Rating: NC-17, anche se di sesso ce n'è solo en passant.

Note: okay, questa fic è molto confusa. ho impiegato una vita a concluderla, perché... lo capirete alla fine, dove in ogni caso ho posto delle note aggiuntive. è comunque una storia cui tengo molto, quindi ci ho lavorato finché non ha preso una forma soddisfacente. speriamo bene... se doveste trovare qualche errore, vi prego di segnalarmelo! ho ricontrollato la fic più volte ma sicuramente qualcosa mi sarà sfuggito...

Disclaimer: Diego, Gabriele & co. sono miei, eh già. il titolo "Arrivederci amore, ciao" è quello della canzone di Caterina Caselli, ma ha poco a che vedere con la storia. le scene descritte non intendono rappresentare la realtà e se invece vi sembra così beh, che dire, le coincidenze a volte possono essere davvero incredibili.

 

ad Angie.

 


Arrivederci amore, ciao

di bluejusttooblue

 

E' nei momenti come questo che ritieni debba esserci un motivo per cui qualcuno un giorno si è alzato e ha detto che troppo alcool fa male. Forse però il tizio in questione non aveva in mente l'essersi svegliato a letto con lo sfigato del tuo corso universitario.

Cazzo, pensi, fissando incredulo la sua forma addormentata sotto il lenzuolo.

E, subito dopo, dove diavolo sono?

Deve essere casa sua e se non sai come sei finito lì è difficile che nei prossimi minuti tu riesca a ricordarti di come poi sei finito nel suo letto.

Cazzo, pensi di nuovo, e per la prima volta ti viene in mente che forse il problema non è tanto che eri ubriaco e che non ricordi l'esatta meccanica degli eventi, quanto che quello che ti sei fatto, oltre ad essere lo sfigato è pure un ragazzo. Il che non sarebbe poi questo gran problema se fino alla sera prima tu non avessi potuto tranquillamente giurare su quella santa donna di tua madre che la sola idea di andare con un uomo ti era impensabile.

+

Oltretutto si sveglia pure prima che tu riesca a svignartela e ti becca mentre cerchi di infilarti una Oxs in equilibrio su un piede solo.

"Che c'è?" ringhi, pronto a mettere i paletti lì dove vanno messi, se per caso gli venisse la malaugurata idea di credere di poter anche solo accennare a quello che è successo.

Lo sfigato alza le spalle infilandosi degli occhiali orribili recuperati dal comodino. Poi si alza. E' nudo come te prima, e ti ritrovi a spostare molto rapidamente lo sguardo altrove, proprio come se fossi negli spogliatoi con quelli del calcetto, e ti chiedi ancora, ma come è possibile?

Nonostante tutta la tua buona volontà, però, non riesci a farti sfuggire i lividi precisi sui suoi fianchi stretti, lì dove le tue dita devono averlo afferrato, e i segni su quel collo che ti è estraneo. Pensi alla tua bocca, ai tuoi denti su quella pelle, al sapore di un altro, di un uomo - dio, di un uomo - nella tua bocca e stringi i denti contro un senso crescente di nausea. Devi avere una brutta cera, perché mentre si infila un paio di slip ti chiede se ti senti male.

"No," menti spudoratamente, guadagnandoti un'occhiata scettica.

"Vuoi un'aspirina?" insiste.

"No, cazzo," esplodi, felice di avere un motivo, anche se insulso come un'aspirina, per farlo, finalmente. "Non voglio niente da te," dici, e ti rendi conto della cazzata che hai detto ancora prima di incrociare il suo sguardo strano mentre imbocchi l'uscita neanche avessi il diavolo alle calcagna.

Uno sguardo che dice e allora questo come lo spieghi?

+

"E allora, Die'? Com'è finita con Gabriele?"

"Con chi?" mugoli intorno al tuo cornetto. Il Vecchio, che a ventinove anni ancora deve riuscire a laurearsi, ti svela dall'alto del suo caffé macchiato che Gabriele e lo sfigato sono in realtà la stessa persona, tipo Peter Parker e l'Uomo Ragno. Improvvisamente, il cornetto che ti sembrava tanto gustoso si tramuta in cenere nella tua bocca al solo pensiero che si possa sapere in giro come tu e lo sfigato avete passato la serata.

"Certo che quando Chiara ci si mette -" commenta il Vecchio, lasciandoti il tempo di mandar giù un sorso di cappuccino per lubrificarti la lingua e il cervello.

"Mh," annuisci leccandoti via la schiuma dal labbro superiore e imponendoti di non pensare a ieri sera, per nessun motivo, che la verità potrebbe apparirti in faccia quando meno te l'aspetti, nitida come un marchio d'infamia.

"Ma come si fa a dirle di no," sospira il Vecchio. "Con quelle tette."

Ecco finalmente un argomento di conversazione che puoi affrontare serenamente: le indiscusse doti di Chiara, la vergine d'acciaio, che se fosse di ferro almeno la ruggine avrebbe qualche speranza con lei.

"E quel culo," commenti con aria esperta di chi ha considerato a lungo la questione.

"Eh già."

"Già."

"Certo sarebbe bello capire perché si tira appresso quello sfigato," butti lì, mentre preghi che la caffeina faccia effetto in fretta.

"Ma niente, lo sai come è fatta. I casi umani sono il suo pane quotidiano. Ha un'intera collezione di amici sfigati. Certo però che allora avrebbe fatto meglio ad andare a psicologia."

"Non meglio per noi," obietti, furbo.

"No, hai ragione," sospira e ci scommetti che sta pensando alle tette di Chiara nella vertiginosa scollatura del vestito che indossava alla festa di ieri, quello che ti ha convinto a darle retta e a ritrovarti oggi nel gran casino in cui sei. "Vabbé, bello, io vado. Ho glottologia fra dieci minuti."

"Ancora?" chiedi. Cos'è, la quarta volta che lo ripete?

"Lasciamo perdere," dice cupo prima di lasciarti da solo al tavolino che avete diviso nel bar di facoltà, con il resto del tuo cappuccino che si va raffreddando rapidamente e troppi pensieri inconfessabili nella testa.

+

Lo becchi poco dopo a letteratura inglese. Inquadri la sua testa nelle prime file e ti spaventa sapere di essere in grado di riconoscerla così, a colpo d'occhio. Per un lungo momento speri con tutto il cuore che sparisca. Puf! e via lo sfigato e tutto quello che vuol dire. E invece no. Quella vecchia arpia della Molini inizia a richiamare l'attenzione gracchiando nel microfono e tu fai appena in tempo ad imboscarti nelle retrovie, fra Ciccio e Vanessa.

"Eccolo il figliol prodigo," commenta lei, dopo averti sbavato la guancia con il lucidalabbra e averti stordito con l'ultima qualchecosation di CK. "Che ci fai qua? Ti sei perso la maggior parte delle lezioni, ormai. Per non parlare del meglio della festa, ieri."

"Colpa di Chiara. La macchina di Laura non voleva saperne di partire e ci siamo divisi la gente. Mi ha chiesto di riportare a casa Gabriele," spieghi mentre lasci il tuo svolazzo sul foglio delle firme che Ciccio ti passa.

"Chi?" ti chiedono, praticamente all'unisono. Annuisci verso le prime file.

"Lo sfigato?" verifica Ciccio. Annuisci di nuovo appena prima che la Molini vi richiami all'ordine con il suo solito "ehm-ehm, voi laggiù!". Ciccio e Vanessa si devono mordere le lingua curiose e questo ti dà l'occasione di sfuggire all'ennesimo interrogatorio. Cerchi di concentrarti sulla lezione e di prendere appunti, ma Coleridge ti è sempre stato cordialmente sulle palle e ben presto ti ritrovi a seguire un raggio di sole che accende di riflessi rossastri quei capelli scuri tagliati corti, la nuca sottile e quel collo che sa di-

"'zzo fai?" sibila Ciccio, affibbiandoti una gomitata extralarge nel fianco.

Ti rendi conto solo allora di aver spezzato la tua Staedtler. Una scheggia giallonera ti è finita nell'indice. La tiri via con una smorfia e prendi a succhiarti sovrappensiero la ferita che ti pulsa arrabbiata contro la lingua, mentre la Molini insiste con la sua teoria sull'importanza della figura dell'albatros snocciolando paralleli improponibili con Baudelaire.

E prima che tu te ne accorga i tuoi occhi sono di nuovo lì, esattamente dove erano prima.

+

"Ciao, Diego."

Prima ancora di guardare su, sai che Chiara si sta piegando su di te, con i capelli che odorano di pulito che ti solleticano la guancia maliziosi e tu pensi ecco - ecco, è stato un incubo ma in realtà non è successo niente.

Ti ringrazia per ieri e tu dici qualcosa tipo massì, dài, non fa niente, che ti fa guadagnare un bacio veloce, piccolo regalo di consolazione anticipato, perché quando lei si ritrae e ti permette di vedere oltre la sua paradisiaca apparizione, per un lungo attimo credi di essere arrivato davvero alla fine della tua giovane vita, causa prematuro arresto cardiaco.

"Grazie per ieri," lo senti dire, mentre ti fissa attraverso quei suoi occhiali dalla montatura spessa, che magari addosso a chiunque altro sarebbero molto alternativi, ma che su di lui non fanno che urlare sfigato!

Questo pensi, invece di cercare un modo per smettere di boccheggiare come un pesce fuor d'acqua.

Fortunatamente lo sfigato deve essere anche un secchione, perché vi saluta un attimo dopo e vi lascia per un corso che sta iniziando. Ti ritrovi da solo con Chiara, che con la voce morbida, il sorriso leggero e un caffé riesce a darti abbastanza materiale per non pensare ad altro, all'altro, fino alla fine delle lezioni.

+

Non c'è morbidezza di donna sotto di te, ma muscoli e nervi e spigoli.

Non c'è quella fragranza dolce, un misto di shampooo e balsamo e cipria e chissà quale profumo, ma odore salato di sudore e fresco di pelle pulita.

Non ci sono capelli lunghi che ti si incollano al viso mentre scendi su quel collo teso con le labbra assetate, che ti solleticano il naso mentre lo strofini nell'incavo di una spalla non abbastanza sinuosa.

E non sono braccia sottili a stringerti, mentre ti spingi dentro un corpo come il tuo ma che non è il tuo, finché non ti sciogli e gridi e ti svegli.

+

La prima cosa che fai quando apri gli occhi e ti ritrovi davanti il poster dei Franz Ferdinand che riflette la luce tenue del lampione fuori alla finestra è giurare su quanto hai di più caro che non berrai più come hai bevuto quella sera.

Mai più.

La seconda cosa è districarti dalle lenzuola zuppe di sudore e - quasi bestemmi.

Una cosa del genere non ti succedeva dalla terza media, quando avevi trovato un numero consunto di Blue fra il materasso e la rete del letto di tuo fratello e ci avevi sognato sopra per settimane, dopo essertici consumato gli occhi per ore, chiuso nel cesso.

Ti sfili i boxer appiccicosi con aria schifata e ti pulisci come puoi con un lembo del lenzuolo. Guardi l'ora. Le quattro e venti. Con un sospiro ti alzi, ti infili della biancheria pulita e cambi le lenzuola, sforzandoti di pensare alle poco più di due ore di sonno che ti restano e non all'imbarazzo dei tuoi sogni più intimi e inammissibili.

+

Lo vedi il giorno dopo, e il giorno dopo ancora e quello successivo e così via. All'inizio ti chiedi se non ti stia perseguitando, ma poi prendi un bel respiro e ci rifletti e ti trovi a dover ammettere che no, non è così.

La triste realtà è che lo sfigato c'è sempre stato: stesso curriculum universitario, come sei venuto accidentalmente a sapere da Chiara, equivale a stesse lezioni che equivale a stesso spazio vitale. In realtà non ti eri mai accorto prima della sua presenza - e perché avresti dovuto? Era solo uno sfigato senza amici, senza una donna, senza nemmeno un po' di stile - ma ora, ora che ci sei andato a letto e che lo sogni la notte al punto da farti venire dubbi sulla tua finora ampiamente dimostrata eterosessualità, ora non puoi fare a meno di notarlo non appena entra in aula, anche se fra te e lui ci sono più di duecento persone. E no, non è una bella sensazione, non è batticuore e farfalle nello stomaco. E' sudore freddo e nausea costante e un inizio di mal di testa ogni volta che incroci il suo dannatissimo sguardo occhialuto.

Hai pensato che sarebbe passata. Hai pensato che ci avresti riso su. Hai pensato che ti saresti fatto una bella sega pensando a Chiara e avresti smesso di fare sogni assurdi. E invece niente di tutto questo è successo e anzi, il tentativo di bypassare il problema pensando intensamente alle tette di Chiara si è dissolto un attimo dopo, quando il tuo cervello ha deciso di mostrarti una certa fugace visione di un certo paio di labbra attorno alla tua erezione.

E ancora adesso, se ripensi a quella sera sotto la doccia, quasi ti viene da piangere.

+

"Mi dispiace, ma i miei appunti ce li ha Luca," ti dice Vanessa, con un sospiro strozzato che ti lascia intendere facilmente perché Luca abbia i suoi appunti. A Ciccio nemmeno li chiedi. Ci vorrebbe un calligrafo per decifrarli. Il problema è che la Molino ti ha ammesso, nonostante le poche presenze, all'esonero, e che detto esonero è tra meno di due settimane e tu non sai nemmeno che argomenti hanno toccato al corso.

"Ma perché non li chiedi al tuo amico sfigato?"

"Eh?"

La fissi atterrito cercando di prepararti all'idea di essere sputtanato davanti a duecento persone.

"Non l'avevi accompagnato a casa? Potresti chiedergli di ricambiarti il favore e di prestarti gli appunti."

Ah, ecco.

"E' -" Quasi ti prendeva un colpo. "E' vero," riesci a dire. "Non ci avevo pensato. Ottima idea."

+

"Scusa," dici. Non sembra averti sentito. Continua a infilare la sua roba in una sacca di tela consunta e tu non puoi fare altro che fissare quella sua nuca liscia e sottile.

"Gabriele."

Il suo nome ti sfugge prima ancora che tu possa anche solo pensare di averlo pensato e poi, poi ti ritrovi a fissare quegli occhi di cui non riesci a capire il colore.

"Senti scusa, potresti prestarmi gli appunti di inglese?" chiedi prima che ti passi il coraggio.

Ti guarda e per un tempo che sembra infinito non dice niente. Poi piega la bocca in un sorriso storto e fruga nella borsa. Un attimo dopo hai in mano un quaderno e il suo sguardo di nuovo addosso, di nuovo diverso.

"Te li riporto domani," assicuri

Gabriele - lo sfigato, ricordatelo - si limita ad alzare le spalle e tu ti rendi conto solo quando sei ormai in fila in copisteria che sei scappato senza salutare, senza ringraziare e senza nemmeno fermarti a riflettere che forse tu, al posto suo, dopo una scopata e due settimane di silenzio, non avresti voluto sentirti chiedere dei dannatissimi appunti di inglese.

+

"Ah, sei tu," dice, riprendendosi i quaderno che gli porgi.

"Possiamo parlare?"

Nemmeno ti guarda mentre ti fa cenno che sì, certo, dimmi.

"Non qui," specifichi bruscamente, inorridendo alla sola idea di farti trovare dai tuoi amici intento in confidenza con lo sfigato. "Conosci il Jolly? E' dalle tue parti. Possiamo vederci lì."

"Quando?" chiede, con un sospiro stanco

"Oggi. Stasera. Voglio dire, a che ora finisci?"

"Alle cinque."

"Allora ci vediamo lì alle sette, okay?"

Alza le spalle come suo solito e tu sparisci in tutta fretta, prima che possa ripensarci e dire qualcosa, con un "'ao," appena accennato.

+

Lo osservi girare lo zucchero nel caffé mentre tu sorseggi il tuo aperitivo, ovviamente analcolico. Meglio non rischiare, hai pensato.

Alza lo sguardo dalla sua tazzina e ti osserva. Evidentemente si aspetta che tu dica perché siete lì. Invece non dici niente. L'unica cosa che riesci a fare è decidere finalmente che i suoi occhi sono grigi, prima di guardare rapidamente altrove.

"Com'è che conosci questo bar?" lo senti chiedere e quasi lo ringrazi per quell'argomento di conversazione neutrale.

"Vengo a prenderci i biglietti per i concerti o per lo stadio."

"Mmm -" annuisce prima di finire il suo caffé. Riappoggia la tazzina sul piattino e fissa gli occhi nei tuoi: "E ora perché siamo qua? Devi prendere dei biglietti?"

"No," ammetti dopo un momento di esitazione. "No," ripeti, come a ricordarti che è così, che non sei venuto per i biglietti di Roma-Inter ma per affrontare il problema che ti tormenta. "Volevo parlare dell'altra notte. Quella della festa."

Lui ti guarda e alza le mani, a dire, prego, dimmi pure quello che credi ci sia da dire.

"Quello che è successo è -" ti blocchi. Sospiri e ti strofini una mano sulla fronte come se questo potesse scacciare la nebbia dai tuoi pensieri. "Mph. La verità è che non so cos'è successo. So solo che vorrei non fosse mai accaduto," dici, forse con un po' troppa veemenza.

"Ah-ah," è quello che dice lui. "Ho capito."

Si alza e si fruga nelle tasche in cerca di qualche moneta che deposita sul tavolo.

"Ciao," è tutto quello che dice prima di andarsene, lasciandoti lì come un ebete a fissare il suo posto vuoto.

+

Lo trovi poco distante dal bar, fermo sotto la pensilina sfondata di una fermata d'autobus, le braccia incrociate sul petto, lo sguardo sulla punta delle scarpe. Ha iniziato a piovigginare, come ti dice la visiera del casco, ora punteggiata di goccioline.

Per un lungo momento pensi di continuare dritto per la tua strada, magari tirare la moto fino a casa, lasciarti andare al ritmo del motore, non pensare.

Invece accosti e sollevi la visiera.

"Monta," dici, facendo un cenno al posto dietro. Lo vedi esitare, guardarsi intorno sperando nell'arrivo tempestivo dell'autobus.

Ma niente autobus, ci sei solo tu come alternativa alla pioggia che si infittisce.

"Dài, monta," insisti per l'ultima volta.

+

Cerca di non stringertisi addosso, ma ad una frenata brusca per via di un coglione su un BMW che non sa a cosa servano le frecce, lo senti scivolare in avanti sul sellino e serrare di più il braccio agganciato alla tua vita.

Ti viene da ridere se pensi alle congetture che hai fatto quando hai deciso di farti la moto, una davvero poco appariscente Monster S4R: congetture su belle ragazze, Chiara forse, ma di certo non eventuali sfigati appartenenti al tuo stesso sesso.

Senti caldo lì dove i vostri corpi sono costretti al contatto, e inaspettatamente ti viene in mente l'altra unica volta che l'hai sentito così contro di te, quando l'hai accompagnato a casa. Ancora oggi non sai come hai fatto a portare la moto, quella sera, ubriaco com'eri.

O forse, ti coglie improvviso il dubbio, non eri poi così ubriaco e alle considerazioni che ne conseguono il freddo ti attanaglia a tradimento, e non credi sia solo per colpa della pioggia che ora scende battente.

+

Stavolta non puoi prendertela con l'alcool. Potresti provare a prendertela con il cielo, che ha preso a rovesciarvi addosso tanta acqua da costringerti ad accettare, seppure malvolentieri, asilo e una felpa asciutta, ma lo sai che come scusa è ben misera.

Mugoli il tuo disappunto rotolandoti lontano da lui nel letto disfatto.

Impossibile ora negare che non sia successo niente, che non dovesse accadere, che sia un caso fortuito attribuibile a dio sa cosa.

L'hai fatto di nuovo e non c'è altro da dire.

"Cazzo," dici al soffitto.

Lui, invece, non dice niente. Si alza e sparisce oltre la porta. Dall'acqua che senti scorrere deduci che deve essersi infilato sotto la doccia.

"Cazzo," ripeti, ma meno convinto.

Non vuoi alzarti. Non vuoi fare niente. Chiudi gli occhi e ti imponi di smettere di pensare, almeno per un istante.

+

"'giorno."

Apri gli occhi e salti su a sedere. Niente Franz Ferdinand ad ammiccarti dal muro. Non sei a casa tua, nella tua stanza nel tuo letto.

"Che -" cominci, la bocca impastata di sonno.

"Ti sei addormentato," dice, allungandoti una tazza di caffé. Guarda l'ora su un vecchio orologio da polso. "Sono le sette e un quarto," aggiunge, alzandosi e avvicinandosi alla finestra, lasciandoti la libertà di riprendere possesso delle tue piene facoltà mentali senza una prossimità che ti turba.

"Ha smesso di piovere," ti informa mentre controlla i tuoi vestiti, rimasti da ieri sera sul termosifone ad asciugare. Li prende e te li porge.

"Tieni, ormai sono asciutti," dice. "Se vuoi puoi farti una doccia prima di andare."

Annuisci lentamente e segui le sue istruzioni fino al bagno.

Poi quando l'acqua calda lava via buona parte della confusione, rimane solo la realtà del fatto compiuto che ti porta a sbattere un pugno contro le piastrelle candide, frustrato.

+

"Sono contenta che tu e Gabriele abbiate fatto amicizia."

Com'è strana la vita. Un attimo prima te ne stai tranquillo a succhiarti una coca-cola alla spina, concentrato sulle fotocopie degli appunti di inglese e un attimo dopo momenti ti strozzi e ci muori, su quei maledetti appunti.

Chiara ti guarda divertita mentre tossicchi, cercando di apparire molto più calmo di quanto ti senta in realtà. Si siede accanto a te con un fruscio di gonna ampia e zingaresca. I tuoi amici la contemplano estasiati per un lungo momento, ma questo non basta a distogliere definitivamente la loro attenzione dalla notizia che si annuncia interessante.

"Ma chi, lo sfigato?" chiede il Vecchio.

Tu non dici niente. Fissi con odio sottile la calligrafia dell'assente cercando un modo per cavarti d'impiccio.

"Non chiamarlo così," arriva immediato il rimprovero di Chiara, serio. "E' solo un po' - particolare," dice, convinta. Poi ti guarda, innocente: "Vero, Diego?"

+

Particolare. Un po' particolare. Sapessi quanto, Chiara.

Questo pensi dopo aver spiegato che lo hai incontrato per caso e che sì, ora devi proprio andare. Lo pensi mentre lo cerchi per il dedalo di corridoi dell'università, il sangue che sembra risalirti nelle vene fino a farti scoppiare la testa.

Speri per lui che non sia in facoltà, oggi. Speri per lui che se ne sia rimasto a casa, lasciandoti il tempo di sbollire la rabbia prima di trovartelo davanti con quella sua espressione sempre un po' assente e stupefatta. Ti prudono le mani e speri di non incontrarlo.

Lo speri, ma solo in parte.

+

Lo becchi che si sta lavando le mani nel bagno delle aule ovest e nella tua testa qualcosa sembra spegnersi per lasciare il comando al pilota automatic di un kamikaze.

Non gli dài nemmeno il tempo di accorgersi che sei tu prima di prenderlo e sbatterlo al muro. Lo vedi chiudere gli occhi con una smorfia di dolore all'impatto e questo ti fa sentire meglio, ma non abbastanza.

"Che cazzo credevi di fare, eh?" sibili. "Come ti è venuto in mente di andarlo a raccontare in giro. A Chiara, poi."

Ti scappa da ridere all'assurdità di una tale pensata, ma non sei affatto divertito.

"Ma che -"

Forse, se fosse stato zitto, avresti concluso la tua sfuriata e l'avresti lasciato lì a riflettere su quanto tu possa essere stronzo, quando ti girano. Se fosse stato zitto, non avresti mosso quel braccio per colpirlo, preciso, su uno zigomo, facendogli volare gli occhiali fin sotto il lavandino.

"Sta' zitto!" gridi, e ti rendi conto di come la tua voce risuoni isterica contro la ceramica asettica.

Lui sgrana di più gli occhi per compensare l'assenza di lenti, e tu ti ritrovi a pensare che non l'hai mai visto così, finora, il viso nudo se non per quel rossore violento che va gonfiandosi, come la tua incomprensibile eccitazione.

Un attimo e la tua bocca è sulla sua, quasi a punirlo anche così, con un bacio cattivo per togliergli il fiato e la dignità. Un attimo ancora e lo trascini senza troppa gentilezza in uno dei cubicoli. Fisicamente è più piccolo di te e molto meno allenato. Non faresti fatica nemmeno se si opponesse, ma non si oppone: non quando lo premi contro una delle pareti scarabocchiate; non quando gli slacci i pantaloni, per strattonarglieli in basso insieme agli slip; non quando ti afferri il sesso, già teso e glielo spingi dentro così, senza pensarci due volte, senza pensare a fermarti.

Lo prendi in uno dei cessi dell'università, sulle cui pareti le matricoline si lasciano i numeri delle ragazze più disinvolte.

Lo prendi così e tutto il resto è niente.

+

Presto scopri che Gabriele non è uno di quelli che quando incontra qualcuno che non vuole vedere cambia strada. E' più il tipo che smette di vederti.

Se anche tu gli fossi davanti, sei certo che ora i suoi occhi passerebbero oltre, come se fossi fatto d'aria.

E non sai perché, ma il pensiero ti infastidisce.

+

"Sai cos'è successo a Gabriele?" Chiara ti chiede, prendendoti da parte dopo una lezione di storia contemporanea. Sudi freddo al suo scrutinio, ma nonostante questo riesci a mantere una calma che non ti appartiene.

"No, perché?"

"Niente è solo che ha un brutto livido su uno zigomo. Non vorrei avesse litigato con qualcuno."

"Credi? Perché non glielo chiedi?"

Ti guarda stupita.

"Stai scherzando? Lo sai quanto è riservato."

"Riservato?" ridacchi, senza convinzione. "Ma se ti ha pure raccontato che ci siamo incontrati al Jolly."

Se possibile ti guarda ancora più stupita.

"Guarda che lui non mi ha detto proprio niente. Lo sapevo solo perché vi ho visti alla fermata dell'autobus, mentre accompagnavo mia sorella a danza."

+

Lo aspetti sotto casa. Non hai nemmeno provato a intercettarlo all'università. Sai che riuscirebbe a sfuggirti e tu non riusciresti ad essere sufficientemente determinato, con tutti lì a guardarti.

Lo vedi svoltare l'angolo. Getti in terra la sigaretta che ti sei acceso da poco e attraversi la strada nel momento in cui lui inizia a cercarsi le chiavi in tasca.

+

"Gabriele," dici.

Si volta. Il livido ha iniziato a schiarirsi, segno che ci hai impiegato un bel po' a deciderti ad essere qui, ora.

"Ah, sei tu," mormora, dopo un'occhiata. Riprende a cercare le chiavi come se nulla fosse, come se fossi aria, e subito il fastidio torna a farsi sentire.

Lo ignori concentrandoti sul motivo per cui sei lì, sul motivo per cui non ti guarda, sul motivo per cui ha un livido su uno zigomo e sul motivo per cui sai che sapore ha la sua saliva e che suono i suoi gemiti quando gli premi una mano sulla bocca per farlo stare zitto, dannazione, che qualcuno potrebbe sentire.

"Senti, io -"

Dovresti porgergliele ora le tue scuse. Dovresti dirgli ora che ti dispiace. Perché ti dispiace.

Se fosse una ragazza sarebbe più facile. Lo stringeresti a te lì, in mezzo alla strada, e chiederesti perdono contro le sue labbra. Magari piangerebbe un po' e tu gli accarezzeresti i capelli, sussurrando le parole inventate per simili occasioni.

Ma Gabriele non è una ragazza e puoi dare a questo piccolo particolare la colpa del tuo essere incapace di deciderti sul da farsi.

"Dove? Ah, eccole," mormora, tirando fuori le chiavi. Le infila nella toppa e solo allora sembra ricordarsi di te. Ti sorride, ma solo con la bocca.

"Ciao, eh," taglia corto, spingendo la porta.

Ancora una volta qualcosa prende il sopravvento sul tuo cervello, e lo afferri prima che riesca a sfuggirti.

"Aspetta."

+

"Vattene," dice dopo, dandoti le spalle, sdraiato su un fianco.

Tu hai ancora il fiato corto, il sudore addosso e la testa leggera, ma alle sue parole la nausea che ti ha accompagnato costantemente in questi giorni e che sembrava sparita solo un attimo prima, torna prepotente.

Sai che così non va. Sai che è sbagliato e che se proprio devi fare lo stronzo perché lo devi fare con uno che non se lo merita, davvero.

Sai tutto questo ma saperlo, guarda un po', non cambia un bel cazzo di niente, né a te né, tantomeno, a lui.

+

Te ne vai, ma torni tre giorni dopo, e poi dopo quattro, e poi dopo due. Non c'è un disegno prestabilito o degli appuntamenti da rispettare. Mica siete fidanzati.

Succede solo che certe volte ti trovi a passare da lì. Certe altre ci parti proprio da casa e lungo il tragitto inganni il tempo immmaginando quello che verrà. Altre ancora sei dall'altra parte di Roma, magari a fare tutt'altro quando per un motivo qualsiasi - un odore, un colore, un pensiero - la voglia ti sale, violenta, e non puoi fare altro che seguirla, fin lì, a casa sua, nel suo letto, in lui.

Ogni volta è peggio, ma lui non ti ferma e neanche tu allora vedi ragione per fermarti.

Ti viene in mente il robot che ti regalarono da piccolo, che con un joystick potevi far camminare in tutte le direzioni finché tuo fratello non lo fece volare giù per le scale e che anche se tuo padre tentò di aggiustarlo, non funzionò più come prima: poteva andare solo dritto. Ci avevi giocato lo stesso per mesi, prima che arrivassero i giocattoli del natale successivo, e dopo un po' non aveva più importanza che potesse camminare solo in avanti, perché ormai avevi dimenticato che potesse camminare altrimenti.

E proprio come allora, oggi non riesci a credere che questa storia possa andare altrimenti.

+

Uno dei tuoi calzini, quello che stai cercando da un po', è finito sopra una delle pile di libri. Gabriele ha solo una libreria, mezza imbarcata e già piena di libri. Gli altri li tiene contro il muro, a terra, e tu non gli hai mai chiesto perché.

Recuperi il calzino e leggi il titolo del libro, sulla copertina ingiallita.

"Hai già dato letteratura contemporanea?"

"Mmm -" ti arriva il suo assenso dal letto disfatto.

E' incredibile come riesci a barcamenarti fra miriadi di argomenti di conversazione che non hanno nulla a che vedere con quello di cui dovreste parlare.

"Io no," dici, prendendo il libro. "Questo è in programma," lo informi, mostrandoglielo. "Com'è?"

"Leggilo."

"Me lo presti?"

"No," scuote la testa. "Te lo regalo."

"Perché? Guarda che te lo riporto."

Ti guarda a lungo e anche se non ha gli occhiali sembra che possa vederti bene, forse anche meglio.

"Certe cose le puoi solo regalare," ti dice e solo quando arrivi a casa e nel cercare le chiavi le tue dita incontrano il libro che hai in borsa, ti viene in mente che non gli hai chiesto quali siano le altre cose di cui parla.

+

Il Vecchio si laurea. Quando si sparge la notizia nessuno vuole crederci, almeno finché non si viene a sapere della mega festa organizzata per l'occasione in un nuovo locale in periferia.

Chiara arriva quando i primi aperitivi sono già stati distribuiti e arriva con Gabriele. Dovevi aspettartelo. La osservi puntare dritto verso di te, trascinandoselo dietro come uno di quei cani restii al guinzaglio del padrone.

"Diego! Sei già qui!" esclama, bellissima. "Ci abbiamo messo un po' perché Gabriele doveva fare l'asociale, come al solito."

L'asociale in questione nemmeno tenta di replicare e guarda via quando alzi gli occhi su di lui. Al contrario di Chiara, deve essersi accorto fin dal primo istante in cui ha messo piede nel locale che è l'ultima persona che vorresti vedere, ora.

+

Sono tre anni che la conosci e questa è la prima volta che ballate insieme. Forse è per via del Bacardi Breezer, alcool dolce e fresco che ti sale su quando meno te l'aspetti: ne ha bevuti tre e non è più impossibile che ti si stringa addosso calda e sudata, come hai sempre sognato.

Sarebbe la serata della tua vita, non fosse che la tua testa non è lì a godersela. Colpa di Gabriele, ovviamente. Non sai dove sia finito, ma non riesci a pensare ad altro nemmeno mentre balli con la ragazza più ambita del tuo gruppo, e un po' lo odi per questo.

Chiara ti distrae momentaneamente ridacchiando qualcosa. Ti si struscia di più contro e i tuoi jeans iniziano a farsi stretti quando la canzone finisce e lei ti dice, il suo respiro zuccherato nell'orecchio, oltre il rumore del locale: "Scusa, vado un attimo in bagno. Aspettami, eh?"

Scivola via dalle tue braccia come fumo e non appena si allontana Ciccio ti compare accanto, birra in mano e camicia oscenamente sbottonata: "E bravo Diego," commenta, con una pacca ben assestata sulla tua spalla. "Magari stasera riesci pure a scopare."

Ti rendi contro che hai troppo bisogno di un motivo per scaricare la tensione che ti stringe da quando hai visto arrivare Gabriele, e che lui te ne sta dando uno su un piatto d'argento con quel commento inopportuno. Devi allontanarti da lì prima di spaccargli la faccia solo perché puoi.

Segui l'esempio di Chiara e chiedi asilo al bagno.

+

L'acqua fredda sul viso non ti calma per niente. Ti asciughi le mani contro i jeans e con il rimbombo della musica quasi non ti accorgi della porta che si apre alle tue spalle. Gabriele non dice niente quando ti vede. Guarda via rapidamente e va a lavarsi le mani al lavandino più lontano dal tuo.

Ti rendi conto che non sai quanto ha bevuto, non sai con chi ha parlato, con chi è stato, come è stato. Non sai proprio niente di lui, né ora, né prima, né mai.

Troppo occupato con altro, per chiederglielo. O forse è solo che non vuoi saperlo, non ti interessa, perché se ti interessasse allora -

Lo guardi asciugarsi le mani e muoversi verso l'uscita del bagno e ti dici che è quello che vuoi.

Sta per andarsene e ti dici che è meglio così.

Così.

+

"Vieni qua," ringhi e lo vedi chiudere gli occhi quando lo afferri. Ti rendi conto che si aspetta di tutto da te, un pugno, una carezza, un bacio e una violenza. Non gli hai dato le regole per questo gioco e il pensiero ti esalta e ti mortifica ad un tempo.

Lo stringi a te rendendolo partecipe del tuo stato. A quel contatto familiare la tua erezione, se possibile, si gonfia ancora di più contro la sua coscia. Un attimo e riesci a spingerlo giù, in ginocchio sulle piastrelle scure. Un attimo e sei nella sua bocca e dio, non c'è posto migliore in cui essere ora.

+

"Torni da Chiara?" ti chiede, prendendoti alla sprovvista nella rarefazione di pensiero che segue il tuo orgasmo. Resti di sasso, come se improvvisamente ricordassi solo ora di aver cominciato desiderando lei e aver finito usando lui.

"E allora?" dici, subito sulla difensiva.

Ti guarda come se la risposta dovessi avercela tu. Poi sospira, impercettibilmente.

"Allora niente," dice. La sua remissività ti fa vergognare, e la vergogna ti fa salire il sangue alla testa, perdere il controllo.

"Ma cosa credi," cominci, "che possa durare in eterno?"

Non risponde alla tua provocazione e questo non fa che acuire la tua aggressività.

"Beh, te lo dico io che non durerà in eterno, e sai perché?" continui, retorico.

Lo vedi socchiudere gli occhi e prepararsi ad assorbire la botta e sai che se c'è un momento buono per fermarsi è questo. Lo sai, lo sai, ma non ti fermi ed anzi è quasi con piacere perverso che non gli risparmi l'ultimo colpo, quello peggiore.

"E' già finita," dici. "Quindi vedi di farmi un favore: esci dalla mia vita."

+

Ha incassato senza fare una piega. Ti aspettavi una qualche reazione, ci speravi per poterti sentire meno in torto per aver calcato così tanto la mano, e invece si è limitato ad annuire e dirti okay, ho capito, va bene, allora ciao.

Ma non è okay. Non va bene.

Sono giorni che non lo vedi, giorni in cui per la prima volta ti rendi conto che la tua testa è piena di lui, dei suoi silenzi, del suo corpo, del suo respiro, del suo calore, dei suoi sguardi, del suo sapore -

Ti sforzi di tener fede a quanto detto, di tenerlo fuori dalla tua vita, ma è una partita persa in partenza, e non dovrebbe sorprenderti: quanto a lungo pensavi di poter continuare a mentire a te stesso?

+

"Ma che cerchi il ragazzo del quarto piano?"

Stacchi il dito dal citofono e abbassi lo sguardo sorpreso su una vecchietta ingobbita che sta cercando di azzeccare il buco della serratura con le chiavi.

"Sì," dici, e lei si volta a guardarti, a studiarti dal basso con occhietti piccoli e attenti.

"Eh, ma allora arrivi tardi, giovanotto," sospira, scuotendo una fine aureola di capelli bianchi. "Se n'è andato tre giorni fa."

Il tuo sguardo sbigottito deve preoccuparla perché ti chiede se ti senti bene.

"No," ammetti ed è buffo che proprio questa, la risposta alla prima domanda che Gabriele ti abbia mai fatto, sia la prima cosa vera che riesci a dire da quel giorno.

+

Cali marcia e dai gas. La moto sembra quasi schizzarti via da sotto e per un attimo, un lunghissimo attimo ti aspetti di sentire il suo braccio stringerti alla vita, proprio lì, dove, da quando hai capito veramente che non lo vedrai più, avverti un dolore sordo, costante.

Se n'è andato e tu non gli hai detto quello che avresti dovuto dirgli: che in fondo hai sempre saputo cos'altro è che non puoi dare in prestito, che puoi solo regalare, che tanto è inutile sperare che ti venga restituito intatto.

Gli diresti i libri, certo. E le penne bic, quelle col cappuccio morbido che sembra fatto apposta per essere masticato nervosamente agli esami. E poi i fazzoletti di carta per consolare ragazze in lacrime e le sigarette scroccate dagli amici taccagni.

E il cuore.

Gabriele si è portato via il tuo e tu sei stato così cieco da non vedere che ce l'aveva lì, in mano, quando l'hai mandato via, e ti dispiace ma non ti consola sapere che ne avrà più cura di quanto tu ne abbia mai avuta per il suo.

Il mare d'inverno ti si para davanti all'improvviso, come un muro, costringendoti a fermarti. La moto sulla rena non ce la fa. Tu sì. Smonti e ti sfili il casco e il vento ti colpisce come uno schiaffo, gettandoti in faccia salsedine e sabbia gelata.

Puoi pensare che è per questo che vorresti piangere.

E che se vorresti urlare, è solo perché il mare urla con te.

+

Fine

 


Note aggiuntive:

prima di tutto grazie per essere arrivati fin qui. sono commossa.

giuro che la mia intenzione era di finirla bene, ma come ama ripetere il mio maestro, "le intenzioni non contano un c***o". al che io posso solo dire: "amen".


l'utilizzo della seconda persona su Diego anche se strano è stato necessario per tenermi legata al pg e per punzecchiarlo un po' lì dove fa più male. il ragazzo è un ragazzino che si crede un uomo. è stato interessante vederlo dibattersi nelle sue contraddizioni e le sue bugie. e per quanto riguarda la fine, un po' di dolore non fa che bene alla crescita, in certi casi.

Gabriele mi è venuto molto più sfumato. è colpa di Diego, che non sa decidersi a proposito e a me tocca parlare attraverso lui.


Angie, le dedicherò qualcosa di meglio la prossima volta. faccia finta che la mia buona volontà sia quello che conta per il momento.