lo obbligò a sollevarlo di nuovo.

“Te, ti ama.” E stavolta il sorriso dell’amico del suo rossino era aperto e sincero.

“quello che mi chiedo” aggiunse poi “è se tu sei in grado di amare lui”.

Un altro ragazzo si sarebbe lanciato in una passionale difesa del proprio sentimento, ma non Kaede Rukawa.

Lui si rendeva perfettamente conto della difficoltà del rapporto, delle necessità che Hana avrebbe potuto avere, dello sforzo che gli veniva richiesto, della frustrazione che avrebbe dovuto affrontare.

Solo una risposta poteva dare, e la diede.

“Posso provarci.”

 

*******************

 

La luna era ormai alta nel cielo quando il ragazzo moro si alzò lentamente.

Il campanello suonava insistentemente, e per quanto avesse cercato di ignorarlo, questo si era infiltrato diabolicamente anche nei suoi sogni, obbligandolo ad andare ad aprire.

Così ora si ritrovava in pantaloni e camicione over size, con i piedi nudi sul parquet chiaro e i capelli arruffati, di fronte alla porta, pronto ad uccidere l’incauto molestatore.

Ma la sua rabbia si sciolse come neve al sole quando si ritrovò faccia a faccia con un Hanamichi completamente fradicio.

Gli sorrise e si spostò per farlo entrare.

“Dammi la giacca e vatti a fare subito un bagno, ti prenderai un accidente con questi vestiti bagnati…”

Ma lo sguardo di Hanamichi lo inchiodò in quella posizione, con la mano tesa verso di lui, mentre il rosso la afferrava e se ne serviva per attirarlo tra le sue braccia.

Lo strinse forte e poi lo baciò con passione, lasciando scorrere tra loro lo stesso magnetismo della prima volta.

Le mani di Kaede corsero sotto la camicia che gli sembrava cucita addosso in cerca della pelle abbronzata, che poi percorse lentamente ma in modo quasi febbrile, mentre quelle di Hanamichi lo liberarono quasi subito della maglia del pigiama.

Senza quasi accorgersene, il moro guidò il suo compagno fino al divano su cui lo fece sdraiare, mentre liberava i bottoni dalle asole e poi leccava le goccioline di pioggia che ricoprivano l’ampio torace sotto il quale il cuore batteva all’impazzata.

Quando i suoi denti si strinsero intorno ad uno dei capezzoli bruni del rossino, questo si dimenò nervosamente, ma una carezza di Rukawa lo calmò subito.

Nel frattempo le dita della supermatricola erano scese ad accarezzare la sua erezione, il che provocò altri tremiti incontrollabili nel ballerino.

Kaede lo guardò: per un istante venne pervaso da uno strano imbarazzo, che non si spiegava, ma poi il rosso inarcò il bacino portando i loro colpi ad un contatto quasi elettrico che lo mandò in orbita scollegando il suo cervello.

Con la bocca, Rukawa prese a scendere lungo il corpo perfetto del ragazzo, fino a giungere a pochi centimetri dalla punta su cui depositò timidamente un bacio, aspettando una reazione che però non venne.

Sorpreso, tornò a guardare il volto di Hanamichi: era contratto e congestionato, ma dalle sue labbra non usciva un suono.

Improvvisamente la frustrazione s’impossessò di lui, non voleva credere che stesse succedendo a lui, non era giusto.

E così lo prese rabbiosamente in bocca, iniziando poi a succhiare sempre più velocemente mentre con le dita giocherellava poco più in basso.

Il rossino iniziò a respirare sempre più affannosamente, finché rovesciando indietro la testa non si svuotò nella gola di Kaede.

A quel punto il moro si allontanò da lui e dopo aver indossato in fretta boxer e camicia uscì nel giardino.

Rimase a guardare la luna, senza sapere cosa fare, come interpretare quello che gli stava succedendo, cosa aspettarsi per il futuro.

Pensò anche a cosa in realtà provasse il rossino, cosa volesse lui da quel rapporto.

Quando si fu calmato un po’, rientrò in salone e si sedette sul divanetto più piccolo.

Hanamichi allungò una mano, cercando di fargli una carezza, chissà, forse voleva solo fargli sentire la sua presenza e non lasciarlo solo, ma nuovamente il volpino si ritrasse.

La mano venne ritirata, ma gli lasciò in grembo un foglio piegato in quattro.

Rukawa lo aprì lentamente.

Poi se lo lasciò scivolare tra le dita, prendendosi la testa fra le mani.

Le braccia del rosso lo circondarono con fare protettivo, e Kaede si abbandonò tremante in quella bolla di calore.

Sul pavimento di piastrelle azzurre, un messaggio.

Solo una frase.

“Avrei voluto dirtelo.

Aishiteru.

Hanamichi”

 

* OWARI *