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Pairing:RuHana
Raiting:PG/angst
Buon RuHana Day a tutte!!!!
Asche
di Mel
parte III
Quella sera stessa.
Era tardi.
Notte fuori, ma gelo dentro.
In quella stanza che non sarebbe dovuta essere vuota, né silenziosa né
così rassegnata.
E fu in quel momento che Hanamichi capì la verità.
La verità profonda che, annacquata dalla tristezza, aveva finito per
dimenticare ogni giorno sempre più.
Mai pretendere, Hanamichi, ma sforzarsi.
Fare il primo passo.
E, se necessario, anche il secondo.
Come gli era stato detto.
Come aveva sempre saputo.
Voleva che lui e Kaede fossero felici ed innamorati come Sendoh e Fujima.
Perché attendere allora che fosse il suo sposo a muoversi per primo?
Perché non lottare per quello che voleva?
Non era sempre stata la capacità di non arrendersi la sua qualità
migliore?
Perché l’aveva rinnegata?
Perché si era reso debole e arrendevole ?
Preda degli eventi e della sorte?
Dov’era il suo coraggio?
Ed il suo orgoglio?
Era ora il momento.
Il momento di farsi forza ed imparare per primo ad amare, col tempo poi lo
avrebbe insegnato anche a lui.
E tutto sarebbe stato, realmente, perfetto.
Si alzò.
La lunga vestaglia candidissima a stringerlo in una carezza piacevole, ma
fin troppo fresca.
Prese una candela, la accese e con quella poca luce aprì la porta che
separava la camera nuziale dallo studio, pianissimo.
Il suo sposo………. Kaede….. era sul canapè.
Seduto, miriadi di carte in grembo, una penna ed un calamaio sul tavolino,
accanto ad un calice vuoto.
Il viso stanco, assorto, i capelli ancora più scuri contro le ombre che
ricoprivano come lenzuola tutta la stanza.
Nelle orecchie solo il silenzio profondissimo della notte.
Hanamichi avanzò.
Un passo per volta.
Fino a che l’aranciato delicatissimo della luce di candela non si riflesse
in miriadi di pagliuzze negli occhi sollevati e stupiti di Kaede.
Il granduca non disse neanche una parola.
E Hanamichi non pronunciò nemmeno un sussurro lievissimo.
Posò delicatamente la candela sul bellissimo tavolino di cristallo e con
un altro paio di passi si avvicinò.
Un attimo di sospensione.
Sentiva il cuore rapidissimo, agitato.
Quel secondo d’immobilità era per il suo sposo.
Per consentirgli la libertà di mandarlo via, se non lo avesse voluto
vicino in quel momento.
E pregò gli dei, Hanamichi.
Pregò che dicesse, in silenzio, di sì.
Che quella quiete significasse ‘ti voglio accanto’.
Silenzio.
Profondo.
Accondiscendente.
Hanamichi avanzò ancora di un passo, raggiunse il canapè morbido e largo.
E si sedette.
Accanto a Kaede.
Accanto al suo sposo.
Vicini come mai lo erano stati fin dal giorno del loro matrimonio.
Immediatamente, un nuovo senso di calore avvolse il giovane conte.
Una sensazione non definita di tepore.
Sottilmente piacevole.
Come si era sentito solo nell’altra stanza…..
Alzò gli occhi, di nascosto.
Osservò la linea di quel viso bellissimo.
Si perse quasi nei tratti di quell’angelo nero, e solo il fruscio dei
fogli di carta lo riportò al presente.
Non sapeva che fare.
Si era avvicinato, ma ancora sembrava non bastare.
Cosa pensava il suo sposo?
Cosa desiderava, invece, lui?
La quiete scivolava via, trascinando la notte verso il lungo cammino per
l’alba.
Il caminetto risplendeva donando anch’esso la propria parte di calore.
Il silenzio, il calore e la stanchezza furono una miscela troppo forte.
Hanamichi sentiva gli occhi pesanti.
La voglia di chiuderli irresistibile.
Ma il canapè, con i bordi frastagliati di legno dorato, era troppo scomodo
per posarvi la testa.
Lasciando socchiusi ancora per un po’ gli occhi si piegò, lentissimamente.
Lasciò andare di lato la testa e ben presto toccò delicatamente la spalla
di Rukawa, appoggiandovisi.
Sollevò appena gli occhi, assonnato, e riuscì solo a vedere del viola
chiaro che si mescolava nel blu di quegli occhi così grandi.
Sembravano ancora più grandi e belli, sgranati in quel modo.
Li fissò e chiese come il permesso di rimanere così, giustificandosi.
“Ho fatto brutti sogni nella nostra stanza…” mentì in un sussurro morbido
che si perse quasi subito
‘Perché sono solo’ aggiunse mentalmente, ma non lo disse
Poi si lasciò andare, cadendo nel sonno.
Mentre il suo cuore di ragazzo scalpitava nel petto per l’emozione di
quella vicinanza.
E Kaede non disse niente.
Sorpreso, ma incomprensibilmente sereno, piegò le labbra in un tenue
sorriso.
Continuando a lavorare, ma con quel dolce peso su una spalla.
Incredibile.
Quel ragazzo così rumoroso, esuberante ed insofferente nei suoi riguardi
si era accostato a lui.
In silenzio.
Dolcemente.
Non avrebbe mai pensato di vederlo arrivare, di vedersi reclamare per un
po’ di compagnia.
Pensava che l’indifferenza fra loro fosse tranquillamente reciproca.
Ma forse si sbagliava.
Non riuscì a distogliere la mente da tale pensiero, nonostante tutti
quegli importanti documenti reclamassero a gran voce la sua attenzione.
E poi, proprio come un bambino, dopo pochi minuti, si era addormentato.
Su di lui.
Gli lanciò uno sguardo.
Fili rossi, pelle d’ambra, occhi chiusi, belle ciglia.
Senza nemmeno rendersene conto si ritrovò a ritirare una mano.
Quando l’aveva stesa?
Per fare cosa, poi?
Arrossì, giusto un po’ e riprese a leggere le sue carte.
L’aria della stanza si era fatta come tiepida e piacevole.
Era questo forse il vero, profondo significato dell’avere uno sposo a
fianco?
Un sorriso compiaciuto sulle labbra, e Rukawa si affrettò a finire il suo
dovere.
Era molto, molto tardi.
Tutti i documenti erano stati letti e firmati.
Era ora di riposare finalmente.
Spostandosi, Kaede avvertì un mugolio.
Ah… il suo sposo…
Aveva rischiato di farlo cadere.
Comunque sia, avrebbe dovuto svegliarlo.
Lo chiamò.
“Consorte..” piano, troppo debolmente per destarlo
“Sposo..” riprovò
Hanamichi si girò lievemente, ma non abbandonò il comodo abbraccio di
Morfeo.
Kaede sbuffò divertito e si decise ad accostarsi maggiormente e ad alzare
il tono.
“Hanamichi” chiamò
E vide dopo qualche istante quegli occhi sollevarsi.
Di poco, di molto, molto poco.
Com’era buffo!
“Che c’è?” la voce impastata, roca e bassa
Una mano stretta a pugno su un occhio.
“Ho finito, andiamo in stanza, non si può dormire qua”
“No”
Deciso, nonostante il tono stanco.
“Perché?” chiese sorpreso il granduca
Riaccomodandosi su quella spalla larga, Hanamichi sbadigliò.
Chiuse gli occhi e rispose senza bene rendersi conto di cosa diceva.
“Si sta bene qui, no? Se andiamo di là, in quel letto così grande e
freddo, si perderà tutto il calore che sento adesso. Non voglio”
E Kaede non disse più nulla.
Sorrise e con un piccolo campanello chiamò un cameriere.
Chiese una coperta pesante e attese.
Poco dopo, il servitore rientrò con quanto richiesto e lasciò insonnolito
i suoi padroni.
Senza troppi movimenti, Rukawa stese su di sé e sul suo sposo la
bellissima coperta di piume e, avvolti i loro corpi, si adagiò sul canapè
chiudendo gli occhi.
Perdendosi in pensieri ovattati che parlavano di un nome pronunciato per
la prima volta, una compagnia estremamente piacevole, un odore dolce ma
intenso, come quello dei boschi, che saliva a lui dall’angolino dove
riposava Hanamichi.
Davvero una sorta di
calore che nessuno dei due credeva possibile provare con l'altro solo
standogli accanto.
Respiri leggeri che si mescolarono fino al tardo mattino.
Entrato dopo due colpi leggeri alla porta, Mito trovò vuota la camera
nuziale.
Perplesso, decise di provare nello studio.
Possibile che i suoi signori fossero già in piedi?
Avanzò con cautela.
E non poté che meravigliarsi.
Sorrise, felice e silenziosamente com’era entrato uscì.
Lasciando riposare i due giovani che aveva trovato addormentati insieme
sullo stretto canapè.
E nella dolce mattina si sciolse il sapore intenso di un primo passo
finalmente compiuto.
Si destarono assieme, confusamente.
Intorpiditi dalla posizione scomoda si mossero, istintivamente.
Cadendo uno addosso all’altro.
E fu quello il momento del secondo passo.
Alzando il viso, Hanamichi trovò due zaffiri cobalto vicinissimi.
Li osservò, perso.
Ancora insonnolito con le palpebre appena socchiuse, li guardò come
fossero la cosa più bella che avesse mai visto.
Anelò a loro, a quella profondità marina che si mescolava alla lievità
dell’aria di cielo che vi vedeva sparsa dentro.
Fu un attimo e si avvicinò.
Le labbra schiuse e umide.
Reclinò la testa e si offrì.
Al suo sposo che mai lo aveva richiesto.
Chiuse gli occhi ed attese la sua bocca.
Stretto nel calore di quelle coperte e del corpo morbido che aveva
accanto, ancora preso dal ricordo del sonno appena passato, languidamente,
quasi senza coscienza di sé stesso, Kaede si chinò.
Lasciò a sua volta che gli occhi si chiudessero sotto il peso delle ciglia
e toccò le labbra di Hanamichi.
In un soffio delicato.
Un primo bacio.
Di cui si perse quasi il ricordo, mentre entrambi tornavano a scivolare
verso un dormiveglia più sereno.
*
In pochi altri giorni tutto sembrò tornare alla staticità del passato.
Solo gli sguardi si erano fatti più attenti.
E la memoria viveva della dolcezza dell’unico ricordo degno di tale nome.
Quella notte, Hanamichi decise per un altro passo.
E steso accanto al suo granduca, prima di dormire, chiese con il viso un
altro lievissimo contatto fra le loro bocche.
In tutto quel tempo non aveva che pensato.
Non era un’umiliazione.
Non era perdere l’orgoglio.
Offrire ogni sera le proprie labbra per un bacio, uno solo, non era
un’umiliazione.
Non era che un augurio per la notte al proprio sposo.
Offrire ogni mattina le proprie labbra per un bacio, uno solo, non era
perdere l’orgoglio.
Era semplicemente un buongiorno pronunciato senza voce.
Allora perché sentiva il vuoto dentro di sé, mentre la sua bocca era piena
di quella di Rukawa?
Perché lo baciava, se sapeva di non amarlo?
Rukawa se lo chiese mentre esaminava alcune leggi scritte sulle pergamene,
nel silenzio mattutino del suo studio.
Era semplice.
Non aveva un valido motivo per rifiutare, quindi lo faceva.
E poi la semplice morbidezza di quel contatto era piacevole, ma non
significava nulla.
E credeva sinceramente che per il suo sposo fosse lo stesso.
Ma se ne sarebbe accorto.
Oh, se se ne sarebbe accorto….
Presso il principato di Faulkner era nuovamente un giorno di festa.
Fu preparato un altro ricevimento e di nuovo Mito si recò dallo sposo del
granduca per chiedere la sua partecipazione.
Hanamichi rifiutò assolutamente di prendervi parte come ogni precedente
volta.
E la mattina dopo, all’alba, Rukawa gli negò il bacio del risveglio.
Fu come se dopo due piccoli passi fatti avanti, Hanamichi fosse costretto
a tornare di tre indietro.
Il granduca ripensò alle parole che aveva sentito.
Le voci su di lui e sul suo sposo, invece che sedarsi come aveva pensato,
si erano moltiplicate, come api in un’arnia.
Gli sguardi si erano fatti insistenti.
E tutti si domandavano perché Hanamichi non partecipasse mai ai
ricevimenti.
Erano volate fino a lui le più disparate ipotesi e le più maldicenti
menzogne.
Poi il duca di Lönn si era avvicinato e con il suo cipiglio severo gli
aveva ‘consigliato’ in via confidenziale di risolvere, per il bene del suo
onore, la questione.
Furente per quegli impudenti sconfinamenti nel personale, Rukawa si era
risentito soprattutto con il suo sposo e non aveva acconsentito a
salutarlo quella mattina con il consueto bacio.
Vagò per la reggia alla ricerca di Mito e per puro caso gettò un’occhiata
verso le stalle.
Hanamichi era ancora lì.
Assieme a quello stalliere.
Non solo aveva certamente saltato le lezioni, contravvenendo ai suoi
ordini, ma stava dando ancora adito a pettegolezzi e calunnie.
Certo, perché mai i nobili di corte avrebbero dovuto smettere di parlare
di loro, se lo vedevano sempre insieme a quel garzone?
Furiosamente si ripromise di parlare con lui quella sera stessa.
Quando, dopo cena, Mito invitò i suoi signori nel boudoir, speranzoso di
poter vedere ancora una volta quella scena magnifica che aveva scorto
quella mattina di qualche giorno addietro, Hanamichi rifiutò.
Ma sorprendentemente Rukawa stesso parlò, sottolineando che il suo sposo
doveva seguirlo.
Con uno sbuffo rassegnato, Hanamichi si accomodò sul canapè più lontano e
riprese la lettura del libro che teneva in mano.
Le odi di Orazio.
Veri capolavori di realtà, abilmente espressi nella metrica antica.
Parlavano con sottile arguzia dei mali della società e quanto erano
dannatamente veri ed odierni anche se scritti secoli fa!
La malvagità -in fondo- non cambia mai aspetto, anche se può avere nomi
diversi, si disse Hanamichi.
Uno di questi è sicuramente ‘Duca di Lönn’ pensò, e rise fra sé e sé.
Assolutamente contrario al perdere altro tempo, Rukawa iniziò subito il
discorso che aveva in mente.
“Ieri, molti si sono chiesti dove foste, sposo….”
Hanamichi non rispose.
“E anche la volta precedente e quella prima ancora, e tutte le altre….”
Hanamichi alzò appena gli occhi dal libro e chiese.
“E tutto questo.. in che modo dovrebbe riguardarmi? Rispondete loro come
più vi aggrada…”
E tornò a leggere senza degnarlo di altra attenzione.
Il rifiuto di quella mattina lo aveva ferito profondamente e l’acredine
aveva preso il posto della speranza nel suo cuore.
Anche lo spirito di sacrificio si stava estinguendo nelle fiamme gelide
dell’indifferenza di quell’uomo.
Mito, fermo dietro le tende in attesa di ordini, la sentì arrivare la
tempesta e ne fu terribilmente dispiaciuto.
Rukawa si alzò di scatto e strappò ad Hanamichi il libro che stava
leggendo.
Lo gettò sul tavolino con un tonfo cupo e sibilò.
“Non tollero queste mancanze di rispetto nei miei confronti, dovete
guardarmi quando vi parlo!”
Hanamichi si alzò a sua volta, fissandolo con occhi di fuoco e disse
ironico.
“Non sembrava niente d’importante, ma se lo dite voi, Altezza…..”
Rukawa lo ignorò.
“Non vi faccio affatto così cagionevole di salute, come volete darmi ad
intendere. Da domani, esigo che partecipiate assieme a me a tutti i
ricevimenti che ho intenzione di tenere, vi è chiaro?”
“Non potete costringermi – urlò irato Hanamichi – non ne avete il
diritto!”
“Sono il granduca ed il vostro sposo! Posso ordinarvi quello che voglio e
dovrete ubbidire!”
“Mi avete sposato solo per comandarmi? Non verrò con voi alle vostre
orribili feste, andateci solo!”
“Non osate mancarmi di rispetto ancora”
“Di cosa mi state minacciando? Voi volete solo il mio male, è questa la
verità!!! ” gridò, mentre la voce gli s’incrinava
Rukawa rimase in silenzio un istante, ed il suo sposo riprese.
“Non verrò alle vostre feste, non posso, volete vedermi soffrire e morire?
E’ questo che volete? Ricordate che se mi sono ammalato è solo colpa
vostra… io un tempo ….ero felice….” finì in un sussurro spezzato e,
raccolto in fretta il libro, se ne andò
Rukawa, come interdetto dopo la fuga precipitosa del suo consorte, si
sedette nuovamente.
Non riusciva a capacitarsi.
Allora era vero che stava male, per quanto non potesse crederci…
Fu in quel momento che Mito rese nota la propria presenza comparendo
accanto a lui, ma mantenendo un rispettoso silenzio.
“Che male credi abbia?” chiese quindi il granduca, seriamente
“Solitudine credo e tanta tristezza, mio signore…..”
*
Hanamichi gettò lontano, con rabbia, i cuscini del canapè della loro
stanza.
Come osava quell’uomo comandarlo?
Oh, ma si era tolto la soddisfazione di dirglielo!
Di dirgli che aveva capito che lui lo aveva sposato solo per avere qualcun
altro da cui farsi ubbidire.
Dannazione, pensava solo al suo onore!
Al suo maledetto onore di fronte agli altri!
Non gli aveva mai chiesto come stava né tantomeno gli aveva domandato se
avesse voglia di tornare a far visita a sua madre.
Eppure doveva sapere che la povera contessa era rimasta vedova, ormai.
No.
L’aveva persino privata dell’unico figlio, per un puro capriccio
personale.
E non lo aveva fatto nemmeno per amore.
Per cosa allora?
Quanto lo odiava.
Sì.
Non lo avrebbe voluto più sopportare.
Si coricò e si avvolse nelle coperte, pensando che quell’intero luogo ed
il suo proprietario non avevano saputo dargli che freddo e dolore.
Insofferente, ma pensieroso, Rukawa, dal canto suo, vagava per lo studio,
risentendo nelle orecchie quella voce spezzata.
Il cui ricordo, anche per lui, si era ormai sovrapposto a quello ben più
piacevole di un risveglio condiviso per la prima volta.
Qualche mattina dopo, in quei giorni in cui tutto era ormai perduto ed
ognuno di quei pochissimi e fragili ricordi piacevoli si era perso per
sempre, Mito si ripresentò al cospetto di Hanamichi.
Con tono cortese, lo invitò a partecipare ad una battuta di caccia.
Hanamichi aveva declinato quell’offerta come tutte le altre.
Ma Mito non si era congedato.
“Mio signore, perdonatemi se vi offendo con la mia insistenza, ma sarebbe
cosa veramente gradita al vostro sposo se voi decideste di prendere parte
all’avvenimento”
Hanamichi alzò il viso, fissando seriamente gli occhi sinceri del
maggiordomo.
“E perché mai dovrei fare del bene a chi vuole il mio male?” domandò, ben
sapendo che Mito avrebbe compreso tutto quello che vi era di nascosto
dietro quelle parole
Mito s’inchinò, profondamente.
“Vi prego mio signore, per questa volta accontentatemi, fatelo per me, per
il vostro devoto servitore”
Hanamichi non disse niente.
Rimase coi suoi pensieri un istante, poi sospirò.
Come poteva negare qualcosa chiesto in nome dell’unica amicizia che aveva
fra quelle mura?
Si preparò e all’inizio della terza ora pomeridiana raggiunse il gruppetto
che si stava formando all’imbocco dei viali, cavalcando accanto al
granduca.
Si levò un piccolo coro di voci e mormorii, ben presto sedato dallo
sguardo duro di sua Altezza.
I nobili si allontanarono quindi lungo il sentiero, discorrendo di
frivolezze come erano soliti fare, lanciando ogni tanto occhiate maliziose
in direzione del giovane sposo.
Ben presto, egli fu insofferente alla noia di quell’insignificante battuta
di caccia, l’unica cosa degna di nota fu per Hanamichi l’insospettata
bravura del suo regale consorte.
Rukawa sembrava nato per cacciare.
I cani seguivano con precisione le tracce e lui non rendeva vana la loro
fatica.
Li inseguiva veloce e preciso, come il falcone che teneva sul braccio, e
non perdeva di vista una sola preda.
Con disgusto, Hanamichi dovette assistere alle viscide adulazioni che un
gruppetto di nobili adoranti riservava a lui e al suo sposo, dopo ogni
cattura.
Li disprezzava.
Dal primo all’ultimo.
Il sole migrava nel cielo e cominciava a farsi pallido.
Era forse la quinta ora o la sesta.
Hanamichi fu attratto dal volo impetuoso di uno dei falconi che, con
grazia innata, si andava a posare sul braccio sollevato del suo consorte.
Era bello, vero, ma la bellezza da sola non poteva affatto lenire il suo
dolore o coprire tutte le altre, innumerevoli, mancanze.
Lui sentiva di aver bisogno di qualcosa di più profondo ed importante.
Kaede guardò gli occhi del suo sposo fissi su di sé, ma come se pensassero
ad altro.
Sembravano lontani.
Come in effetti lo era lui.
Se ne rese conto per la prima volta e sentì un fondo d’inquietudine che lo
lasciò nervoso.
Non sapeva nemmeno come mai fosse con lui.
Credeva che si sarebbe rifiutato.
E non era uno sciocco.
Non sapeva come, ma doveva esser stato Mito a convincerlo.
Rinunciando a pensarci oltre si volse verso la radura, richiamando i cani.
Fu allora che Hanamichi lo vide.
Quello scintillio, in mezzo al verde delle foglie che presto si sarebbero
seccate.
Lo vide e comprese, per puro e semplice intuito.
E prima di ogni altra cosa gridò.
“KAEDE ATTENTO!!!!”
Partendo al galoppo con Sauser, si diresse verso Rukawa, mentre nella
direzione opposta alla sua una freccia volava veloce.
L’aria si riempì del nitrito furioso del sauro ed Hanamichi, come uno
splendido amazzone, tentò di raggiungere Kaede prima della morte.
Furono attimi brevi ed intensi quanto un lampo.
Rukawa si riprese sbattendo gli occhi.
Il cielo sopra di lui assieme ad un peso caldo.
Tutto girava, ma fu questione di secondi e riprese lucidità, mentre i
cavalieri scendevano dalle loro selle per sincerarsi della salute del loro
granduca.
Kaede si portò una mano alla testa, spostando i capelli che gli erano
scivolati sul volto e tentò di alzarsi, ma non vi riuscì.
Qualcosa di pesante e tiepido glielo stava impedendo.
Il vento improvvisamente si levò dalla pianura e fili rossi danzarono
davanti ai suoi occhi, stagliandosi liberi e ribelli contro lo sfondo
cereo del cielo.
“Hanamichi..” sussurrò il granduca
Comprese cosa doveva essere successo.
Aveva sentito il suo sposo gridare e poi lo aveva visto correre come una
furia verso di sé.
Appena i cavalli erano stati ad un soffio l’uno dall’altro, due braccia
forti e calde lo avevano spinto e buttato giù.
Dovevano essere rotolati a terra, sull’erba dura e poi Rukawa aveva visto
il cielo sopra di loro.
Hanamichi non si muoveva.
Improvvisamente spaventato, il granduca lo scosse, afferrandolo per le
spalle, chiamandolo.
Cercando freneticamente con gli occhi una possibile ferita.
Il ragazzo dai capelli di fuoco continuò a giacere a terra senza
risvegliarsi, mentre un filo di sangue gli sporcava il mento.
*
Agitatissimo, Mito seguì il via vai di cameriere, entrando senza
annunciarsi nelle stanze dei suoi signori.
“Mi avete fatto chiamare, Altezza? Cos’è successo?”
Rukawa sedeva sulla sponda del grande letto nuziale.
Fra le coperte, riposava Hanamichi.
Mito si accostò repentinamente e con pochissime parole il granduca spiegò
quanto accaduto.
“Dei del cielo!!! Hanno tentato di assassinarvi! Chi può essere stato?
Come sta il vostro consorte?”
Rukawa tacitò le troppe domande del suo maggiordomo con uno sguardo secco
e Mito riprese compostezza.
“Sta bene… non ha nessuna ferita sul corpo degna di nota… ho controllato
personalmente, ma è privo di sensi, il medico di corte è già stato fatto
chiamare”
Seguì un momento intenso di silenzio.
Poi Mito prese parola.
“Vi ha salvato la vita, Altezza” affermò con una punta di orgoglio
Rukawa gettò lo sguardo sul corpo disteso del consorte ed annuì.
“Lo so…”
Hanamichi riprese conoscenza verso sera.
Si sentiva tremendamente confuso e si agitò.
Immediatamente, Mito accorse al suo capezzale e gli parlo con gentilezza.
“Mio signore, ci avete fatto spaventare, come vi sentite?”
Hanamichi non disse niente in un primo momento, poi, come ricordandosi di
una cosa di vitale importanza, cercò di tirarsi a sedere.
“Non vedo Rukawa…dov’è il mio sposo…?? Mito.. dov’è?”
Una voce calma e bassa riempì la stanza.
“Sono qui… sto bene….”
Yohei pensò che fosse meglio congedarsi e silenziosamente si ritirò.
Sorridendo nel notare che il giovane sposo aveva subito chiesto del
granduca.
Forse, si disse, non era tutto perduto.
Hanamichi fissò lo sguardo negli occhi azzurri del suo sposo e li osservò.
Così profondi, così insondabili.
Kaede si avvicinò quindi a lui, e si sedette sulla sponda del letto.
Hanamichi, sinceratosi delle sue parole con i propri occhi si ridistese,
ma poi desiderò dell’acqua e cercò di prenderla.
Intuendo, il granduca ne prese un bicchiere e glielo porse.
Senza dire nulla.
Rimasero entrambi in silenzio, poi, lentamente, Rukawa si preparò per la
notte.
Spense le candele e si coricò accanto al suo sposo.
Miliardi di pensieri gli vorticavano nella mente, non ne aveva mai avuti
così tanti tutti insieme, né così tanti tutti per una sola persona….
Si girò e nella penombra vide il profilo del suo consorte.
Agì senza riflettere.
Si sollevò su di un gomito, fermandosi un attimo, poi si chinò su di lui.
Su suo marito.
E lo baciò.
Una volta sola, castamente.
Come non faceva più da quel giorno in cui si erano odiati.
Ed era per ringraziarlo di avergli salvato la vita.
Ed Hanamichi lo seppe e capì.
*
A corte il clima era teso e le voci, se possibile, erano aumentate così
tanto da riempire salotti e saloni con la loro malvagia consistenza.
Dame che sparlavano dietro i loro ventagli, gentiluomini che avanzavano
ipotesi come fossero state sostenute da prove inconfutabili.
Tre giorni dopo l’attentato, ancora non si era giunti alla scoperta di un
presunto colpevole.
Hanamichi si era ripreso perfettamente e dall’accaduto, non aveva ricavato
che un piccolo taglietto sul labbro ed un lieve graffio al braccio.
Per il resto stava bene.
Il medico di corte aveva ordinato semplicemente due giorni di riposo che
Hanamichi stesso aveva trasformato in uno solo.
Fu mentre leggeva distrattamente l’ode XXII che notò con la coda
dell’occhio l’aria preoccupata di Mito.
Il granduca era nello studio o forse si era recato in visita da qualche
nobile e, dopo una passeggiata nel giardino per prendere dell’aria,
Hanamichi si era ritirato in stanza per rilassarsi nel silenzio della
mattina inoltrata.
“Cosa ti preoccupa, Mito?” chiese senza troppi fronzoli
Il maggiordomo abbassò la testa poi rispose.
“Niente d’importante, mio signore, solo che queste voci su di voi
continuano e…”
Hanamichi chiuse con stizza il libro, di scatto.
“Non mi interessano i pettegolezzi di quegli esseri insulsi ..che
continuino pure ad ipotizzare e a raccontarsi le loro maldicenze, non sono
degni nemmeno della mia attenzione…”
Mito sorrise, ma i suoi occhi erano pieni d’ansia.
“Avete ragione, mio signore, fate bene a non ascoltarli”
Ed andò via, prima di tradirsi e dire che il vero problema non era tanto
che giungessero a lui, quelle indiscrezioni, ma che arrivassero più in
alto, dove avrebbero creato danni.
Rukawa si trovava in una situazione difficile.
Da un lato, i nobili chiedevano giustizia e sicurezza.
Dall’altro, non sapevano assolutamente fornirgli né un nome né delle
prove.
Avrebbe voluto qualcuno con cui confidarsi.
Ma adesso non sapeva nemmeno di chi potersi fidare.
Tutti erano potenziali nemici e traditori.
Nessuno escluso.
E le voci continuavano a correre.
Fu passeggiando come al solito nei giardini, in direzione della stalla,
che Hanamichi, fuggito nuovamente dalle lezioni del signor Velius, ebbe
modo per la prima volta di capire quali voci avevano preoccupato a morte
Mito.
“Davvero??”
“Dite che quello stalliere, Mitsui, è stato accusato da alcuni nobili?”
“Sì, l’ho sentito dire anch’io…ma sapete, non mi sono sorpresa nemmeno un
po’….era chiaro il motivo..”
“Conte di Varth, spiegateci la vostra personale opinione..”
“Secondo il mio modesto parere, lo stalliere è il colpevole, hanno trovato
una faretra ed un arco nella sua rimessa e quel giorno nessuno dice di
averlo visto in giro, dopo aver sellato i cavalli per il granduca ed il
suo sposo è come sparito, afferma di essere rimasto negli alloggi della
servitù perché libero dal lavoro… che assurdità…. non ho mai sentito una
bugia peggiore di questa…. tsk, questi servitori… è proprio vero che la
classe non appartiene al volgo…. bisognerebbe che imparassero a mentire
con più stile…”
Si levarono risatine stridule.
Mentre il cuore di Hanamichi rimbombava grave fra le costole.
“E dite, dite anche cosa pensate ci vogliano tenere nascosto….. oh, ho
sentito questa storia dalla marchesa di Safre e….ma ascoltatela anche
voi….”
Il conte di Varth riprese.
“Donna arguta la marchesa…sono d’accordo con lei… lo stalliere deve essere
stato spinto verso quest’azione nefasta da un distorto sentimento verso il
giovane sposo del granduca, il conte Sakuragi, non è segreto per nessuno
che i due si incontrassero spesso alle stalle e rimanessero insieme
pomeriggi interi….”
“Sì, io stessa li ho visti …quel giorno volevo prendere aria ed ammirare
gli splendidi fiori del giardino, quando una risata mi ha attratto…era lo
sposo del granduca assieme allo stalliere, ridevano e scherzavano e poi ho
visto quel garzone posare la mano su quella del consorte reale…..e si sono
guardati fissi negli occhi…….sono scappata assolutamente sconvolta….”
“Che indecenza, che amoralità. Mi chiedo ancora come abbia potuto, sua
Altezza, prendere uno sposo di campagna così mal istruito e così
palesemente portato al tradimento…”
“Ma voi, mie nobildonne, non sapete ancora la parte più ….interessante…
della mia personale visione…”
“Dite, conte di Varth, dite… non fateci attendere …”
“Io credo non solo che lo stalliere abbia agito per eliminare il granduca,
ed ottenere ricchezza ed onori accanto al conte Sakuragi, ma credo che sia
stato lo stesso conte a chiedere allo stalliere di eliminare il suo
consorte!”
“Cosa dite mai!” squittì una dama
“Pensateci bene, mie signore, il conte non ha mai fatto mostra di amare il
suo sposo, sono mesi che non si presenta con lui alle feste e che finge
malesseri inesistenti, me lo hanno confermato i camerieri… ieri invece,
‘casualmente’ era insieme a noi e non solo…è stato l’unico a vedere la
freccia e a lanciarsi verso il granduca…. ma io non mi lascio ingannare….
EGLI LO HA FATTO APPOSTA!!”
Una serie di gridolini sorpresi riempì l’aria.
“Oh, non posso crederci, mi sento svenire….”
“E’ così, nobildonne, il conte Sakuragi è venuto con noi per deviare i
sospetti, ha irretito lo stalliere e lo ha costretto al tentato assassinio
del granduca, promettendogli forse di sposarlo una volta rimasto vedovo….
con quel volto ingenuo e quegli occhi grandi… chi crede di ingannare? I
suoi capelli rossi rivelano la sua essenza di demonio!! Il loro piano era
di uccidere definitivamente il granduca in un secondo momento, quando i
sospetti sarebbero stati indirizzati in un’altra direzione……. tsk, povero
stalliere, qualcosa mi dice che se il piano fosse riuscito avrebbero poi
trovato morto anche lui….”
Un attimo di sospensione.
Lacrime copiose e silenziosissime scendevano sul viso di Hanamichi,
bagnandogli la pelle e riempiendogli la bocca del sapore amaro del sale.
Fuggì.
Mentre quelle vipere approvavano la spiegazione del conte.
Si ritirò nella stanza verdepanna dei primi giorni e lì, gettato sul
canapè singhiozzò a lungo, disperatamente.
Aveva lasciato i suoi boschi per sentirsi accusare di tentato omicidio?
Avevano parlato di lui come di un mostro….. che orrore….. che crudeltà…..
Si sollevò.
Non era il momento di abbattersi.
Se lui rischiava l’onore, Mitsui rischiava la vita.
Lo avrebbero ucciso, se reputato colpevole.
Con rabbia e decisione, si diresse verso lo studio del suo sposo.
Lo trovò affiancato da Mito e parlò, senza pensare.
“Altezza, è vero quello che ho udito? Lo stalliere Mitsui è stato
arrestato?”
Rukawa annuì, indurendo i tratti.
“Che prove avete?”chiese concitatamente Hanamichi
Mito rispose in vece del suo signore.
“Una faretra ed un arco nella sua rimessa… e poi lo stalliere è l’unico
servitore a non avere nessun alibi plausibile per l’ora dell’attentato… i
camerieri dicono di non averlo visto negli alloggiamenti in cui aveva
detto di essere rimasto…..”
“No! Non ci credo, non è stato lui. Non può essere. Un arco non prova
niente. Uno stalliere DEVE avere un arco, serve a difendersi in caso
qualche bestia dei boschi attacchi i cavalli….”
Rukawa prese parola.
“Perché siete così certo della sua innocenza?”
Hanamichi finse di non intendere il secondo fine sotto quella domanda, ma
se ne rattristò enormemente.
Era sospetto, quello che leggeva nei suoi occhi?
“Ho avuto modo di passare del tempo con lui, non è un segreto per nessuno,
non ho fatto niente di cui dovevo vergognarmi, perché tenerlo nascosto? Ho
conosciuto il suo animo e non lo reputo assolutamente capace di un’azione
del genere…”
Silenzio.
“Dovete credermi Altezza, lui è innocente!”
Rukawa si alzò.
“L’intera corte vocifera…”
Hanamichi, punto sul vivo, gridò quasi.
“Non date retta a quella gente, hanno la malvagità dipinta negli occhi!”
“Non posso non ascoltare i miei sudditi, Mitsui resterà in prigione fino a
che le indagini non si concluderanno. E se lo troveremo colpevole verrà
impiccato. Questo è quanto!”
Hanamichi sentì gli occhi farsi lucidi.
“NO, no !!Commettereste uno sbaglio, un terribile sbaglio! Uccidereste un
innocente!”
Rukawa si volse verso l’ampia vetrata e sembrò non ascoltarlo più.
Hanamichi si rivolse a Mito.
“Mito, accompagnami alle prigioni, devo parlare con lui, voglio sentire
cosa ha da dire!”
Mito guardò un istante il granduca.
Il ragazzo dai capelli neri sembrò restare indifferente, prendendolo per
un consenso, Mito s’incamminò con Hanamichi.
Le prigioni odoravano di muffa e terra.
Pagliericci sporchi giacevano a terra, fra i topi e l’acqua stagnante.
Una guardia armata s’inchinò al passaggio dello sposo reale e aprì per
loro la stretta fenditoia attraverso la quale avrebbero potuto parlare con
il prigioniero.
“Mitsui!” chiamò Hanamichi
“Mio signore! Cosa fate qui?”
“Mitsui ho saputo adesso…. come stai?”
“Beh.. questi letti non sono poi così diversi da quelli dell’alloggio, ma
questi dannati topi……”
“Mitsui..”
“Comandate, mio signore…”
“Mitsui dimmi la più sincera verità, ti prego, sei stato tu ad attentare
alla vita del granduca?”
Un attimo di silenzio.
Mito e la guardia poco distante trattennero il respiro per udire la
risposta.
“Vi giuro sulla mia vita e sul mio onore che non farei mai una cosa
simile, né oserei in tal modo arrecare danno a voi o al vostro sposo, vi
sono fedele e lo sarò sempre!”
La voce certa, fiera, sincera.
Hanamichi sorrise, sollevato.
“Ti credo, Mitsui”
I due uomini si guardarono un attimo prima che la preoccupazione velasse
ancora gli occhi di Hanamichi.
“E allora, se sei innocente, perché non lo dimostri? Possibile che nessuno
possa testimoniare di averti visto a palazzo, pensaci bene, ti prego!”
Un altro incerto attimo di silenzio.
“La vostra bontà mi commuove, mio signore, vi preoccupate di un povero
stalliere come me con sincerità, non lo dimenticherò, ma io non posso, non
posso parlare”
“Perché? Verrai giustiziato… ed io non voglio, per l’amore del cielo,
dimmi dov’eri, Mitsui..”
Un sospiro stanco.
“Perdonatemi, mio signore, ma le mie labbra sono come cucite, hanno
giurato eterno silenzio al riguardo, non posso dir nulla di più di quanto
ho detto, perdonatemi, non ho cercato di uccidere il granduca, credetemi,
è la verità, ma non posso dire altro, neanche sotto tortura confesserei, è
un giuramento fatto con il cuore e non posso tradirlo”
Hanamichi non disse altro.
Lo salutò e si allontanò, pensieroso.
Qualcosa gli sfuggiva.
Qualcosa d’importante che aveva visto o forse udito e che era importante.
Tentò di ricordarla in quei due o tre giorni successivi, ma fu
impossibile.
E l’ira e la disperazione lo stavano ormai per sopraffare.
Pregava ogni giorno il granduca di rivedere la sua decisione.
Gli urlava contro che stava sbagliando, che Mitsui era innocente, che
doveva credergli.
Esasperato, Rukawa lo fissò crudelmente quella mattina del quarto giorno.
“Adesso basta! Credete forse che per il semplice fatto che mi avete
salvato la vita io debba fare come volete? Scordatevelo! O devo forse
cominciare a credere a quelle voci che vi dicono suo complice? La
situazione vi è forse sfuggita di mano ed ora non volete che egli muoia?”
Ferito a morte, Hanamichi s’impietrì.
“Siete un mostro…” disse con un filo di voce e scappò via
Quella stessa sera, Rukawa chiese agli uomini preposti all’indagine di
annunciare davanti alla corte le loro conclusioni.
Hanamichi sedeva accanto al seggio del suo sposo, muto e triste.
Spento.
Gli uomini dissero che non erano state trovate altre prove.
Che il luogo dell’attentato non aveva rivelato altro, se non impronte di
stivali di fattura contadina.
Rukawa non disse niente.
Dalla corte si levò la voce di un uomo che chiedeva giustizia.
Era il conte di Varth.
“Alla forca chiunque sia anche solo sospettato di aver attentato alla vita
del granduca!”
Si levò un coro altissimo.
“Alla forca!! Alla forca!!”
Rukawa si alzò in piedi, sedando all’istante il clamore.
I nobili chiedevano giustizia.
Cosa fare?
“Alla forca!! Alla forca!!”
Rukawa guardò i suoi sudditi.
I loro occhi pieni di brama di sangue.
Non poteva non ascoltarli.
Avrebbe sollevato critiche ed altre maldicenze.
Con la scomparsa dello stalliere si sarebbero spenti anche i pettegolezzi
che lo dicevano amante di Hanamichi.
E forse dopotutto era davvero colpevole.
“Così sia! Lo stalliere verrà impiccato fra tre giorni all’alba!”
Un altro coro di approvazione si levò.
Una lacrima piena di dolore ed impotenza scorse sul viso, ora pallido, di
Hanamichi.
E Rukawa non ebbe il coraggio di guardarlo e si sedette, fissando davanti
a sé.
Ma una voce dal fondo del salone attirò l’attenzione di tutti i presenti.
Facendosi spazio fra i nobili, il marchese Kogure s’inchinò di fronte al
granduca.
“Mio signore, chiedo perdono, ma porto con me la prova che Mitsui, lo
stalliere, è innocente”
Un brusio enorme si levò nella sala.
“Parlate, marchese” ordinò seccamente Rukawa
“Mio signore, lo stalliere non poteva essersi nascosto nel sottobosco quel
giorno, poiché egli era nella reggia ed il motivo per cui lo so è che io
stesso ero con lui!”
Se possibile, le voci dei nobili divennero ancora più rumorose.
Le dame schiudevano sorprese le labbra dietro ai ventagli, gli uomini si
guardavano parlandosi sottovoce.
“Se fosse così come dite, per quale ragione Mitsui non ha parlato di voi,
avrebbe potuto scagionarsi dalle accuse solo pronunciando il vostro nome”
Kogure sembrò arrossire e Hanamichi improvvisamente ricordò tutto quello
che aveva visto con Kenji Fujima Sendoh di Elder, quel giorno alle stalle.
“Egli non ha detto niente per rispetto nei miei confronti, mio signore,
perché mi ha giurato eterno amore, come io l’ho giurato a lui quel giorno
nelle mie stanze, mentre lui era con me”
Il mormorio, calmatosi il tempo di far parlare il marchese, esplose di
nuovo, con ancora più vigore.
La voce del conte di Varth si fece udire ancora.
“Volete forse dire, marchese, che voi portate avanti una relazione con
quel servitore?”
Kogure si velò di rosso, ma si mantenne saldo ed eretto.
Fiero.
“Sì, io amo quell’uomo, con tutto il mio cuore ed egli ama me, così tanto
da sacrificare la vita per un giuramento di silenzio fattomi con tutta
l’anima”
Hanamichi sorrise.
Così fiero di quei suoi amici.
Felice per il loro amore intenso e sincero.
“Alla luce di quanto vi ho detto, chiedo che Mitsui venga prosciolto
dall’accusa di tentato assassinio!”
Rukawa non parlò.
Il conte di Varth si fece udire di nuovo.
“Non potete farlo, Altezza! Quest’uomo sta mentendo per proteggere il
compagno, chi ci assicura che sta dicendo la verità?”
Hanamichi lo squadrò con un odio così profondo, che le membra gli
tremarono dalla rabbia.
Kogure, al contrario, non si scompose e sistemandosi gli occhiali si volse
per udire le parole del suo signore.
“Avevate parlato di prove marchese, a cosa facevate riferimento?”chiese il
granduca
“Mio signore, vi porto la testimonianza di una città intera!”
Altro coro di voce, mentre la speranza si faceva strada nel cuore di
Hanamichi.
“Usciti dalle mie stanze, ho fatto vestire Mitsui come un nobile e ho
cavalcato al suo fianco verso il paese vicino. Egli doveva acquistare
chiodi dal fabbro per ferrare i cavalli. Abbiamo passato così mezza
giornata in città, perlustrando la zona e fermandoci nei negozi. Così,
conte di Varth, se non volete credere a me, potete chiedere al fabbro, se
non credete a lui, potete chiedere al panettiere, al macellaio o alla
donna che vende fiori all’angolo o al mugnaio o al prete. Tutti ci hanno
visto passeggiare insieme per il paese e tutti potrebbero testimoniare di
aver visto Mitsui assieme a me, quel pomeriggio, lontano dalla pianura e
dal granduca. Ora mi chiedo… e voi dov’eravate, conte di Varth?”
L’uomo, sdegnato, rimase in silenzio e poi si allontanò a grandi passi.
Rukawa ordinò quindi che Kogure rimanesse confinato nelle sue stanze fino
ad un suo muovo ordine e predispose che gli abitanti della piccola
cittadella venissero immediatamente chiamati, per effettuare il
riconoscimento.
Due giorni dopo, Mitsui fu rilasciato.
*
Hanamichi ringraziò sorridendo Mito per il tè che gli aveva portato.
Era così bello vederlo felice, si disse il maggiordomo.
Ma sapeva che non sarebbe durato a lungo.
Il granduca si era rinchiuso nel suo studio perché, dopo la parziale
risoluzione del caso, adesso l’attenzione di tutti era concentrata sulla
relazione proibita del marchese Kogure con lo stalliere.
Mito conosceva le leggi del principato.
Una relazione fra persone di ceto così diverso era impossibile.
Condannata.
Quella sera stessa, Hanamichi perse, infatti, il sorriso.
A tavola, Rukawa gli aveva chiesto di seguirlo nel boudoir e lì, dopo
avergli dato ragione sull’innocenza dello stalliere con poche, asettiche
parole, gli aveva detto che -se desiderava- aveva il suo permesso di
salutarlo.
Il giorno dopo, Mitsui sarebbe stato esiliato.
Hanamichi sembrò non capire.
Si riscosse qualche istante dopo.
“Cosa..significa? E’ stato dichiarato ……innocente…. non capisco……..”
“Le nostre leggi non prevedono l’unione fra un nobile ed un servitore,
anzi le puniscono spesso con la morte. Mitsui ha ricevuto la grazia da me,
in seguito alle false accuse che gli erano state mosse contro, ma non
posso assolutamente tollerare che nel mio regno vi siano queste mescolanze
di classe. Il marchese Kogure sapeva a cosa sarebbe andato incontro quando
ha parlato, verrà costretto a vivere confinato per alcuni anni, ma non
perderà il suo titolo. Mitsui invece dovrà lasciare il principato.
Immediatamente.”
Hanamichi si lasciò andare sul canapè.
Come privo di forze.
Non era possibile.
Tanta ingiustizia.
Così tanta iniquità senza fine.
Era come un incubo.
Interminabile.
“A niente…. non è servito a niente…. tutto quello che …..” mormorò
Hanamichi, in preda allo sconforto
A lato della tenda, Mito non poté che rattristarsi per lui.
Ma il giovane sposo non si sarebbe arreso, non senza lottare.
“Ma voi siete il granduca, non potete cambiare le leggi, perdonarli,
condonare?”
Rukawa si fece serio in viso.
Sapeva che glielo avrebbe chiesto.
Valeva allora così tanto, per lui, quel misero stalliere?
Se ne sentì furioso e scosse la testa.
“Non mi è permesso fare a modo mio, sono leggi antiche, i nobili di corte
non approverebbero”
“E voi fate quello che dicono gli altri, ascoltate tutti, ma non il vostro
sposo?”
“Non ricordatevi di essere il mio sposo solo quando vi fa comodo!” disse
gelido il granduca
Hanamichi sussultò.
Ma oramai quelle ferite non facevano più male.
Il suo cuore era stato torturato talmente tanto che non ne rimaneva più
niente.
Non c’era più nulla che potesse fare male.
Solo il vuoto di non averlo più nel petto.
“E quando dovrei ricordarlo? Quando mi trattate male? Quando non mi
credete? Quando mi pensate colpevole di tradimento?”
“Non è questo il punto. Non cambierò le leggi. Salutate quel dannato
stalliere e non disturbatemi più con le vostre assurdità”
E detto ciò se ne andò, ritirandosi nello studio.
Hanamichi rimase in piedi a guardare il vuoto davanti a sé.
Con la morte sul volto.
Restò fermo altri pochi secondi, poi andò in stanza per coricarsi.
La notte portò consiglio.
Hanamichi si preparò alla lotta.
Non avrebbe permesso a nessuno di separare per sempre i suoi amici.
Li avrebbe difesi.
Il mattino seguente si levò di buon’ora.
Aveva un solo giorno.
Se convincere il suo sposo sembrava impossibile, allora avrebbe tentato
altre strade.
Si diresse velocemente verso le stalle.
Trovò Mitsui intento a raccogliere le sue poche cose.
Lo salutò e non poté fare a meno di notare il pallore del suo viso e la
sua inespressa tristezza.
“Mitsui”
Lo stalliere s’inchinò profondamente.
“Mio signore, vi ringrazio di cuore per tutto quello che avete cercato di
fare per me, vi ricorderò in eterno”
“Non dire così, Mitsui, troveremo una soluzione, non puoi arrenderti”
“Non sperate l’impossibile, non illudetemi, siete troppo buono con me,
signore, troppo buono per vivere in questo posto pieno di cattiveria…
cercate di rimanere sempre voi stesso, non fatevi piegare da loro, addio,
mio signore”
E stava per andare via.
Ma Hanamichi lo fermò, parlando a voce bassa.
“Mitsui, fuggite insieme, tu ed il marchese, verso sud. Non vi troveranno.
Le famiglie dei miei servitori di un tempo vi ospiteranno e da lì potrete
raggiungere il confine”
“No, non posso chiedere al mio compagno di rischiare così tanto, non per
un servo come me, io l’amo più della mia vita, Altezza, e non potrei mai
saperlo in pericolo a causa mia”
Hanamichi non demorse.
“NO! Devi farlo! E’ l’unica possibilità. Io vi aiuterò, ce la farete! Vuoi
trascorrere il resto della tua vita lontano da lui? Non ti piange il
cuore?”
“Come può? E’ morto ormai, alla notizia della separazione che ci attende,
Altezza, vi supplico, non illudetemi…”
“No, tu fuggirai stasera e Kogure verrà con te. E’ l’ ultimo ordine del
tuo signore.”
Mitsui lo fissò negli occhi.
Vi lesse una forza straordinaria e se ne sentì pieno.
Sorrise ed annuì.
“Come volete, mio signore…e come voglio anch’io”
Hanamichi gli sorrise di rimando e fuggì via, dopo altre poche parole
concitate.
Corse nelle sue stanze, scrivendo febbrilmente una lettera, macchiandola
d’inchiostro nella fretta.
La rilegò e ne scrisse un’altra.
Attese che la guardia che sorvegliava le porte delle stanze di Kogure si
addormentasse e fece scivolare un biglietto vergato di corsa sotto le
porte.
All’imbrunire, Mitsui era pronto per essere condotto dai soldati al
confine, attendeva nervosamente il segnale.
Hanamichi preparò il cavallo, salutò Kogure, liberato dalla ‘prigionia’
dopo aver addormentato la guardia e lo fece partire.
Poi si nascose sotto il portico e preso fra le mani un vaso, lo ruppe.
Il rumore attirò l’attenzione delle guardie che scortavano Mitsui.
Il giovane con la cicatrice sul mento si liberò quindi di loro e afferrate
le redini partì al galoppo.
Gli uomini avrebbero voluto inseguirlo, ma le urla terrorizzate di
Hanamichi le costrinsero a dare la priorità alla sposo del granduca.
Mitsui cavalcò veloce come il vento.
Giunse in vista del città, macchia nera sotto l’amorevole luna e la
oltrepassò dal lato del fiume.
Alla prima ansa si fermò, guardandosi attorno.
Poi la vide.
La sua ombra amata.
Kogure.
I capelli scarmigliati, ma il viso felice.
Si scambiarono un lungo bacio, poi partirono insieme.
Mitsui stringeva contro il petto la lettera che Hanamichi gli aveva dato.
La portò con sé per tutto il viaggio verso sud, poi la consegnò ai giovani
uomini che trovò ai confini della proprietà dei Sakuragi.
Essi, letta la lettera del loro amico di sempre, accolsero benevoli i
nuovi arrivati, li aiutarono a sistemarsi e diedero loro tutto l’aiuto
necessario.
Pochi giorni dopo, i due fuggiaschi passarono il confine, viaggiando
stretti su di un piccolo carretto.
Si addentrarono nella regione e trovarono un luogo dove sistemarsi.
Vissero insieme per molti, moltissimi anni.
Felicemente.
*
La notizia della fuga dello stalliere e del marchese fece il giro della
corte in pochi giorni.
Rukawa, mano sugli occhi, sedeva alla sua scrivania.
Mito accanto a lui serviva il tè.
Il granduca prese la parola, osservando da lontano il suo sposo.
“Non so se ritenere il suo sorriso di questi giorni un’ammissione di colpa
o meno”
Mito sorrise benevolo.
“Non pensateci, mio signore, se anche fosse.. l’importante è che sia
felice, non credete?”
*
Le lezioni di Hanamichi proseguivano lentamente.
Storia, latino e greco, diritto e filosofia, letteratura e francese.
Genealogie e studio delle tradizioni del principato.
Senza nemmeno il conforto della voce amica di Mitsui e Kogure, certamente
al sicuro oltre il confine, le giornate passavano lentamente, con una
pedissequità incredibilmente noiosa.
Rukawa sembrava avere mille impegni diversi, e le uniche occasioni in cui
potevano vedersi erano i pochi minuti della cena.
Non era un matrimonio.
Era solo convenienza per entrambi.
Da un po’ di tempo ormai, Hanamichi provava vergogna per sé stesso.
Non si riconosceva più in quella visione di compassato marito.
A cosa si era ridotto?
L’ombra di sé stesso?
Aveva mendicato affetto, si era abbassato ad offrirsi per primo e cosa ne
aveva ricevuto in cambio?
Indifferenza e sospetto.
Era stanco.
Stanco di tutto e pericolosamente insofferente.
Oramai bastava una parola per scatenare una lite e, se le frasi potevano
fare male e gli sguardi uccidere, il vero dolore veniva dal fossato che
ognuno di loro stava scavando attorno a sé per mantenere vivo il proprio
baluardo di orgoglio e caparbietà.
E quella sera non fu diversa.
Discussero freddamente di un nuovo ricevimento poi, al solo nominare il
duca di Lönn, Hanamichi lasciò uscire un verso di disgusto.
Rukawa lo rimproverò per la mancanza di rispetto e ne seguì l’ennesima
lite.
I giorni seguenti non furono migliori.
La sola presenza di Mito non bastava a riempire il vuoto che Hanamichi si
sentiva crescere attorno, e nel cuore.
Rukawa, al contrario, anelava alla solitudine.
Vedere il suo sposo lo confondeva, a volte lo innervosiva.
Uno strano, ma radicato senso di inadeguatezza lo colpiva.
Come se la causa della loro tristezza fosse lui.
Lo vedeva in quegli occhi grandi che per Hanamichi era tutta colpa sua.
E nonostante tutto non sapeva uscirne, non voleva forse.
Ed il principato necessitava di una guida costante.
Non poteva permettersi di dedicare del tempo ad altro, nemmeno a colui che
aveva scelto come suo sposo.
E forse ne avvertiva la colpa, ma poi, per puro istinto di difesa, quando
gli parlava sapeva solo trovare parole velenose e gelide che lasciavano
dietro di sé esclusivamente terra bruciata.
*
Era pieno autunno ormai, la neve non era giunta e la primavera non era
ancora scomparsa del tutto.
Il duca di Lönn aveva indetto una festa campestre ed aveva personalmente
confessato al granduca che si auspicava la presenza di entrambi i
consorti.
Hanamichi, ovviamente, rifiutò.
Oramai nemmeno le mediazioni accorate di Mito servivano allo scopo.
Il ragazzo dai capelli fulvi reclinava ogni invito e, se poteva, si teneva
lontano da quello sposo che mal lo sopportava.
E non era vita quella, se lo ripeteva.
Chiedendosi anche che fine avessero mai fatto tutti i suoi bei sogni
d’amore.
Stava inaridendo e tutto ciò lo spaventava terribilmente.
Quella sera, al ritorno dalla festa campestre, il granduca si ritirò in
stanza.
“A quel che vedo, non state poi così male se trovate la forza di stare
alzato per leggere fino a tardi…” disse freddamente Rukawa
Hanamichi non lo degnò di una risposta e chiuso il libro si preparò per la
notte.
Ma prima di coricarsi chiamò una cameriera per farsi portare della tisana
rilassante.
Con un gesto di critica, il granduca riprese.
“Almeno abbiate la decenza di fingere meglio…”
Hanamichi s’infuriò.
Gettò a terra la tazza e gridò.
“Insomma, cosa volete voi da me? Perché continuate a tormentarmi?”
Rukawa si alterò.
“Siete voi che dovete dirmi cosa volete, cosa vi aspettate da me!”
Hanamichi rise, tristemente.
“Non mi aspetto niente da voi, niente.. perché la verità è che voi non
avete mai saputo fare niente per me….”
“Non osate parlarmi così! Sono il vostro sposo!” lo riprese duramente
Hanamichi scosse la testa.
“No, non lo siete mai stato veramente ….”
La furia s’impossessò di Kaede.
Come osava denigrarlo?
Come osava far ricadere la colpa su di lui?
Gelidamente fece un passo verso il suo sposo dai capelli rossi ed aprì le
braccia.
“Avanti!! Ditemi allora, cosa dovrei fare per farvi finalmente tacere?
Cosa? Volete avere rapporti con me? Va bene, venite qui, avanti!”
Hanamichi si sentì attraversare da un brivido di freddo e si ritrasse.
Ma Kaede lo afferrò per una mano, improvvisamente, e lo spinse verso il
grande letto.
“Lasciatemi!! Lasciatemi!!! Come osate?” gridò Hanamichi
Kaede si stese su di lui, guardandolo con esasperazione.
“Non era questo che volevate?”
Hanamichi tentò di divincolarsi.
Urlando con tutto il fiato che aveva in gola.
Il terrore negli occhi.
“NO! NO! LASCIATEMI! LASCIATEMI! NON OSATE TOCCARMI!!”
Il granduca non fece nessun altro movimento.
Si spostò verso il centro della stanza, lasciando il suo sposo
rannicchiato sulla grande coperta.
Con voce flebile, Hanamichi fece uscire un mormorio irrimediabilmente
spezzato.
“Cosa …cosa volevate farmi? Esercitare i vostri diritti su di me con
forza, con violenza?”
Lo supplicò con vero dolore, la prima ed unica volta in vita sua.
“Vi prego……. ripudiatemi……… fatelo… fatemi tornare ai miei boschi………. in
quel luogo dove sapevo sorridere ……….in quel luogo dov'ero felice.... ve
ne prego…. Rukawa….”
Ma Kaede non rispose al suo appello accorato.
Lo guardò.
Steso su quel letto.
Il viso distolto.
E mormorò.
“Mi ritiro nello studio”
E velocemente se ne andò.
Hanamichi resistette fino a quando non lo vide chiudere la porta, poi
scoppiò in singhiozzi.
Stringendo le coperte fino a farsi male, pianse buona parte della notte.
Da solo, con la tiepida luce della candela in quello studio freddo, Rukawa
si prese la testa fra le mani.
Lo aveva sentito piangere e ne era dispiaciuto.
Ringraziava gli dei di essersi fermato.
Era un uomo di nobili principi, se fosse andato fino in fondo non si
sarebbe mai perdonato per avergli usato violenza.
Eppure quel ragazzo riusciva a fargli fare cose incredibili.
Sapeva fargli perdere gelo e freddezza in un istante, sapeva irritarlo
come nessun altro.
E nonostante tutto, ancora non lo capiva.
Non riusciva a comprendere cosa si aspettasse da lui.
Di cosa avesse bisogno.
E continuava a sbagliare.
E sapeva anche che il giorno dopo nessuno di loro avrebbe chiesto scusa e
che avrebbe dimenticato persino di essersi sentito dispiaciuto per il suo
sposo.
*
Hanamichi riposò fino a giorno inoltrato.
Non vide il granduca e non lo cercò affatto.
Tremava al solo ricordo di come il suo sposo lo aveva afferrato e gettato
sul letto.
E poi si era fermato.
Ma lui era già così spaventato che non aveva potuto resistere.
Era scoppiato in lacrime.
L’unica consolazione era che almeno il granduca, in quei momenti, era già
andato via.
Come aveva potuto il suo sposo anche solo pensare che lui avrebbe accolto
con gioia una simile, umiliante, proposta??
Fare …fare l’amore per …cosa?
Per dovere?
Come ultimo tentativo?
Mai.
Mai.
Il ragazzo dai capelli rossi rimase in stanza tutto il giorno, immobile
sul canapè, distrutto dai pensieri.
Non gli rimanevano ormai molti motivi per cui sentirsi utile.
Non aveva l’amore del suo sposo.
E non lo avrebbe avuto mai.
Non aveva amici.
Non aveva la stima dei nobili di corte.
Non aveva praticamente niente.
*
Kenji Fujima di Elder leggeva quanto vergato su una pergamena, semidisteso
su un piccolo canapè in un angolo assolato della sua stanza.
Gli occhi fissi su una frase che lo preoccupava enormemente.
Una ben definita sensazione di soffocante ansietà lo colse.
Era così perso in quella malinconica riflessione che non si accorse della
porta che si apriva e si ritrovò attorno le braccia di Akira Sendoh
improvvisamente.
Lanciò un mezzo grido, tranquillizzandosi subito dopo fra le risate
leggere del suo sposo.
Ma poi, veloce come le nubi nel cielo, tornò quel velo profondo di timore
sul suo viso.
Akira si fece serio.
Gli sollevò il volto con una mano e chiese.
“Cosa vi angustia, mio devoto consorte?”
Kenji distolse gli occhi dai suoi e parlò.
“Sono preoccupato, amore mio, preoccupato per il mio amico Sakuragi Rukawa
di Faulkner..”
“Perché? Vi ha scritto brutte notizie?”
“Non con precisione, ma so, sento, che si trova in una condizione fragile,
precaria….temo possa commettere qualche sciocchezza….temo per lui…”
Akira gli accarezzò i capelli.
“Forse si tratta di un brutto periodo, magari quando vi ha scritto aveva
appena discusso con il suo sposo, succede, non preoccupatevene troppo,
rispondetegli velocemente, incoraggiatelo, mi è sembrato un ragazzo forte
e determinato, sono certo che ne uscirà nel migliore dei modi….”
E baciò Kenji.
Dolcemente.
Il ragazzo dai capelli castani sorrise teneramente.
E guardò con assoluto amore il suo compagno.
“Mi chiedo ancora quanto bene abbia fatto, io, nella mia vita passata, per
meritarmi un uomo come voi, Akira…..”disse lui dagli occhi castani
Sendoh rise, lo baciò di nuovo e lo lasciò alla sua lettera.
Nuovamente solo sul canapè Kenji non riuscì, nonostante tutto, a sentirsi
completamente tranquillo, rileggeva quella frase, quella frase disperata,
sicuramente intima, quella confessione dolorosa di cui lui aveva capito i
tragici risvolti.
<<..Quale amore, Kenji, quale amore?
Di cosa mi hai parlato?
Di cosa mi hai illuso?
Dopo ben tre mesi di matrimonio il mio corpo ed il mio cuore sono ancora
vergini…..quale amore?
Nessun amore, Kenji.
Nessun amore, nessun desiderio……
..ed io non ho più, ormai, alcun sentimento….>>
*
Passarono due giorni.
Mito assisteva ormai impotente alla crisi fra i suoi signori e se ne
doleva ogni giorno di più, ma non aveva il potere di fare niente.
Hanamichi spesso non cenava nemmeno con il granduca.
Fingeva continui malesseri e si rinchiudeva nelle proprie stanze a leggere
o in quella camera verdepanna a guardare il bosco.
Adorava quella stanza, ormai lo sapevano tutti.
Ma nessuno se ne interessava.
Gli unici momenti in cui lo sposo reale sembrava riprendere vita erano le
discussioni, che ancora portava avanti, con il granduca sul progetto di
ridimensionamento dei boschi del sud.
Hanamichi faceva di tutto per tentare di convincere Rukawa che potevano
trovare una soluzione alternativa al disboscamento.
Selvaggina, legname, frutta, pesci, resina, canne lacustri e bacche.
Il giovane conte sapeva quanto fornisse e quanto fosse importante quella
parte di bosco per i contadini dei villaggi e, se nella reggia nessuno
sembrava aver bisogno di lui, avrebbe almeno fatto qualcosa di buono per
la sua gente.
Ma Rukawa era come sordo alle sue parole.
Rispondeva che non avrebbe accantonato il progetto, senza averne uno
migliore.
Allora Hanamichi aveva preso delle carte e le aveva studiate, conosceva
perfettamente la geografia di quei terreni ed individuò, tracciandole,
almeno due vie migliori di quelle che il granduca aveva in mente di
edificare sul nuovo terreno.
Sorridendo si avviò quindi verso lo studio del suo sposo, ansioso di farlo
ricredere.
Stava quindi per bussare, quando udì delle voci venire verso di sé.
Ne riconobbe una, era quella del suo sposo, l’altra sembrava appartenere
ad un nobile.
Hanamichi si nascose dietro una statua.
E li vide.
Rukawa, suo consorte, ed il duca di Lönn.
Arrivò al suo orecchio un frammento di conversazione.
“Gira voce che il vostro sposo si stia adoperando con tutte le sue forze
per ostacolare il nostro progetto a favore dell’economia del paese…devo
credere a tali pettegolezzi?”
“Date loro il giusto peso, cosa volete che ne sappia uno come il mio
consorte, inesperto e frivolo, di affari di stato?.. Entrate dunque,
concludiamo questo trattato”
‘…..cosa volete che ne sappia uno come il mio consorte, inesperto e
frivolo, di affari di stato…?’
‘inesperto e frivolo’
Ecco tutta la considerazione che aveva per lui Rukawa.
L’uomo che avrebbe dovuto avuto amarlo e rispettarlo lo riteneva sciocco e
frivolo, inesperto.
Hanamichi andò via lentamente.
Nei corridoi deserti.
Stracciò tutte le carte e si rannicchiò sul canapè.
Non sarebbe mai voluto arrivare a tanto, ma vi era oramai costretto.
Tutto ciò non era tollerabile oltre.
*
Quella notte stessa Hanamichi si coricò presto, ma rimase sveglio a lungo,
molto a lungo.
Il suono del vento che spirava, congelando la pianura poco distante, lo
accompagnava nelle sue molteplici riflessioni notturne.
Sentì quindi arrivare Rukawa, lo sentì stendersi ed addormentarsi.
Si sollevò allora più tardi e nella luce incerta e rosata della pre-alba
lo guardò.
Il suo sposo.
La sua splendida bellezza.
La rigidità della piega delle sue labbra.
Le sue ciglia lunghe e nere come i suoi capelli.
Lo ammirò silenziosamente, dolendosi di aver potuto vedere di lui solo la
bellezza esterna.
Ma forse non era la persona adatta per lui.
Forse doveva ancora arrivare colui che gli avrebbe aperto il cuore e che
ne avrebbe tirato fuori la vera beltà d’animo.
Allungò silenziosissimo una mano e la posò dolcemente su quei fili neri di
seta che erano i suoi capelli, certo che non lo avrebbe svegliato per così
poco.
Gli regalò una piccola, tenera carezza e poi si ritrasse.
Si sentiva infinitamente triste.
Ancora più di quanto non lo fosse stato in quei mesi e si alzò.
La stalla era deserta.
Sauser nitrì piano nel vederlo.
Hanamichi sistemò la sella, salì con un unico fluido movimento e partì al
galoppo.
Verso la libertà.
Continua...
Coro:Grande Hana!!!!!!Fagliela
pagare!!!!!Sììììììì!
Avviso:
I pg
risentono dell'ambiente settecentesco in cui sono inseriti...so che molti
vorrebbero vedere, sopratutto a questo punto della storia, Hana uccidere
tutti quegli imbecilli a testate, anch'io avrei optato per un massacro, ma
non era fattibile....chiedo perdono se risulteranno un po' OOC.....
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