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Pairing: RuHana
Raiting:PG lievemente angst


Buon RuHana Day a tutte!!!!!!!!!




Asche
di Mel

parte I
 


 

E’ un’usanza antica.

Quasi dimenticata.

Si dice che se ami una giovane devi prendere un ramo fiorito, bello e perfetto.

Intero.

E posarlo contro la sua porta.

La mattina di buon’ora quando lei si leverà aprendo l’uscio troverà il ramo.

Con un solo passo fatti avanti.

Fa che ella ti guardi e capisca.

Poi attendi.

Se la giovane che ami prenderà il ramo e lo porterà in casa entra con lei.

Ella accetterà il tuo amore.

Se invece, trovato il ramo fiorito, lo getterà lontano dalla sua porta, triste sarà il destino del tuo sfortunato amore.

 

 

 






Un ragazzo che sorrideva come il sole.

Ecco com’era..

Ma poi era successo tutto così in fretta.
Il galoppare lontano dei cavalli, il cigolare della carrozza che si ferma davanti all’ingresso, l’agitarsi dei servitori.

Il granduca era arrivato da loro, senza nemmeno mandare un messo a preannunciare la sua venuta.

E mentre tutto quello accadeva, Hanamichi era nei campi.
La primavera aveva iniziato da pochi giorni a scaldare la terra con i dolci raggi di un sole bianco come il latte.
E lui, dai capelli come fitto lino porpora, non aveva aspettato altro tutto l’inverno.

Il momento in cui avrebbe donato alla terra il suo personale benvenuto alla primavera ed al risveglio.
Con la sua corsa fino al fiume, a piedi nudi, ridendo.

Era diventato ormai grande.
Tutti lo rimproveravano per questi suoi comportamenti, per questa sua ‘indomita esuberanza’.
Così la chiamava dolcemente la sua vecchia nutrice.

Ma per lui non era altro che un modo meraviglioso di vivere.
Un modo meraviglioso di riempirsi la testa di splendidi ricordi, di fantastiche avventure.

E le canne da pesca, create intagliando le canne palustri.
E le gare contro le lepri del bosco.
E le corse a perdifiato sotto il calore e la benevolenza del sole.
E gli arcobaleni visti dalla cima degli alberi dove si arrampicavano.

Lui, il figlio dei conti Sakuragi.

Assieme ai bimbi dei servitori, diventati ragazzi con lui.

Insieme, senza alcuna distinzione di classe.
Come lui amava.

Nei suoi boschi.
Tra le faggete ed i pioppi e le betulle dolci ed armoniose.
L’immenso verde rigoglioso e selvaggio che circondava la loro amata casa.

Ed erano felici.
Tremendamente.

Fino a quel giorno.

Ed anche quando arrivò il granduca, lui era nei suoi amati boschi.
E la sua risata era più luminosa del giorno.


*

Sulla strada sterrata le ruote faticavano, cigolando sinistramente.
Il nitrire stanco dei cavalli.
L’odore della città.
I boschi che si diradavano scomparendo dalla vista.

Ma quanto ci avrebbero messo a scomparire anche dal cuore?

Hanamichi scosse la bella testa rossa.
Gli abiti che aveva indosso lo infastidivano, la tristezza e la malinconia avevano trovato nel suo viso una tela perfetta per cominciare a ritrarsi.

Disperatamente chiuse gli occhi, ricordando.


Quel giorno…

Come sempre era tornato al calare del sole, scalzo, sporco di fango.
Al fiume si erano dati battaglia tutto il pomeriggio e la terra su cui si erano rotolati era rimasta loro addosso.

I suoi amici non avrebbero avuto problemi, ma lui era un nobile, seppur di rango inferiore rispetto agli aristocratici di città.
Aveva tentato di entrare di nascosto, per potersi cambiare senza dover sentire altri rimproveri.

Il corridoio era vuoto.
Aveva proprio pensato di farcela.
Fino a che ‘lui’ non era come apparso dal nulla.


Alto, imponente, bellissimo.

Occhi d’acquamarina, capelli di carbone.
Pelle di latte.

L’ uomo più bello che avesse mai visto.

Riccamente adorno, ma non pieno d’ostentazione.
Affascinante, ma in un modo disarmante e modesto.

Preciso ed elegante in ognuno di quei passi diritti per il lungo corridoio.
Sembrava una di quelle creature dei cieli di cui sua madre gli aveva parlato.

Quelle con le ali grandi e bianche, che volavano al cospetto di Dio.

Oh sì, un angelo.


Meraviglioso come un angelo.



Come senza respiro, Hanamichi si fermò incredulo.
Immobile.



Mentre quella figura avanzava.
In un incanto perfetto.


Il mantello che ad ogni singolo movimento si sollevava, ripiegandosi con dedizione in ampie volute leggere.
Sempre più vicino, sempre più vicino.

Finché non gli fu a fianco, finché non lo supero.

Mentre Hanamichi gli leggeva negli occhi una strana, fredda sorta di rimprovero.

Repentinamente, com’era apparso, quell’angelo nero scomparve.
Ed Hanamichi rimase ancora immobile nel mezzo del lungo corridoio.

Una sorta d’inadeguatezza, nei confronti di quel ragazzo così bello, lo aveva come avvolto.

A svegliarlo da tutti i pensieri che lo avevano attraversato era stata la poco delicata voce della sua nutrice.
Dio!Si era dimenticato delle proprie condizioni, dello stato indecoroso in cui si trovava e di tutto il resto.

“Insomma, signorino Hanamichi!!!! Siete stato di nuovo nel bosco?? Quando comincerete a comportarvi come si conviene alla vostra posizione sociale?? Presto, cambiatevi!!! E’una fortuna che il nostro illustre ospite non vi abbia scorto in questo stato!!!”

E così si era messo abiti puliti ed era sceso nel salone.

Proprio quella sera stessa era successo tutto.


Il granduca del principato di Faulkner, la regione nel nord d’Europa nella quale vivevano, era venuto in visita presso di loro.
Il giovane che teneva le redini, fin dalla tenera età, delle sorti dello stato era adesso in età da matrimonio.


Ed era stata la sua la mano….. che era venuto a chiedere.


In silenzio, Hanamichi aveva ascoltato tutte quelle parole.
Incredulo.

Con la testa vuota ed il cuore pieno di confusione si era alzato, congedandosi nervosamente.
Mentre ancora sua madre, la contessa, discorreva con il loro illustre ospite.

Hanamichi corse fino alla propria stanza, si gettò sul letto e al buio fu assalito dai pensieri.
Negli angoli oscuri della sua camera risentiva la voce bassa ed autoritaria di quel giovane.

Il granduca non aveva semplicemente chiesto la sua mano.

Lo aveva ordinato.


Non vi sarebbe stata altra scelta.



Un solo pensiero pugnalò il cuore delicato di quel giovane dai capelli rossi.



Avrebbe dovuto lasciare per sempre i suoi boschi.

E la tristezza, per la prima volta, era comparsa nella sua vita.



Adesso viaggiava, verso Tienne, la capitale.
Lasciandosi alle spalle il vento dolce che muoveva le fronde, l’odore fresco dell’acqua dei fiumi che scorreva rumoreggiando.


Dio, che malinconia, pensò.


In città… in città avrebbe trovato un po’ di verde?
Alberi?
Un ruscello?
Nidi di uccelli?

Lo sperava.
Pregava.

Che non fosse realmente solo tutto grigio come si narrava.


Inspirò profondamente e cercò di calmarsi.
Si sentiva inquieto.


Dei del cielo, sposarsi!
Era troppo giovane.
Troppo… poco aristocratico, ecco.

Lui.
In città.

E quell’uomo……

Così….freddo, autoritario….

Cosa sarebbe successo giunti in città, cosa?

Perché lui?
Perché, fra tutti i nobili di elevata estrazione, proprio lui?

Un nobile…… di campagna?

Non lo sapeva.
Non lo sapeva.


Tentò di distrarsi guardando fuori, ma la snervante attesa lo rendeva agitato, incapace di rimanere immobile sul velluto rosso dell’interno della carrozza.
Volse lo sguardo al cielo.

E poco dopo, il ritmico ondeggiare della carrozza lo avvinse, trascinandolo nel mondo dei sogni.


Fu svegliato qualche ora dopo dalla voce atona del cocchiere.

“Siamo arrivati, conte Sakuragi”

Hanamichi sollevò le braccia, stiracchiandosi la schiena intorpidita, sotto lo sguardo incolore dell’uomo.
Appoggiando una mano alla porta della carrozza, infilò la testa fuori e lentamente scese con circospezione.

L’ombra dell’immensa villa del granduca Rukawa di Faulkner s’ergeva con maestosità imperante, dominando completamente il cielo con le sue statue e le sue torri.

Incredulo per tanta magnificenza, Hanamichi sollevò il mento osservando lo stucco bianco come latte, i finimenti dei frontoni e le colonne di stile antico.
I suoi occhi si persero nel cercare di seguirne il perimetro ed un movimento davanti a lui lo riportò al presente.
Una fila interminabile di domestici lo attendeva ordinatamente schierata, accuratamente inchinata.

Lievemente intimorito, Hanamichi avanzò con cautela, guardandosi attorno.
Una volta dentro, non poté non schiudere le labbra per il magnifico spettacolo.

Ringhiere di ferro battuto circondavano ampi scaloni che si dipartivano da ogni lato, quadri antichi e dai toni cupi tappezzavano insieme agli arazzi dai colori vermigli le pareti, il marmo di fine fattura su cui camminava era talmente lucido da permettergli di specchiarsi, tappeti rossi ovunque indicavano tutte le possibili strade, mentre statue e ricche decorazioni in stucco ed oro completavano l’ambiente con regale eleganza.
Immobile, al centro di quell’ingresso enorme, Hanamichi alzò il viso.
Il soffitto ad ampi cassettoni affrescati gli sorrideva benevolo con un’ampia volta a botte e con mille luci pendenti di cristallo.
Preziose sedie e graziosi canapé sparsi ad ogni angolo mostravano con orgoglio stoffe pregiate e cuscini morbidissimi dai sobri colori.

Un servitore, avvalendosi di un semplice gesto della mano, fece strada.

Hanamichi fu condotto in una stanza grandissima, luminosa, piena di colori bianco panna.
L’uomo lasciò a terra le poche valigie e si congedò, prima che il ragazzo dai capelli rossi potesse chiedere alcunché.

Solo, in completo silenzio, il giovane conte si accostò velocemente alla finestra.
Sorrise.

Da quelle immense vetrate si vedevano gli alberi della tenuta del granduca.
Velocemente le spalancò correndo sull’ampio terrazzo, inspirando a pieni polmoni l’aria silvestre.

Il verde rilassava i suoi sensi, i suoi occhi, il suo cuore.

Rimase fuori a lungo, i capelli al vento, il viso al sole, senza pensare a niente.

Cercando di rimandare il più possibile l’ammissione di vago timore che doveva a sé stesso.

Rientrò dopo diverso tempo, quando l’aria fresca aveva già regalato al suo corpo numerosi brividi.
Osservò la stanza con curiosità, saggiando la morbidezza delle coperte di piume e dei divanetti, curiosando negli armadi pieni di tovaglioli da bagno e coperte, accarezzando un mazzo profumato di narcisi precoci lasciati in un vaso.

Lanciò distrattamente uno sguardo al pendolo, che con calma oscillava in un angolo.
Era vicina la sesta ora.



Dov’era il suo futuro sposo?



Pensieri velocissimi si affastellarono nella sua mente.

Perché non lo aveva ancora incontrato?
Perché non era venuto di persona ad accoglierlo?
Perché tardava così tanto?

Sbuffando, decise che sarebbe andato a cercarlo.
Non era da lui, attendere passivamente gli eventi.
Mai.

Uscì con cautela dalle proprie stanze, continuando ad osservare gli spazi, lo sfarzo dei lunghissimi corridoi.
Si addentrò per un breve tratto, attento ai rumori e alle ombre.
Enormi porte chiuse si snodavano elegantemente, intervallate da ampi ritratti dei granduchi precedenti ed arazzi pregiati.

Improvvisamente il lato destro della parete terminò, permettendo ad ampi intagli balconati di elevarsi sopra il giardino centrale.
Hanamichi si accostò al bordo di uno di essi, lasciando vagare lo sguardo sulle aiuole geometriche ed i cespugli in fiore, sugli zampilli delle fontane di marmo e sui meravigliosi, piccoli, arcobaleni che gli schizzi d’acqua dipingevano in cielo.

Estasiato, sospirò.


“Magnifici, vero?” mormorò una voce al suo fianco

Hanamichi si girò, sussultando.

Un giovane uomo dai capelli neri, legati in un piccolo codino, lo guardava, sorridendo amichevolmente.

“Chi… chi siete??”

“Mi presento, Yohei Mito, maggiordomo personale del granduca e da domani anche vostro fedele servitore. Vi cercavo, conte Sakuragi”

Hanamichi arrossì delicatamente.
Sapeva che probabilmente non sarebbe dovuto andare in giro a curiosare.
Poi il suo pensare si soffermò su di una parola, su di un significato.
‘Domani’.

“Da domani… sarete il mio servitore personale? Perché domani?” chiese senza riflettere

Il ragazzo dai capelli neri rise.

“Perché domani voi sposerete il granduca ed io avrò il compito di servire entrambi”

“Domani?!!?” ripeté incredulo

Così presto?
Dio, pensava di avere almeno un po’ di tempo….

Cercando di restare calmo, mormorò.
“Io.. io devo incontrare… il granduca”

Mito rise ancora.

“Oh, ma non lo incontrerete oggi! Il granduca è impegnato fino a tarda serata, mi ha mandato, a questo proposito, a rendervi i suoi omaggi ed il suo più caloroso benvenuto. Si augura perdonerete la sua assenza”

Il ragazzo dai capelli rossi rimase in silenzio.
Non lo avrebbe incontrato?
Ma com’era possibile?…Insomma….si dovevano sposare il giorno dopo… era appena arrivato….avrebbero dovuto conoscersi almeno un po’…… sarebbero divenuti coniugi fra poche ore e lui ……..oh, Dio…..

“Prego, seguitemi, ho provveduto ad imbandire una cena leggera per voi, credo vogliate riposarvi dopo un viaggio così lungo”

Senza dire niente Hanamichi seguì il giovane servitore e cenò.
Fuori il cielo imbruniva velocemente, la luce dei candelabri rischiarava semplicemente lui e la sua solitudine.
Una tavola enorme, ridicola per una persona sola, si allungava bianca sul marmo.
I rapidi camerieri erano le sole presenze intermittenti che lui si sentiva accanto.


E non seppe perché, ma fu allora che avvertì, profondamente, il primo, doloroso sintomo di malinconica solitudine.



Augurandogli una buona notte, il giovane maggiordomo lo riportò alle sue stanze e si congedò.

In quel completo silenzio notturno, Hanamichi avanzò nella stanza.

Si guardò attorno.


Era solo.


Sospirando intensamente aprì le enormi finestre ed uscì sul grande balcone.
L’aria frizzante gli regalò innumerevoli piccoli brividi.
La primavera era giunta, ma non aveva avuto giorni sufficienti a riscaldarsi.

Il profumo dei boschi calmò quel giovane cuore rosso.

Appoggiandosi alla pietra fredda, sotto la luce meravigliosa della luna, Hanamichi lasciò vagare i pensieri.

Si sentiva improvvisamente avvolto dalla malinconia.

Come se il giorno dopo, subitaneamente, sarebbe divenuto un uomo vecchio.

Il suo matrimonio.
Pesava sull’anima quel pensiero.

Dio, era divorato dall’incertezza…

E pensare.. pensare che come tutti i ragazzi, come tutte le ragazze, non aveva che sognato per notti intere l’amore perfetto…

A lungo si era immaginato un incontro romantico, un guardarsi negli occhi, in mezzo alla selva più pura, lontano dagli sfarzi.
Il suo fantasticare riguardava lui ed uno sconosciuto.
Soli, per caso, uno sul cammino dell’altro.
Amore a prima vista.
E poi il nitrire di un cavallo solitario la sera.
Quello sconosciuto che raggiungeva la sua casa, che chiedeva la sua mano, a lui personalmente, che lo portava via, lontano, cavalcando.

Ed era una fitta dolorosa, ma piacevolissima, al cuore ogni volta che ci pensava.
Una specie di piccolo spasmo che alle volte gli aveva strappato un gridolino estasiato.

Non aveva che quel desiderio.
Un amore vero.


Ed invece si ritrovava solo, alla vigilia delle proprie nozze con un uomo dagli occhi freddi, che aveva ordinato quel matrimonio, che non lo aveva aspettato sulla soglia, che non lo aveva raggiunto per cenare, che aveva mandato il suo servitore ad accoglierlo, che non gli aveva parlato nemmeno per chiedere il suo parere su quelle nozze.

Si girò tornando dentro, chiudendo quei vetri, tirando le tende pesanti.
Passando da una solitudine all’altra.



Il mattino seguente un raggio luminoso s’infiltrò attraverso il broccato pesante.
Le tende verdi e panna rendevano la penombra piacevole.
Hanamichi si destò lentamente.

Si alzò, lavandosi il viso in un elegante catino di bianca porcellana.
Aprì le finestre per rallegrasi un po’ al canto degli uccelli ed attese.

Poco dopo, qualcuno bussò rispettosamente.

Hanamichi si volse acconsentendo.
Mito si fece quindi avanti.

“Ben svegliato conte, posso dunque ordinare per voi la colazione?”

Hanamichi annuì, ringraziando.

Il servitore fece per uscire.

“Mito..” chiamò lui dagli occhi di nocciola

“Comandate”

“Il granduca…. posso vederlo… io non so …oggi…”

“Mio signore non abbiate fretta, il granduca è già uscito, sta personalmente ultimando i preparativi per le nozze….”

“Quando…?” domandò semplicemente Hanamichi

“Al tramonto mio signore, come desidera la tradizione”

“Ed io cosa… come…?”

Mito rise dell’innocenza, dell’incertezza di quel giovane conte.

Si avvicinò, benevolo.

“Se permettete, signore, posso consigliarvi di fare colazione e poi di seguirmi in una visita del palazzo? Dovrete ambientarvi in fretta, fare conoscenza e poi pensare a prepararvi, non siate agitato, non ve n’è cagione”

Sospirando, il ragazzo dai capelli rossi si convinse di quel consiglio e lo seguì.

Il tempo della colazione trascorse rapido, la visita si protrasse fino al primo pomeriggio e, seguendo il gentile servitore dai capelli neri, Hanamichi rientrò nelle proprie stanze in tempo per cambiarsi gli abiti ed incontrare finalmente l’uomo che sarebbe divenuto suo marito.

Trovò la stanza immersa in un via vai di cameriere e servitori.
Interrogativamente si volse con lo sguardo verso Mito.

“Mio signore, hanno avuto ordine di spostare tutti i vostri effetti personali nella camera nuziale, da questa sera dividerete con il vostro sposo l’ala più a est, non temete, sarà il granduca stesso a condurvi lì, non vi andrete solo”

Hanamichi avanzò lentamente, la mente persa in un turbinare di emozioni indistinte e fortissime.


Ed in breve fu il tramonto.


Nuovamente solo, ad allacciarsi gli abiti bianchi come neve.
Il lunghissimo mantello di ermellino, gli alti stivali candidi.
La bella bocca rossa serrata in una linea apprensiva, tremendamente agitata.

Il sole basso moriva lentamente, trafitto dalle cime verde cupo degli alberi.

Solo, ancora solo.
Aprì le finestre, ma neanche l’aria dal sapore di terra lo calmò.
Il cuore gli batteva furiosissimo.

Dei!
Non solo sposarsi, ma dividere…dividere anche il letto con quell’uomo.
Dei!
Non ci aveva pensato, non..

Oh, Dio!
Si coprì il volto con le mani, arrossendo.

Volse il viso e trovò la luna piena che cominciava a salire.

‘Quando sarà alta – si disse – apparterrò a quell’uomo’


*

Mito aprì la porta con discrezione.
Invitò il giovane conte a seguirlo.

Sembrava lievemente spaventato.
Lì, solo, al centro di una stanza quasi buia.

Lo precedette, avanzando fino alle alte soglie del magnifico atrio, gli sorrise incoraggiante, scostandosi affinché potesse scendere le scale e farsi ammirare dalle decine di nobili che aspettavano ansiosi.
Il brusio delle voci crebbe improvvisamente.

Dall’alto della scalinata centrale Hanamichi comparve, muovendosi lentamente.
Al centro della sala, Kaede Rukawa, granduca del principato di Faulkner, attendeva il suo sposo.

Incitato da Mito, Hanamichi iniziò a scendere.
Un passo dopo l’altro.
Verso quelle persone che non conosceva, verso quello sposo che non conosceva, ma che lo fissava, intensamente, negli occhi.
Quello sguardo azzurro come l’acqua dei laghi, freddo come l’inverno del nord.
Un passo dopo l’altro.
Il mantello pesante che sembrava uno strascico nuziale, che accarezzava ogni gradino rivestito di porpora rossa.
Il niveo candore delle vesti che contrastava con l’ambra della pelle.
Il jabot di fine seta pregiata stretto al collo, liscio, lungo e candido.
Bianco.
Quella pelle piena dei raggi del sole, su quel viso ora apprensivo e smarrito, lievemente chino.

Ancora un passo.
Ancora un altro.

Le ciocche ribelli che gli danzavano davanti agli occhi ad ogni gradino, in un turbinare agitato come lui.

Ancora un passo.
Ancora un altro.

Ed Hanamichi raggiunse l’atrio.
Fra gli invitati che, disposti adesso ad ala, lasciavano libero il passaggio affinché i due sposi s’incontrassero al centro dello splendido salone.


E Rukawa si avvicinò.
Bello come il giorno in cui lo aveva visto.
Elegante come un cigno d’acqua.
Fiero e regale.
Senza nessuna incertezza, nessuna paura, nessuna vergogna.

Si avvicinò, lentamente.
Fu davanti al giovane conte.

Hanamichi delicatamente s’inchinò un istante.
E Rukawa si piegò leggermente in avanti.

Com’era tradizione, davanti a tutti i suoi nobili sudditi, allungò una mano, posandola lievemente, senza accarezzare, su quel viso bronzeo e con labbra gentili lasciò un bacio sulla guancia di colui che da adesso in poi gli apparteneva.


Un coro maestoso di applausi riempì il silenzio mentre il granduca si rialzava, gettando uno sguardo al suo sposo.


Lo vide arrossire e se ne compiacque.
Il giovane -che aveva scelto- era perfetto.

Le leggi di Faulkner erano molto rigide riguardo alle unioni.
Il granduca aveva l’obbligo di sposarsi compiuti i diciassette anni.
E doveva necessariamente legarsi ad un membro, sia esso maschile o femminile, imparentato per sangue o antico vassallaggio alla sua stessa famiglia, di nobile origine, quindi.
Insieme, i due nuovi regnanti avevano il diritto di eleggere, educare ed infine presentare il loro erede, scegliendolo fra le famiglie dei nobili sudditi o mettendone al mondo uno.

Nei mesi che avevano preceduto il suo compleanno, il granduca stesso si era adoperato per compiere una scelta saggia.
Di tutti i vassalli della sua famiglia, la scelta era infine ricaduta sui lontani conti Sakuragi.
Ed, ancora una volta, Rukawa non si era sbagliato.
Quel ragazzo non gli avrebbe mai dato problemi.
Niente pettegolezzi, superbia o vanità.

Ricordava ancora il giorno in cui lo aveva incontrato per la prima volta.
Lo avrebbe effettivamente scambiato per un servo, se non avesse prestato attenzione al colore infuocato dei suoi capelli.
Con uno sguardo di sufficienza lo aveva reputato adatto.

Aveva subito letto sul suo viso pulito una fierezza gentile e priva d’inganni.
Non aveva mai desiderato un nobile altolocato pieno di vizi e di arie.
Il ragazzo che aveva appena sposato sembrava ideale.
Dall'aria sincera ed ingenua, senza troppi fronzoli.

Si sorrise e con grazia portò lo sposo verso la cappella.
Sotto un magnifico altare pronunciò il proprio sì, attese quello basso e vergognoso di Hanamichi e scambiò gli anelli.

Ingenuamente, si chiese cosa avesse da arrossire continuamente quel ragazzo dai capelli di brace.
Non era che una formalità senza molto senso.
Nella vita di entrambi non sarebbe cambiato poi molto.
Scrollò le spalle e non se ne curò.


Gli ospiti vennero dunque condotti dai due sposi nell’ampio e magnifico salone da ballo.
Una sorta di meravigliosa ‘galerie des miroirs’ piena di delicati lampadari in cristallo, specchi lucidi e brillanti come oro, ornamenti in fini cesellature d’argento.
L’orchestra ed il maestro attendevano.

Circondati da rose bianche, i due giovani sposi si fermarono.

Rukawa si volse dunque verso il suo consorte e, tesagli una mano, lo invitò ad aprire le danze.
Con scatti veloci, Hanamichi fu trascinato al centro della sala e pieno d’imbarazzo sentì partire le prime, dolci note.
Con enorme titubanza prese a seguirle, cercando appoggio nel compagno.
Le lezioni di danza non le aveva mai seguite, anzi, ad essere sincero non aveva seguito quasi nessuna lezione.
Aveva sempre preferito, alla noia del dover imparare etichette altezzose, il pieno divertimento delle fughe nel bosco.

Ed ora non poteva che lasciarsi portare dai gesti imperiosi con i quali il granduca conduceva le danze.
Tentò di essere elegante, di non sbagliare, di guardare negli occhi quell’uomo senza emozioni.
E vi riuscì.

Con un sospiro trattenuto accolse le ultime note di quel valzer e si fermò, inchinandosi subito dopo e lasciando il centro della sala.

Immediatamente dopo di loro, decine e decine di nobili presero a volteggiare muovendosi in armoniosa simmetria, intrecciando le mani, scambiandosi i compagni di ballo, in ampie giravolte, armoniosissimi inchini, al suono dei piccoli tacchi che risuonavano coperti dal vento fresco delle finestre aperte e dalle note dei violini.

Hanamichi rimase in disparte, osservando quello sfarzo al quale non era abituato e si perse nel girare vorticoso delle gonne delle dame.
Improvvisamente, una mano fredda si appoggiò sulla sua e girandosi il ragazzo dai fili di porpora rossa sgranò gli occhi riconoscendo il suo sposo.

Senza dire una sola parola, Rukawa lo portò con sé nel girare l’ampia sala.
S’intrattennero a lungo nel discorrere con i vari ospiti.
Con due o tre frasi misurate, uguali per ogni persona, il granduca salutava e ringraziava i presenti.
Senza sorridere, ma accennando saluti quasi benevoli con la testa, mentre in silenzio Hanamichi ascoltava e rispondeva, nel caso in cui qualcuno chiedesse direttamente a lui.

I nobili da salutare sembravano non finire mai.
Stanco ed annoiato, il giovane sposo dai capelli rossi si sentiva stordito.
Spossato.
Per le emozioni, per i troppi pensieri, per l’agitazione, per l’aspettativa.
Perché l’emozione più forte ancora lo attendeva.

Dividere il letto con un altro uomo.
Appartenere al suo sposo.

Oh, dei!
Più ci pensava più arrossiva.

Ma continuò a sorridere cordialmente agli ospiti e, per chiudere le danze, acconsentì in silenzio ad un altro ballo.


*

Era notte.
La luna illuminava il giardino con il suo biancore etereo e raggiante.

Il granduca si alzò.
Ancora una volta prese la mano del suo sposo e con lenta eleganza lo condusse fuori dalla sala.
Salì con lui le ampie scalinate e salutò tutti i presenti con un cenno della mano.

Poi si volse e, diretto all’ala est della villa, non si fermò fino alle altissime porte di legno della stanza nuziale.

Hanamichi entrò lentamente, camminando piano e guardandosi attorno.
Il rosso intenso era il colore dominante.
Porpora le tende, cremisi il baldacchino del pregiato letto dalle lenzuola color crema, vermigli gli arazzi, rosse le rose nei vasi, carminio i tappeti morbidi.

Avvicinandosi al vaso con i fiori, Hanamichi ne inspirò il profumo.
Sicuramente erano rose di serra.
Troppo fuori stagione, troppo poco profumate.

Con agitatissima lentezza alzò dunque il volto, spiando con la coda dell’occhio il suo sposo ed attese.

Di sentirgli dire qualcosa.
Qualsiasi cosa.

Ma vana fu la sua attesa.

Il granduca non disse niente.
Il suo sposo lo vide prendere posto dietro un elegante scrivania di mogano scuro e cominciare a leggere delle carte.

Senza prestare a lui, suo consorte, nessuna attenzione.

Hanamichi, incredulo e sconcertato, rimase immobile a lungo.
Nel silenzio più completo, interrotto solo dai gentili fruscii dei fogli, il ragazzo dai capelli rossi si risolse a sedersi su un ampio canapè rosato.

Ancora una volta i pensieri corsero veloci.

Dei!
Non che lui fosse poi veramente pronto o sapesse con esattezza cosa succedeva la prima notte di nozze fra due sposi, eppure…
Eppure, per quanto poco ne conoscesse d’amore e passione, pensò che ..insomma….. il granduca avrebbe dovuto…..o almeno voluto…. nel letto…..

Oh, Dio!
Arrossì miseramente al solo immaginare.

Con la coda dell’occhio spiò gentilmente il giovane dai capelli neri.
Sembrava così preso da quei fogli.
Così concentrato.

Lui pensava avessero lasciato la festa per concedersi un po’ d’intimità.
Per parlare un po’ e magari conoscersi, ed invece…

Era con quelle carte che Rukawa stava dialogando, non con lui.

Sospirando senza farsi sentire, si decise ad alzarsi.

Era stanco, molto, molto stanco.
Spossato dalle emozioni e dai sentimenti contrastanti che continuava a provare.

Si diresse al bellissimo armadio intagliato e ne prese una splendida vestaglia bianca, calzoni lunghi di raso color panna.
E, spiando ancora le movenze del suo sposo, si cambiò velocemente e s’infilò nel letto.

Il tempo passava.
Incredibilmente ancora sveglio, Hanamichi si rigirava lentamente fra le coltri profumate di lavanda.
Era notte fonda.

E la luce ancora brillava sulla scrivania del granduca.
E lui, nel letto, era ancora solo quando s’addormentò.



La mattina seguente, il giovane conte si svegliò presto.
Lentamente sospirò, cercando di cacciare il sonno e con cautela si volse.

Il posto accanto a sé era vuoto su quel letto così grande.
Le coperte erano al loro posto.

Nessuno le aveva alzate.
Nessuno vi si era steso.

Sulla sedia davanti alla scrivania scura, il giovane granduca dormiva profondamente.
La testa dolcemente appoggiata all’indietro, il viso di poco piegato di lato.

Splendido …ma lontano.


Hanamichi si girò di nuovo e avvolgendosi nelle lenzuola sentì freddo per la prima volta, da solo, in quel letto enorme e gelido.
E tutto questo la mattina del suo primo giorno da sposo.



Mito entrò dunque per svegliare i suoi signori.
Osservò il giovane conte che lentamente si alzava e subito dopo notò il letto completamente intatto dal lato del granduca.
In silenzio abbassò lo sguardo e non disse niente, neanche davanti agli occhi grandi e spaesati del ragazzo dai capelli rossi.
Portò loro un’ abbondante colazione e si congedò.

“Mito…grazie” mormorò Hanamichi, accennando al magnifico tavolino che il servitore aveva imbandito per loro

Il maggiordomo s’inchinò.

“Non v’è bisogno di ringraziarmi…avete visto che da oggi siete anche voi il mio signore? Vi assicuro che servirvi è un piacere, per me”

Ed Hanamichi sorrise in risposta.
L’unico sorriso che sfiorò le sue labbra per tutto il giorno.

Subito dopo aver preso una tazza di profumatissimo tè, il granduca uscì per recarsi nello studio adiacente alla camera nuziale e lì si fece portare un pasto veloce e lì rimase fino alla sera.

Il suo giovane consorte, al contrario, fu costretto a rimanere solo in quella grande stanza.
Subito, il suo pensiero era corso al bosco, a quell’aria silvestre che lo faceva stare così bene e si era immediatamente diretto alle finestre di quella stanza tutta rossa.

Eppure, con suo enorme dispiacere, al di là del sottile vetro, di verde s’intravedevano solo le colline lontanissime sotto il cielo incolore.

Grigio.
Grigio ovunque.

Da quel lato della villa, dunque, vi era solo il panorama tristissimo della città.

Con orrore, Hanamichi si scostò da quello spettacolo desolante e si ritirò per il resto del pomeriggio nel giardino che aveva intravisto il giorno precedente.
Con qualcosa di molto simile alla morte nel cuore, seduto vicino alla fontana, pianse.
Versando acqua come lei.
Ma soffrendo.


La sera si ritirò presto e, senza attendere sul canapé, si spogliò e si stese nel letto.

La sedia era libera.
La scrivania vuota.


Esattamente come il letto dal lato del granduca.

Sottili trame di luce di candela filtravano oltre una grande porta chiusa.

Al di là del legno, lo studio del suo sposo, tutte quelle carte che rubavano a lui ogni minuto.
Ladre di vita.
Ladre di sposi.

Hanamichi si strinse quindi nelle coperte, cercando in loro l’abbraccio che desiderava.

Il buio lo avvolgeva.
Penosamente.

Si ritrovò a ripensare alla sua infanzia.
Alle giornate sotto il sole.
Ai suoi compagni.
Allo sconosciuto di cui si sarebbe voluto innamorare.

E lentamente, con l’animo pieno di tristezza, scivolò nel sonno.

Fu destato da un lieve cigolio, da movimenti lenti.
Distintamente sentì il morbido materasso abbassarsi.

Rukawa.

Mancò un battito.
Il suo sposo lo avrebbe abbracciato?
Stretto a sé per passare la notte insieme, dolcemente?

Arrossì nell’ombra dell’oscurità e pregò che il granduca non tardasse ad esaudire questo suo desiderio.

Ma il respiro regolare e lontano del consorte fu l’unico suono per tutta la notte.

Nessun fruscio per avvicinarsi.
Nessun sussurro per chiedere il permesso di stringerlo.

Nessuna dolcezza quella notte.

E nemmeno il giorno dopo.
E nessun altro dei giorni che seguirono.


*

Primavera.
Piena.



Il profumo della terra, il primo vagito del sole.

In tutto il principato, ma non in quella città grigia.
Ed era sempre una visione spenta quella che la loro finestra mandava ed erano giorni uguali a notti e notti uguali a settimane e settimane uguali ad una vita intera.
Fatta solo di solitudine e silenzio.

Erano passati solo dieci giorni dalle loro nozze.
E tutto ciò che si erano detti era stato ‘Buongiorno consorte’

Hanamichi sospirò profondamente.
Un senso d’impotenza lo aveva colto in quel pomeriggio di pallido sole.

Non sapeva perché, ma era certo che, alla sua vecchia casa, nei suoi vecchi boschi quel sole pallido e malato avesse in quel cielo sopra il lago tutto un altro splendore, un fulgore pieno e radioso.
Che lui si stava perdendo.

Sì.
Rimanere in quelle stanze, in quella città, era come perdersi la primavera.
L’odore degli alberi e il fruscio setoso delle acque.
E provava risentimento per quella sorte.

Ed anche un piccola, intermittente, fitta al cuore.
Ogni volta che vedeva quell’uomo, il proprio sposo, rientrare senza dire niente, senza sorridere, senza guardarlo.

E chinò la testa nascondendosi la visione di un cielo sporco di grigio come una pezza vecchia, oltre quei vetri freddi.

Fu la sera stessa a cena, una delle poche passate insieme, sempre che insieme significhi ‘a due estremità diverse di un tavolo lunghissimo’, che Hanamichi seppe del ricevimento che il granduca avrebbe dato il giorno dopo.

Ed un'altra sera di solitudine se ne andò, su note lente.
Con il suo sposo che tornava alle sue carte, importanti più di lui evidentemente, senza fermarsi nemmeno per bere del liquore caldo insieme.

Insieme?
Si chiese il ragazzo dai capelli rossi, così spenti, persi nel mare delle candide lenzuola fredde ed enormi.

No.
Il granduca non sapeva assolutamente cosa significava il concetto di ‘insieme’.
‘Oh Dio – sospirò – non era così doloroso l’amore che sognavo, non così solitario’ si disse mestamente.

Ed il giovane conte sentì come un vento freddo sull’anima, nonostante la sua amata primavera fosse infine arrivata.

 

 

 

 

Continua...

 

Avviso:

I pg risentono dell'ambiente settecentesco in cui sono inseriti...so che molti vorrebbero vedere, sopratutto più avanti nella storia, Hana  uccidere tutti quegli imbecilli a testate, anch'io avrei optato per un massacro, ma non era fattibile....chiedo perdono se risulteranno un po' OOC.....


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