Eccomi qui con la terza parte! ^^
Dove mai saranno Akira e Hanamichi? ^^
Eheh…lo scoprirete in questo capitolo, anche
se molti lo hanno già intuito! ^^ Sono così prevedibile? ^^ Pazienza! :p
Mando tanti baci alla mia Ise: questo capitolo
è per il tuo compleanno, darlin’! Grazie per la tua amicizia e per il tuo
sostegno: ti voglio bene! ^^
Astinenza
parte III
di Cily
“È qu…qu…questo?!”
Akira annuì soddisfatto.
Hanamichi inspirò
profondamente un paio di volte, poi tornò a guardare il locale.
Una grossa insegna sovrastava
l’ingresso del pub, annunciandone il nome.
‘Temptation’.
Tentazione.
E già da qui non era
rassicurante.
Se poi vogliamo calcolare ciò
che era scritto sulla porta…
Infatti faretti di luce bianca
disposti sotto l’insegna illuminavano alcune parole dipinte in stile
elaborato sul vetro smerigliato.
“L’unico modo per liberarsi da
una tentazione è abbandonarsi ad essa”.*
Abbandonarsi ad essa.
Alla tentazione.
Il primo impulso di Hanamichi
fu di darsela a gambe.
Il secondo di picchiare Sendoh
per averlo portato in un postaccio.
Il tremendo postaccio di cui
parlavano le amiche di sua madre solo qualche giorno prima.
Il club gay aperto solo due
settimane prima.
Il problema era che non si
trattava semplicemente di un bar; infatti c’era la possibilità di passare la
notte con uno dei ragazzi messi a disposizione dal locale. A pagamento,
ovviamente.
C’era stato un grande scandalo
quando l’attività aveva ricevuto la licenza per esercitare, in quanto locali
del genere non erano mai stati ben visti.
Sakuragi riuscì a domare i
suoi due primi istinti e, rivolgendosi a Sendoh, riuscì a chiedere,
mantenendo la calma: “Non lavorerai davvero qui, vero?”
“Certo…” il rossino parve
rilassarsi un attimo “…che ci lavoro!” per poi crollare a gambe all’aria.
“Sendoh!!! Ma ti rendi conto
di dove siamo?! Di dove MI hai portato?!” sbraitò il ragazzo più giovane,
afferrandolo per il colletto della felpa leggera.
“Beh, siamo in un locale
decisamente raffinato e per buongustai…e poi, scusami, non penso che tu sia
omofobo, no? Che ti costa lavorare qui? Te l’ho detto che pagano bene…”
sorrise il moro, liberandosi dalla presa dell’altro.
“Ma io non vog…”
In quel momento un bell’uomo
sui trentacinque anni fece capolino fuori dal locale e, dopo un primo
momento di sorpresa, riconobbe Sendoh.
“Ciao Akira! Sei in anticipo,
stasera!” Subito notò anche il rossino “Oh…tu devi essere l’amico di Akira,
vero? Il nuovo dipendente…”
Ma Hanamichi rettificò subito:
“Io non ho nessuna intenzione di…”
Il signore si mise a ridere
ancora prima che il ragazzo potesse finire la frase. Gli si avvicinò,
dandogli una sonora pacca sulla schiena e, riponendo la sigaretta che aveva
intenzione di fumarsi in santa pace fuori dal locale, trascinò il giovane
all’interno del club.
Un bancone da bar fremeva di
clienti e tutti i tavolini disposti nella sala erano occupati. La pista da
ballo era decisamente spaziosa e in quel momento ospitava alcune coppie
abbracciate, che si dondolavano al ritmo dolce e soave della voce del
cantante che si esibiva sul palco, accompagnato da un eccezionale pianista.
Hanamichi rimase a bocca
aperta di fronte a quell’intimità che mai avrebbe immaginato di trovare in
“un locale simile”. Si lasciò condurre senza quasi accorgersene verso una
porta poco distante dalla rampa di scale che, con tutta probabilità, portava
alle camere. I tre entrarono in un ufficio e i due ragazzi furono fatti
accomodare su due belle poltrone di pelle. Dalla parte opposta della stanza,
era seduto dietro una scrivania un ragazzo molto giovane, di ventotto anni
al massimo. Era immerso nella lettura di alcuni documenti e sembrò non
accorgersi nemmeno degli ospiti. Solo dopo qualche minuto alzò lo sguardo,
rivelando due magnifici occhi scuri. Il giovane sorrise e, abbandonati
definitivamente i documenti, fece segno all’uomo incontrato fuori dal locale
di uscire.
Una volta soli, incrociò le
gambe sulla scrivania e, rilassatosi, si allentò il nodo della cravatta
scura, prendendo una sigaretta dal pacchetto quasi vuoto abbandonato su di
un enorme pacco di scartoffie. Mentre il ragazzo tirava qualche boccata,
Hanamichi si ritrovò a fissarlo. Era davvero bellissimo, con quegli occhi
neri e i capelli scuri, che risaltavano sulla pelle chiara.
Notando di essere osservato,
chiese: “Ti dà fastidio il fumo?”
Sakuragi si affrettò a
scuotere la testa, imbarazzato.
“So che non si può fumare e
che dovrei essere io a dare l’esempio, ma non riuscivo più a contenermi…” si
giustificò il ragazzo moro, per poi cambiare subito argomento, spegnendo la
sigaretta nel portacenere di cristallo. “Allora, Akira, è questo l’amico di
cui mi hai parlato prima per telefono?
“Sì, Toshiro.”
Il giovane uomo si alzò e si
avvicinò ad Hanamichi, sollevandogli il mento con indice e medio.
“Mmh…è proprio carino…”
Hanamichi deglutì a fatica,
non sapendo cosa fare. Si sentiva terribilmente in imbarazzo e non vedeva
l’ora di essere a casa, per poter andare a letto e attendere tranquillamente
il giorno successivo, per poter cercare un lavoro normale. Toshiro allontanò
la mano dal viso abbronzato e si sedette sulla scrivania, schiacciando
alcuni dei fogli sparsi per il tavolo.
“Come ti chiami?”
“Hanamichi Sakuragi, signore”
rispose con un certo timore.
“Hanamichi…che bel nome!”
esclamò contento l’altro, perdendo l’aria seria di poco prima.
“Ehm…grazie…”
“Il mio nome è Toshiro Hashika
e sono il proprietario di questo locale. Ti stringerei la mano ma mi sono
macchiato d’inchiostro firmando uno dei soliti maledettissimi documenti e
poi la scrivania è comoda e, essendo pigro, non ho nessuna voglia di
alzarmi, quindi fai conto di avermi già stretto la mano, ok?” disse tutto
d’un fiato Hashika che, a mano a mano che parlava, perdeva quell’apparenza
di “leader di ghiaccio” e sembrava sempre più allegro.
“P…piacere, signor Ha…”
“No, no, no! Così non va!” lo
rimproverò immediatamente il proprietario. “Come prima cosa non balbettare
con me, okay? Non sono mica una persona così importante, sai? Seconda
cosa…non darmi del lei, che mi fai sentire vecchio, mentre ho solo
ventisette anni!”
“D’accordo, Toshiro” sorrise
poco convinto Sakuragi.
“Grande, Hanamichi, vedo che
ci capiamo!! Senti, adesso però parliamo d’affari. Questo è un posto serio e
se abbiamo ottenuto anche la licenza dal comune ci sarà un motivo, no? Sai,
il sindaco è rimasto davvero soddisfatto dei nostri servizi!” spiegò
ammiccando Hashika “Sei un bel ragazzo, quindi sei quello che fa per noi.
Infatti l’attività ha appena aperto e abbiamo bisogno di personale, capisci,
no? E poi mi sei simpatico. Come se non bastasse Akira dice che sei un genio
in tutto quello che fai, quindi sei il benvenuto! Eccoti una copia del
contratto.”
Allungò una serie di fogli
verso Hanamichi, che la prese e iniziò a sfogliarla.
“Quattro sere a settimana,
dalle dieci alle due e il compenso è di *** più le mance”
Sakuragi sussultò, sentendo la
cifra.
“Così tanto?”
“Vedi, è tanto perché è un
lavoro notturno, quindi più impegnativo e poi non è mica un gioco da
ragazzi! Bisogna sapersi organizzare eccetera…Te la senti? Dopotutto sei uno
studente…”
Sakuragi sfogliò indeciso il
contratto. Se Kaede fosse venuto a sapere che lavorava in una casa di
prostituzione per gay lo avrebbe linciato. Ma, d’altronde, doveva pagare
l’appartamento e quale altro impiego avrebbe potuto fargli guadagnare una
cifra simile a sera?
Poi, ad un tratto, scorse la
parola che lo fece decidere. Alla voce “mansioni da svolgere”, c’era la
risposta ai suoi dubbi.
“Accetto” disse convinto.
“Grandioso!! Akira vai pure a
prepararti, il tuo turno inizia tra poco! Intanto io e Hanamichi compileremo
il modulo con i suoi dati!”
Akira lo salutò e uscì, mentre
Hanamichi chiedeva di iniziare già dalla settimana seguente.
“Certo, che domande!”
Finito di compilare il modulo,
Sakuragi si inchinò ed uscì a sua volta, sentendosi salutare con un
“benvenuto a bordo”.
***
“Ciao Kitsune!”
Il moretto si girò in
direzione della voce, avendone riconosciuto il proprietario. Si lasciò
raggiungere e alzò un sopracciglio vedendo Hanamichi completamente
spettinato e con la divisa allacciata male.
“Do’aho…che hai fatto?”
“Mi sono svegliato tardi! Sai,
ho trovato un lavoro ieri sera e quando sono tornato a casa ero molto
stanco…” rispose il rossino sbadigliando vistosamente.
Kaede si mise davanti al
fidanzato e iniziò a slacciargli la divisa. Ovviamente il viso di Hanamichi
andò subito a fuoco.
“Ki…Kitsune!!! Va bene che è
più di un mese che non lo facciamo ma…ma…ma siamo in mezzo alla strada…e…e
dobbiamo…dobbiamo andare a scuola e poi…”
Kaede ignorò le lamentele del
ragazzo e slacciò anche l’ultimo bottone. Alzò un sopracciglio rendendosi
conto che Hanamichi continuava a lamentarsi ma non faceva assolutamente
niente per bloccarlo.
Scosse la testa e, partendo
dal basso, riallacciò per bene tutti i bottoni. Arrivato al colletto, fissò
negli occhi il rossino e, con aria di finto rimprovero, lo ammonì: “Volevo
solo sistemarti la divisa…non sono mica così hentai come te…”
Detto ciò, l’imbarazzo di
Sakuragi crebbe maggiormente e, cercando disperatamente di non darlo a
vedere, prese a gongolare le solite frasi del tensai, come “ovvio che
l’avevo capito”, “stavo scherzando” e simili.
Rukawa rimpianse di non aver
gonfiato le gomme della bicicletta la sera prima, in quanto dovette sorbirsi
l’estenuante parlantina del Genio per tutto il tragitto. Nonostante questi
pensieri si divertiva moltissimo a sentirlo ciarlare, così dovette
riconoscere di provare una punta di tristezza al momento di dividersi per
andare nelle rispettive classi.
Una volta abbandonata la testa
sul banco per un bel sonnellino nell’ora di matematica (Kara, non
t’arrabbiare, ma io la mate non la sopporto!! N.d.Cily), si ritrovò a
pensare che non aveva nemmeno domandato ad Hana di che lavoro si trattava.
‘Glielo chiedo dopo…’ E con
uno sbadiglio scivolò rapidamente nel sonno.
***
Hanamichi e Kaede si
guardarono attorno in silenzio.
La camera da letto.
I loro sguardi si incontrarono
e dagli occhi di entrambi fuoriuscirono scariche elettriche di elevatissimo
voltaggio, con lo scopo di incenerire l’altro.
“Futon!!” esclamò serio il
rossino.
“Letto” ribattè Rukawa.
“Futon!!”
“Letto”
“Futon, futon, futon!!”
“Letto”
Si polverizzarono con lo
sguardo per l’ennesima volta, per poi dare le spalle all’altro nello stesso
momento, con un gesto stizzito.
Erano già andati
sull’argomento “camera”, ma non erano mai riusciti ad arrivare a un
compromesso.
Sakuragi voleva a tutti i
costi usare un futon per dormire.
Rukawa voleva un letto
all’occidentale.
“Il futon è più intimo!”
“Il letto è più comodo”
“Il futon si può mettere via
in due secondi!”
“Il letto sta meglio in una
camera come questa”
Avevano già sistemato i mobili
principali in tutte le stanze e l’unico particolare importante che mancava
era proprio il comodo e caldo giaciglio per la notte.
Dopo una buona decina di
minuti, Rukawa si avvicinò ad Hanamichi e, trovato un modo per giungere a un
compromesso, lo abbracciò da dietro. Subito sentì scomparire la rigidezza
dell’altro e avvertì le mani di lui appoggiarsi sopra le proprie. Gli soffiò
sul collo e lo baciò sulla pelle abbronzata. Un brivido percorse entrambi,
che decisero di abbandonare la discussione per un momento più piacevole. Un
momento che non riuscivano a concedersi da molto, troppo tempo.
Kaede trascinò con sé sul
pavimento il compagno e, una volta fattolo sdraiare, si sedette su di lui,
slacciandogli lentamente i bottoni della camicia, mentre gli leccava
sensualmente le labbra. Scostò i lembi di cotone e gli scoprì il petto. Con
la bocca scese fino al collo, lasciando un’umida scia sulla pelle. Gli leccò
la gola come un gatto, per poi procedere perso i capezzoli. Ne inumidì uno e
sentì il compagno gemere.
“Ah…mmh..”
Lo prese in bocca e iniziò a
succhiarlo lentamente.
“Ah…ah…”
Lo morse delicatamente,
facendo sussultare l’altro per la sorpresa.
“Letto?” domandò Rukawa,
catturando Hanamichi in quel momento di debolezza.
“No!” si affrettò a rispondere
il rossino che, però, venne punito dalla volpetta dispettosa, che lo morse
nuovamente.
“Letto?” ripetè Kaede con gli
occhi scintillanti.
“N…no…” anche questa volta
però Sakuragi non la passò liscia e si guadagnò un altro morso.
“Letto?”
“S…sì…” acconsentì rassegnato
il rossino, con i polsi bloccati a terra dall’altro e pervaso da un’immensa
voglia di continuare il “discorso” che lasciavano aperto da settimane e che,
per una ragione o per l’altra, non riuscivano mai a concludere.
Rukawa baciò il capezzolo
dolorante e, liberati i polsi del partner, scese con il viso fino alla
cintura dei jeans. La baciò e, allontanando il volto dalla stoffa, la sfilò
lentamente e la spinse poco lontano, concentrandosi sulla zip. L’abbassò e
tirò verso il basso i pantaloni, lasciando scoperti i boxer. Hanamichi prese
la mano sinistra di Kaede e iniziò a baciarla dolcemente, fino a quando lo
sguardo non gli cadde sull’orologio del volpino. Inizialmente non ci fece
molto caso, però poi, proprio mentre il suo ragazzo si apprestava a
sfilargli completamente i jeans, attirò di nuovo la mano a sé, accorgendosi
con terrore dell’ora.
Non aveva visto male.
Erano le dieci e cinque.
Era in ritardo.
In ritardo il primo giorno di
lavoro.
Scostò Kaede e, alla velocità
della luce, si riallacciò camicia e pantaloni.
“Ma che cazzo succede…?!”
domandò il moro decisamente arrabbiato.
“Scusa Kaede, ma sono in
ritardo!” urlò il rossino, già all’ingresso, intento a mettersi le scarpe.
“In ritardo? E per cosa?”
chiese torvamente.
“Per il lavoro!” rispose
Hanamichi, maledicendo il nodo formatosi nelle stringhe delle scarpe.
“E vai a lavorare alle dieci
di sera?” indagò il volpino, dimenticatosi di chiedere a Sakuragi di
parlargli del suo impiego, qualche giorno prima.
“Sì”
Riuscì a disfare il nodo e,
più veloce di Flash, indossò le scarpe. Afferrò la giacca apprestandosi a
schizzare fuori di casa, quando fu bloccato da una domanda della Kitsune.
“E dove lavori?” la voce era
gelida.
“In un bordello per
omosessuali” avrebbe in teoria dovuto rispondere.
In teoria.
In pratica, invece, disse: “In
un locale dall’altra parte della città…Devo andare Kaede, sono in ritardo!”
gli scoccò un bacio sulla guancia e uscì veloce come un fulmine.
Rukawa lo guardò allontanarsi
dalla finestra e poi, in preda alla rabbia, diede un potente calcio a uno
degli scatoloni accatastati all’ingresso, rovesciandone il contenuto sul
pavimento.
Si infilò giacca e scarpe,
uscendo anche lui. Sbadigliò seccato e chiuse la porta dietro di sé.
Casa sua era lontana ed era
già tardi.
=Owari Terza Parte=
* Questa bellissima frase è presa da “Il
Ritratto di Dorian Gray” di Oscar Wilde, anche se mi sarebbe piaciuto dire
che è di mia invenzione… ^____^
Vai all'Archivio
Fan Fictions |
Vai all'Archivio Original
Fictions
|
|