Disclaimers: This characters don’t belong to me. Eventual issueing gets me no profits. All rights reserved to the legitimate owner of the copyright.

Pairing:Ruhana
Raiting:Nc-17/S


Buon RuHana Day a tutte!!!



Asche
di Mel

parte IV

 




Rukawa si alzò tardi.
L’assenza al suo fianco non lo turbò minimamente.

Fu Mito, verso metà mattina, a cercare il consorte del granduca in tutte le stanze.
La colazione si era ormai raffreddata.

Ben presto, furono interrogati il signor Velius ed i camerieri.
Alcuni nobili e le dame di compagnia.

Nessuno aveva visto quel ragazzo dai capelli color del fuoco.
E nessuno ne sapeva niente.

Come colto da un nefasto presentimento, Mito corse alle stalle, poi si diresse velocemente nello studio del suo signore.
Seccato dall’interruzione, Rukawa non alzò nemmeno il viso mentre chiedeva con insofferenza.

“Avevo chiesto di non essere disturbato….cosa succede?”

Mito era cinereo in volto e non rispose subito.

“Parla, avanti” ordinò Rukawa, lievemente turbato dall’ombra scura calata sul viso solitamente allegro del suo servitore

Mito deglutì una volta.

“Altezza, il vostro sposo ……………… è sparito…………………………... e manca un cavallo dalla stalla……………”



Quando tutto questo successe, era già passata da tempo la metà del pomeriggio.



*

Hanamichi cavalcava veloce.
I potenti muscoli delle gambe premevano nelle staffe per mantenere la maestosa postura semi eretta del galoppo.
Sauser, spronato con veemenza, sembrava volare fra le morbide felci del sottobosco, mentre alle loro nari arrivava l’odore umido della terra bagnata di rugiada.

Libertà.

Sensazione magnifica e gratificante.
Dopo così tante tristezze ed umiliazioni, assomigliava al volo libero di un nibbio nel cielo.

Hanamichi gettò la testa indietro, osservando uno spiraglio di cielo.
Era lontano dalla reggia solo mezza giornata di marcia e già il cielo sembrava avere tutto un altro colore.
Godé della sensazione del vento sulla pelle e riprese la sua corsa.

Voleva giungere ai boschi del sud prima di sera, salutarli per l’ultima volta, raggiungere i suoi vecchi amici e poi partire per il confine.
Verso una libertà anonima ed infinita.


Piangeva al pensiero di aver abbandonato tutto.
Di aver lasciato uno sposo.

Ma in fondo non aveva legami con quella gente.
Niente di più che sciocche convenzioni.

Stava morendo lì, aveva dovuto far qualcosa per riprendersi in mano la propria vita prima che l’apatia lo giustiziasse.

Ed in fondo andava bene così.
Adesso che correva libero per i boschi e per i colli, si sentiva finalmente sé stesso.

Quel ragazzo, ricordo di un tempo, che correva a perdifiato, che guardava dritto il sole senza paura, che viveva di gioie ed avventure, esuberante ed indomito, fiero e selvaggio.
Quel ragazzo che sorrideva come il sole, sempre.



*

Rukawa passeggiava nervosamente avanti ed indietro.
Aveva mandato uomini a perlustrare il città e la prima parte del bosco.
Ma Hanamichi aveva mezza giornata di vantaggio.
Sempre ammesso che fosse partito all’alba e non di notte.
E che si fosse mosso nella direzione in cui stavano cercando.

Mito, teso, attendeva ordini accanto alla porta.

Rukawa si sedette.

“Cosa devo fare?” si chiese a bassa voce

Mito, coraggiosamente, si fece avanti.

“Solo voi lo sapete, Altezza. Vi parlerò con franchezza… evidentemente egli è fuggito per disperazione…. era disperatamente triste da troppi mesi… solo… contro tutti… contro voi stesso…… adesso.. se pensate che il posto di Hanamichi sia al vostro fianco, andate a cercarlo e riportatelo qui.. ma se ritenete di non dover fare alcun cambiamento per curare la sua solitudine, ve ne prego, lasciatelo andare via, lontano e sposate qualcun altro, qualcuno che non necessiti di cure ed attenzione, qualcuno che non abbia un cuore…”


“Mito… stai cercando di dirmi che, anche per te, sono io colui che ha colpa in tutto questo?” domandò freddamente


“Precisamente, mio signore”


Passarono diversi attimi di silenzio.
Poi Rukawa si alzò, in tutta la sua elegante figura.


“Dovrei proprio licenziarti, Mito… come dire….. mi sembra sempre che tu sia, fin troppo spesso, dalla parte della ragione….”


Il maggiordomo sorrise e si prese la libertà di preparare il cavallo del suo signore.



*

Hanamichi raggiunse i caldi boschi del sud il mattino seguente.
Provato dal lungo cammino s’addormentò nel fieno di un deposito.

Riprese la marcia comprando del cibo in città e proseguì verso casa sua.
La tentazione di andare a trovare sua madre lo colse, fortissima, ma egli vi rinunciò.

Da donna arguta qual era, avrebbe capito ogni cosa.
E non voleva darle un ulteriore dispiacere.

Passò oltre, nonostante il cuore gli piangesse e raggiunse le colline.

Fin da piccolo aveva sognato di incontrare lassù il suo grande amore.
Un cavaliere che lo portasse via, che lo amasse intensamente, follemente.

Al pensiero, il cuore gli balzò in petto.

E partì al galoppo.
Finalmente andava lì ad attendere il suo vero amore.
Sotto una quercia, baciato dal sole.



*


Rukawa partì, veloce.
Galoppò un giorno intero, ma la foresta era sconfinata.
Trovarlo sembrava impossibile.

Eppure voleva ritrovarlo.
Tremava di rabbia al pensiero di essere stato abbandonato dal suo sposo.
Come aveva osato?

Spinto da quel pensiero, più che da qualsiasi tipo di legame, avrebbe pensato dopo i meritati rimproveri al perché Hanamichi era fuggito.
Prima lo avrebbe sgridato, punito forse, poi con calma a palazzo avrebbe cercato il modo di capire.

Al tramonto dovette fermarsi.
L’aria del sud era più calda.
Era certo che Hanamichi si fosse diretto verso quella zona del paese.
Era lì che aveva passato l’infanzia, lì che aveva lasciato i suoi boschi e le sue colline, per sposarsi con un uomo che non amava.

In fondo, seduto contro un albero, Kaede pensò che dovesse aver sofferto.

Strappato a sua madre, vedova sola e cagionevole, strappato ai suoi amici, compagni di un tempo che lo rispettavano senza trovare nulla di male da dirgli alle spalle, strappato ai suoi boschi per finire nel grigiore della città e dei palazzi, strappato ai suoi sogni che forse contemplavano l’amore con un altro uomo o con un’altra donna.

Sì, di motivi per essere triste, Hanamichi ne aveva avuti tanti.
Ed una volta lì, a palazzo, ne aveva avuti altri ancora.

Un matrimonio forzato, valido di nome, privo di amore, privo persino d’affetto ed interesse reciproco.
Nobili vili e meschini, maldicenze, calunnie, crudeltà, solitudine.
Persino l’unico amico che aveva trovato, uno stalliere, era stato accusato di omicidio e per giorni non si era fatto che parlare della sua morte.
E poi, anche se ancora in vita, quell’unico, isolato, amico era stato mandato via.

In fin dei conti, Kaede lo sapeva.
Sapeva tutto quello, ma non aveva mai avuto il tempo di pensarci veramente.
O non aveva mai voluto trovarlo.

Forse era un codardo, si disse.
Non aveva il coraggio di prendersi le proprie responsabilità.
E così, era vero, si risparmiava del dovere, ma forse perdeva anche tanti piaceri.

Adesso di tempo ne aveva, in quel bosco, con il tramonto stampato negli occhi, la schiena appoggiata ad un albero duro, ma caldo.
E pensò.
Pensò a tutto quello che aveva ferito il suo sposo.
I suoi rifiuti, la sua indifferenza, quei ricevimenti, il disboscamento, il duca di Lönn, gli altri nobili, quei baci negati.
Dei del cielo, come aveva potuto essere così crudele.?

Negare un bacio al proprio sposo.

E se Hanamichi aveva fatto qualche passo verso di lui, lui stesso era fuggito per primo.
Che diritto aveva, adesso, di rimproverarlo per essere scappato a sua volta?

Rise, incoerentemente.
Si sfuggivano.

Ma Hanamichi si sbagliava.
Non sapeva ancora come, né per fare cosa, ma Kaede Rukawa, granduca di Faulkner, avrebbe ritrovato il suo sposo e lo avrebbe ricondotto con sé a palazzo.



*

Erano passati quasi quattro giorni.
Hanamichi si era intrattenuto piacevolmente con i suoi vecchi amici, aveva ricevuto notizie di Mitsui e Kogure e adesso era pronto a ripartire.
Doveva attraversare le ultime colline e dopo il valico finalmente ………………. il confine.

Le stesse sette lettere che componevano la parola libertà.


Hanamichi partì all’alba del quinto giorno.
L’aria frizzante del mattino presto lo fece rabbrividire di piacere.
Eppure un pensiero molesto lo disturbava da tempo.

Aveva detto a sé stesso di voler lasciare tutto indietro per rifarsi un’esistenza nuova, allora perché lo rivedeva?

Lì, appoggiato ad un tronco, che lo guardava con rimprovero.
O seduto alla scrivania, gli occhi fissi sulle carte.
O il giorno del loro matrimonio.
Le sue labbra calde sulla guancia.
O il loro primo, timido, bacio quella mattina nello studio, dopo la notte passata vicini.
O la sera nel boudoir davanti al liquore caldo, sotto lo sguardo gentile di Mito.

O quella notte, prima di partire per sempre.
Le ciglia lunghe, i capelli neri, la pelle di latte.

Pensava a lui.
Molto più di quanto dovesse esser concesso ad un fuggiasco.

‘No, Hanamichi, non è lui quello giusto, ti ha fatto solo soffrire….’

Si ripeteva in mente e poi rivedeva quel giorno in cui lo aveva salvato dalla freccia ed il bacio, il primo e l’unico che spontaneamente Rukawa gli aveva dato.
Scosse la testa.
E si negò di rivederlo anche solo con la mente.

Era fuggito.
Aveva lasciato tutto.
Ora non gli era più permesso tornare indietro.
Doveva solo andare avanti.

Ci sarebbero voluti tre giorni per passare le colline.



*

Come un segugio che conosce bene le sue prede, Rukawa era da giorni sulle tracce del suo sposo.
Lo aveva seguito attraverso le dolci lande del sud, dove i rami degli alberi, nonostante l’arrivo dell’autunno, erano ancora carichi di fiori.
Era davvero un bosco splendido, peccato distruggerlo.

Forse, una volta tornati indietro, avrebbe ascoltato la proposta di Hanamichi ed avrebbe cercato un soluzione.

Ma prima doveva trovarlo.
Qualche ora prima, aveva scorto delle tracce più recenti.
Ed intanto si chiedeva per quale motivo stesse facendo tutto quello.

Il granduca stesso, senza scorta, solo per i boschi a suo rischio e pericolo dopo un attentato il cui colpevole non era ancora stato trovato.

Lasciò correre di riflesso il pensiero fino allo stalliere.
Nemmeno allora, quando ne andava della vita innocente di un uomo, aveva ascoltato la voce del suo consorte.
Stava per macchiarsi di un crimine atroce e, per le sole apparenze, aveva trattato male l’unica persona che tentava di fargli prendere una decisione giusta.

Adesso che aveva il tempo di pensarci, erano state tante quelle che lui aveva chiamato ‘semplice inezie’.
E tante piccole inezie, giorno dopo giorno, adesso lo costringevano ad errare per i boschi in cerca del suo sposo.

Per rimediare.


Rimediare?

Sorrise in tralice.
Come aveva fatto a passare, in tre giorni, dal rimproverare e punire al ‘rimediare’?
Era partito per vendicarsi con la costrizione dell’affronto subito, e non perdere l’onore, ed invece non faceva che pensare ai propri sbagli con lui.


Con finto orrore, si chiese cosa sarebbe arrivato dopo il rimediare ….



*

Un vento fortissimo si levò quella sera stessa.
Hanamichi cercò disperatamente un riparo.
Ma non vi era nessuna grotta, nessun albero abbastanza grande.
Raffiche di vento sferzavano lui e Sauser finché non vide, con sollievo, il tetto di legno di una piccola rimessa di cacciatori abbandonata.
Portò subito Sauser al sicuro nella stalla, poi entrò in casa.
Alcune assi del tetto erano marce, ma era rimasto un piccolo giaciglio di stracci e le finestre erano tutte riparate dagli scudi.

Stanco e libero, Hanamichi s’addormentò, ascoltando il gemere del vento e stringendosi nel mantello sognò di giacere con il suo amore.



*

Sfidando la tempesta e gli elementi, Kaede proseguì il suo viaggio.
Aveva girato qualche giorno fra le colline ed aveva trovato tracce fresche.
Le aveva seguite e poi si era perso nel turbinare del vento.

Riposò sotto una quercia fragile, riparandosi dietro le zampe forti del suo cavallo.
E prima dell’alba riprese la sua ricerca.

Non aveva piovuto.
Nuove impronte.
Nitide.
Non doveva essere lontano.

Il cielo era appena appena diventato rosa che Kede giunse in una piccola radura nel cuore delle colline.
E sentì lo sbuffare di un cavallo che non era il suo.
Scoprì Sauser legato nella stalla e capì che in quella piccola rimessa si nascondeva il suo sposo.

Ebbe una strana voglia improvvisa e pressante di vederlo.
Entrare e abbracciarlo di sorpresa.
Gli era mancato.

Strano a dirsi, per chi non aveva fatto altro che cercare la solitudine.

Ma vide un ramo fiorito poco lontano e decise per l’attesa.

Entrare e coglierlo di sorpresa sarebbe stato un altro atto di costrizione.
Doveva fargli capire che non era ancora tutto perso.
Che la sua lotta, di cui lui ricordava ogni particolare, non era stata vana.

Sapeva che Hanamichi, come ogni ragazzo del paese, conosceva le antiche tradizioni e le usanze tramandate dagli avi.

Spezzò dunque quel ramo fiorito e lo poggiò davanti alla porta di legno della rimessa.
Ed attese.



*

Hanamichi sembrò svegliarsi per il leggero fruscio di qualcosa.
Aprì un occhio e, nonostante tutto, si mise in piedi per vedere se la tempesta di vento si era placata.
Era vero che nessuno era venuto a cercarlo, ma doveva passare in fretta il confine.

Per chiudere con il passato e dimenticare quel viso che continuava a riempire i suoi sogni.

Ancora assonnato, aprì la porta e qualcosa gli cadde sui piedi.
Un buon profumo saliva da un ramo fiorito.

Possibile che la tempesta lo avesse spezzato e gettato lì, davanti alla sua porta?
Per un momento aveva pensato che….

Un rumore soffice lo colse quindi di sorpresa.

E fu allora che lo vide.
Avanzare di un solo passo.
E poi restare immobile.

Kaede.
Il suo sposo.
Colui dal quale era fuggito.

Il ragazzo dai capelli rossi guardò lui poi il ramo, poi di nuovo lui.
E comprese.
Che nessuna tempesta aveva spezzato ciò che invece era stato colto dal suo sposo e messo contro la sua porta.
In pieno rispetto ad un antica usanza di cui si erano perse le origini.

Hanamichi arrossì.
Cosa doveva fare?

Portare in casa il ramo significava accettare il suo amore.
Gettarlo via voleva dire libertà.

Kaede lo amava davvero?
O era solo un trucco, vile e meschino, per riportarlo indietro e non perdere l’onore?

Colto da quel pensiero, Hanamichi strinse forte il ramo e lo gettò a terra.
Adesso avrebbe visto.
Se il suo sposo avrebbe rispettato la sua volontà.

Lo guardò negli occhi e Rukawa, dopo aver osservato i fiori sparsi a terra, si voltò per allontanarsi ed andare via.

Kaede sospirò.
Era troppo tardi.
Cercarlo per giorni non era servito.

Hanamichi non voleva tornare indietro e lui non poteva costringerlo.
Alla luce di tutti quei pensieri fatti in quei giorni di cammino, sapeva che riportarlo indietro contro la sua volontà sarebbe equivalso ad ucciderlo.

Dichiarò la sconfitta e si preparò a tornare indietro.
Solo.

Hanamichi non lo lasciò con lo sguardo.
Lo vide, mestamente, fare ritorno fino al cavallo, salire, gettargli un ultimo sguardo……

E non resisté.

Sotto gli increduli occhi azzurri del suo sposo, raccolse il ramo fiorito, lo pulì con le mani e se lo portò in casa.
In tutta fretta e con imbarazzo.



*

Kaede scese da cavallo.
Lentamente.

Rivide nella mente gli attimi in cui tutto stava per finire e poi gli attimi in cui il suo dolce sposo, arrossendo, aveva preso in mano il ramo ed era entrato in casa.
Adesso doveva seguirlo.
Era l’usanza.

Entrò con circospezione, guardandosi attorno.
Lo vide in piedi al centro della stanza, il ramo fra le mani, stretto al petto.
Si avvicinò.


“Hanamichi….”

Senza alzare lo sguardo, il ragazzo dai capelli rossi sussurrò.

“Cosa ci fate, voi, qui?”

Non aveva visto nemmeno un soldato in quei giorni.
Ed era perché Rukawa non aveva mandato nessuno.
Era venuto personalmente a riprenderlo.

Non ci poteva credere.

Kaede sorrise lievemente.
“Che domanda sciocca…sono venuto a cercarvi…”

“Per.chè?”

Kaede si passò una mano fra i capelli.

“Non lo so con precisione…all’inizio volevo solo punirvi per essere fuggito….”

Hanamichi abbassò ancora di più la testa.

“Poi ho pensato che forse non avevate tutte le colpe…che ne avevo tante anch’io…..” proseguì il granduca

E si avvicinò ancora di più al suo sposo, lo cinse con le braccia, stringendo lui ed il ramo insieme, aspettando che alzasse il viso.
Con il cuore che batteva impazzito, Hanamichi sollevò il volto.

Ma Rukawa non lo cercò per un bacio.
Gli erano ancora difficili simili manifestazioni.

I loro volti strusciarono l’uno contro l’altro, accarezzandosi, alla ricerca del coraggio per la prima mossa.

“Vi prego…” mormorò Hanamichi

Kaede gli sfiorò con la punta del naso il mento e le guance.

“Vi prego… per una volta …vorrei foste voi a cercare la mia bocca…non io ad offrirvela….” sussurrò il giovane sposo dai capelli rossi

Kaede si specchiò nei suoi occhi e con calma, lentamente, né per dovere, né per compassione posò le labbra sulle sue.
Lo strinse più forte, affondando con la lingua nella sua bocca in un primo, morbido bacio.
Le sommità fiorite del ramo solleticavano la gola di entrambi ed il profumo di bosco riempì le loro nari.

Deliziato, Hanamichi mugolò il suo piacere e si lasciò andare sulla spalla del suo sposo.


“Volete tornare a palazzo con me?” chiese infine il granduca, nel silenzio

Hanamichi non rispose.

“Non vi dico che tutto sarà subito diverso, ma vi prometto che insieme qualcosa cambieremo ……………………………………………………. volete?”


Hanamichi chiuse gli occhi appoggiato contro di lui, deciso a godersi tutto il calore del momento.
Ed intanto pensava a cosa potergli rispondere.
Se desiderava di accettare o no.

“Se poi la convivenza vi risulterà ancora sgradita, vi rimarrà sempre la fuga, non credete? Oramai mi sembrate esperto…” mormorò morbidamente Rukawa

Hanamichi rise piano, divertito.
Poi annuì

“Verrò con voi”

E quel giorno stesso partirono, cavalcando insieme su quelle colline così calde e belle.




*


Due giorni dopo, Hanamichi fu riaccolto a palazzo.
Mito aveva mascherato bene la fuga del consorte e circolavano solo poche e confuse voci.
Dopo il caso dello stalliere, Rukawa stesso aveva provveduto ad allontanare dalla corte il conte di Varth ed il suo seguito di vipere ed aveva stabilito nuove norme d’etichetta che tutti i nobili erano tenuti a rispettare per non essere cacciati dal palazzo.
Ma era ancora poco.

La mattina del quarto giorno, Kaede aveva dato precise disposizioni circa l’allargamento dell’ala del palazzo in cui si trovava quella stanza verdepanna.
Per rendere più gradito al suo sposo il lungo soggiorno in città, aveva deciso di scambiare le stanze.
La camera nuziale sarebbe stata trasferita in quell’ala ed il suo Hanamichi avrebbe così avuto ogni mattina la vista del bosco.

Quando glielo aveva detto, il giovane conte non aveva replicato.
Aveva sorriso dolcemente e, sotto lo sguardo sorpreso di Mito, aveva baciato il granduca ed era scappato via.



*


Il giorno dopo, il granduca ed il suo sposo si trasferirono nella villa d’inverno, in attesa della fine dei lavori.


 

[Interrompere qui la lettura del capitolo e proseguire in Asche - Il palazzo d’inverno]


*

Ad Hanamichi sembrava un sogno.
Chiuse il libro che stava leggendo e si perse in un sospiro, mentre riprendeva a fantasticare.
Il suo sposo.
Il suo sposo sembrava cominciare ad amarlo.

Arrossì miseramente.

Kaede si sforzava ogni giorno di mettere insieme tante piccole cose per farlo felice.
Quel giorno, per esempio, gli aveva detto che prima dell’anno nuovo lo avrebbe accompagnato in visita presso sua madre e che, se la contessa avesse gradito, si sarebbero fermati da lei anche più di una sola settimana.

Hanamichi arrossì ancora.
Era talmente felice che non riusciva più a concentrarsi nella lettura.

Pensò a Mitsui e Kogure.
Anche loro erano così felici?
Sì, sicuramente lo erano.

Si alzò dal canapè dirigendosi in terrazza.
Ed inalò il profumo dei pini, fresco e frizzante.
Finalmente la camera nuziale dava su quel bosco che lui amava guardare.



*



Ovviamente litigavano ancora.
Per le più disparate sciocchezze e per quell’unica questione che non era ancora stata risolta.
I boschi del sud.

Dopo averli visti, Rukawa si sentiva dispiaciuto di doverli distruggere, ma ormai i progetti erano stati approvati e senza un motivo valido nessuno avrebbe accolto volentieri la loro totale modifica.

Eppure Hanamichi continuava ad insistere.
Gli aveva parlato di due strade migliori, ma più lunghe.

Il granduca era combattuto.
Il duca di Lönn premeva affinché si desse inizio ai lavori.

Non sapeva cosa fare.

Hanamichi nel frattempo rifiutava ancora di partecipare ai ricevimenti.



*

Fu circa due settimane dopo il ritorno del giovane conte, che gli uomini preposti alle indagini su quel caso insoluto di attentato portarono un sospetto a palazzo.
Un contadino del sud.
Traditosi nel vantare alcune delle sue bravate nella taverna di un villaggio poco distante dalla città.

Rukawa leggeva delle carte nello studio sull’alto canapè, appoggiato vicino ad Hanamichi, quando venne chiamato.
Ed insieme al suo sposo si diresse nel salone delle udienze.

L’uomo non poté che confessare davanti alla minaccia della tortura.
E gridò davanti a tutti la ragione del suo atto.


Il disboscamento previsto aveva sollevato la rivolta di quelle genti di campagna.
Il giovane contadino urlò che senza il bosco non sarebbero sopravissuti.
Avrebbero dovuto cambiare casa, lasciare le loro terre per andare a servire in case di nobili.
Non avrebbero più avuto una dignità.
Fosse anche solo quella di vivere del lavoro della terra.

Hanamichi ascoltava in silenzio, con il cuore triste.
Ma era il mondo ad essere sbagliato.
Non lui o il suo sposo o quel contadino.
Il mondo.
Che a caso donava ad uno ricchezze ad altro povertà e stenti.

Rukawa si alzò in piedi dopo il racconto.
Ordinò che l’uomo fosse incarcerato in attesa della sentenza finale.

Immediatamente, appena furono soli, Hanamichi supplicò il suo sposo di non ucciderlo.
In fondo era stato spinto dalla disperazione.

Kaede al contrario era furioso.

“Come ha osato levare la mano su di me per un semplice pezzo di terra? Lo farò giustiziare per dare un esempio ammonitore a chiunque tenti la medesima follia contro di me!”

Hanamichi scosse la testa, prendendolo per un braccio.

“Non fatelo! Vi prego! Era in preda alla disperazione. Non avete visto che piangeva? Vi prego, incarceratelo per qualche tempo, anche per qualche anno e rinunciate ai boschi del sud. Da generazioni appartengono a quella povera gente..”

“Vi sbagliate! Appartengono a me, come tutto il principato di Faulkner. Non posso ascoltarvi. V’è necessità di mostrare fermezza!”

“Vi prego, ascoltatemi. Verrete visto come un mostro. Quell’uomo ha sicuramente moglie, figli. Risparmiategli la vita e parleranno di voi con onore. La gente del sud sa essere riconoscente..”


“La gente del sud che voi difendete ha tentato di uccidermi! Lo torturerò e lo farò impiccare. Questa è la mia decisione.”


Hanamichi, gli occhi colmi di lacrime, s’infuriò.

“SIETE UN MOSTRO! NON VI FACEVO COSI’ CRUDELE… MI VERGOGNO DI ESSERE VOSTRO SPOSO!!!!!!!!”

E fuggì via.
Per non piangere davanti a lui.

Quella sera, fu Hanamichi a negare a Rukawa il bacio della notte e si rannicchiò lontano da lui.
E la mattina dopo rifiutò di rivolgergli la parola.

Kaede, esasperato, si portò una mano sugli occhi.
Fermò Hanamichi che stava per andare a lezione e gli disse, a metà fra il rassegnato e l’esacerbato.


“Uff… insomma… qualsiasi cosa dica o faccia, per voi, sono sempre un mascalzone...”


Hanamichi si volse a guardarlo.
E finalmente gli rivolse la parola.


“E’ perché spesso esagerate… io… non volevo dirvi quelle cose, ieri… io”

Rukawa l’abbracciò.
E stringendoselo contro riprese.

“Siete davvero sicuro che risparmiandolo avrò maggiori benefici?”

“Certo, ascoltatemi per questa volta e vedrete….. diciamo che è …come dice il signor Velius una ‘prova sperimentale’ ….e se non avrò ragione, la prossima volta potrete fare al condannato tutto quello che volete…. va bene?”

Hanamichi sorrise nel dirlo e, staccatosi dal petto di suo marito, corse via.

Rukawa lo guardò andare, poi la sua mente parve ricordarsi di come si rifletteva.

“Ma quale prossima volta…? – soffiò contro la porta ormai chiusa – Non tentano di assassinarmi ogni giorno …….vorrei ben vedere…… è riuscito ad ingannarmi… da non credere…”

Ma invece di irritarsi, rise.
Contro il pugno della mano.
Poi si diede il solito contegno altero ed uscì dalle loro stanze.



*


“Pensavo che indirettamente, mio signore, potremo ritenere il duca di Lönn colpevole dell’attentato, egli ha sollevato gli animi di quei contadini….”

Rukawa staccò lo sguardo dall’orologio che segnava le cinque esatte del pomeriggio e sorseggiò il suo tè.

“Mito, anch’io avevo sostenuto il progetto del duca di Lönn….”

“Allora siete stato voi stesso colpevole dell’attentato, non credete?”

“Ma tu da che parte stai?” chiese quindi il granduca, lanciando uno sguardo in tralice verso il suo maggiordomo

“Ovvio, mio signore, spudoratamente da quella del vostro sposo!” rispose sorridendo

“Avrei proprio dovuto licenziarti quando ne avevo l’occasione”

“Lieto che non l’abbiate fatto per così poco….”


Kaede sorrise appena.

I due uomini rimasero in silenzio a lungo.
Poi Mito osò domandare al suo signore se si trovava davvero bene con il suo sposo.

Rukawa non rispose subito, attese, mentre i suoi pensieri volavano ai giorni appena trascorsi in quella strana girandola di …serenità.
L’allegria di quel ragazzo era qualcosa che indubbiamente, al di là dell’amore e dell’affetto, faceva bene al suo animo.
Solo quando si era trovato sul punto di perderlo, aveva capito che non voleva più rimanere solo.
Eppure questo non lo aveva esentato affatto dal dare tutto per scontato prima, quando lo aveva avuto accanto con insofferenza.

Capiva, ora più che mai, che la costrizione ed il polso d’acciaio non erano sempre la via migliore.
Almeno non con quella strana creatura rossa come l’emozione, ma candida come un giglio.


“Non saprei risponderti ancora….. ho assaggiato appena il suo essere…. credo ci sia tanto ancora da vedere e da scoprire… in lui….”

Mito accettò felice quella risposta e si congedò.



*

Il giorno seguente Rukawa, di fronte alla corte, condannò il giovane contadino ad una pena detentiva di otto anni.
Tacitò seccamente il brusio che si levò in sala e si volse alla sua destra.
Per ricevere come compenso un sorriso dolcissimo e felice.


Quella sera nell’intimo boudoir Hanamichi leggeva, avvoltolato in una coperta di lana davanti al suo sposo.
Posate le carte che stava leggendo, Kaede fece cenno ad Hanamichi di accostarsi a lui.
Quello strano desiderio di fare sempre di più per il suo sposo lo aveva preso un’altra volta.

Voleva guarire la tristezza che gli aveva visto negli occhi il giorno in cui lo aveva ritrovato nella rimessa.

Hanamichi si appoggiò contro di lui ed ognuno tornò alle proprie attività.
Ma provarono entrambi una piacevolezza nuova e diversa, data dallo stare insieme.

Improvvisamente Kaede parlò.

“Domani vorrei che mi illustraste sulla carta quelle strade di cui mi avevate parlato, manderò degli uomini esperti a visionarle e, se saranno migliori come dite, potrei anche decidere di cambiare il progetto…”

Incredulo, Hanamichi si lasciò sfuggire il libro di mano e gettò le braccia al collo del suo sposo.
Almeno, si disse il granduca, aveva un ché di gratificante soddisfare le sue richieste…

“Grazie, grazie, Altezza!”

“Non v’è bisogno che mi chiamiate così…..”

Hanamichi lo guardò negli occhi, dolcemente.
“Grazie… Kaede”


Il granduca sorrise.
Poi gli angoli delle sue labbra si arricciarono con una bella punta di malizia.

“In cambio desidero che voi, dopodomani, partecipiate al ricevimento che ho intenzione di tenere…”

Hanamichi si staccò di scatto da lui e lo guardò, cominciando a capire.
Si alzò, indignato e sorpreso.

“Siete…. siete …. siete proprio un’infida volpe!!!” sbottò il giovane conte

“Volpe?”

“Sì, come quelle che si nascondono nel bosco e sfuggono ai cani!!! Scaltra e furba!! Ladra di consensi… sì, una volpe..”

“Non è che sarete voi magari un po’ troppo, come dire…….sciocco?” lo provocò Rukawa

“Ah, come osate!!”

E fece per andarsene quando due mani lo afferrarono per tirarlo a sedere.
Due braccia bianche, ma forti, lo strinsero.
Kaede inalò a lungo il profumo dei capelli del suo sposo.
Poi parlò.

“Allora parteciperete? Vi assicuro che non avrete da pentirvene…”

Hanamichi rimase in silenzio per un po’, poi annuì.

“Bravo sposo” disse morbidamente Kaede e lo baciò, portato da un impulso spontaneo

Hanamichi sorrise.
“Cosa fate? Non è ancora l’ora della buonanotte..” scherzò

“E perché no? Io ho sonno…”

“Non ne dubitavo, amore….. oh……….”


Imbarazzo.


“Come mi avete chiamato?” chiese stupito il granduca

Hanamichi arrossì.
“Se vi dà fastidio, io…… non …”

Rukawa lo strinse.

“Per quel che mi riguarda, potete anche chiamarmi stupida volpe…”

Hanamichi sorrise, ancora più felice, gli occhi velati di un lucore fatto di lacrime e gioia.
“Credo proprio che lo farò, non siate impaziente ….”


E dormirono in quel salottino appartato.
Lontani dal mondo.
Lontani dall’odio.
Vicini l’uno all’altro.



*


Elegantemente vestito, Hanamichi fece il suo ingresso al ricevimento accanto al granduca che, dolcemente, gli teneva il braccio.
Erano mesi che non partecipava alle feste della nobiltà faulkneriana.

Non vedeva quell’uomo detestabile e le vipere che lo ascoltavano, ma intravide il duca di Lönn e non gli sfuggì il lampo d’odio che scorse nei suoi occhi.
Aveva mostrato a Kaede le due strade.
Gli aveva parlato del fianco nudo della montagna che proteggeva la strada e non offriva nascondigli ai briganti.
Erano stati inviati degli uomini qualificati per effettuare dei sopralluoghi.
E tutto ciò aveva profondamente convinto Kaede che Hanamichi non solo sarebbe stato uno sposo allegro e dolce, ma anche pratico e dotato di intelletto.

‘Sarete un buon granduca per il vostro popolo…’ gli aveva mormorato all’orecchio ed Hanamichi era arrossito

Ma il duca di Lönn non aveva voluto accettare la sconfitta.
Meditava vendetta.
Il conte ne era certo.

Per quella sera lo evitò.
Deciso a procrastinare il più a lungo possibile un conflitto che avrebbe recato danno al suo sposo.

E si rese conto, discorrendo con due o tre dame, che in fondo non tutti quei nobili avevano un’anima sporca.
Bisognava solo sorvolare sulle loro mancanze per concentrarsi sui pregi.
Non era facile, ma era positivo.

A metà della festa, dopo le danze, un servitore avvicinò Hanamichi e gli disse che era arrivata una missiva urgente per il suo sposo.
Il ragazzo dai capelli rossi si volse per cercare Kaede nella grande sala.

Lo vide, ma l’entusiasmo gli morì sulle labbra.
Stava parlando con il vecchio duca di Lönn.

Coraggiosamente, Hanamichi si fece avanti.
Attese un attimo, poi interruppe la conversazione.

Il vecchio nobiluomo, indispettito per questa intrusione ed ancora più inviperito per il progetto del disboscamento, lo guardò severamente, con astio.
Sbatté a terra il suo bastone, stringendolo nelle due mani sovrapposte ed attirò l’attenzione di molti altri intorno.

“Insomma, che impudenza! Vedo che le lezioni del signor Velius non hanno dato alcun frutto. E’ ben la seconda volta che interrompete una nostra conversazione! In fede mia, granduca, avrei preferito vedervi lasciare nelle vostre stanze il vostro sposo, evidentemente il suo grado di preparazione non è ancora sufficiente, in questo modo vi reca solo disonore!”

Hanamichi deglutì a fatica.
Ricacciandosi in gola tutti gli insulti che gli venivano in mente ricordò la volta precedente.
Anche allora aveva dovuto subire in silenzio ed il suo sposo stesso lo aveva accusato.

Questa volta sarebbe stato diverso?
Oppure avrebbe scoperto che in realtà lui era ancora una vergogna per il suo consorte?

Una ferita immensa gli si aprì negli occhi e nel cuore a quel pensiero.
E Kaede la vide.

Forse per la vicinanza condivisa in quei giorni.
Forse con gli occhi di un nuovo sentimento.

Ma la vide e continuò a guardarlo.

Coraggiosamente, Hanamichi gli chiese fiducia.
E Kaede gliela accordò.

Il granduca si volse, duramente, verso il duca di Lönn.


“Duca, inchinatevi”


Il vecchio nobile alzò un sopracciglio canuto, inalberandosi.

“Come dite, Altezza? Temo di aver udito male……”

Rukawa ridusse gli occhi a due fessure, aprì le labbra e scandì ad alta voce ogni parola.
L’immensa sala si fece silenziosa.

“Duca,
   inchinatevi     davanti    al    mio    sposo    e    porgetegli   le   vostre   più   umili    scuse. Adesso!   Chi offende lui,     offende me!”


Sconvolto dall’incredulità e dalla rabbia, al duca di Lönn non restò che ubbidire.
Si piegò, uccidendo la propria superbia e porse le sue educate scuse ad Hanamichi.

“Bene – sibilò Rukawa – ma
ricordate la vostra posizione! Se oserete ancora rivolgergli parole indecorose, mi vedrò costretto a ritirare il vostro titolo nobiliare, sia chiaro. E adesso congedatevi, sono certo che il mio consorte ha qualcosa d’importante da dirmi…”

Umiliato e furente, il duca lasciò la corte e si ritirò da quel giorno a vita privata nel suo palazzo.

Hanamichi stupito, rimase immobile, arrossendo intensamente.
Mai si sarebbe aspettato, in vita sua, una difesa così accorata.

“Allora cosa volevate?”

“Ah… io…. una missiva urgentissima per voi Alt…Kaede… nel vostro studio….”

“Avete fatto bene, aspetto notizie importanti dal confine nord” rispose Rukawa

E fece per allontanarsi, quando Hanamichi chiamandolo, lo fermò.

Il ragazzo dai capelli rossi sussurrò un grazie e sorrise.



*

Stanchissimo, Hanamichi si lasciò cadere sul canapè della loro stanza.
La vista notturna del bosco lo rilassava.
Uscì sulla terrazza, coprendosi con una pelliccia d’ermellino e rimase a contemplare le stelle lontane.
Rimasto solo nella sala, era stato subito circondato da alcune simpatiche dame che, sospirando per il ‘glaciale fascino’ con cui il granduca aveva fatto tacere quel duca borioso, avevano espresso tutta la loro antipatia per quel vecchio così….. demodé ….sì, avevano detto così… o una cosa del genere…..
Hanamichi rise.

Tornò in stanza rabbrividendo.
Il suo sposo tardava.
Ma era normale.
Aveva del lavoro da fare.

Pensò di raggiungerlo, ma rinunciò.
L’avrebbe distratto.
Si coricò, ma lo attese con la luce accesa.

Quando lo vide arrivare, con quella magnifica vestaglia porpora, si volse.

Uno strano, no, stranissimo, sentimento lo aveva fatto avvampare, accalorandolo.

Hanamichi chiuse gli occhi forzatamente, ma li riaprì sentendo un bacio fugace sulla bocca.
Sorrise per l’ennesima volta e portò quel ricordo con sé in sogno.



*

“Ah Mito, mi sembra ancora poco... quello che c’è da fare per lui è così tanto….” aveva confessato Kaede uno di quei giorni seduto alla sua scrivania

Yohei gli posò davanti una tazza di tè e lo guardò sorridendo.

“Calma, mio signore, calma… nessuno vi chiede di far tutto insieme, poco per volta, non vedete com’è bello il suo sorriso? Non vi rende già abbastanza felice?”



“Sì..”


Mito sorrise.
“E allora di cosa vi preoccupate, Altezza?”

“E’ proprio quel sorriso, Mito. Quando lo vedo sento di dover fare di più, sento che ancora non basta. Quel sorriso mi fa venire voglia di renderlo sempre più felice, senza smettere mai… ed è qualcosa che mi preoccupa…”

Yohei rise, sinceramente.
“Suvvia signore, non siete il primo che si innamora!”

“Dici sia questo?” chiese perplesso Kaede


“Certamente! E pensate anche a quanto siete fortunato. L’ uomo che amate è già vostro sposo! Non apparterrà mai a nessun altro, vi ha già scelto!”

Rukawa lo guardò pensieroso.

“Credo tu abbia ragione, Mito..”

Yohei prese il vassoio per congedarsi.
“Come sempre, mio signore…”

Kaede sorrise ed uscì, per tornare da Hanamichi.

Interruppe la lezione di scienze e passeggiò tutto il giorno con il suo sposo, tentando di parlare con lui, sforzandosi di rispondere alle sue curiosità.
E divenne presto un'abitudine anche questa.

Rukawa lo portava via dallo studio per tenerlo accanto nei pomeriggi in cui aveva del tempo.
E spesso si offriva di seguirlo nelle lezioni, ma piuttosto contribuiva a fargli perdere concentrazione ed allora sentiva la sua splendida risata assieme ai suoi finti rimproveri.

'Ah Altezza, vi prego, il mio maestro è furioso! Invece che insegnarmi voi mi distraete, sposo mio...'

E rideva ancora.
E la sua risata era come il sole stesso.


Ed in quelle sere, poi, cenavano insieme e si coricavano.
Dopo il consueto bacio di ogni sera, prima di dormire.



*

Una settimana dopo l’ultimo ricevimento, Rukawa stracciò il progetto per il disboscamento e decise di utilizzare la migliore delle due strade proposte dal suo sposo.
Diede inizio ai lavori per renderla agevole e i due consorti ne seguirono lo svolgimento insieme.

Litigando, discutendo, stuzzicandosi.
In quelle che Mito classificò come le più strane schermaglie amorose mai viste prima.

Eppure anche se mosse con evidente voglia di schernire, le osservazioni del giovane conte erano in qualche modo sempre importanti.
Spesso necessarie.
Utili a correggere particolari tralasciati dagli operai, utili a rendere il lavoro migliore sotto molti punti di vista.

Il giovane Hanamichi amava il suo popolo, lo si leggeva nei suoi occhi, nell’attenzione che aveva nel misurare certi decreti per non renderli aspri, nella gioia che lo illuminava quando poteva onorare i villaggi visitandoli con il suo sposo.

Soddisfatto, Mito si disse che sarebbe stato davvero un ottimo granduca.
E che il regno avrebbe conosciuto un lungo, dolce, periodo di pace.


I lavori per la nuova strada progredivano con velocità.
Gli operai lavoravano alacremente e la gente del sud dava prova del proprio appoggio, sostenendo materialmente gli uomini del granduca a capo dei lavori.

In breve alla fine dell’inverno, con la primavera alle porte, Rukawa annunciò che i lavori erano terminati e che la nuova strada commerciale sarebbe stata finalmente aperta.
Un elegantissimo ballo in maschera avrebbe dato inizio ai tre giorni di festa proclamati nel principato, tutti i nobili vi erano invitati.

Dopo gli eventi che li avevano avvicinati nel periodo passato nel palazzo d’inverno, la relazione fra il granduca ed il suo sposo si era evoluta, plasmata da tutto il tempo passato finalmente insieme.

Si guardavano con occhi diversi, adesso.
Si guardavano, finalmente.

Ed approfittavano di ogni istante per sfiorarsi a vicenda le labbra in gesti di un nuovo e sconfinato affetto, così come avevano visto fare ai granduchi del principato di Elder.

Ed era solo questione di tempo prima che al guardare seguisse il desiderare.
Semplicemente, finora il tempo non era stato maturo per questo.

Ma com’era nella natura delle cose, fra sposi il sentimento spirituale avrebbe presto trovato un compimento più materiale nella carne e nel piacere dei corpi.
Era solo questione di tempo.



*

Quella sera, Mito portò le maschere nella stanza dei suoi signori.
Il granduca si era ritirato nello studio.
Hanamichi si ritrovò ancora solo nel vestirsi.

Avrebbe dovuto accogliere gli ospiti, fare gli onori di casa in attesa del suo consorte, per aprire le danze.

Ma in quei giorni quasi non gli pesava.
Niente più sembrava intristirlo.

Aveva la forza per cambiare le cose e la stava usando.
Ed aveva la speranza.

Si vestì e scese, camminando elegantemente lungo lo scalone che aveva disceso la prima volta, il giorno del suo matrimonio.
Un redingote blu di velluto, oltreoceano, pantaloni bianchissimi, alte uose lucidissime, nere come il manto di Sauser.
Un jabot di raso azzurro, come gli occhi di Kaede ed una maschera sul viso.

Porcellana finissima, leggerissima, che velava lo sguardo.
Cosparsa da un manto blu lucido come broccato.
Dalla forma di farfalla allungata, che copriva il naso, ma lasciava allo sguardo la bocca piena e rossa.
E sopra, ai lati, lunghe penne di pavone ne decoravano la sommità.
Gli ovali rossicci sul verde delle piume della coda si sposavano perfettamente con il colore dorato dei suoi occhi.

In tutta la sua magnificenza, Hanamichi scese.
Nella piccola tasca frontale della giacca un’altra, morbida, piuma di pavone.


Ammirato dagli ospiti, il giovane conte discorse amabilmente a lungo, in attesa.
Poi, assetato, si fece servire un bicchiere di vino e s’appoggiò ad una colonna, sospirando.

Sotto la bella maschera di piume blu, Hanamichi guardava la sala scintillante di luci e colori con occhi vivi ed attenti.
Le stoffe preziose mandavano riflessi seducenti, la seta ed il raso delle gonne delle nobildonne parevano esseri eterei dotati di corpo che si sollevavano e ridiscendevano, facendosi ammirare in lunghi cortei di leggerezza. Le pietre preziose sulla varietà di maschere erano stelle che si confondevano con quelle sul cielo nero oltre i vetri. I lampadari ed i cristalli, gli specchi ed i calici sembravano occhi che si riflettevano sul marmo candido del pavimento, laddove finiva il rosso porpora dei preziosi tappeti.
Lapin, camosci, caprioli, leoni, zibellini, lupi, orsi e paradisee.
La straordinaria molteplicità di maschere lo lasciava stupefatto.

Un ballo in maschera.

Sembrava un avvenimento da sogno, uno di quei pezzi perfetti che s’incastravano nelle storie che si raccoglievano in quei romans d’amour che infiammavano i sensi delle giovani.

E lui adesso ne faceva parte.
Rammaricarsi della semplicità persa, sarebbe stato inutile.
Aveva deciso.
E si rispettava.

Avrebbe portato fino in fondo la sua scelta.

Rapito dal colore ambrato ed estremamente delicato del vino che accarezzava l’interno del suo bicchiere, non lo vide arrivare.
Sentì solo il piacevole sottofondo di voci mutare, farsi più basso, ammirante, pieno di meraviglia ed infine, da lontano, lo scorse.

La maschera rossa come fuoco, dalle sembianze di volpe di bosco, la giacca di velluto bordeaux, il jabot di seta argentata ricamato d’oro e quei due zaffiri troppo grandi che erano i suoi occhi.
Profondi, intensi, come l’odore del vino pregiato, fermi su di lui, mentre una sala intera d’invitati li divideva e poco a poco coprì all’uno la vista dell’altro.

Ma quello fu solo il principio della loro ultima schermaglia.

Si osservavano da lontano.
Nei momenti in cui ricomparivano da dietro gruppi di dame e nobili.
Come studiandosi.
Osservandosi sotto aspetti nuovi.
Attendendosi quando uno di loro veniva fermato per conversare.
Rincorrendosi.
Sapendo esattamente dove si trovava l’altro, persino in una sala così piena ed immensa.

La musica era il dolce sottofondo di quella danza che entrambi creavano attorno al compagno.
Una danza che aggirava i fossati e che si compiva nel silenzio, attraverso le sottili trasparenze dei ventagli altrui.

Almeno fino a quando le note si ridussero assieme alla distanza e gli occhi si cercarono da sotto le piume ed il pelo per intervalli troppo lunghi.

In quella sera in cui, coperti dalle maschere, tutti si sentivano più liberi di osare, di cercare altre braccia, paradossalmente ognuno di loro aveva cercato esclusivamente l’altro.
A dimostrazione che Hanamichi, in fondo, altre braccia non ne aveva mai inseguite e che non aveva desiderato che le sue, dal momento in cui le aveva incontrate.

Che fosse ormai questione di principio o meno, Kaede si ritrovò a sorridergli e gli si avvicinò a passo lento e misurato.


Con la precisa intenzione, quella sera, di sedurlo.


“Posso avere l’ardire di domandarvi se volete concedermi questo ballo?” chiese quindi Kaede, inchinandosi lievemente

Hanamichi sorrise con una punta d’innocente malizia e si negò.

“Mi dispiace, sono sposato..”

E rise, di cuore.
Con gli occhi che sotto il blu pavone brillavano come stelle.


“E che tipo di nobiluomo è il vostro sposo, un uomo geloso?” insisté il giovane dalla maschera di volpe

“Non saprei, non gliel’ho mai chiesto, mi parla ancora poco di sé, ma a me va bene…. è nel suo carattere…”

“Lo amate molto, quindi?”

“Nemmeno a questo so darvi risposta – e gli lanciò uno sguardo quasi di rimprovero – diciamo che non sono avvezzo a discorrere di queste cose con degli sconosciuti….” appoggiò le labbra al cristallo del bicchiere e bevve l’ultimo sorso, bagnandosi la lingua

“Oh, ve ne prego, se non lo amate traditelo con me, stasera, adesso…”

E gli tese la mano.
Il palmo rivolto verso l’alto.
In un muto invito.

Hanamichi rise ancora una volta, divertito da quella piccola commedia.

“Solo per questa volta….. e solo per voi……. non abituatevi……” accettò infine

“Lusingato”

Le loro mani vennero a contatto ed appena Kaede strinse quella di Hanamichi nella sua, il maestro condusse l’orchestra in un valzer virtuoso ed imperante.

Il centro della sala si svuotò ed una volpe ed un pavone, stretti l’uno all’altro, danzarono tutta la sera, guardandosi negli occhi.




La luna, benevola, accolse sotto la sua luce i due sposi, allontanatisi dal mormorio e dagli sguardi.
Respirarono l’aria fresca della notte e rimasero vicini.
I loro occhi brillavano da sotto le maschere, il vento leggero alzava i loro capelli.

Con un brivido, Hanamichi si sentì stringere al petto da Kaede.
Ed alzò il viso per accogliere il suo sguardo e quant’altro avesse intenzione di donargli.

Si baciarono romanticamente, mentre mezzanotte scivolava via.




*


Stanco per il ballo, Hanamichi esalò un sospiro e si lasciò andare sul piccolo canapè della loro stanza.
Da lontano, le cime degli alberi si confondevano con il cielo nero pece di quella notte di fine inverno.

Senza accorgersene, il giovane conte chiuse gli occhi e si addormentò.
Un rumore soffice e lontano lo riscosse.

Era notte inoltrata, mattina fra poco.

Confuso, egli si guardò intorno.
Un’ombra si staccò quindi dalle altre e venne verso di lui.

“Ka.ede..?” sussurrò senza voce Hanamichi

Ed il granduca lo raggiunse, sedendosi al suo fianco sul canapè.
Gli prese il viso fra le mani e teneramente, tenendolo racchiuso, lo baciò.

Addolcendo lo sguardo, il ragazzo dai capelli rossi accolse le sue labbra e poco dopo la sua lingua.
Si carezzarono con i palmi e poi si separarono.

Hanamichi lo riteneva un bacio per la buonanotte ed in tutta la sua candida innocenza fece per alzarsi ed andare a dormire.
Lasciò cadere la vestaglia color panna, ma non poté muovere un passo che due braccia lo cinsero.

“Vi stavate spogliando per me?” domandò una voce roca, bassa

Hanamichi arrossì.
Intensamente.

“Oh, Dio ..io….io..”

Kaede tacitò i suoi imbarazzi con le labbra e violò la sua bocca con ripetuta passione.
Quella notte si sentiva stanco, ma sveglio.

Il ballo sensuale e le maschere ammalianti avevano acceso il suo corpo.
Il suo incauto gioco di seduzioni chiedeva adesso il suo prezzo.

“Hanamichi..” chiamò

Ed il suo timbro era così immensamente roco e profondo, pieno e morbido.
Concupiscente.


Il conte rabbrividì fra le sue braccia.
“Altezza….”

Nell’oscurità Kaede lo strinse.
Annegò il viso fra i suoi capelli di fuoco e parlò.



“Volete essere mio questa notte, adesso, fra le mie braccia?”


Hanamichi sentendosi avvampare e stringere ancora più forte gemé.
In qualche istante trovò la ragione per rispondere.


“Vostro? Più di quanto già io non lo sia?”

“Completamente” gli lasciò scivolare in un orecchio il granduca

Dopo un ultimo, intenso brivido il suo sposo alzò il viso, lo cercò in un bacio e rispose.

“Così sia”



Nel pallido buio, rischiarato dalla luce d’argento della luna oltre le tende lasciate aperte su quello spicchio di notte profumata, Kaede si alzò, abbracciò il suo Hanamichi e lo spogliò, baciandolo.
Lo sentì fremere e tremare.
Per il freddo, per l’emozione violenta.

Sapeva che era vergine.
Che lo era rimasto per tutti quei mesi.
In sua attesa.

Con devozione.

Lo baciò ancora ed ancora.
Gli bagnò la bocca, gliela fece socchiudere e, sollevate le coperte, lo spinse nel letto.
Lo accompagnò con le mani nella discesa verso il talamo.
Lo guardò.

Nei suoi occhi leggeva vasti abissi di innocenza e aspettativa, punte di desiderio e picchi di timore.
Gli accarezzò i capelli poi si sollevò.

Gli mormorò con voce bassa che andava via solo per un istante, che sarebbe tornato subito.
S’infilò la vestaglia e scivolò fuori, nei corridoi.

Attraversò alcune stanze e tornò indietro.
Rabbrividendo anch’egli di aspettativa e di gelo.
Una piccola ampolla tra le mani.
La custodiva gelosamente fra i palmi.
Sarebbe stata preziosa fra poco.
Per lui, ma soprattutto per il suo dolce consorte.


Rientrò.
Lasciandosi guardare.

Rimasto immobile nel grande letto, dietro le tende del baldacchino, Hanamichi lo spiò.

Bello come una creatura delle fiabe.
Avvolto da quel rosso sangue che sembrava bruciare anche nell’oscurità.
La vestaglia lunga fino al ginocchio, ampia, morbida, lucente.
I pantaloni arricciati sull’inguine, appena coperto, scendevano sinuosi lungo le gambe, accarezzandole, dando loro forma e consistenza, accasciandosi poi sui piedi in uno sfarzo di raso color sangue e morbide volute.

Rukawa si liberò di quelle vesti davanti ai suoi occhi e percepì un suo sospiro.
Hanamichi nascose il volto arrossato contro gli infiniti cuscini ed attese.
Lo sentì avvicinarsi e con il cuore in tumulto lo accolse su di sé, nudo.
Nel momento in cui la loro pelle venne a contatto, fu impossibile trattenere un mugolio di piacere.

Muovendosi piano su di lui, Kaede lo baciò fino a fargli perdere il senso del tempo e lo trascinò in una sorta di realtà adimensionale, di cui lui era l’unico metro di misura.
Stuzzicò con la bocca un suo orecchio, gli baciò le guance ed il collo, lo strinse, lo cercò toccandogli il petto ed i capelli.
Sentiva le sue braccia circondargli alternativamente le spalle e la vita, le sue mani incerte precipitare improvvisamente su tratti inesplorati.

Hanamichi ansimò.
Le labbra socchiuse in cerca d’aria.
Stava lentamente impazzendo.
Per le carezze, per la punta di timore dell’ignoto, per l’attesa.
Ogni cosa.
Ma più di tutto fremeva per il corpo caldo di suo marito sopra di sé.

Le sue mani che ben presto erano arrivate ovunque, anche dove facevano urlare di piacere.
E al primo grido era seguito un minuto d’imbarazzo, in cui si erano stretti forte.

E poi, ad un certo punto di quello strano sogno, il granduca aveva allungato una mano ed aveva preso la piccola ampolla, l’aveva aperta ed il profumo dell’olio di oliva si era mescolato alla fragranza indefinita dell’aere circostante.
Posato il tappo intarsiato di forma bitriangolare, Kaede si era versato sulle dita il liquido fresco e unto.
Aveva fatto scendere le mani, ma Hanamichi non le aveva sentite su di sé, allora lo aveva guardato, ma egli sembrava perso in un intimità personale ed il suo sposo attese.
La notte si evolveva in mattino.
Il nero in diluito blu.
Poco dopo, l’ampolla era stata posata lontano e un dito era sceso accarezzandogli i glutei.

Non sapeva cosa sarebbe avvenuto dopo, ma Hanamichi, gemendo, lo lasciò entrare, lo cercò con le braccia e si artigliò a lui.
Il suo corpo venne ripetutamente violato da quella, e anche da altre falangi.
Delicatamente.

Era una sensazione stranissima e lui, scioccamente, prese ad agitarsi.
In preda alle vampate di un calore conosciuto e sconosciuto insieme, sembrò volerlo spingere via, ma poi lo abbracciò ancora, con disperazione, emettendo piccoli lamenti inesperti che assomigliavano a gemiti.

Rukawa si fermò.
Tenendo immobili le dita con le quali era entrato nel suo calore, gli accarezzò una guancia con labbra socchiuse ed umide.
Sentiva caldo a sua volta.
Era come se, da un momento all’altro, il suo corpo e quello sotto di sé, stessero per sciogliersi e naufragare nel tepore delle coperte, l’uno con l’altro, l’uno nell’altro.

Era devastante.

Il granduca prese due respiri profondi per calmarsi.
Il suo corpo desiderava muoversi in fretta, entrare, possedere.
A scatti, con velocità.
Ma s’impose di godere insieme a lui di quelle sensazioni assordanti.

Aprendo finalmente due spiragli lucidi sul grigio e fiabesco chiarore circostante, Hanamichi mise a fuoco solo i lunghi capelli di Kaede, quelli che poteva sentire sul collo, quelli che profumavano di buono, di pulito.
In un attimo d’istintività appoggiò un palmo sul suo petto.
Era così fresco.
Mentre in basso…. in basso tutto sembrava bruciare.
Il suo interno, la mano di Kaede, le sue cosce unite alle proprie, i loro ventri tesi.

Per puro coraggio ed affettuosa volontà, il ragazzo dai capelli rossi spostò i fianchi, nella direzione in cui si trovavano le dita immobili di Rukawa.
Le sentì contro l’interno di quella sua intima cavità e s’inarcò, con un lamento.

Incitato dai suoi movimenti, Kaede spinse dentro di lui l’intera lunghezza di indice e medio, osservandolo attentamente.
Gli accarezzò dolcemente la schiena rimasta arcuata, sollevata dal lenzuolo e lo possedé con quelle due dita, scivolando dentro dopo ogni carezza portata lungo la sua colonna vertebrale per farlo rilassare lentamente.

Il calore -se possibile- sembrò aumentare.
Il sudore comparse sui loro corpi, sotto forma di preziose gocce da suggere assieme alle labbra.

Kaede lasciò un gemito sulla bocca di Hanamichi, perché il suo sposo stringendolo con foga lo aveva costretto a strusciare le loro virilità erette.
Si sentiva così bene.


Hanamichi infilò entrambe le mani nei suoi capelli d’ebano ed ebbe improvvisamente paura.
Nonostante l’urgenza ed il calore, sapeva che quella che tanto stava aspettando sarebbe stata una violazione profonda.

Non sapeva assolutamente come sarebbe avvenuta, nella sua mente balenavano rapide visioni conturbanti di un qualcosa che in fin dei conti non conosceva affatto.
Si agitò, dimenandosi.
In risposta Kaede, con estrema delicatezza, scivolò via dal suo corpo e lo baciò.

Sembrava deciso a stordirlo con il semplice sapore della sua bocca e sembrava anche riuscirci.

“State bene?” chiese, mentre riprendeva fiato


“Aah….. sentite anche ..voi.. tutto questo calore?”


“Sì” replicò Kaede sorridendo ampiamente, chinandosi su di lui

Hanamichi rispose a tutti i suoi baci, si sentì ancora una volta portare via e quasi senza capire lasciò che suo marito gli piegasse le ginocchia, aprendogli le cosce.
Una parte impotente della sua mente lo avvertiva che la sua verginità sarebbe morta da lì a poco, ma il suo corpo sembrava gioirne.
E poi lui amava quell’uomo.

Hanamichi gli gettò le braccia attorno al collo, stringendolo a sé.
Sapeva che se non lo avesse stretto così, prima o poi avrebbe tentato di respingerlo e non voleva allontanarlo.
Lo aveva sposato, lo aveva amato.
Non era più libero.

Non era più solo.

Sorrise, la punta bagnata e morbida del sesso di Kaede contro di sé.
Sopraffatto dal rossore si nascose contro di lui, i suoi capelli come un velo nero a coprirgli la vista.
Dolcemente, sospirando, con una leggera pressione la sua carne cedé, aprendosi.
Il suo corpo accolse quella sommità umida e sembrò volersi richiudere, ma trovò contro i bordi altra pelle tesa.
La parte non ancora entrata che sarebbe arrivata dopo.

Con un mezzo grido, Hanamichi avvertì una frustata di piacere ed una punta di forzatura.
Improvvisamente privo di tutte le energie scivolò disteso sul letto, inerme.

Appena, appena sverginato.

Il granduca lo guardò a lungo, accarezzandolo con lo sguardo, trattenendosi a stento dal prenderlo con brutalità.
I suoi occhi liquidi sembravano un lago in cui la luce del sole si rifletteva infrangendosi fra le acque.

Ma sole non ve n’era in quelle stanze, in quelle ore del primo mattino.

Quel giovane, splendido corpo respirava a fatica, incrinandosi a tratti nella perdizione.
Le ciglia si erano chiuse stremate, come se tutto fosse già finito ancora prima di cominciare.

Il palmo di una mano accarezzò il ventre bronzeo di Hanamichi, come massaggiandolo, mentre le altre dita aprivano i glutei ed i reni del granduca impostavano il primo movimento di penetrazione.

Il membro duro ed incandescente s’inserì per un lungo tratto, sfregando lo stretto anello di muscoli.

Hanamichi si sollevò di scatto gridando con tutta la voce.
Era come se gli mancasse d’improvviso l’aria.
La coperta attorno a loro fino alle spalle, Kaede su di sé, il suo corpo dentro il proprio, i cuscini, l’oscurità della stanza, i suoi capelli.

“Ah…. uhn….cielo, vi prego….. bruciate… mi fate …male….” tentò di sussurrargli Hanamichi

Sul viso non vi erano lacrime, ma le labbra aperte lasciavano vedere i denti stretti ed il suo intero corpo si era contratto.
Kaede continuò ad accarezzargli il ventre, rimanendo immobile giusto un attimo.
“Rilassate il corpo, restate fermo…. ah…. fermo..”

Poco dopo, il granduca pose termine a quella tortura penetrando completamente la sua carne, risalendo fra le sue pieghe, accompagnato da un suo lungo, intenso lamento.
Lo baciò, raggiungendo il suo viso e si preparò ad attendere racchiuso nel suo interno.

Hanamichi chiuse gli occhi.
Le ciglia bagnate gli solleticarono umidamente la pelle del viso, distraendolo per un misero istante dalla turgida presenza che aveva appena reclamato uno spazio troppo grande nel suo corpo.
Il respiro si ribellava.
Non voleva calmarsi, né tornare alla normalità.
Lo comprendeva.

Neanche il suo corpo accettava serenamente.
Piccolissime fitte lo attraversavano, mentre il senso di pienezza lo avvolgeva.

Poco dopo, Hanamichi prese in odio l’immobilità forzata che il suo sposo gli aveva dolcemente suggerito.
Spostò lentamente le mani, strusciandole sul letto, artigliò le lenzuola e raccolse le forze.
Il desiderio di sentirlo lo stava facendo morire.
Socchiuse gli occhi in due lame e con un leggero guaito strinse con i muscoli dell’alvo il pene di Kaede.
Come a saggiarne la consistenza e l’effettivo volume.
Contrasse i muscoli e lo sentì completamente.
Piacevolmente e dolorosamente al tempo stesso.

Fece uscire tra le labbra un unico, languido, gemito e ricadde, esausto.

Immediatamente si lasciò andare, rilassandosi sul letto, sotto di lui, sfinito.


Il granduca lo accarezzò gentilmente.
Non riusciva più ad aspettare.
Sentirsene così intimamente avvolto, sentirsene stretto, lo aveva ucciso di piacere.
Era stato ad un passo dal divenire folle.
Ad un passo dal violarlo con furia.

Lo baciò invece, cancellando quei pensieri ignobili e lo guardò con un sorriso.
Si era ormai calmato sotto le sue cure, poteva iniziare ad averlo.

Con un leggero movimento dei fianchi Kaede diede la prima, piccola spinta.
Hanamichi boccheggiò gettando indietro la testa, trovò la forza di sollevare le mani, le braccia e le avvolse attorno a lui.
Sulle spalle e sulla nuca.

Il granduca, suo sposo, lo aiutò, con una mano sotto le scapole lo tirò a sé e, guancia contro guancia, prese un ritmo delicato nel possederlo.

Hanamichi si strinse a lui tutto il tempo, fortissimo, per non vedere.
Ma non poté in alcun modo sfuggire alle sensazioni che lo presero, come stava facendo lui... che gli entravano dentro, come stava facendo lui….

Con gli occhi chiusi, si perse in quel sogno notturno che gli veniva teneramente regalato.
Con il sorriso di aver finalmente perso una verginità non voluta, che stava diventando la vergognosa prova del suo fallimento, si ritrovava adesso pieno dell’uomo che amava.

Lo strinse ancora più forte, con tutte le sue energie.
Con tutto il suo candido ed imbarazzatissimo affetto.

In quella che rappresentava la loro prima, indissolubile unione.


“Ah.. io vi amo… vi amo, Kaede…vi amo” mormorò improvvisamente

Il suo corpo desiderava maggiore velocità, maggiore frenesia, maggiore contatto.
Insieme cantarono gemiti respirando ognuno il respiro dell’altro e tutto sembrò realmente sciogliersi, mentre nella notte l’odore dell’olio d’oliva si mescolava all’odore dei pini.

Se possibile, il calore improvvisamente esplose.
Hanamichi graffiò la schiena del suo amante, spalancando gli occhi, un lungo lamento rauco lo raggiunse.
Il suo sposo aveva raggiunto il piacere.
In lui.
Nel profondo.

Dove la semplice carezza del caldo liquido che scorreva gli regalò l’apice.

Un grido che risuona nella notte.
Nel mattino.

Senza più il controllo su alcun senso, Hanamichi sentì le forze scivolare via, assieme alle mani che aveva per tutto il tempo tenuto su quelle spalle bianche come alabastro.
Sarebbe pesantemente caduto fra le lenzuola, invece il suo compagno dai profondi occhi azzurri lo sorresse gentilmente e lo adagiò con dolcezza, accarezzandogli la pelle luminosa.


“Anch’io vi amo” fu il suo rassicurante, così tanto atteso, mormorio

Ma si perse nel silenzio e nella bolla caldoumida, chiamata sonno, che aveva subito avvinto Hanamichi.



*


Quella mattina, Mito passò davanti alla stanza dei suoi signori, ma non entrò.
Qualcosa di indefinito gli sussurrava insistentemente di attendere il loro naturale risveglio, anche tardi magari, ma insieme, soli.



*

Hanamichi aprì un occhio, poi l’altro.
Sbadigliò ancora assonnato e riprese coscienza del proprio corpo.

Si sentiva tutto piacevolmente indolenzito.
S’accucciò meglio fra le braccia del suo sposo, che dalla notte precedente non lo aveva ancora lasciato e si riaddormentò, felice.

Fu svegliato qualche tempo dopo da due labbra curiose.
Svogliatamente sollevò una palpebra ed intravide la bocca rossa di Kaede, suo consorte, passargli sulla fronte per scendere verso la guancia.
Dolcemente la rincorse allora e la afferrò al volo, chiedendo il tributo del mattino.

“Vi ho svegliato, infine….” constatò il granduca

Hanamichi rise e sembrò sciogliersi di felicità nel calore delle sue braccia.
Oramai quel letto, per quanto grande, non sarebbe più stato freddo.

“Come state?” domandò Rukawa, lievemente in ansia

Hanamichi sorrise.

“Oh, bene quanto voi, forse anche di più…”

Si portò una mano al ventre e ricordò com’era stato piacevole sentirselo riempire dal seme caldo del suo amante.
Il piccolo dolore provato all’inizio non era servito che a rendere tutto più reale, infinitamente meraviglioso.

D’impulso Hanamichi lo strinse forte, con sentimento.

“E’ stato… questa notte….. oh, non la scorderò mai… il momento più bello di tutta la mia vita…”



Si scambiarono un altro bacio, rimanendo uniti nel letto, mentre fuori la primavera, finalmente, sbocciava.




*

“Oh insomma, ho deciso così e così deve essere… capito Altezza?” strepitò Hanamichi, portandosi le mani sui fianchi

Kaede sbuffò.

“Tsk, non capisco perché, con così tanti figli di nobili voi dobbiate andare a prendere per erede un orfanello in un monastero..... le antiche tradizioni dic..”

“Oh, voi e le vostre antiche tradizioni! Bisogna abbracciare la modernità!”

“Mi sembra che il principato di Faulkner l’abbia abbracciata fin troppo! Feste aperte al popolo, permesso di matrimonio fra persone di ceto diverso….. voi volete la rovina del regno!! Ed io sono un pazzo a darvi retta!!” sbottò il granduca lasciandosi cadere sul canapè

Hanamichi sorrise maliziosamente.
“Beh, finora nessuno vi ha mosso alcuna critica, o sbaglio?”

Rukawa si coprì gli occhi con una mano.
Era proprio questo il punto!

Mito, alacremente impegnato nel portar via i piatti della colazione, rise di cuore.

Kaede sospirò.
Poi sorrise.

Si alzò e, muovendosi furtivamente, abbracciò il suo sposo da dietro, serrandogli la vita fra le braccia.
In fondo, doveva ammettere che nemmeno una delle decisioni alle quali il suo sposo l’aveva ‘costretto’, si era poi rivelata sbagliata.
Il regno era in pace, la nuova strada commerciale aveva aperto un fiorente commercio con il sud e non destava preoccupazioni, il popolo era felice.

“E va bene, avete ragione voi!” concedette Kaede

Hanamichi sorrise ampiamente, con quella punta di esuberanza che lo contraddistingueva.
Con lo sguardo di chi la sapeva lunga, chiese dolcemente.

“Ammettete di aver sposato un genio?”

Kaede nascose una risata sulla sua spalla ed ignorò la sua sciocca, scontata domanda.

“Avanti, andiamo a prendere il nuovo erede!”

Hanamichi, entusiasta, gli regalò un bacio e partì con lui alla volta del monastero.

Il vecchio abate, con un profondo inchino, consegnò loro un fagottino addormentato e si congedò in fretta.
Hanamichi lo prese in braccio e s’illuminò di pura gioia nel vedere il piccolo visino addormentato di quello che un giorno sarebbe diventato il nuovo granduca di Faulkner.

“Siete sicuro?” domandò Kaede per l’ultima volta

Hanamichi gli sorrise con amore.

“I figli dei nobili hanno già avuto le loro fortune, lasciamo che anche chi non ha avuto un buon inizio possa essere felice….”

Rukawa ammirò il suo buon cuore, una volta in più si disse che non v’era stata azione più sensata, quel giorno di primo autunno, del riportare indietro il suo sposo fuggito via.
Se non l’avesse fatto, avrebbe conosciuto tutta la felicità e la serenità di adesso?


“Va bene, prendiamo questo bambino… in attesa che voi me ne diate uno vostro…” gettò lì, con noncuranza

Hanamichi gli regalò un’occhiataccia in tralice.
“Sì, come no sposo, tornate con i piedi per terra….”

Kaede sorrise, li strinse entrambi a sé, e ripartì con loro verso il palazzo.



*

Nel pieno della primavera.
I bocci illuminati dal sole, che piano inizia a scaldare ed asciugare la terra dalla neve e dalle acque.
Quel sole che per quanto brilli non potrà mai eguagliare, per Rukawa, quel sorriso scoperto vicino ad una stalla, spiando di nascosto.
Nessun petalo sarà mai per lui delicato come quelle labbra, che poté assaggiare pienamente in una rimessa di cacciatori un giorno di primo autunno.
Nessun risveglio potente, quanto il suo, quella notte che si era innalzato nell’amore appena compreso ed aveva chiesto il corpo del suo sposo.


Hanamichi sedeva sotto una quercia, nel loro splendido giardino.
Aveva accanto una lunga lettera, appena vergata, in cui narrava a Fujima Sendoh della sua felicità.
Leggeva adesso alcuni poemi, le fronde che stormivano, i petali che volavano nell’aere.

Kaede si avvicinò lentamente.
In mano recava un ramo fiorito, carico di boccioli appena schiusi.
Il suo sposo dai capelli rossi lo accolse con un sorriso gentile e strinse il ramo fra le braccia.
Il suo dolce profumo di terra avvolse entrambi.

La primavera stessa li abbracciò mentre, innamorati, vivevano la leggenda che quel semplice ramo aveva ricamato usando i fili perduti dei loro sentimenti.

Il suo cavaliere era venuto a prenderlo.



 

E’ un’usanza antica.

Quasi dimenticata.

Si dice che se ami una giovane devi prendere un ramo fiorito, bello e perfetto.

Intero.

E posarlo contro la sua porta.

La mattina di buon’ora quando lei si leverà aprendo l’uscio troverà il ramo.

Con un solo passo fatti avanti.

Fa che ella ti guardi e capisca.

Poi attendi.

Se la giovane che ami prenderà il ramo e lo porterà in casa entra con lei.

Ella accetterà il tuo amore.

Se invece, trovato il ramo fiorito, lo getterà lontano dalla sua porta, triste sarà il destino del tuo sfortunato amore.

 

 

 






Fine

 







Non ci posso credere!
Dopo averla tenuta ferma ben più di sei mesi, indecisa se buttarla o meno, l’ho finita! -.-

Secondo il mio ciclo di dediche Lu, tesoro, è tutta per te.
Per tutte le volte che mi fai disperare nelle correzioni, per tutte le volte che mi fai sorridere e per tutti gli squilli che mi dicono che non ti scordi mai di me.
Da Mel, a Lucy.
Siamo un po’ fuori stagione, ma era per la primavera e per il tuo compleanno, come Vetrine era stata per l’ inverno e Natsu per l’estate.
Oh, manca solo l’autunno….

Il titolo è in tedesco e significa ‘ramo’.
Asche è un po’ fiaba, un po’ fic, un po’ romanzo ottocentesco, sicuramente molto OOC….perdonatemela questa, ok???Molto presto tornerò alle nc-17, agli stupr….ops……Ely, carissima, il bel fiume di Padova non mi sembra molto pulito, non gettarmici……aaah il vaiolo,
il Clostridium Tetani!!!!!! Ma non era stato debellato?????!!!!




Note degenerative :

H: Insomma, ma io ed il mio Kae ..
R:Tsk questa dev’ essere la prima ed unica fic in tutto l’Ysal in cui non rampo subito addosso al mio do’hao ed è tutta colpa di quest’ autrice cretina…
M: Oh scuuusa Ru (tono provocatorio e ironico)…scuusa tanto se per una volta ti do un cervello normale invece di un cervello a coniglio…..ma non preoccuparti…..torniamo subito ai vecchi tempi…..rabbit mode e non ci pensiamo più….va meglio?
H: Gno!Vuoi dire che rischierò nuovamente di essere stuprato un capitolo sì e l’altro pure???
M: Mais oui!!!!
H:ç___________________ç
R: *___*


Mito:Autrice?
Me:Sì, mio amatissimo Mito??
Mi:Perché ti diverte che io faccia il servitore di Rukawa?E’ già la seconda fic …non potrebbe essere lui, per una volta, il mio servitore?
Me: Mmmh…..Ru e servitore nella stessa frase è una contraddizione in termini….come dice Le-amore..
Mi:Ma allora perché?
Me:Tsk, tsk ti facevo più arguto…non vedi che cerco sempre un angolino in ogni fic per metterti in mezzo o citarti??? Sei in tutte le mie ficcine..
Mito che spulcia: …oh è vero, ma perché??
Me: Perché la sottoscritta TI AMA!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! *____*
Mi:^/////^oh beh allora…sorvolerò……




 


Fictions Vai all'Archivio Fan Fictions Vai all'Archivio Original Fictions Original Fictions