Titolo: Angelo
custode
Autore: ki_chan
Parte: 19
Pairing: Fabio x Andrea
Raiting:
pg13
Angelo custode
Capitolo XIX
Sono steso sul letto dove sto vegetando senza interruzioni da tre giorni, da quando ho litigato con Fabio. Ho provato a chiamarlo ma lui non ha risposto e forse è stato meglio così, non avrei saputo cosa dirgli. Non che non ci abbia pensato, per carità, ma… è tutto così difficile. Non voglio perderlo, ma non so cosa fare per evitarlo. Non è la prima volta che litighiamo per colpa mia, ma non è la stessa cosa. Siamo sempre riusciti a chiarirci subito.
Mio padre
bussa piano alla porta prima di entrare. Non ho voglia di vederlo, non ho voglia
di vedere nessuno.
Nascondo il visto nel cuscino sperando che capisca. Ma è sempre stato
più testardo di me.
Si siede sul letto accanto a me e dice:
« Sono tre giorni che non fai che stare chiuso in casa, che cosa ti sta succedendo? »
« Niente »
« Va bene che sei pigro ma vegetare per tre giorni di fila è troppo anche per te »
« Sono stanco »
« Hai litigato con Fabio? »
« Perchè lo pensi? »
« Perché se non fosse così ci sarebbe qui lui a consolarti. »
« Mi sono comportato molto male con lui e ora mi evita. Io vorrei scusarmi, ma non è così semplice. Ho provato ma lui non mi vuole ascoltare anzi non vuole proprio vedermi! Sto cominciando a pensare che le cose non si sistemeranno mai! »
« Forse ha solo bisogno di un po’ di tempo. Poi sarà disposto ad ascoltarti »
« Io non ce la faccio ad aspettare. Senza di lui… »
…
mi sembra di impazzire. E’ come se non riuscissi più a vivere,
nulla sembra avere più importanza.
Ma questo certo non posso dirlo a mio padre. Lui non è stupido e capirebbe
cosa provo per Fabio … sempre che qualche dubbio non ce l’abbia
già. Sarebbe una cosa orribile se lui sapesse.
« Sei molto legato a Fabio e lui lo è a te, vedrai che ti perdonerà »
« Tu non lo conosci. Quando viene ferito si chiude in se stesso e non lascia avvicinare nessuno… Lui non perdona facilmente. … In fondo ha ragione. Me lo merito. Avrei dovuto comportarmi in modo completamente diverso, ma… ma… alcune cose sono troppo complicate e io non so come fare… non so quello che è giusto fare… »
« Non vuoi dirmi cosa è successo esattamente? »
« No, è meglio di no »
« E’ una cosa così orribile? »
« Si, non voglio tu lo sappia »
« Sicuro che non vuoi dirmelo? »
« Si, non adesso almeno »
Inutile dire che dopo la conversazione con mio padre mi sono sentito ancor più meschino e deplorevole. Per il mio poco coraggio non solo ho fatto soffrire Fabio, ma ho anche fatto preoccupare mio padre che ora chissà cosa pensa di me. Insomma un disastro su tutti i fronti.
*** ***
Da quando abbiamo litigato sono passati quattro giorni, due ore e ventitre minuti.
Sì, sto tenendo il conto!
Fabio continua a non voler rispondere alle mie telefonate. L’ho perfino
chiamato a casa, supplicando sua madre di passarmelo ma lei, forse un po’
scocciata, mi ha detto che Fabio non voleva parlarmi. Aveva un tono leggermente
preoccupato, ma probabilmente è stata solo la mia immaginazione.
Non posso andare avanti così. Non faccio altro che stare sul letto e
mangiare tutto ciò che ho sottomano… Non ho ancora vomitato perché
ho uno stomaco allenato ma sono certo che non reggerà a lungo. Ma il
problema non è certo questo. Senza Fabio sto sempre peggio. Devo parlargli,
devo assolutamente vederlo. Non resisto più! Se lui non vuole vedermi
che si arrangi perché in un modo o nell’altro riuscirò a
parlargli.
Oggi ci sono gli allenamenti, posso aspettarlo davanti alla piscina. Non ho
voglia di fare l’allenamento, ma lui sicuramente ci andrà.
Cerco di darmi una sistemata: quattro giorni sono sufficienti per farmi avere
un aspetto trasandato. Raggiungo la piscina quando manca quasi un quarto d’ora
alla fine dell’allenamento. Ne avrò per un bel po’ da aspettare.
Mi appoggio a all’ orrendo cancello azzurro e aspetto. Il vento freddo
certo non mi aiuta ma poco importa.
Quando vedo la porta dello spogliatoio aprirsi istintivamente comincio ad agitarmi.
Razionalmente so che non può essere Fabio perché lui esce sempre
per ultimo. Infatti, escono quattro miei compagni di squadra. Sono stupiti di
vedermi, mi si avvicinano e mi salutano chiedendomi perché non sono andato
all’allenamento. Mento inventandomi una scusa poco credibile ma la mia
mente è tutta rivolta alla porta degli spogliatoi da cui non riesco a
distogliere lo sguardo. Mi aspetto da un momento all’altro che possa uscire
Fabio.
Si accontentano della scusa e se ne vanno. Un po’ alla volta escono anche
altri, ma di Fabio ancora nessuna traccia. L’ultimo ad uscire è
Gabriele. Appena mi vede mi saluta con la mano e con passo tranquillo viene
verso di me.
« Cosa ci fai qui? »
« Sono venuto per vedere Fabio. E’ ancora in spogliatoio? »
L’espressione allegra di Gabriele si spegne immediatamente alle mie parole. Capisco subito che il mio impeccabile piano per incontrare Fabio non è poi così impeccabile.
« Oggi non c’era all’allenamento. »
« Perché? »
Proprio non avevo preso in considerazione l’eventualità che lui potesse saltare l’allenamento. Insomma a lui piace da impazzire la pallanuoto, è la stella della squadra e fra poco meno di due settimane c’è un’importante partita… come è possibile che l’abbia saltato.
« Credo, si aspettasse che saresti venuto a cercarlo… »
« Cosa? Non mi stai mentendo vero? Non è che è lui che ti ha chiesto di dire che non c’è e in realtà è ancora negli spogliatoi? »
« No, è la verità. »
« Hai idea di dove possa essere? »
« Purtroppo no. Però potrebbe essere a casa. »
« Se vado a casa sua non riuscirò mai a parlargli. Ha detto ai suoi di non passargli le mie telefonate, figurati se mi lasciano salire. Se poi c’è sua madre rischio anche di essere mandato a quel paese. Quella donna mi odia. »
Devo avere un’espressione particolarmente abbattuta perché Gabriele mi appoggia la mano sulla spalla e dice:
« Posso venire con te e citofonare io. Cosa ne dici? »
« Lo faresti davvero? »
Gli chiedo speranzoso. Forse ho ancora qualche possibilità di parlargli.
« Si. Non hai bisogno di fare quegli occhini da cucciolo implorante. Forza andiamo! »
Non sto
facendo gli occhini da cucciolo implorante … beh forse un pochino…
Ci mettiamo poco meno di cinque minuti ad arrivare da Fabio, sono un po’
agitato ma stranamente fiducioso. Sarà forse merito di Gabriele ma per
la prima volta da quattro giorni penso che forse non è ancora tutto perduto.
Un brivido di paura ed eccitazione mi corre lungo la schiena quando Gabriele
suona il citofono. Passano alcuni secondi prima che una voce maschile risponda.
Deluso ascolto Gabriele che parla con il fratello di Fabio e mi chiedo perché
debba essere così difficile parlare con Fabio.
Fabio non è in casa e non si sa quando tornerà, l’unica
cosa certa è che è in università. Informazione molto utile
data la vastità dell’università.
Devo avere proprio la faccia da cane bastonato perché Gabriele, tentando
di consolarmi un po’, dice:
« Non abbatterti. Vedrai che domani riuscirai a parlargli. »
« No, voglio vederlo oggi. »
« Lo so che stai soffrendo ma non puoi fare molto. »
« No, non lo sai. Io senza di lui sto da schifo. Mi sembra d’impazzire. Ho passato quattro giorni d’inferno a piangermi addosso terrorizzato che possa non volermi più. Voglio sapere se è così oppure no. Devo saperlo capisci. »
« E … se non se la sentisse di tornare con te? »
« Troverò il modo per farmi perdonare. »
« Cosa vuoi fare adesso? »
«
Vado a cercarlo all’università sperando di essere così fortunato
di trovarlo »
Gabriele non ribatte non so se perché non ha il coraggio di dissuadermi
o perché la considera davvero una buona idea. Mi accompagna fino alla
fermata e aspetta con me che arrivi il tram. Sto salendo quando trovo il coraggio
per voltarmi verso di lui, fermo sulla pensilina, e chiedergli:
« Mi accompagni? »
Gabriele si limita a sorridere e a salire a sua volta. Sono contento che abbia accettato. Ho bisogno di qualcuno accanto perché sono davvero agitato.
Arriviamo in università e fortunatamente non c’è molta gente. Forse è anche dovuto al fatto che sono ormai le sette di sera passate. Molti ragazzi se ne sono già andati e temo che tra questi ci sia anche Fabio. Gabriele, forse interpretando il mio timore, interrompe il discorso che stava facendo e mi rassicura dicendo:
« Vedrai che lo troviamo. Sta tranquillo. Non ho fatto tutta questa strada per tornare a casa a mani vuote »
« Grazie per essere venuto, davvero! Generalmente è Fabio che mi accompagna in queste mie imprese folli »
« Non devi ringraziarmi. »
Sottolinea
il concetto con un sorriso e riprende il discorso. E’ da quando siamo
saliti sul tram che non fa altro che parlare. E’ più logorroico
di me. Probabilmente lo fa per distrarmi un po’ dai miei pensieri, o forse
oggi è più loquace del solito.
Abbiamo girato in lungo e in largo per più di mezz’ ora ma ancora
niente. Ormai se ne stanno andando quasi tutti e le speranze di trovarlo sono
sempre meno.
Stiamo percorrendo per l’ennesima volta la strada nel cortile quando Gabriele
si ferma e dice:
«
Non c’è un bar in questo posto? Ho bisogno di bere qualcosa di
caldo e sedermi un attimo,
Luigi oggi ci ha massacrato. »
« Era di cattivo umore? »
Gli chiedo mentre mi dirigo verso il bar.
« Si, credo sia un po’ in ansia per la partita, come sempre… »
Ci sediamo ad un piccolo tavolino non molto lontano dalla finestra ed ordiniamo due caffé. Siamo ancora seduti quando, guardando distrattamente fuori dalla vetrata, vedo Fabio: è di spalle ma lo riconoscerei tra mille. Non faccio in tempo a muovere un muscolo che lui si volta appena verso una delle due ragazze che è con lui e vedo il suo sorriso, allegro … quasi felice.
« Cosa c’è? »
Mi chiede Gabriele vedendomi distratto. Lui non si è accorto di Fabio poiché da le spalle alla vetrata.
« Niente »
Mento, ma
mi è passata la voglia di parlare con Fabio. Forse era molto meglio se
me ne stavo a casa raggomitolato nella trapunta ad ingurgitare elevate quantità
di cibo … avrebbe fatto meno male. Abbozzo un leggero sorriso in direzione
di Gabriele e con lo sguardo vado a cercare nuovamente Fabio ma ormai se n’è
andato.
Non riesco a togliermi dalla testa quell’espressione felice che aveva…
Come sempre mi sono illuso.
Con un filo di voce dico:
« Perché non ce ne torniamo a casa? E’ stata una pessima idea quella di venire. Ti ho fatto perdere tempo per niente. Scusa! »
« Sei sicuro di star bene? »
« Sì certo »
Gabriele mi riaccompagna a casa da bravo babysitter, ma una volta arrivati davanti al portone gli dico:
« Non ho tanta voglia di tornare a casa, non è che ti andrebbe d’andare a mangiare una pizza da qualche parte? »
« Andrea cosa ti sta succedendo? »
« Non voglio stare da solo. Ricomincerei a pensare a quello che è successo e non voglio stare male, non ce la faccio più! Ti prego… »
Mi sento
davvero stupido e patetico ma mi fa paura solo il pensiero di tornare a casa
e ricominciare a pensare a Fabio. Per giunta dovrei fingere con mio padre…
non ne ho la forza.
Gabriele mi guarda dolcemente e dice:
« D’accordo. Ma andiamo a casa mia, staremo più comodi. »
Gabriele
vive da solo in un piccolo (nemmeno troppo) appartamento che i genitori gli
hanno comprato quando si è dovuto trasferire qui per gli studi che ormai
ha terminato da qualche anno.
Abbiamo comprato due pizze surgelate al supermercato e fanno davvero schifo.
O forse sono io che non ho particolarmente fame. La mangio contro voglia ma
non posso fare altrimenti.
Finito di mangiare ci mettiamo sul divano. Io, molto maleducatamente, non accenno
ad andarmene e Gabriele, molto educatamente, non mi caccia via. Anzi mi propone
di giocare un po’ con la playstations2. Almeno mi distraggo un pochino.
E’ ormai sera tardi quando mi dice:
« Sto crollando dal sonno. »
« Oh, scusa! Me ne vado subito! »
« Sei vuoi puoi rimanere qui a dormire. Se ti accontenti del divano… »
« Davvero non ti scoccia se rimango? »
« No. Tranquillo »
Accetto
ben più che volentieri e mi sistemo per dormire. Gabriele mi da un paio
di coperte e un cuscino. Per essere un divano è comodo ma non riesco
comunque a chiudere occhio. La colpa non è certo del letto improvvisato
ma di questa mia dannatissima testa che non la pianta un secondo di torturarmi.
Mi giro e rigiro come una trottola senza trovare pace. Non faccio altro che
pensare a un modo per parlare con Fabio, a cosa dovrei dirgli… al fatto
che potrebbe anche non perdonarmi. Forse è davvero tutto finito…
egoisticamente quello che mi fa più male è l’idea che lui
probabilmente non ci soffrirebbe molto. Infondo oggi non sembrava poi propriamente
abbattuto… Non vorrei ma non riesco a trattenere le lacrime.
Quasi fosse destino Gabriele esce da camera sua e cercando di non fare troppo
rumore va in cucina a bere. Vorrei smettere di piangere. Gabriele, forse sentendo
i miei singhiozzi strozzati, torna in sala.
Mi sento così stupido!
Preoccupato mi chiede:
« Andrea cosa succede? »
Mi copro
la faccia con la coperta anche se Gabriele non può comunque vedermi a
causa della semioscurità. Mi vergogno così tanto a farmi vedere
piangere da qualcuno.
« Niente »
Cerco di avere un tono più normale possibile ma un singhiozzo mi sfugge facendo chiaramente capire a Gabriele cosa sta succedendo.
« Perché piangi? Per Fabio? Vedrai che domani riuscirai a parlargli. »
« O-oggi in università l’ho visto. Mentre eravamo al bar… »
« Perché non sei andato a parlargli? Siamo andati per quello. »
« Lui era lì con un paio di amiche. Stava ridendo e sembrava felice … era felice!! Capisci lui era felice senza di me! Io ho passato quattro giorni d’inferno e lui… »
« Sai bene che Fabio è fatto così, non è tipo da far vedere cosa prova davvero »
« Lo so, ma mi fa star male pensare che potrebbe non interessargli più niente di me o peggio pensare che è felice perché finalmente si è liberato di una palla al piede come sono io. »
« Andrea, lasciatelo dire, è un discorso stupido e dettato solo dalla paura. Fabio è il primo a soffrire per quello che è successo e se non riesci a capirlo forse il problema è proprio questo. Devi cercare di comprendere quello che sta passando anche lui. »
« Vuoi dire che sono un vero egoista? »
« No. Però prova a pensare che anche Fabio ha bisogno di essere rassicurato ogni tanto. Ha bisogno di sapere cosa provi per lui… »
« Io… Non è così semplice essere sicuri su certe cose. »
« Lo so, ma non lo è nemmeno per Fabio. Lui risente delle tue insicurezze. Ha paura che tu non sia sicuro di quello che state facendo e… ed è arrabbiato per quello che è successo durante gli allenamenti. »
« Queste cose te le ha dette lui? »
« Si, e io non avrei assolutamente dovuto dirtele. Quindi se ci tieni a me non dire a Fabio che te l’ho detto! »
« Penserai che sono davvero una persona orribile. »
« No. Se lo pensassi non saresti seduto sul mio divano e certamente non ti spingerei tra le braccia di Fabio! »
*** ***
Vengo sbattuto giù dal divano, nel senso letterale del termine, alle
8.00 di mattina da Gabriele che è già in ritardo al lavoro e non
vede l’ora che io sloggi. Sono stanco ma parlare con Gabriele stanotte
mi ha fatto bene da un certo punto di vista. Ora, almeno, so come mi devo comportare
appena riuscirò ad incontrarlo. Perché il problema di fondo è
proprio questo, lui non vuole vedermi e fa di tutto per evitarmi, cosa che gli
viene molto bene. Quindi o spero nella fortuna (che non mi ha mai favorito)
o trovo il modo per costringerlo a parlare con me. Potrei sempre accamparmi
sotto casa sua o peggio… Raggiungo Gabriele in cucina, dove sta facendo
colazione, e scherzosamente dico:
« Potresti dire a Fabio che ho avuto un grave incidente? »
« Cosa? Perché? »
« Così verrebbe a cercarmi e io potrei parlargli. »
« Tu sei tutto matto lo sai? Comunque non c’è bisogno di inventarsi un incidente. So per certo che Fabio tornerà a casa verso le sei oggi. Puoi aspettarlo davanti a casa… »
« Come fai a saperlo? »
« Con me parla ancora. »
« Grazie! »
*** ***
Arrivo davanti
al portone di Fabio con più di mezz’ ora di anticipo, non sia mai
che torna a casa prima… con la mia fortuna sarebbe possibile. Mi siedo
sulla panchina posta giusto di fronte allo stabile di Fabio. Questa è
una posizione strategica, riesco a vedere sia il portone che la finestra della
sua camera. L’unico problema, da non trascurare, è che questa panchina
è in pura pietra ed è a dir poco gelata, ma dopo circa un quarto
d’ora l’ho ormai scaldata con il calore del mio corpo… tralasciamo
il fatto che il sedere non lo sento più.
Il tempo passa e comincio a sentire l’ansia che cresce ogni minuto, ma
Fabio non mi fa attendere a lungo, non so se dire per fortuna oppure no. Quando
lo vedo è ancora lontano, cammina distratto lungo il marciapiede avvolto
dal suo cappotto scuro. Senza troppi indugi mi alzo e vado ad aspettarlo appoggiato
al muro di fianco al portone. Si accorge di me solo quando è a qualche
metro. Sembra stupito di vedermi. Mi fissa continuando a camminare e dai suoi
occhi capisco che non sarà così semplice farmi ascoltare. Senza
più guardarmi tira fuori le chiavi dalla tasca e le inserisce nella serratura.
Preso dal panico con un filo di voce dico:
« Fabio… »
Si volta
un istante verso di me facendomi illudere che sia disposto ad ascoltarmi. Ma
mi guarda solo per un momento prima di aprire il portone ed entrare.
Dandomi le spalle si limita a dire:
« Vattene a casa »
Il suo tono
non sembra arrabbiato ed è questo che mi preoccupa di più. Non
posso lasciarlo andare via così.
Gli afferro il braccio con delicatezza ma decisione con costringendolo a fermarsi.
Si volta verso di me e dice:
« Andrea non ho voglia di vederti »
« Ma io ho bisogno di parlarti! »
« Quello che vuoi tu in questo momento non mi interessa. »
« Non me ne andrò finché non sarai disposto ad ascoltarmi! »
« Nessuno te lo impedisce ma la panchina non credo sarà molto comoda! »
« Lo stai facendo per punirmi? »
Fabio mi fissa senza ribattere nulla ma io sono sicuro che è così e inconsciamente so che me lo merito.
« Quando vorrai parlare mi trovi sulla panchina! »
« D’accordo »
Risponde tranquillo ma nella sua voce è chiara una sfumatura di sfida. Senza aggiungere altro se ne va chiudendomi il portone in faccia. Ho bisogno di qualche secondo per rendermi davvero conto della situazione. Più disperato che furioso dico:
« Quando sarò morto congelato sarà troppo tardi per parlare! E a quel punto ti sentirai in colpa! »
Spero che
mi abbia sentito ma in verità è più uno sfogo con me stesso.
Rassegnato e deluso mi rimetto sulla panchina e aspetto sperando che prima o
poi si decida ad ascoltarmi.
Sono ormai passate due ore quando sento il cellulare vibrare nella tasca. Sperando
che sia Fabio rispondo senza nemmeno curarmi di leggere il numero sul display.
« Ciao Andrea, sono Gabriele. Volevo sapere come è andata con Fabio. »
« E’ andata da schifo! Non vuole più vedermi e nemmeno parlarmi. E’ stato un vero disastro! »
« Stai tranquillo, vedrai che cambierà idea… »
« Lo spero perché sono due ore che sono seduto qui a congelarmi aspettando che si impietosisca e venga a parlarmi! Non ce la faccio più! »
« Scusa, ma dove diavolo sei? »
« Sulla panchina sotto casa di Fabio… »
« Non hai davvero intenzione di stare lì finché Fabio non cambia idea, vero?! »
« Certo, che ho intenzione di rimanere qui! »
« Tu sei tutto matto. Rischi di congelarti! »
« Dillo al tuo caro e insensibile amico! »
« Siete due casi disperati! Comunque se recuperi un minimo di buon senso e decidi di tornare a casa avvisami. »
« Perché? »
« Tu fallo e basta! Devo scappare, ciao. »
Il tempo
passa e Fabio non da segno di voler cambiare idea. La luce è accesa nella
sua stanza. Comincio seriamente a pensare che voglia lasciarmi qui tutta la
notte. Demoralizzato guardo l’orologio… sono le otto e dieci minuti.
Sono sempre più convinto che la cosa si prospetta molto lunga.
Chiamo mio padre per dirgli che non torno a mangiare. Vorrei anche dirgli che
ho bisogno una trapunta e magari una bella stufetta ma evito. Forse potrei accendere
un fuoco proprio qui davanti, giusto per scaldarmi le mani… se solo mi
fossi portato dietro un paio di guanti. Sto ancora riflettendo su che razza
di assurda situazione mi sono andato a cacciare quando vedo venire verso di
me Gabriele e Martina. Devo ammettere di essere molto stupito di vederli, ma
in fondo sono felice. Probabilmente sono passati per vedere e sono ancora vivo
o il freddo ha avuto la meglio. Quando sono a qualche passo da me li saluto
felice di non essere più solo come un cane. Martina si siete sulla panchina
accanto a me e mi saluta a sua volta.
Vedendo gli ampi sacchetti che hanno in mano chiedo:
« Siete andati a fare la spesa? »
Martina mi guarda un po’ incredula e dice:
« Ma no sciocchino questo è il kit di sopravvivenza! »
Tralasciando che nessuno mi aveva mai detto sciocchino e che probabilmente è una parola che non usa più nessuno, cosa diavolo intende con kit di sopravvivenza? Probabilmente il mio sguardo è più esplicativo di qualsiasi domanda perché Martina dice:
« Dato che dovremmo rimanere qui a lungo, così almeno mi ha detto Gabriele, ho pensato di portare qualcosina: »
Comincia col tirare fuori due termos dal sacchetto e dice:
« Caffé caldo, appena fatto. Utile per rimanere svegli, non mi fiderei troppo a dormire su una panchina nel cuore di Milano... »
Appoggia il termos sulla panchina e ricomincia a frugare nel sacchetto prendendo alla fine un contenitore abbastanza grande.
« Panini… Non ho avuto tempo per preparare qualcosa di più perchè Gabriele mi ha messo fretta, come sempre. Però va bene se ci viene fame. »
Continua l’elenco tirando fuori sempre più velocemente le cose dal sacchetto che sembra enorme tante cose conteneva
« Un pezzo di torta fatta con le mie manine. Potrebbe servirci per lo spuntino di mezzanotte… acqua … a proposito se uno dovesse andare in bagno come fa? »
Chiede sinceramente preoccupata. Io sono troppo stordito dalla situazione, dal freddo e dai suoi discorsi per pensare a una risposta a un problema a cui io stesso non avevo pensato. Gabriele, scherzando (lo spero almeno) dice:
« Guada lì c’è un cespuglio… puoi andare lì dietro. »
Martina lo guarda un po’ alterata prima di decidere di ignorarlo e ricominciare con il suo fiume di parole:
« Ti ho portato un cappello, guanti, e sciarpa nel caso tu avessi freddo e una coperta … d’accordo possono scambiarci per dei barboni ma se dovesse arrivare la polizia basta scappare. Ohhh poi ho portato qualche gioco di carte nel caso dovessimo annoiarci… »
Mi volto verso Gabriele un po’ preoccupato dal fatto che fin’ora ha svuotato solo una delle quattro borse che si sono portati dietro. Gabriele si trattiene a stento dal ridere e dice:
« Martina, illustrerai dopo quello che hai portato. Non vorrai spaventarlo e farlo fuggire via. »
Martina
si limita a fargli una linguaccia ma interrompe la spiegazione. Fa quasi impressione
quanto sia organizzata questa ragazza… l’esatto contrario di me.
Con estrema gratitudine indosso i guanti e stupidamente chiedo:
« Ma avete intenzione di rimanere qui? »
Martina, radiosa, dice:
« Certo, non volevamo lasciarti qui tutto solo. »
« Grazie, ma non è necessario! »
« Poche storie cucciolotto! »
Neanche cucciolotto me l’aveva mai detto nessuno.
La serata
passa più velocemente del previsto anche se di Fabio nemmeno l’ombra,
o meglio… ogni tanto si intravede alla finestra dietro le tende. Chissà
cosa pensa nel vedermi qui fuori al freddo? Forse si sente un po’ in colpa...
sta di fatto che sono ormai le dieci di sera e io sono qui da quasi cinque ore
a congelarmi! Potrebbe anche farmi il sacrosanto piacere di scendere e starmi
a sentire.
Dopo una decina di minuti, mentre siamo tutti e tre molto impegnati in una partita
di poker (utilizziamo come fish le caramelle e i cioccolatini che Martina ha
portato), qualcuno esce dal portone. Non ci faccio molto caso… ormai non
mi illudo più che possa essere Fabio. Ma come sempre mi sbaglio.
« Vedo che vi state divertendo… sappiate però che il gioco d’azzardo è vietato. »
Alzo immediatamente lo sguardo e lo vedo, fermo a qualche passo da noi. Preso alla sprovvista non riesco a fare altro che sussurrare:
« Fabio… »
« Mia madre quando vi ha visti vi ha preso per dei barboni, voleva chiamare la polizia! »
Dico la cosa più intelligente che mi viene in mente… e questo la dice lunga sul mio attuale stato mentale:
« Scommetto che quando ha saputo che c’ero anch’io li ha chiamati subito »
Fabio mi guarda severo, forse offeso per quello che ho detto, e dice:
« Tornatevene a casa »
« Te l’ho già detto non me ne vado finché non ti decidi ad ascoltarmi! »
« Perché stai facendo tutto questo? »
Lo guardo perplesso per qualche istante prima di riversare su di lui tutti la mia frustrazione.
« Perché credi lo stia facendo? Certo, non lo faccio perché mi diverto a stare seduto su una panchina gelata per cinque ore di fila! Hai idea di come è ridotto il mio povero sedere? »
Credo proprio che Fabio questa volta mi manderà definitivamente a quel paese… Ma contrariamente a qualsiasi mia catastrofica previsione, l’espressione di Fabio si addolcisce. Non dice nulla ma volge lo sguardo verso Gabriele. Lui capisce immediatamente e dice:
« Noi ce ne andiamo… »
Martina però non ha la sua stessa sensibilità:
« Ma come? Sul più bello? »
Gabriele scuote rassegnato la testa prima di prenderla per un braccio e trascinarla via, ma Martina non sembra rassegnarsi:
« Facciamo così: ci nascondiamo dietro il cespuglio… »
« No! »
« Gabriele ti prego!!! Non puoi farmi perdere il momento in cui si chiariranno e presi dalla passione inizieranno a baciarsi… »
Poco alla volta le proteste di Martina si affievoliscono, o forse sono troppo lontani per sentirle.
« Fabio… »
Rimango in silenzio qualche secondo. Ho talmente tante cose da dirgli che non so da dove iniziare. O forse è solo paura, ma preso coraggio ricomincio a parlare:
« Sono qui perché mi manchi da morire e soprattutto… perché voglio sia chiaro quello che provo per te. So che con i fatti non l’ho dimostrato e che forse penserai che non sto dicendo la verità, però devi credermi. Io… sono solo molto confuso su come la nostra relazione inciderà sul mio rapporto con le altre persone, ma non ho dubbi su di noi. »
« Non mi hai ancora detto cosa provi per me. »
« Sono… sono innamorato di te e non voglio perderti per la mia stupidità! »
Gliel’ho detto. L’ho detto davvero!
« Sei davvero sicuro di quello che stai dicendo? »
« Sì. Ti prego credimi. »
Fabio esita qualche istante e non posso impedirmi di temere che le mie parole non siano sufficienti. Preso dal panico dico:
« Fabio ti prego… »
Nessuna
reazione. Sono disperato. Cosa posso fare ora? Se lui non vuole credermi io…
Fisso il pavimento sperando che così non veda i miei occhi lucidi.
Prendendomi totalmente alla sprovvista mi appoggia la mano dietro la testa e
mi attira verso di se. Nascondo il viso sul suo petto, la stoffa del suo cappotto
è ancora calda e profuma di buono.
Mi accarezza delicatamente la schiena e piano mi dice:
« Ti credo, tranquillo... Ti credo »
Lo abbraccio a mia volta stringendogli le braccia intorno alla vita con tutta la forza che ho.
« Scusa per come mi sono comportato e per quello che ho detto all’allenamento »
« Sei scusato »
Rimaniamo
abbracciati per qualche minuto. Non mi importa se siamo in mezzo alla strada,
non mi importa se sua madre o chiunque altro potrebbe vederci… non mi
importa più nulla.
Ma Fabio dopo un po’ mi sussurra:
« Se hai il sedere congelato posso scaldartelo io… »
Non riesco a trattenere un sorriso e dico:
« Così poi la polizia la chiamano davvero, ma per atti osceni in luogo pubblico! »
Fabio sorride a sua volta e scherzando dice:
« Sarà per la prossima volta »
Sembra tornato
tutto come prima eppure così tanto è cambiato tra noi. Io soprattutto
sono cambiato dopo questi cinque giorni.
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