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Pairing:RuHana
Raiting:PG lievemente angst
Buon RuHana Day a tutte!!!!!
Asche
di Mel
parte II
La sera dopo il palazzo risplendeva di migliaia di luci e riflessi di
cristalli preziosi.
La seta cangiante degli abiti delle nobildonne gareggiava in morbidezza
con le piume di pavone dei ventagli.
Gli sguardi s’incrociavano e si lasciavano.
Le mani si salutavano e si allontanavano.
I sorrisi comparivano e scomparivano.
Con la stessa rapidità che solo la falsa cortesia esercitata da anni
permette.
E Hanamichi si guardò intorno, mestamente.
E d’improvviso se lo chiese.
Cosa ci faceva lì?
Si accostò ad una finestra.
Finalmente il giro di obbligati saluti ed inchini, immancabilmente
ordinatogli dal suo sposo, era terminato.
Ed ora la vetrata sul giardino sembrava un ottimo espediente per
rilassarsi, e tentare di non udire il rimbombante manto di voci e note che
lo stordiva.
Lasciò vagare lo sguardo fino al limite più lontano che i suoi occhi
potessero raggiungere.
Incontrò le dolci colline e lo sguardo nero della notte.
Poi la sua attenzione fu attirata dai riflessi sul vetro.
Attraverso quello specchio improvvisato ed un po’ distorto, poteva vedere
quasi tutti i nobili alle sue spalle senza doversi voltare.
Li osservò a tratti, in certi momenti volgendo lo sguardo alle sagome
delle cime degli alberi lontani.
Com’erano vuote le risate che vedeva sui loro visi.
La bocca si piegava, come a comando, ma gli occhi rimanevano
inespressivi.
Pieni di boria e superiorità.
Mascheroni di alterigia ed orgoglio.
Luci vanesie e superbie in fondo agli animi.
Non importava di che colore fossero le iridi.
Il nero, il marrone, ma anche il verde e persino il celeste chiaro.
Tutti.
Tutti venivano coperti e riempiti di avidità nel parlare di soldi e
titoli.
Tutti.
Saturi di brama.
Di chi vuole e non pensa agli altri.
Di chi tenta una scalata verso l’alto senza esitare a mettere
sull’assegno anche la propria dignità come caparra.
Dame sobrie all’apparenza, ma dall’anima discinta come i loro vestiti
durante le notti.
Giovani millantatori e saccenti, con le loro rispettabilissime mani
guantate in loschi affari di cui amavano discorrere sottovoce con aria
malvagia.
Dei, che disgusto.
Hanamichi strinse una mano.
Un’insofferenza acre si dipinse nella sua mente, scendendo nel suo cuore.
Si volse quindi, con nervosismo.
Avrebbe cercato il proprio sposo.
Avrebbe comunicato al granduca che si sentiva indisposto e che si sarebbe
ritirato.
Poi lo avrebbe aspettato in camera o nello studio ed avrebbe finalmente
parlato con lui.
Avrebbe chiarito i suoi dubbi, risolto i suoi, i loro problemi, appianato
la situazione.
Sorriso, forse abbracciato.
Lo sperava.
Ma adesso voleva solo andare via e togliersi dalla mente quei visi senza
morale e quegli occhi sporchi d’avarizia.
Avanzò velocemente per non essere fermato.
Poco dopo, scorse finalmente Rukawa.
Lo affiancò.
“Consorte, io..”
Un sibilo freddo.
“Non adesso, sono in conversazione”
Hanamichi tacque, mentre due occhi slavati lo guardavano da sotto le
sopracciglia canute.
L’anziano nobile con cui il granduca discorreva doveva essere di una
famiglia molto altolocata.
Uno dei pilastri dell’economia del paese.
Il bastone dorato tenuto con autorità sotto le dita secche e lunghe
riluceva di cattiveria.
Il ragazzo dai capelli rossi rimase fermo accanto allo sposo.
“Altezza, spero accetterete quindi il mio invito per domani. Ho da
presentarvi un progetto ambizioso. Il principato di Faulkner necessita di
nuove strade, di nuovi edifici, di nuove relazioni commerciali. Le nostre
città devono essere ampliate, la scienza ha bisogno di posti dove sorgere
ed essere coltivata, la vecchia Europa brulica di menti geniali, anche se
ciò ci costasse l’abbattimento delle ampie foreste a sud noi abbiamo il
dovere di…”
“No! Non potete assolutamente distruggere una faggeta così bella per….”
s’intromise sconvolto Hanamichi
I boschi a sud erano i suoi boschi.
I boschi dov’era nato e cresciuto.
Improvvisamente venne interrotto.
Prima uno sguardo duro, pieno d’irritazione, subito dopo una voce
profonda e piena di supremazia.
L’anziano nobile si rivolse al granduca.
“Altezza, vi suggerisco con tutto rispetto d’insegnare al vostro sposo
l’educazione che si conviene al suo ‘nuovo’ rango, soprattutto il silenzio
quando non gli sia direttamente richiesta un’opinione”
Hanamichi si lasciò ad un’espressione incredula.
Incredibilmente non disse niente, mentre volgeva lo sguardo al proprio
sposo.
In un angolo della sua mente, della sua anima, credeva, sperava che
Rukawa avrebbe detto qualcosa.
Qualsiasi cosa.
Perciò attese, ancora un attimo, prima di rispondere adeguatamente a
quell’insulto.
E Rukawa parlò.
“Vi ringrazio per il suggerimento, lo terrò in ampia considerazione, duca
di Lönn, spero perdonerete la sua maleducata inesperienza, vogliate
scusarmi adesso, continueremo la nostra conversazione domani nella vostra
dimora, accetto con piacere il vostro invito”
E regalando un altro, sprezzante, sguardo al giovane conte dai capelli di
fuoco il vecchio duca si congedò.
Mentre un velo di aghi affilati cadeva a peso morto sul cuore di quel
ragazzo dagli enormi occhi nocciola.
Nel silenzio più completo sembrò lieve come il rotolare di una lacrima.
E nessuno lo vide, né lo udì.
Persa tutta la voglia di gridare, di rispondere, di difendersi, Hanamichi
si ritrovò a fissare il vuoto.
Mentre il granduca freddamente lo redarguiva.
“Spero non vogliate, sposo, farmi vergognare in futuro davanti a tutti
con altre simili avventatezze, cosa volevate prima?”
Ed il giovane dagli occhi nocciola si sforzò di far uscire quel filo
aggrovigliato di voce che gli graffiava la gola, che lo soffocava.
“Volevo …dirvi ..che mi ritiro.. perché inizio a sentirmi indisposto..”
L’impassibile gelidità di quella pelle marmorea non mutò.
“Come volete, andate pure”
Ed il suo sposo non poté che fare come aveva detto, lentamente.
Salendo le scale….
…nh…ma guarda….
………………….ancora solo.
*
La mattina giunse grigia come l’aria e la terra.
Una tela monocromatica che adesso Hanamichi si rifiutava completamente di
vedere dalle finestre aperte.
La colazione venne servita puntualmente alle dieci ed i due giovani sposi
mangiarono in silenzio.
Poco dopo, il granduca si alzò.
Rivolgendosi a Mito ordinò.
“Preparami una carrozza, il duca di Lönn mi attende”
Subito Yohei uscì per eseguire quelle istruzioni, mentre il giovane Rukawa
si stendeva il mantello sulle spalle, coprendo la splendida redingote
neroblu.
“Non…distruggete i boschi …..a sud, ve ne prego” si sentì nel silenzio di
quella stanza enorme
Rukawa si volse ed incontrò la figura alzata del proprio sposo, stagliata
contro le finestre.
Il viso serio, la voce calma, ma piena di…. sentimento?
Rukawa alzò un sopracciglio.
Erano davvero così importanti quegli alberi?
Tanto da convincere il suo consorte a rivolgergli così umilmente la
parola?
La quiete stantia rispose riempiendosi d’aspettativa.
Il granduca si volse nuovamente, diretto all’imponente porta scura.
“Non so che dirvi, se sarà necessario per il bene dell’economia del paese,
lo farò”
E così mormorando, se ne andò.
Ed Hanamichi, rimasto, ancora, dopo tutto, solo, abbassò il viso.
Sentendosi realmente inutile.
Insignificante.
Non solo la sua presenza passava inosservata notte dopo notte, in quel
letto che avrebbero dovuto dividere anche per amarsi, ma persino la sua
parola, i suoi desideri, la sua tristezza.
Tutto ignorato.
Sempre.
Completamente… dolorosamente.. ignorato.
Il granduca salì sulla carrozza e, mentre Mito stava per chiudere
cortesemente lo sportello, egli lo fermò.
“Dimenticavo, contatta un precettore, il migliore, il mio sposo ha
necessità d’ampliare le sue conoscenze sull’etichetta che vige a corte”
“Me ne occuperò personalmente, Altezza, siatene certo”
“Bene, cocchiere!Partiamo..”
E se ne andò.
Pensando un po’ a tutto, un po’ a niente.
Mentre proprio le cime degli alberi lo accompagnavano, segnando il margine
del tracciato che i cavalli seguivano fedelmente.
Non capiva quello sposo.
Aveva scelto fra tutti quel ragazzo dall’aria così semplice proprio per
non avere problemi, e adesso….
No.
Non aveva tempo per simili vaneggiamenti e per ipotizzare evenienze.
Il principato di Faulkner necessitava di un continuo, duro lavoro.
L’economia era a terra, la miseria non sembrava lontana, il popolo
chiedeva pace e pane.
A lui cosa doveva importare di quattro alberi ed uno sposo dai capelli
rossi?
Non molto, cercò di rispondersi.
Non molto.
Senza più trovare una ragione per piegare in un sorriso le sue belle
labbra piene, Hanamichi vagò a lungo nella villa immensa.
I corridoi solitari stranamente lo confortavano.
Da qualche giorno, gli sguardi dei nobili lo disgustavano.
Se ne sentiva oggetto e non gli piaceva.
Lentamente scese una splendida scalinata secondaria e si perse nella
contemplazione di una porta trilobata che dava sul retro del rigoglioso
giardino.
Improvvisamente, un nitrito non molto lontano lo svegliò dal torpore di
tristi pensieri in cui era caduto.
Velocemente oltrepassò la porta e girò un angolo.
Poco più in là scorse, con occhi sorpresi, uno splendido sauro impennato
che nitriva libero al vento.
I crini neri come la brace spenta, il manto lucido e morbido, gli zoccoli
forti e larghi.
Hanamichi sentì il proprio animo rallegrarsi.
Dopo i boschi, ciò che amava di più erano i cavalli.
Così forti e liberi.
Gli ricordavano, con un misto di nostalgia e rimpianto, il suo passato di
ragazzo spensierato.
Rappresentavano la volontà di essere liberi.
E lui era oramai stanco di sentirsi triste e vuoto.
Corse quindi vicino allo splendido animale e con mano cauta, ma ferma, ne
afferrò le briglie e pian piano lo calmò.
Una voce raggiunse i due.
“Sauser!!!”
Hanamichi si volse quindi verso il proprietario di quella voce e vide un
ragazzo alto dai capelli neri, gli occhi scuri ed una piccola cicatrice
sul mento.
“Ah!Perdonate, questo cavallo testardo vi ha forse arrecato disturbo???”
E lo sconosciuto sorrise.
Sinceramente dispiaciuto.
Un sorriso vero.
Nessuna maschera, nessun cerone.
Non occhi indifferenti.
Un sorriso vero.
Ed anche Hanamichi finalmente sorrise.
Il pomeriggio trascorse per la prima volta dopo giorni, veloce.
Il cielo imbruniva verso occidente.
Ed Hanamichi rideva e scherzava.
Con lo stalliere del granduca, il giovane Mitsui.
Ed al conte dai capelli di fiamma sembrò di essere tornato indietro.
Al tempo in cui aveva ancora degli amici, al tempo in cui rideva ogni
giorno e non sentiva il peso della tristezza.
Al giorno in cui aveva ancora attorno qualcuno che lo ascoltava, che gli
rispondeva, che gli sorrideva.
E ne fu così felice.
Mito si guardò attorno.
Non trovava lo sposo del granduca da nessuna parte.
Aveva girato la reggia per ore, ma niente.
Improvvisamente sentì la sua voce portata dal vento e la seguì.
Lo trovò poco più in là, accanto ad un calesse, impegnato a discorrere.
“E questa cicatrice come te la sei fatta??”
“Oh, non ci crederete…un baio, piccolo ma terribile, lo stavo ferrando
quando ha fatto partire l’altro zoccolo per esprimermi il concetto di un
chiodo messo male, da quel giorno, giuro, ho imparato a ferrare a
dovere….”
“Ah ah ah”
Ed era una splendida risata.
Sincera.
Pura.
Raramente Mito si era trovato ad udirne fra i nobili, alle feste.
E mai ne aveva sentite nelle stanze del suo granduca.
Che potesse essere un buon segno?
Lentamente si accostò ai due giovani intenti nel parlare.
Con un basso colpo di tosse ebbe infine la loro attenzione.
“Altezza, il granduca vi attende per cenare con il suo sposo, spero non
vorrete farlo aspettare ancora”
E gli occhi scuri di Mitsui si sgranarono.
Si volse quindi di scatto verso il ragazzo dai capelli rossi.
“Voi… voi… siete……oh, Dio… perdonatemi Altezza… io sicuramente vi avrò …..
non sapevo….. avevate detto che……”
Hanamichi sorrise.
Una nota triste, questa volta, notò Yohei.
“Non te ne preoccupare in alcun modo, è stato un bellissimo pomeriggio, in
fondo era vero che avevo parenti in questa villa, no?”
Lo stalliere non rispose.
“Bene, spero di poter tornare da te, domani, ho ancora tanto da chiederti
su quel sauro nero, ti troverò?”
Mitsui alzò il viso pulito, sorridendo nuovamente.
“Ma certo, vostra Altezza, sarò qui a vostra disposizione, sempre”
“Grazie”
E così dicendo, seguì Mito giungendo alle soglie della suntuosa tavola.
Ed ogni ombra di sorriso gli morì sulle labbra nello stesso istante in cui
incontrò gli occhi di ghiaccio del proprio sposo.
In silenzio, Mito osservò con malinconia quel cambiamento, e mesto si
allontanò per tornare alle proprie mansioni.
Durante la sera, Rukawa si chiuse nello studio per stilare trattati e
leggi mentre, memore del pomeriggio serenamente trascorso, Hanamichi
decise d’ignorare la solita insofferenza che si sentiva crescere dentro al
calar delle tenebre.
La notte s’appressava dolcemente ed il devoto servitore dai capelli neri
bussò discretamente alla camera nuziale.
Con poche, semplici parole, avvertì il giovane conte che si era preso la
libertà di preparare nel piccolo boudoir due calici di liquore caldo per i
suoi signori e dunque lo invitò a recarvisi per
trascorrere del tempo davanti al camino.
Sorridendo per quella gentilezza, Hanamichi accettò e, preso il libro che
stava distrattamente sfogliando, entrò nel bellissimo salottino pieno di
riflessi di fiamma e si sedé di fronte al suo sposo.
Compiaciuto che entrambi i suoi signori avessero accettato il suo invito,
Mito restò nell’ombra, sperando sinceramente che anche il fuoco caldo
facesse la sua parte nello sciogliere il gelo che stringeva tristemente
quelle due anime, fin dal primo giorno di nozze.
Sperò che il liquore favorisse il dialogo, che il calore e l’intimità
divenissero sera dopo sera una dimensione solo loro, dove gettare le basi
di una relazione duratura.
Ma adesso solo il silenzio accoglieva l’incedere delle prime ore notturne.
Mentre il liquore scivolava nella gola, scaldando, Hanamichi lasciò vagare
il pensiero.
Forse avrebbe dovuto dire qualche parola, ma a che scopo?
Al suo regale consorte le sue frasi non interessavano, né le sue
richieste, né i suoi commenti, no?
Perché perdere tempo?
Aprì il libro e lesse l’ultimo sonetto che completava la pagina.
Perso a rincorrere invece ben altre parole vergate, Rukawa lasciava
correre gli occhi su un disegno di legge che necessitava di alcune
modifiche.
E vana fu l’attesa di Mito quella sera.
Nessuno parlò.
Gli occhi non s’incontrarono, gli animi si tennero uno debitamente lontano
dall’altro.
E senza dire niente di più di un ‘Vogliate scusarmi’ il ragazzo dagli
splendidi capelli rossi andò a riposare.
Solo.
L’alba seguente, accompagnato dal suo fedele maggiordomo, Rukawa si
preparava ad uscire, per incontrare altri nobili illustri con i quali
accordarsi per una divisione d’eredità, camminando indolentemente per i
lunghi corridoi alabastrini.
Da qualche istante di troppo, si sentiva come ..osservato.
Volse la testa in tempo per scorgere gli occhi scuri di Yohei sondarlo.
“Parla, cosa pensi?”
Mito sorrise fra sé.
“Vostra Altezza, ieri sera nel boudoir forse il vostro sposo attendeva una
vostra parola per iniziare a discorrere con voi”
“Aveva un libro in mano”
“Ciò non gli avrebbe impedito di chiuderlo, nel momento in cui lo
invitavate a parlare”
Il granduca si fermò.
“Cosa intendi dire?”
“Sono passate più di due settimane dalle vostre nozze, Altezza, eppure
ancora il vostro rapporto con il giovane sposo non….”
“Basta così, ho capito! Eppure pensavo fosse chiaro soprattutto a te, che
mi conosci, le mie nozze sono state un’imposizione necessaria, non ho mai
desiderato approfondire alcun tipo di rapporto, ho altre importanti
priorità”
Mito ebbe allora l’ardire di fissare i propri occhi in quelli del suo
padrone.
“Niente vi vieta di fare di un’imposizione una piacevole realtà, Altezza,
ricordate, voi potete tutto, basterà volerlo”
E senza dire niente, Rukawa ricambiò il suo sguardo sincero.
Poi fece un passo avanti e s’incamminò nuovamente.
Ma Mito fu certo che ci avrebbe pensato.
Hanamichi si destò presto.
Adorava alzarsi avendo finalmente uno scopo.
Lo stalliere lo aspettava e la prospettiva di un’altra stimolante
conversazione lo rendeva felice.
Si preparò e scese in fretta.
Ed il tempo trascorse nuovamente sereno, lì, al limitare della tenuta,
dove si vedevano già i primi alberi vicini, dove c’era odore di legno e
fieno, dove sembrava veramente primavera.
Il pomeriggio invece arrivò lentamente, scivolando fra i raggi pallidi di
un sole ancora malato d’inverno.
Mito fermò dunque il conte.
“Altezza, oggi il vostro nuovo precettore vi attende nella sala di
lettura, sarebbe scortese farlo aspettare ancora a lungo, ne convenite?”
“Precettore?” chiese sorpreso Hanamichi
“Sì, sua Altezza il granduca ha dato disposizioni precise, affinché fosse
fatto chiamare il miglior maestro di buone maniere di tutto il principato”
“Capisco”
Ed il suo sguardo si tinse di nero un istante, mentre i ricordi si
fermavano alla sera dell’ultimo ricevimento, all’offesa che il suo sposo
non aveva lavato via, al rancore di sentirsi etichettare come ‘uno che non
sa stare al proprio posto’.
Ed ora non solo pensieri, ma anche fatti.
Che -per il granduca- lui non fosse che un inetto senza educazione era
adesso chiaro persino agli stucchi dorati delle pareti.
Chiamare un precettore.
Per lui.
Tsk!
In silenzio, Mito accompagnò il giovane dai capelli rossi fin alle soglie
di un sala piena di libri rilegati e si congedò.
Fu dopo le presentazioni, quel giorno stesso, che ebbe inizio la guerra
fra Hanamichi ed il suo maestro.
La sera, il giovane conte si lasciò andare sul piccolo canapè, sospirando
esausto.
Quell’uomo non era il migliore precettore del principato, era un folle!!!!
Non si erano nemmeno presentati che subito il severo, basso omuncolo aveva
iniziato ad elencare testi e materie.
Pretendeva che lui ricordasse a memoria l’intera genealogia del casato al
quale adesso apparteneva.
Gli aveva messo davanti tomi enormi e gli aveva ordinato di leggerli ed
impararli.
Testi di diritto, di filosofia, di francese, di letteratura, di scienze.
E dopo ore di quella tortura aveva iniziato un corso sul galateo durante i
ricevimenti.
Esercizi di portamento, esercizi di conversazione, esercizi di danza.
Dei del cielo!!!!
Era stanchissimo.
Ma se quell’omuncolino pensava che lui, il giorno dopo, si sarebbe fatto
tormentare allo stesso modo.. non era solo folle, ma anche visionario!
E mentre giurava vendetta con il pugno alzato, sentì il rumore soffuso
della porta.
Il granduca era tornato.
Fu come se un mantello di silenzio scendesse sulla stanza e sugli animi.
Nessuno suono.
Rukawa doveva sicuramente essere stato informato dell’arrivo del
precettore che aveva richiesto.
Ma dalla sua bocca non uscì nemmeno una domanda gentile.
Né un ‘Come è andata?’
Né un ‘Come vi siete trovato?’
Tantomeno un ‘Cosa avete fatto oggi?’
Niente.
Così come dalla sua non uscì alcun saluto.
Né un ‘Bentornato’
Né un sorriso.
Apatia.
Senza arrendersi, anche quella sera, Mito preparò per i suoi signori il
piccolo, accogliente boudoir.
Forse oggi, dopo le parole scambiate nel corridoio con il granduca,
qualcosa sarebbe finalmente cambiato.
I due giovani si sedettero separatamente.
Yohei sospirò, ma si disse di pazientare, ci sarebbe voluto ancora del
tempo prima di vederli uno accanto all’altro, teneramente abbracciati.
Il silenzio li accompagnava ancora.
Deciso a non cedere, Mito diede un leggero colpetto di tosse, osservando
con la coda dell’occhio il suo padrone.
Rukawa intuì e sospirando si risolse ad ascoltare il suo consiglio.
In fondo, aveva un servitore appunto per farsi consigliare, non che ne
avesse bisogno, certo, ma una mente in più era sempre un altro punto di
vista che poteva risultare utile.
“Nh….il progetto del duca di Lönn verrà ridimensionato, toccherà solo
l’estremo sud, ma in fondo è un buon progetto, una nuova via commerciale
favorirà l’economia, il sacrificio di qualche ettaro di foresta gioverà al
principato in modo notevole…”
Hanamichi alzò uno sguardo nocciola intarsiato di bruciante oro scuro.
Gli occhi lievemente stretti, il viso teso, contratto.
“Capisco – disse chiudendo il libro di poesie che adorava – vogliate
scusarmi, mi ritiro”
E senza voltarsi augurò una buonanotte a Mito e si congedò.
Un solo sguardo, fra il triste servitore ed il granduca, e per quella sera
il bicchiere di Hanamichi rimase pieno.
*
“Avete visto sua Altezza Hanamichi?” chiese agitatissimo il precettore,
fermando una cameriera
La ragazza scosse velocemente la testa tornando alle proprie mansioni,
mentre scorgeva da lontano Mito.
“Chi cercate con tanto affanno, signor Velius?”
“Oh, signor Mito, ringrazio gli dei, avete per caso idea di dove sia sua
Altezza Hanamichi? Mi aveva domandato un attimo di sospensione dagli studi
per recarsi nella sala da bagno, ma non ha più fatto ritorno…”
“Non credo ci sia da preoccuparsi, ma vi aiuterò ugualmente a cercarlo,
seguitemi”
La ricerca fu lunga e vana.
Il giovane dai capelli rossi sembrava essere sparito.
Mito fu attraversato improvvisamente da un pensiero e ne seguì il filo,
dirigendosi verso le stalle.
Da lontano scorse l’inconfondibile profilo del giovane sposo ed
esasperato, ma sollevato, lo chiamò.
Hanamichi si girò ed il giovane stalliere lo vide sgranare gli occhi.
Un attimo dopo il conte aveva ordinato concitatamente.
“Mitsui presto, un cavallo, fammi fuggire”
E lo stalliere aveva preso al volo le redini del sauro nero e gliele aveva
porte.
“Grazie”
E salendo con un solo ampio ed elegante gesto sul dorso dell’animale, il
giovane dai capelli fulvi era già partito al galoppo, lasciando dietro di
sé solo l’eco del nitrito selvaggio di Sauser.
Il precettore provò a rincorrerlo con un pugno alzato, ma dopo pochissimi
metri si fermò.
Mito incredulo, tentò di trattenersi dal ridere.
Mentre il giovane stalliere si espresse liberamente in una risata piena
d’ilarità.
“Oh, buon Dio, sua Altezza mi farà diventare matto”
“Beh, signor Velius, almeno potrete risparmiarvi i precetti
sull’equitazione, penso vi abbia dato un’ottima prova delle sue capacità”
“Oh sì, ma domani, domani non fuggirà” minacciò il piccolo omuncolo
aggiustandosi gli occhiali
E Mito rise, dolcemente, sentendosi nel petto il perfetto presagio che il
giorno dopo quel piccolo uomo erudito avrebbe perso di nuovo, contro
l’esuberanza di sua Altezza.
Il vento fra i capelli, il verde negli occhi, l’odore forte e speziato del
sottobosco, il suono della terra calpestata dagli zoccoli, l’aria dolce
dei boschi e dei prati.
Hanamichi galoppò a lungo.
Gli occhi fissi verso quel cielo, che a sud sembrava più azzurro di quel
grigio opalescente a cui era costretto da ormai troppo tempo.
Ed in breve fu sera.
Il tramonto incendiò l’orizzonte ed il giovane sposo fece ritorno alla
villa granducale, riportando Sauser fra le mani esperte dello stalliere.
Uno sguardo complice, un altro ‘grazie’ sussurrato in un sorriso, ed
Hanamichi entrò nella grande casa felice dopo tanto tempo, con ancora nel
cuore le immagini della splendida prateria su cui aveva corso tutto il
pomeriggio.
Furono giorni uguali ai precedenti, ma forse solo un po’ più sereni.
Rukawa era spesso lontano e Hanamichi proseguiva la sua personale lotta
alle istituzioni.
Ogni giorno pensava ad una scusa diversa, che fosse quella di voler
osservare da vicino le piante di cui studiava, che fosse quella di voler
aprire le finestre, che fosse quella di avere sete, di avere caldo, di
avere un lieve mal di testa.
Qualsiasi cosa.
E bastava che quel piccolo, oramai disperato, omino perdesse un solo
attimo la concentrazione e la severità, che le lezioni potevano
considerasi concluse per quel giorno.
Ed era come un giocare a nascondino.
Così facile in quel palazzo enorme.
Bastava entrare in una stanza qualsiasi e non farsi vedere.
Poteva nascondersi nelle stalle, dietro i cavalli o nelle serre.
Nel bosco, partendo la mattina presto con Sauser o sui terrazzi, tenendosi
lontano dalle ampie vetrate.
Ed i giorni in cui non riusciva a fuggire erano comunque impiegati bene
nel far ammattire quell’uomo.
Come durante la lezione di portamento.
Tutti quei libri pesanti sulla testa.
“Datemi il vostro, maestro, sembra più piccolo, dovrò fare più attenzione
per portarlo”
“Badate Altezza, state lontano dalla fontana, vi ho appuntato sopra tutto
il programma che dobbiamo svolgere, vi ho lavorato tre notti e …..”
“Oh, perdonatemi signor Velius, è caduto nell’acqua, non volevo”
Come durante le lezioni di scienze.
“Bene oggi studierete la fauna del …”
“Cavalli avevamo detto”
“Ma non avevamo trattato l’altro giorno questo argomento?”
“No, sbaglia, oggi si era raccomandato di spiegarmi le razze e le
caratteristiche …”
“Altezza, non giocate con la mia memoria, sapete come sia difficile tenere
tutto a mente…”
“Beh, un argomento vale l’altro, è sempre qualcosa in più”
“Vostra Altezza non insistete, sapete già tutto sui cavalli, nel vostro
prossimo futuro governerete un popolo di persone, non di cavalli!!
Prendete il libro di diritto!”
E quel giocare lo divertiva, lo riempiva di vitalità, permetteva ai suoi
più bei ricordi di affiorare.
Ed era un pezzettino di felicità.
Forse troppo grande per durare.
Quella sera, dopo un pomeriggio di rinnovata fuga, Hanamichi tornò verso
il crepuscolo, entrando nella sala da pranzo ed osservando subito, senza
più nessun sorriso, il granduca e la lunghissima, grottesca tavola che li
vedeva separati.
Come se poi fossero mai stati insieme veramente.
Si sedé e ringraziò il cameriere che si affrettò a servirlo.
Passò un solo minuto.
E dall’azzurro insondabile di cui erano pieni gli occhi del suo sposo,
Hanamichi capì che qualcosa non andava.
Preparò il cuore ad un’altra ferita ed ignorò la presenza di Mito.
Rukawa posò il calice con un rumore secco, ma sottile.
“Sposo, il vostro precettore si lamenta. Ricordate che lo tengo a corte
per educarvi, non per rincorrervi”
‘Avreste potuto evitarvi tanto disturbo, sposando uno dei nobili di città
così simili a voi’
Lo pensò.
Ma non lo disse.
Rispose semplicemente usando la stessa frase che, al ricevimento, il
granduca aveva usato per ringraziare quel vecchio duca per le offese che
aveva a lui riservato.
“Vi ringrazio per il suggerimento, lo terrò in ampia considerazione”
Pronunciato volutamente in tono lento, con un accento provocatorio sul
quale Mito sperò ardentemente che il granduca passasse sopra.
E la cena si concluse lì.
Passarono poche altre giornate.
La vita proseguiva.
L’estate era arrivata e cavalcava veloce anch’essa, consumando
inesorabilmente il tempo che madre Natura le aveva riservato.
Hanamichi ormai aveva fatto di quella la sua casa, di quelli i suoi
boschi, di Mito e Mitsui i suoi unici amici.
Passava il tempo con loro, quando poteva.
Discorrendo di tutto, amabilmente.
Mentre a sua insaputa le voci correvano per il palazzo, ed i nobili di
città non trovavano di meglio da fare che riempire le loro vuote giornate
di parole sul nuovo sposo.
Fu un giorno come tutti gli altri che, percorrendo una balconata
amplissima, il vento imparziale portò al giovane conte frammenti di una
conversazione che mai avrebbe immaginato d’udire.
“Sentite anche voi quest'odore sgradevole di stalla??”
“Guardate!!È lo sposo di campagna...”
“Sapete? Dicono stia sempre insieme allo stalliere ………”
“Oh sì, invece di rimanere vicino al granduca e presenziare agli incontri
importanti, rimane tutto il giorno nelle stalle...”
“Dicono che trascuri persino lo studio, per passare del tempo con quel
servitore …che tradisca il granduca?”
“Ooh, cosa dite mai? Non può essere…però….se ne siete certo…”
Ed i laghi dolci di Hanamichi, pozzi di tiepido tè scuro, si sgranarono
all’inverosimile, mentre la sua mente ed il suo udito si rifiutavano di
credere.
Con quale viscido tono malizioso insinuavano tali menzogne?
Voltandosi verso di loro, li squadrò lentamente.
Le labbra serrate in un accusa totalmente muta e sdegnata.
Nessuno resse il suo sguardo, e furente come una splendida creatura
fiammeggiante il giovane andò via.
Pochi passi sostenuti e poi si lasciò andare contro una balaustra di
splendido marmo.
Sconvolto, triste e risentito.
Impotente e solo e incerto.
Inesperto.
Dopo l’ira cosa gli rimaneva?
Certo, il suo semplice sguardo non avrebbe fermato quelle voci maledette
che insinuavano calunnie.
E se fossero infine giunte anche al granduca ?
Al suo sposo?
Oh Dio, era dannatamente vero che loro non erano che semi-estranei ancora
l’uno per l’altro, eppure per le sacre leggi del principato erano uniti
indissolubilmente nel vincolo del matrimonio.
Erano sposi.
Ed avevano ognuno l’obbligo di essere devoto all’altro.
Nel bene e nel male.
Mai, mai avrebbe tradito quell’uomo.
Anche se era vero che la compagnia di quello stalliere era più piacevole
di quella del granduca.
Anche se le loro conversazioni erano serene ed interessanti, come i
silenzi di Rukawa non lo erano mai stati.
Anche se, per una volta sola, semplicemente con il pensiero, si era
chiesto come doveva essere l’abbraccio di un uomo, osservando le spalle
forti di quel servitore.
La realtà, la pura e semplice realtà era che, nonostante trovasse tutto
così attraente in quei momenti che passava con quello stalliere, non era
con lui che avrebbe desiderato veramente dividere la vita, né l’amore.
Gli occhi blu, impenetrabili ed insondabili, di quell’uomo dai capelli
d’ebano erano rimasti profondamente incastonati nel suo animo.
E non era la ricerca di una mera avventura la sua priorità.
Hanamichi non desiderava sostituti.
Non aveva mai desiderato semplici amanti o semplice piacere facile
all’uso.
Nelle sue notti non aveva che desiderato immensamente un’unica cosa.
Non aveva che sognato fin da ragazzo che una sola, semplice, dolce parola.
Amore.
E basta.
Si coprì gli occhi con una mano.
E rise.
Ironicamente.
Lui tradire il granduca?
Ma cosa doveva tradire?
La sua indifferenza?
La sua impassibilità?
La sua dannata, rigida, compostezza?
Tradire?
Si tradisce uno sposo a cui si è giurato con le labbra e con il cuore
amore eterno.
Si tradisce uno sposo dal quale si è preso ed al quale si è donato tutto.
Pezzi della loro vita.
Li vedeva.
In tristi parate di tutte le umiliazioni e le solitudini che lui aveva
dovuto subire per colpa di un solo ordine.
‘Sposami’
E Hanamichi pianse una calda lacrima.
Che sciocchi, che stupidi sciocchi vagavano per la reggia…..lui, tradire?
Come poteva tradire un uomo che non lo aveva mai nemmeno voluto?
Che non aveva neanche chiesto in dono, la prima notte, la sua preziosa
verginità?
Come potevano due estranei tradirsi, se in fondo non si conoscevano
nemmeno?
E singhiozzò.
Una volta che fu solo.
Ma con un trasporto intenso e doloroso.
Tanto da sentirsene immediatamente esausto.
E piano si allontanò, rifugiandosi nella stanza verde e panna che gli era
stata data il giorno del suo arrivo, sopra un canapè pieno di enormi
cuscini.
E lì si addormentò.
Durante la cena, il giovane conte celò i propri pensieri ed i propri
timori in un silenzio ancora più profondo di quello che solitamente
avvolgeva i due sposi.
Mito tentò di invitare entrambi nel loro boudoir per il solito calice di
liquore, ma Hanamichi rifiutò congedandosi, adducendo a sua
giustificazione una stanchezza intensa.
Entrò solo nelle proprie stanze nuziali e si coricò in breve.
Aveva sentito su di sé gli occhi scuri di quell’uomo.
Possibile che il granduca … sapesse?
Che quelle voci maledette fossero arrivate fino a lui ed oltre?
Non voleva creare nessuna possibilità di conversazione.
Temeva profondamente che sarebbero giunti anche a quell’argomento e da
lì.. verso una discussione senza fine….
Probabilmente, poi, sarebbe stato ripudiato.
E sarebbe potuto tornare ai suoi boschi.
In fondo, forse, poteva essere una soluzione, pensò, girandosi
insofferentemente fra le coperte ancora fredde.
No.
Ma quale soluzione?
Certo che sarebbe tornato ai suoi boschi!
Ma quale vergogna nel farlo in questo modo?!
Quale disonore avrebbe arrecato alla sua povera e sola madre!
Quale disonore al suo per quanto modesto, ma nobile casato!!
Mai.
L’orgoglio gridava adesso, più forte dei suoi sentimenti.
Non si sarebbe arreso.
Mai.
Mai.
E tristemente ostinato a lottare, si addormentò in un sonno senza alcun
sogno.
Mentre il vento della notte sembrava a chi, come lui, riposa solo, un
cantilena lontana e malinconica.
Un insieme di voci che non avevano, come un sussurro amato, il potere di
rassicurare.
Rukawa avanzò lentamente al buio, una sola debole candela rischiarava i
suoi passi.
Aveva fatto veramente tardi sulle ultime carte ed ora voleva concedersi il
meritato riposo.
Il giorno dopo non aveva impegni urgenti, probabilmente avrebbe avuto del
tempo per seguire le lezioni del suo sposo.
Non che tali attività lo interessassero, ma Mito aveva insistito così
tanto.
Non capiva la testardaggine del suo servitore.
Era chiaro come la luce del pallido sole su Tienne, che loro sarebbero
rimasti sposi solo di nome.
Non c’erano legami.
E non vi era alcuna voglia di crearli.
D’altronde i tempi erano difficili, non era possibile per lui trascurare
gli affari semplicemente per avere ore da dedicare a quel giovane conte
pieno d’esuberanza.
Non si sarebbero mai amati, era meglio convincersene subito.
Il loro matrimonio non era stata che l’attuazione di una mera formalità.
Il loro unico scopo era quello di annunciare un erede ed educarlo.
Poco importava che delle voci cominciassero a girare nella reggia.
Il tradimento era una cosa comune.
A lui in fondo non interessava.
Poco importava anche che criticassero le origini dello sposo da lui
scelto.
Fin da piccolo, aveva sempre avuta ben chiara una cosa, il granduca
Rukawa.
I nobili, di ogni luogo, casato ed origini, non erano altro che esseri
umani particolarmente egoisti.
Annoiati dagli agi, senza nulla di elevato e virtuoso a cui pensare,
provavano divertimento unicamente in quelle continue frivolezze che erano
i pettegolezzi.
E certo uno sposo di ceto inferiore non poteva che essere sembrata una
stranezza.
E subito tutti si erano chiesti ed avevano parlato e creduto ed
ipotizzato.
Ma in fondo erano tutte cose prive di valore.
Rukawa si stese nel letto, dal suo ampio lato e, spenta la candela insieme
a tutti gli altri pensieri, si lasciò alle braccia di Morfeo.
Il mattino seguente il sole splendeva alto.
Hanamichi si destò presto.
Stese le braccia intorpidite dalla lunga inattività notturna e soffocò uno
sbadiglio leggero.
Poi, lentamente volse il viso.
A pochi centimetri da lui, fra le coperte arruffate e candide, il granduca
riposava ancora.
Che stranezza.
Di solito il suo nobile sposo si svegliava ancora prima di lui, per
ottemperare ai propri doveri di regnante.
Hanamichi sbuffò.
Sembrava più… avvicinabile… nel sonno.
Privo di quel cipiglio perennemente altero e gelido.
Rilassato e non teso come ogni giorno, ogni notte che si consumava gli
occhi sull’inchiostro delle carte.
Sembrava, adesso, veramente quello che era.
Un giovane ragazzo.
Stanco.
Tristemente Hanamichi si alzò, risolvendosi a soffocare ogni altro
pensiero malinconico che si affacciava al suo animo nel vederlo così
vicino, quello sposo, ma in realtà nell’essergli così lontano.
Rukawa si svegliò poco dopo.
Il rumore dell’alta porta di legno che si chiudeva lo aveva destato.
Inconsciamente si girò, osservando il posto vuoto accanto a sé.
E nel torpore del dormiveglia in cui era nuovamente scivolato si sentì
assurdamente triste, senza saperne il perché.
Il granduca camminò a passo sostenuto verso le terrazze.
Il precettore era furioso.
Il giovane sposo dai capelli rossi era fuggito ancora una volta.
Mito ne aveva riso.
Rukawa si era offerto, per ingannare il tempo, di cercarlo.
In realtà lo sguardo speranzoso del suo servitore lo aveva costretto.
Dannazione!Si sarebbe dovuto risolvere a licenziarlo quel maggiordomo...
Aveva troppa impudenza!
Scivolando con grazia nei lunghissimi corridoi, Rukawa lasciava che le
proprie orecchie divenissero sorde ai commenti ed alle sciocchezze che
udiva.
Saluti ossequiosi quando lo incrociavano, per poi criticare lui e le sue
scelte appena girava un angolo.
Parole, parole, parole.
Su di lui, sul suo sposo, su un probabile tradimento, sui loro sbagli.
Tutto.
Rukawa sospirò ed interruppe la ricerca per prendere un sorso d’aria
fresca nel giardino.
Era da tanto che non vi passeggiava per rilassarsi.
Non aveva neanche notato che le aiuole erano finalmente in fiore e che la
primavera aveva ricoperto di bocci gli alberi scarni.
Poi un nitrito selvaggio improvvisamente lo costrinse a voltarsi.
E ciò che vide il suo cuore non se lo aspettava.
Denti candidi.
Scoperti in un sorriso luminosissimo.
Come se improvvisamente l’aria si fosse fatta più calda ed avvolgente.
Come se improvvisamente il sole brillasse più forte, per trarre riflessi
migliori da quegli occhi che pieni d’espressione ridevano assieme alle
labbra rosa e dolci.
Mai avrebbe pensato che nella sua vita avrebbe trovato un sorriso così
attraente.
Ma fu la verità.
E ne fu felice.
Prima che la sua mente capisse che quel primo sorriso non era stato donato
a lui, e che lo aveva perso per sempre.
Il giovane Hanamichi rideva scherzando con Mitsui.
La bella stagione era arrivata ed insieme ad essa due nuovi puledri.
Lo sposo li stava accarezzando e sorrideva.
Sorrideva come la luce pura.
Sorrideva a Mitsui.
Kaede li osservò.
Non ricordava quel servitore, ne aveva così tanti, ma intuì che doveva
essere lo stalliere di cui tutti parlavano.
L’amante del suo sposo?
Senza indugio, Rukawa si allontanò.
Un freddo pungente lo aveva colto, desiderava rientrare e stendersi su di
un canapè.
Probabilmente si sentiva male.
Avvertiva il cuore battere lento, pulsare come un tamburo, in modo sordo,
doloroso.
Ed il respiro era diventato improvvisamente secco, tagliente, faticoso.
Che si stesse ammalando?
Chiese a Mito un calice colmo di liquore caldo e si distese.
Lasciò vagare la mente e si sentì meglio.
Paesaggi di Faulkner gli apparivano davanti agli occhi.
Ed il suo respiro si calmava.
Poi l’immagine di quel sorriso si riaffacciò alla sua mente.
Quel sorriso e a chi era rivolto.
E di nuovo un peso opprimente gli scese sul cuore.
Che fosse dunque la gelosia che si era seduta sul suo animo?
Rukawa chiuse semplicemente gli occhi e si addormentò, confusamente.
*
Un nuovo ricevimento.
Quella sera si festeggiava il nuovo accordo firmato fra il principato di
Faulkner ed il principato di Elder, il regno al di là dei monti.
Hanamichi si distese nel proprio letto e si coprì.
Non aveva preso parte a quella festa, come non lo aveva fatto con le
precedenti.
Aveva detto di essere indisposto.
Aveva dato ordine affinché un servitore rimanesse fuori dalla porta,
pronto ad accorrere ad ogni suo richiamo, pronto a mandare via chiunque
venisse a disturbarlo.
Ma non era quella la sola ragione.
Il servitore poteva essere anche un testimone.
Avrebbe raccontato che nessuno si era avvicinato, che lo sposo del
granduca era rimasto solo tutto il tempo, che nessuno era entrato,
soprattutto poteva giurare che nessuno stalliere era stato mandato a
chiamare e fatto entrare.
Dio, che disgusto.
Arrivare ad architettare simili pensieri per non dare adito a quei
maledetti nobili pieni di brame di poter parlare alle sue spalle.
No, lui non era assolutamente fatto per quelle cose.
Non erano le feste né i ricevimenti un evento lieto, per lui.
L’ultima volta che vi aveva partecipato si era sentito nauseare dai visi
ipocriti di quegli uomini e di quelle donne.
Non aveva potuto parlare con nessuno.
Allora si era avvicinato a Mito, desideroso di una buona conversazione, ma
il devoto servitore si era scusato.
‘Non potete farvi vedere con me, il vostro precettore non vi ha detto che
i nobili non discorrono con la servitù? Andate, restate vicino al vostro
sposo’
E da quel giorno in poi, aveva sempre fatto in modo di non prendere più
parte ad alcun evento mondano.
Quella era la sua personale rivolta.
La sua denuncia.
La sua ribellione contro il suo sposo.
L’uomo al vertice di quel mondo che odiava.
Contro quella società divisa in classi.
Fatta di scalini insormontabili.
Di vigliaccheria e potere.
Si rigirò ancora e pensò a Sauser e Mitsui.
L’ultima volta che li aveva incontrati, aveva fatto anche la conoscenza di
un altro nobile.
Un distinto ragazzo della sua età.
Dai corti capelli neri e gli occhi grandi come quelli di un cerbiatto, ma
con un sottile paio di occhiali.
Kogure.
Sì, era quello il suo nome.
Un ragazzo gentile.
Lo aveva visto dialogare allegramente con Mitsui, fermarsi e congedarsi
non appena aveva visto lo sposo del granduca arrivare.
Ed allora lo aveva pregato di rimanere.
Si era divertito così tanto con loro.
Sorrise di riflesso e lievemente scivolò nel sonno.
*
Le lezioni si erano fatte più sopportabili, il caldo era finito.
Nei paesi del nord l’estate dura poco.
Quelle sette, otto settimane.
Hanamichi rise, davanti al libro aperto di francese.
Con la coda dell’occhio osservò il signor Velius, il suo precettore.
Pover’uomo.
Quante gliene aveva fatte passare!
Lasciò vagare la mente e risentì l’odore pungente dei boschi all’alba.
Quelle mattine in cui fuggiva svegliandosi prima del sole stesso, con il
complice aiuto di Mitsui e di Sauser.
Immediatamente ripensò ai propri boschi.
Verdi, immensi.
Le quercete del sud.
Le betulle e i larici.
Dei…
Alle volte la nostalgia lo uccideva.
Il suo non era altro che un adattamento.
Non poteva affatto dire di essere felice.
Aveva amicizia.
Aveva ricchezza.
Aveva anche potere.
Ma non aveva amore.
Non aveva rispetto.
E non li aveva proprio dalla persona che più di ogni altra avrebbe dovuto
mostrarglieli.
Dei, lo odiava.
Sì.
Oramai lo odiava.
Oramai non gli rivolgeva più neanche una parola.
Ma il vederlo, il sentirlo accanto, nella stanza, nel letto la notte….
Tutto lo feriva.
Enormemente.
Perché, pur essendo un inesperto giovane uomo poco avvezzo alle relazioni
sapeva, ‘sentiva’ che non era questo il significato profondo del
matrimonio.
Si distolse e riprese i suoi studi.
Il cielo all’orizzonte era diventato color cenere.
*
Mito entrò dopo aver domandato permesso con due colpi veloci.
La stanza era illuminata da un fuoco piccolo e dolce.
Il freddo non era ancora pungente.
“Vostra Altezza….il granduca manda a chiedere se questa sera parteciperete
alla festa del conte Sidmour nella …”
Un gesto della mano di Hanamichi fermò quella domanda dalla risposta
scontata.
“No, ‘mandate a dire’ – calcò quelle parole con stizza – al mio sposo che
anche questa sera un lieve, quanto fastidioso, malessere mi costringe a
restare disteso”
“Vostra Altezza..”
Uno scambio di sguardi.
Veloci.
Arrendendosi Mito si congedò.
Nella sala grande, addobbata con ricercata raffinatezza, Rukawa vagava fra
i nobili come un pastore erra fra i rovi delle colline.
I continui rifiuti del suo sposo.
Pensava ad essi.
Che stranezza.
Quando lo aveva visto la prima volta quel giovane, sporco di terra in
mezzo al corridoio, non l’avrebbe mai detto cagionevole di salute.
Qualcosa di strano si agitò nella sua mente.
Ma preferì non notare che fra tutti, solo lui, il granduca, camminava solo
nella sala.
Senza la compagnia di uno sposo.
*
Quel giorno, la villa era in piena attività.
Hanamichi fermò Mito, impegnato nel dirigere ogni attività.
“Attendiamo ospiti importanti, il granduca del principato al di là dei
monti viene a farvi visita, mio signore, sua Altezza Rukawa non ve ne
aveva reso partecipe?”
Ed un’altra piccola, dolorosa incrinatura si fece largo in quel cuore
ferito.
Hanamichi non rispose ed allontanandosi si rifugiò nella propria stanza.
A pensare.
Ed in breve fu sera.
Il granduca rientrò nella loro camera al tramonto.
Per cambiarsi gli abiti e dirgli con pochissime parole di prepararsi a
ricevere degli ospiti illustri.
Hanamichi se ne risentì.
“Non mi avevate detto che sarebbero arrivati degli ospiti….” mormorò quasi
con noncuranza
Rukawa lo guardò.
Un istante.
Poi scrollò le spalle.
“Devo essermene dimenticato…. non ha importanza, preparatevi”
Un altro graffio nel cuore, sempre nello stesso punto.
Immensamente doloroso.
Hanamichi si voltò ed indossata un’ elegante giacca chiara, completa di un
lungo jabot di liscia seta candida, uscì.
Nello splendido atrio, un tappeto rosso indicava la via fra i marmi nivei.
Sembrava una lunga scia di petali di rose rosse in un mare di latte.
E quando le campane lontane suonarono, i due regnanti del principato al di
là delle montagne oltrepassarono la soglia ed insieme entrarono nella
reggia di Faulkner.
Il granduca li accolse con onorifici cenni di saluto mentre anche lui, con
un inchino perfetto, salutava e si presentava.
“Hanamichi Sakuragi Rukawa di Faulkner”
“E’ un piacere, io sono Akira Sendoh di Elder e lui è il mio splendido
sposo, Kenji Fujima Sendoh di Elder”
Il giovane dai capelli castani e gli occhi color grano arrossì, s’inchinò
e sorrise, felicemente.
Gli ospiti furono fatti accomodare nelle proprie stanze, per riposarsi del
lungo viaggio in attesa che la cena fosse servita.
In silenzio Hanamichi posò il libro che teneva in mano.
Pensava ai loro ospiti.
Alle parole che il granduca del principato di Elder aveva usato per
presentare il suo sposo.
‘Splendido’ aveva detto.
Con una dolcezza profonda negli occhi e nella voce.
Aveva detto la verità.
Aveva detto quello che pensava, che sentiva.
Sinceramente.
Senza vergognarsi.
Davanti a tutti.
Lo sguardo di Hanamichi fu catturato dal grigiore intenso al di fuori
della finestre mentre il crepuscolo scendeva.
Come non paragonarlo al grigiore in cui viveva, in cui i suoi sentimenti
stagnavano?
Solo Mito lo distolse da quelle riflessioni e la cena venne infine
servita.
L’enorme tavola era riccamente imbandita, con una punta di ostentazione
che sottolineava ai camerieri il rango al quale appartenevano i quattro
uomini seduti ai vertici.
Portata dopo portata, il granduca del principato di Elder allietava la
serata parlando e ridendo, raccontando aneddoti ed esperienze, chiedendo
continuamente fra cenni e sorrisi l’approvazione del suo sposo.
In silenzio, Rukawa ascoltava con aria indifferente, mentre il ragazzo dai
capelli color del fuoco partecipava volentieri a quella conversazione.
Il tempo passò piacevolmente e i quattro nobili furono invitati da Mito a
spostarsi nel boudoir riscaldato dalle luci di un camino.
Lasciando correre lo sguardo nella stanza appena raggiunta, Hanamichi le
vide.
Fu solo un attimo.
Le loro mani.
Lo sposo del granduca, Fujima, si era accostato al suo consorte, con una
discrezione pudica e silenziosa.
E poi, lentamente, aveva fatto scivolare la propria mano in quella grande
del ragazzo moro.
Ed insieme si erano seduti.
Spalla contro spalla.
Uniti negli sguardi, nelle mani, nei pensieri.
Uniti nell’amore.
Quell’amore così intenso che, durante la serata, spinse più volte Sendoh
ad accarezzare distrattamente le belle e lunghe dita del suo sposo.
Quell’amore così devoto che spinse Fujima a prendere un calice caldo per
portarlo alle labbra dell’amante.
Offrendo al compagno la metà di quel bicchiere troppo grande per lui solo.
E mille gesti, mille piccoli particolari.
Che da soli non sembravano niente.
Ma che, paragonati al surrogato di matrimonio che Hanamichi possedeva,
facevano male da morire.
Pungevano come aghi da sarto.
Si conficcavano nella pelle, scendevano verso il cuore e lo cucivano, lo
legavano in una morsa di disperata rassegnazione.
Di profondissima, inguaribile invidia.
Fu mentre il fuoco moriva e l’ora si faceva tarda.
Sendoh si chinò con l’orecchio verso il suo sposo.
Fujima lasciò andare un sussurro ed il granduca del principato al di là
dei monti si alzò.
“Rukawa, Sakuragi Rukawa, vi preghiamo di perdonarci, il mio sposo è
provato dal lungo viaggio, vorremmo riposare, ci congediamo”
Il granduca di Faulkner annuì distrattamente.
E posando un bicchiere si alzò a sua volta, seguendo i due sposi di Elder
senza neanche voltarsi.
Che Hanamichi fosse dietro di lui o meno era irrilevante.
Fu chiaro, no?
Nel silenzio del corridoio Hanamichi si voltò semplicemente a guardarli,
mentre si allontanavano verso l’ala a loro riservata.
Le mani intrecciate, i volti sorridenti.
Mentre lui, da suo marito, non aveva avuto altro che monosillabi.
Nessuno sorriso.
Nessuna attenzione.
*
Sendoh di Elder era un uomo che parlava troppo.
E sorrideva ancor di più.
Rukawa si premette una mano sulle tempie.
Dei, non lo sopportava proprio.
Avevano appena cominciato a parlare di affari che subito il granduca del
principato al di là dei monti aveva divagato fino ad iniziare il racconto
del suo matrimonio.
Kaede lasciò andare lo sguardo fuori dalla finestra.
Forse, pensò, al suo sposo era andata meglio.
“Fujima, perdonate la mia indiscrezione, voi e Sendoh, da quanto siete
sposati?”domandò Hanamichi
Il ragazzo dai capelli castani sorrise rassicurante.
“Sakuragi non preoccupatevi, è un piacere rispondervi, io e Akira siamo
uniti da poco più di sei mesi”
Hanamichi fissò con occhi sgranati il giovane.
Dei del cielo!
Pensava che almeno un anno, che il loro affiatamento fosse dovuto al tempo
che avevano passato insieme ed invece….
Arrossendo comprese come la sua sorpresa potesse risultare offensiva.
“Ah ..io …non intendevo…”
Fujima sorrise ancora, dolcemente.
Gli occhi socchiusi, il pallido sole autunnale che rischiarava la sua
pelle candida.
Forse non era il tempo, forse non era il rango.
Forse era la beltà.
Il motivo per cui Fujima era amato e lui no.
Sì.
In quel momento Hanamichi lo pensò veramente.
La sua pelle scura, i suoi capelli rossi, le sue ben misere origini, il
suo carattere esuberante.
Tutto troppo sbagliato per desiderare la perfezione.
Tutto troppo diverso.
“Mi sono sorpreso, perché…..state così bene insieme….”
Ed un velo pesante coprì quegli occhi così belli che Kenji aveva
segretamente ammirato.
Erano castani come i suoi, ma pieni di vita, pieni di anima.
Sinceri e lucenti.
Forse un po’ rassegnati, ma splendidi.
Non slavati come i suoi.
Fujima sorrise ancora.
“Oh, ma non è stato sempre così…” mormorò con un accenno di innocente
malizia
Attirato da quella frase, Hanamichi si fece più vicino.
La curiosità più forte del rispetto per l’etichetta.
“Davvero?”
“Sì, c’ è stato un periodo, subito dopo le nozze, in cui la nostra
relazione non sembrava destinata ad andare avanti. Il mio dolce sposo è di
carattere molto aperto, ma spesso le sue mani su altre donne o altri
uomini mi sembravano troppo confidenziali. Così una sera mi sono deciso a
parlargliene. Con calma ed una punta di delusione, gli ho spiegato come mi
sentivo quando lo vedevo con gli altri. In questo modo ho scoperto che
lui, in realtà, non si rendeva assolutamente conto che un uomo sposato non
può comportarsi così. Abbiamo subito appianato con il dialogo tutti gli
altri problemi e le altre incomprensioni ed alla fine Akira si è detto
felice di tutto ciò. ‘Mi hai mostrato che per te valgo’ così mi disse, e
da quel giorno, ogni ora insieme è la più felice della mia vita”
Sembrava tanto una bella favola.
Hanamichi si sentì sollevato.
Forse, se loro ce l’avevano fatta, forse anche lui…
Ma il pensiero dei freddi occhi blu del suo sposo gelarono ogni sogno che,
incauto, si era fatto strada nella sua testolina rossa.
Passeggiarono discorrendo fino al vespro.
Girando attorno all’enorme perimetro della reggia di Rukawa.
“Anche il tempo è un grande alleato, la consuetudine porta sempre….
Sakuragi?”
“Oh, perdonatemi Fujima, io mi ero perso…”
“Cosa ti ha attratto così tanto?”
“Guardavo verso le stalle…volevo presentarti Sauser, uno degli stalloni
più belli della scuderia”
“Volentieri”
Nel silenzio il giovane conte fece strada, felicemente.
Contento per tanto entusiasmo, Fujima esclamò.
“Amate molto i cavalli?”
Fu in quel momento che Kenji lo vide.
Il vero Sakuragi, quello più allegro, quello più puro e naturale.
E in tutti gli anni che in seguito li avrebbero visti amici, ricordò
sempre quel primo, abbagliante sorriso.
“Sì”
A grandi passi, lo sposo dai capelli rossi avanzò fino a scorgere l’alta
figura di Mitsui.
Alzando la voce stava per chiamarlo, quando vide anche il nobile Kogure.
Felice per aver potuto incontrare insieme i suoi amici, si affrettò.
Ma una mano delicata fermò il suo incedere.
“Cos.?”
Fujima sorrise, portandosi un dito alle labbra.
Ed insieme a lui si accostarono all’ombra di un pino.
“Perché mi avete fermato? Quell’uomo era lo stalliere, è un …”
“Non volevo disturbarli, non avete notato?”
“Che cosa?” domandò innocentemente Hanamichi
Kenji sorrise teneramente della sua ingenuità e lo invitò a sbirciare.
Nascosti dalla vegetazione, i due nobili osservarono per qualche minuto.
E fu solo allora che Hanamichi notò le mani sempre più vicine, gli sguardi
affondati l’uno nell’altro, la vicinanza dei corpi, il desiderio di
…baciarsi, che brillava su quelle labbra che parlavano piano, sottovoce,
al riparo dall’indiscrezione.
“Oh..dei!” disse solo il ragazzo dai capelli rossi
Ed insieme al suo ospite andò via, ridendo e commentando, felice per quei
suoi due migliori amici.
In breve fu il tramonto
L’emicrania di Rukawa peggiorò ulteriormente durante la cena.
La voce di Sendoh suonava allegra e squillante, senza risentire
minimamente di tutte le ore spese in conversazione.
La visita dei nobili di Elder si sarebbe conclusa l’indomani, con la loro
partenza.
Con cortesia, Hanamichi li invitò nuovamente nel boudoir, prese con loro
del liquore, conversò e rise.
Dimenticando almeno per un po’ la tristezza, dimenticando la solitudine.
Fu notte e Rukawa si congedò prima degli altri.
Il silenzio della stanza sarebbe stato il suo ristoro.
Il giovane conte fece gli ultimi onori di casa e lasciò infine i due sposi
all’inizio del corridoio.
Camminava verso la propria stanza, guardando la luna e le stelle, quando
improvvisamente ricordò di dover cercare Mito.
La notte precedente aveva avuto freddo, la stagione invernale era quasi
alle porte ed una sola coperta non bastava, ne desiderava delle altre, ma
doveva chiederle adesso per averle in camera il prima possibile.
Tornando quindi sui suoi passi imboccò il largo corridoio decorato dagli
ampi balconi e senza fare rumore tentò di raggiungere le stanze della
servitù.
Fece solo un altro passo e poi li udì.
“Sicuro di non avere freddo, Kenji?”
“Mh”
“Vieni qui, voglio guardarti sotto la luce della luna”
“Sì, ma stringimi”
Silenzio.
Il cuore di Hanamichi, nascosto in un angolo, perse un battito.
Sotto le stelle, sotto la luna, sotto il cielo scuro, sotto i fasci di
argentea luminosità.
I loro ospiti, stretti in un abbraccio sensuale e amorevole.
“Sei bellissimo”
“Non divertirti a farmi arrossire, Akira”
“Ieri ti sei negato, eri stanco, ma questa notte ….”
Hanamichi arrossì furiosamente.
Oh, dei……
…era..era…una proposta di….
“Siamo ospiti, qui…”
“Ti sentiresti a disagio?” tono triste, quasi rassegnato al rifiuto,
comunque rispettoso della sua volontà
E Kenji sorrise.
“No, mio signore, dovunque ho le tue braccia attorno a me, lì è la mia
casa”
E dopo, solo il silenzio soffice di un lungo bacio.
Mentre Hanamichi fuggiva via, solo, nell’oscurità.
E dopo la solitudine, dopo la rabbia, quella notte imparò che si poteva
piangere anche di dolorosa invidia.
L’ alba seguente portò saluti e commiati.
Il sorriso insonnolito di Fujima fece colorare ancora una volta di rosso
le guance di Hanamichi.
Serenamente, i giovani nobili si salutarono.
“Tornate, quanto più presto i vostri impegni vi consentono” disse il conte
dai fili rossi
Kenji lo ringraziò e avvicinandosi gli prese una mano.
“Ricordate, il dialogo apre tante porte, non ha importanza chi fa il primo
passo” sussurrò, guardando poco lontano Akira ed il granduca di Faulkner.
“Grazie..” gli sorrise Hanamichi
E si separarono, al suono dei cavalli che iniziavano la loro corsa.
Hanamichi si voltò.
La schiena larga del suo sposo.
Così dritta e fiera.
La guardò un istante, poi lo seguì.
Continua...
Avviso:
I pg
risentono dell'ambiente settecentesco in cui sono inseriti...so che molti
vorrebbero vedere, sopratutto più avanti nella storia, Hana uccidere
tutti quegli imbecilli a testate, anch'io avrei optato per un massacro, ma
non era fattibile....chiedo perdono se risulteranno un po' OOC.....
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