b ARABIAN NIGHTS aby Voce del silenzio
Chapter four
c Hamesha d
“Svegliati!” mi sento stordito, molto stordito, come se avessi dormito per mesi, di un sonno innaturale, come di morte. “Su! È ora di svegliarsi non trovi?” questa voce… non la conosco. È una donna… che non conosco. Tento di aprire gli occhi ma non ci riesco. Il sole è troppo forte. Sotto di me sento la sabbia, informe. La sento muoversi e formare nuove impronte a seconda di come muovo i miei muscoli. Pian piano inizio col socchiudere le palpebre. Molto piano. Molto, molto piano. “Sei un po’ coperto dalla sabbia, se rimarrai ancora qui a lungo non ti si distinguerà più dalle piccole dune spostate dal vento” ora li apro. Guardo in alto. È una donna bellissima e alta. Molto alta. È ricoperta da veli azzurro chiaro. Mi tende la mano destra. “Ti aiuto ad alzarti” a stento riesco ad afferrarla, e tutto il mio peso, lo metto in quella mano. Ha una forza incredibile, riesce ad alzarmi praticamente senza nessun aiuto. “Prendi, questo l’ho portato apposta per te!” mi allunga un bicchiere pieno di una sostanza liquida incolore. “Forza! È solo acqua!” acqua. Acqua. Solo acqua. Mi ero dimenticato dell’esistenza dell’acqua. Afferro il bicchiere e lo porto alla bocca. Bevo. Bevo. Bevo e bevo e l’acqua mi scorre lungo la gola e giù, giù fin non so dove. Giù, fino a ricordare a tutto il mio corpo il suo sapore meraviglioso. Bevo. Bevo! Mi fermo. Il bicchiere è ancora pieno… ancora… ma… ancora pieno… Bevo ancora, non sazio del ristoro che mi porta. Bevobevobevo. Mi fermo e osservo il bicchiere. Respiro a fatica. È ancora pieno. “Purtroppo, non mi è concesso di darti di più, altrimenti ti avrei portato anche del pane” “Chi sei?” Lo chiedo come se fossi spaventato. Lo sono, forse. “Hamesha” mi risponde con una voce dolcissima. “Ha… Ham… non è possibile!” No! non lo è! Non è davvero possibile! “Perché no?” e a questa domanda non so rispondere “Io sono davvero Hamesha. Io sono la dea dell’acqua.” è bellissima. Ha lunghissimi capelli biondi, ma non proprio biondi, direi quasi bianchi. Ha due occhi che sono azzurri, ma di un azzurro molto molto più chiaro di quello del cielo. La sua pelle, poi, è bianchissima, ma quasi trasparente. È come se si riuscisse a vedere il sangue che le scorre dentro, ma non è sangue, è acqua. Al collo porta una collana di conchiglie, come di quelle che si vendono ai mercati di Salseja, e riflettono la luce, distruggendola in mille colori, sul suo petto nudo. Due seni fieri e sodi, con i capezzoli di un viola che dà sul blu. Le gambe, solo le gambe in verità sono coperte dai veli azzurri. È scalza, su questa sabbia rovente. “Cosa ci fai… ci fate… qu… qui?” “Sono venuta per te. Ma dammi pure del tu, in fondo, siete tutti miei figli…” “E voi… tu… voi… perché per me?” “Perché altrimenti saresti morto” mi guarda con occhi che sembrano colmi di lacrime. Forse stanno imitando i miei. “E… non sarebbe stato meglio?” “Forse… ma forse no…” e mi sorride leggermente, come una madre protettiva. Io la guardo come un figlio che non sa più cosa fare, che in verità non l’ha mai saputo, e con lo sguardo le chiedo di darmi un consiglio, pur sapendo che poi lo rifiuterò. “Che cosa stai cercando?” mi chiede. “La mia vita” “Ne sei sicuro?” “Sì…” “E sotto che spoglie stai cercando questa vita?” “Quelle di un uomo” “Loji?” “Sì! Lo conosci? L’hai visto? Sai dov’è? Dimmelo, allora, ti prego!” “No, non l’ho visto… ma so dov’è” mi ritrovo ad osservarla come un bambino che vede una cosa mai vista in precedenza. Un misto di gioia e paura. “Dimmi… ti prego… ti prego, dimmi dov’è…” “Te lo dirò, ma prima voglio parlarti” “No… no… e se nel frattempo lui se ne andasse da quel posto? E se…” “No! Non se ne andrà! E ora parliamo…” “Ma come fai ad esserne sicura? E se lui…” “No! Non se ne andrà! E ora siediti!” Le obbedisco, disperato per non poter partire subito, ma allo stesso tempo grato, per paura della reazione che potrà avere. “Bene. Dimmi, perché lo stai cercando così disperatamente? “ “Perché? Ma perché lui è la mia vita, è tutto quello che ho, lui mi ha fatto provare cose che mai prima avevo provato, lui… capisci? “ “Sì… e no… come fai a sapere che lui è l’unico a poterti dare queste cose? “ “Perché è l’unico che me le ha date! “ “Ma è anche l’unico che hai conosciuto…” “Non capisco perché tutti mi vogliono allontanare da lui! Perché? Perché? Non ho forse il diritto di scegliere chi voglio? Non posso, io, essere felice?” “Sì, tu puoi scegliere, ed è per questo che ti sto parlando. L’amore rende cechi, ma come fai ad essere sicuro che questo è amore?” “Io non ho dubbi! Non ne ho!” “E anche se è amore, per formare una coppia bisogna essere in due. E se l’altra metà dell’arancia non c’è, allora forse non era la metà giusta…” “…” “La vita è ingannevole, più del deserto, è in grado di farti credere a cose che non esistono… Tu hai detto una cosa giusta, prima… tu hai il diritto di essere felice! Il problema è.. è questa la strada giusta?” “Sì…” “Ricordati però, la tua vita dipende unicamente da te!” “Mi avevi detto che sapevi dov’era Loji! Dimmelo! Dimmelo ti prego dimmelo! Voglio… voglio poterlo rivedere e, rivedendolo, so che lo convincerei a tornare a casa con me… lui… lui me l’aveva promesso!” “E va bene… lui si trova ad Akatah, nel tempio di Kanèm, il dio del fuoco… ora, è suo!” “Cosa? Che… che cosa?” “Hai capito bene, Loji è diventato l’amante del dio del fuoco” “No… no… di sicuro è… è… è stato costretto… lui… lui…” “In fondo al tuo cuore sai bene che non è così. Tu sai che quello che credevi ti amasse, ama di più il potere, ed essere l’amante favorito di un dio, è potere!” “No… no… perché… no… no…” “Mi dispiace, ma purtroppo è così… mi dispiace davvero…” “Ma tu… tu non puoi fare nulla?” “A dire il vero… no, ma ho già fatto qualcosa, ti ho salvato da una morte certa, ed ora tu puoi scegliere… vuoi che il mo gesto sia stato vano? O vuoi considerarlo come un nuovo inizio?” “Che cosa intendi dire?” “Vedi, se vuoi puoi andare ad Akatah, ma non ti piacerà quello che vi troverai. Tu puoi decidere se continuare a disperarti per Loji e lasciarti quindi morire, o se cominciare una nuova vita” “No… no, io non la vedo così… c’è una terza possibilità, io vado al tempio del dio del fuoco e riporto Loji con me…” “Fai come vuoi… ma ricordati che un fiume, per quanti ostacoli possa incontrare, arriva sempre al mare. Tu… ci vuoi arrivare, tu?” mi guarda preoccupata. Forse sta pensando che ha sprecato il suo tempo. Forse sta desiderando di aver fatto la cosa giusta. “Io ci voglio arrivare accompagnato!” allora lei si porta la mano sinistra alla gola e stacca una conchiglia dalla sua collana. Me la porge. È piccola, fatta a ventaglio. Delle righette la percorrono tutta e scontrandosi con la luce crea mille bagliori colorati. “Che questa serva a ricordarti del mare in cui puoi sfociare, e dei colori che devi ancora vedere… ti prego, ricordatelo!” “…” e pian piano si decompone, sembra che stia evaporando. Svanisce in una nuvoletta di acqua non più liquida, e mentre sparisce, tutto il paesaggio sbiadisce e diventa nero, sempre più nero, e più nero. Buio.
Apro gli occhi. Mi guardo in torno. Sono nuovamente per terra, ma non più sulla sabbia. Mi alzo di scatto. Case. Strade lastricate. Sono in una città. “Scusi, che città è questa?” chiedo al primo che passa. Mi guarda chiedendosi quanto abbia bevuto. “Ahatah!” grazie Hamesha! Mi rigiro e, ora lo noto, eccolo lì il tempio!
… continua…
Disclaimer: storia e personaggi sono miei. Ripeto che la storia l’ho creata ascoltando “Arabian nights”, una canzone di Sarah Brightman che comunque non ha niente a che vedere con la storia.
Note: Hamesha… che cosa è in realtà Hamesha? Non lo so! La canzone di Sarah Brightman era divisa anch’essa in cinque parti cantate con ritmo diverso e i titoli di queste parti sono proprio i titoli dei vari capitoli di questa storia. La quarta parte della canzone, e cioè “Hamesha”, era però scritta in arabo, quindi io non so proprio cosa significhi questa parola… io l’ho usata per un nome, ma se qualcuno di voi ne conosce il significato sarebbe molto gentile a farmelo sapere… probabilmente non c'entrerà nulla con l’acqua…
Ciao, ciao…
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