Mah… vediamo… prima di tutto al mio fratellino rompiballe, che anche se non leggerà mai questa fic è uno dei più sfegatati fan della letteratura fantasy che io conosca. In secondo luogo a Sei, Saku e Kieran, perché non si scandalizzano mai di fronte alle castronate che faccio e dico (e vorrei ben vedere…). Una dedica speciale alla mia mami cagacazz… ehm, si può dire? Comunque, alla mia mami, perché senza di lei non avrei mai conosciuto il morboso piacere di leggere e scrivere… mami, ti prego, basta, la storia della capra bastarda la conosco a memoria!!! A tutte le ragazze della mailing list, per il supporto e la gioia che sanno dare. Ma soprattutto dedico questa fic alla Nutella, perché è l’unica cosa che riesce a tirarmi su quando bloccata con la scrittura considero il suicidio una scelta possibile. GRAZIE!
And the groves are still singing...
By Su(k)
CAPITOLO PRIMO. LACRIME NELLA PIOGGIA. Parte uno.
La pioggia cadeva lenta sui tetti e il cielo coperto da plumbee nubi era squarciato ogni pochi tormentati istanti da lontani lampi senza suono. Un vento freddo, pungente come mille piccoli aghi sotto pelle scuoteva con forza le insegne di legno dipinto di locande e negozi, mentre il sinistro cigolio di imposte mosse dall’aria violenta infrangeva quell’irreale silenzio fatto di piccoli suoni.
Le pietre che lastricavano le strade si erano trasformate in oscuri specchi a causa della pioggia e le sporadiche luci che ancora filtravano da qualche finestra trasformavano qualsiasi superficie in un tripudio di ombre frenetiche e sfuggenti.
In quell’infinita distesa di grigio e nero solo un’unica macchia di colore, un rosso stridente che risuonava come un grido in quel piatto e monocromatico paesaggio.
Un giovane sdraiato a terra, avvolto da un pesante mantello scuro, ignaro della pioggia che batteva con forza sul suo viso.
Invisibili e fredde dita sconvolgevano in una danza frenetica i suoi capelli color del fuoco, mentre la sua pelle bronzea anche se illividita dal freddo riluceva di iridescenti riflessi sotto la luce di ormai quasi estinte lanterne.
Il sangue che scorreva da una profonda ferita al fianco destro si mescolava con i rigagnoli d’acqua, macchiando la loro trasparenza di un oscuro e opaco cremisi, scivolando verso il viso del giovane uomo e confondendosi con il rosso dei suoi capelli.
Un sospiro leggero, un rantolo di preghiera e rassegnazione uscì da quelle labbra un tempo dello stesso colore dei suoi strani capelli, mentre l’insegna raffigurante un giglio anch’esso rosso oscillava rabbiosa sopra la sua testa.
“K… K… Kah…” riuscì a sospirare, dopodiché perse i sensi.
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“Si sta svegliando.”
Hanamichi aprì lentamente gli occhi. Nonostante la stanza fosse avvolta dalla penombra, la poca luce che filtrava attraverso gli scuri dell’unica piccola finestra lo ferì agli occhi come una lama ben affilata.
“Mmmh…” gemette passandosi un braccio sul viso per schermarsi da quella luminosità soffusa.
“Non preoccuparti Hana” parlò una voce a lui conosciuta “sei rimasto privo di sensi per quasi una settimana. È normale che i tuoi occhi debbano riabituarsi alla luce.”
“Y… Yohei?” chiese il ragazzo in un sussurro cercando di mettersi a sedere, gli occhi ancora chiusi.
Ancora prima di fare un movimento Hanamichi si rese conto che la sua non era stata un’idea saggia.
Una fitta di dolore talmente acuto da spezzarli il fiato si diramò dal suo fianco destro in ogni terminazione nervosa, trasformando il suo corpo in un unico e doloroso pulsare.
“Buono Hanamichi” gli disse preoccupato Yohei spingendolo di nuovo sul letto “sei stato assalito in un vicolo qui vicino. Ti hanno accoltellato. Con un dakata.”
Un silenzio irreale avvolse la piccola stanza.
“Un… un pugnale rituale?” chiese il rossino con un sussurro, non ancora ripresosi dalle fitte acute che gli avevano scosso il corpo solo un attimo prima.
“Già” gli rispose l’amico “e pure uno di quelli avvelenati. Se non fosse stato per l’intervento di tre Bianchi probabilmente non saresti più qui.”
“Beh, sono stato fortunato, no?”
“Molto fortunato. Riesci ad aprire gli occhi?”
Lentamente, schermandosi ancora con una mano, il giovane sollevò le palpebre, trattenendo a stento una smorfia di dolore quando la luce lo ferì di nuovo, e dopo pochi attimi di fastidio riuscì nuovamente a vedere.
“Ciao Yohei.” Disse sorridendo all’amico.
“Ciao Hana. Bentornato a casa.”
“Allora, dimmi. Com’era il Codowal?”
Era passata più di una settimana da quando Hanamichi si era ripreso e il ragazzo era ritornato ai suoi appartamenti al quartier generale dei Cavalieri di Stormguard. Grazie al prezioso intervento dei maestri di magia bianca le sue ferite si erano quasi del tutto rimarginate, ed ora il ragazzo sedeva nelle sue stanza insieme a Yohei.
“Caldo e umido come il didietro di un drago delle rocce.” Rispose Hanamichi alla domanda postagli poco prima dall’amico. “Davvero, è un posto orribile. Non augurerei a nessuno di doverci passare nemmeno una settimana, figuriamoci tre mesi! I vestiti si incollano alla pelle, l’aria è pesante, ogni movimento comporta fatica. E non ti dico la quantità immane di insetti odiosi che c’è in giro! Sono stato morso da più zanzare nel giro di cinque minuti che in tutto il resto della mia vita. Davvero, un inferno.”
“Almeno hai raccolto qualche informazione utile?” chiese Yohei rigirando qualcosa tra le lunghe dita.
“Direi di sì. Un confratello di stanza a Morotan mi ha procurato una copertura più che accettabile, e così sono riuscito ad infiltrarmi in una banda di malviventi locali. Si trattava più che altro di ladruncoli e tagliagole, ma ogni tanto si trovavano tra le mani qualcosa di grosso. È stato in occasione di una loro contrattazione con un potenziale cliente che ho sentito una conversazione interessante. A quanto pare il vecchio e caro Takato sta radunando un esercito non indifferente, e tutti gli strani artefatti magici che i suoi aiutanti hanno acquistato sono in qualche modo collegati con la mobilitazione delle sue truppe.”
“Quel vecchio balordo sta radunando l’esercito?!” esclamò Yohei stupito “ma cosa diavolo gli è saltato in testa? Lo sa benissimo che non sarebbe mai in grado di fronteggiare l’Alleanza! O è dannatamente stupido o sta architettando qualcosa.”
“La stessa cosa che ho pensato io. È per questo che sono tornato a Galarad di corsa. Si possono dire tantissime cose su Takato, ma non certo che sia stupido.”
Detto questo Hanamichi si alzò dalla poltrona in cui era seduto fino a un attimo prima e cominciò a girare per la stanza, passandosi ogni tanto una mano tra i capelli fulvi.
Nonostante fosse pieno giorno e le tende alle finestre fossero state scostate per permettere alla luce di entrare, la stanza era avvolta dalla penombra.
Il cielo dietro i sottili vetri appariva come uno scuro panno di seta nera, lasciato a formare morbide pieghe dai riflessi cangianti. Il vento freddo scuoteva di nuovo le cime degli alberi che si potevano scorgere in lontananza, e le onde del mare rabbioso si andavano ad infrangere contro l’imponente scogliera su cui era costruito il castello di Galarad.
Dalle finestre dei suoi appartamenti Hanamichi era in grado di vedere gran parte della città, la quale si era sviluppata tutt’attorno alle alte mura del castello.
Le vie irregolari erano quasi interamente coperte dai tetti sporgenti delle case, e gli unici luoghi in cui si riusciva a scorgere la presenza dei cittadini erano le numerose piazze che si trovavano in ogni angolo della città.
Tra la vasta distesa di tetti variopinti spuntavano le guglie e le torri dei luoghi di culto delle varie divinità del regno. Le torri dipinte di rosso dedicate al dio del fuoco, Nael. Le cupole appuntite delle terme di Gara, signora delle acque. Gli altari a cielo aperto dedicati alle celebrazioni in onore di Tenarai, padre e madre di tutti gli dei.
“Ci hai mai fatto caso?” cominciò Hanamichi “per quanto si cerchi di seguire rigidi schemi e progetti, questa città diventa ogni giorno più caotica.”
“E mi vorresti dire cosa centra la caoticità della città in questo momento?” gli chiese divertito Yohei.
“No, niente… è solo che…”
In quel momento qualcuno bussò alla porta, tre colpi secchi che risuonarono per l’intera stanza.
Hanamichi, che stava ancora guardando fuori dalla finestra si girò di scatto e fissò prima la porta, e poi l’amico che nel frattempo si era alzato.
“Dici che dovrei aprire?” chiese il rossino con un filo di voce.
Yohei lo guardò stupito. Qualcosa nel comportamento del suo amico da quando era stato aggredito era cambiato. Era pur sempre il solito burlone allegro e pieno di vita, ma c’erano dei momenti in cui una pacatezza e una sorta di timore soffocato trasparivano dai suoi occhi o dalla sua voce.
“Beh, se non vuoi che ti buttino giù la porta…” gli rispose Yohei con un sorriso lieve.
Con un gesto deciso Hanamichi spalancò la porta, solo per trovarsi davanti una giovane guardia che lo guardava con ammirazione e rispetto.
“S… Sir Sakuragi” cominciò il giovane soldato “i…il re… il re ha chiesto di voi.”
“Oh” si riprese Hanamichi “certo, quasi mi dimenticavo di fargli rapporto. Con la scusa della convalescenza mi sono preso un po’ di tempo libero. D’accordo. Precedici pure. Io e Yohei arriveremo tra un minuto.”
Preso un mantello da uno degli armadi che si trovavano nella camera da letto, Hanamichi si diresse alla sala del consiglio, seguito da Yohei.
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Il castello di Galarad era stato costruito secoli prima, maestoso esempio di magnificenza ed ostentazione.
Alte colonne sostenevano archi finemente decorati e le volte dipinte del soffitto si perdevano nell’oscurità. Pesanti ed intricati arazzi coprivano le spesse pareti di roccia per trattenere il calore che ardenti fuochi sprigionavano in enormi camini di marmo. Alte finestre sul lato sud del corridoio lasciavano passare i freddi raggi del sole mattutino, inondando l’ambiente di una luce poco accogliente.
Il pavimento consunto dall’uso era freddo anch’esso, ed ogni passo dei due amici risuonava come i picconi nelle miniere d’oro dei monti Olafa.
“Ma porca…” cominciò Hanamichi stringendosi di più nel caldo mantello “com’è possibile che con tutti i fuochi che ardono nei camini questo castello sia così freddo?”
“Hana” gli rispose sorridendo Yohei “non è il castello ad essere freddo… sei tu che hai vissuto per gli ultimi tre mesi in una terra che tu stesso hai definito ‘più calda delle bocche dell’inferno’… è normale che il clima di Galarad ti sembri molto più freddo…”
“Sarà… io però sono del parere che i Rukawa dovrebbero fare qualcosa per migliorare il sistema di riscaldamento di questa enorme trappola. Dopotutto il castello è loro, e se non vogliono ritrovarsi schiere di sudditi congelati è meglio che si diano da fare…”
“Beh… se proprio ci tieni puoi farlo sapere anche subito ad uno dei diretti interessati.”
“Giusto! Appena avrò finito di fare rapporto a re Satoru gli farò presente che qui si gela!”
“Ehm… Hanamichi… io non mi stavo riferendo al re…”
“Cosa? Non stavi parlando del re? E allora di chi?”
“Kaede. Ci sta venendo incontro.”
Hanamichi alzò gli occhi di scatto. Si era totalmente dimenticato di lui. Negli ultimi giorni era stato così impegnato a rimettersi dalla ferita e chiacchierare con Yohei che si era scordato di tutto il resto. Kaede se la sarebbe presa. Se la sarebbe presa tantissimo. Hanamichi si diede mentalmente dell’idiota. Lui, Yohei e Kaede erano entrati all’accademia nello stesso giorno, e da quel momento erano sempre stati insieme. Nonostante Kaede fosse figlio del re avevano fatto il noviziato insieme, e anche quando si erano dimostrati tutti e tre degni di entrare nelle fila dei Cavalieri di Stormguard il giovane Rukawa aveva preferito restare con loro alla casa madre piuttosto che tornare a castello ed intraprendere la noiosa vita di erede al trono. Certo, aveva un carattere impossibile, ma mai aveva fatto pesare i suoi nobili natali su qualcuno dei suoi confratelli.
Hanamichi si diede nuovamente dell’idiota. Conosceva quel ragazzo quasi da sempre, aveva vissuto a stretto contatto con lui per tutto il periodo del noviziato, ma c’era qualcosa in lui che lo mandava su tutte le furie. Un’aria di sufficienza che lo indispettiva. Un sarcasmo celato che sapeva tirar fuori nei momenti meno opportuni. E quell’odiosa abitudine di stuzzicarlo in ogni momento.
Se la sarebbe presa eccome.
Ormai il ragazzo era a pochi passi da loro, tanto che ora Hanamichi riusciva a distinguere chiaramente la particolare forma delle sue orecchie, non lunghe e appuntite come quelle degli elfi, ma nemmeno del tutto tonde come quelle degli umani, chiara testimonianza del suo sangue misto.
I suoi occhi chiari scrutarono Hanamichi con un’espressione che questi non riuscì a decifrare, mentre una ciocca ribelle di capelli neri come l’ebano gli sfuggiva sul viso.
“Ehm… ciao volpe. Come va la vita? Ti sono mancato?” riuscì a dire Hanamichi, prima che un poderoso gancio lo mandasse lungo disteso sul pavimento di legno.
“Cazzo, Rukawa! Mi hai fatto male! Cosa diavolo ti è saltato in mente?!” gridò Hanamichi rimettendosi in piedi.
“Hn.” Rispose Rukawa dandogli le spalle ed allontanandosi.
“Ehi! Brutta volpe! Rispondimi!”
“Lo vuoi davvero sapere?” si girò di scatto il ragazzo moro con un basso ringhio “Sei un cretino Sakuragi! Ti sei fatto sorprendere come un bambino! Ti rendi conto che saresti potuto morire?! Cosa ti è saltato in mente di entrare in città senza avvisare nessuno? Lo sai che metà del consiglio ti vuole morto! Non puoi andartene in giro da solo come se niente fosse! E se non ti avessero beccato nei pressi del Giglio Rosso probabilmente a quest’ora te ne staresti su un’idiotissima nuvoletta vestito di bianco a suonare un’arpa del cazzo!”
Hanamichi lo guardava allibito. Kaede che parlava così tanto? No, decisamente non si era ancora ripreso del tutto, visto che era preda di allucinazioni da degenza.
“Wow, Kaede, non sapevo tenessi così tanto alla mia salute.” Riprese Hanamichi sorridendo furbo.
“Hn. Non me ne frega un accidente della tua salute. Sei stato mandato nel Codowal per raccogliere informazioni. Farti ammazzare prima di essere riuscito a riferire cosa hai scoperto era decisamente controproducente. La mia ‘preoccupazione’ non era rivolta alla tua persona, ma alle informazioni che hai in quella tua testa bacata.”
“Gentile e delicato come sempre, vero kitsune?”
“Io sono gentile. Non ho usato nemmeno una volta l’aggettivo ‘idiota’.”
Hanamichi lo guardò sorridendo. Andava sempre a finire così. Per quanto si sforzasse di cambiare le cose, non scontrarsi con quel volpino altezzoso era quasi impossibile. Ma gli andava bene così. Il loro rapporto era bello proprio per questo.
“Beh” riprese Hanamichi dopo un attimo “spero solo che tua padre sia un tantino più felice di rivedermi.”
“Hn. Certo, per quel vecchio ti scomodi tanto… ma far sapere a me che eri vivo era troppo, vero?”
“Lo ribadisco, kitsune, non sapevo fossi preoccupato per la mia salute. La cosa mi compiace molto.”
“Vaffanculo Sakuragi.” Fu l’unica risposta del ragazzo moro.
“Come mai così scontroso oggi? Mi sembri più incazzato del solito…”
“Dai Hana, lascialo stare” si intromise Yohei che aveva assistito a tutta la scena sghignazzando in un angolo “Kaede ha appena scoperto che deve partecipare ad un ricevimento ufficiale. Uno di quelli con il ballo…”
Hanamichi si fermò all’improvviso, sgranò gli occhi e guardò Kaede. Gli occhi blu del ragazzo moro si stavano trasformando in due cristalli di freddissimo ghiaccio, mentre tutto d’un tratto il rossino si piegava in due e scoppiava a ridere.
“Oddio” disse tra uno scroscio di risa e l’altro “ecco perché eri incazzato come una biscia! Un ballo! Tu! Oddio, la mia ferita…”
“Do’aho” gli rispose freddo Kaede “ridi finché puoi. È vero, io dovrò andare a quel ballo, ma tu verrai con me.”
Un leggero sorriso carico di soddisfazione si disegnò sul bel volto del moretto quando Hanamichi alzò la testa. Non rideva più e nei suoi occhi sbarrati si poteva leggere il terrore.
“No” disse con voce spenta e supplichevole “No, ti prego.”
“Mi dispiace” riprese Kaede “Anzi, no, non mi dispiace per niente. Te lo meriti. Mio padre ha espressamente richiesto la tua presenza, dicendo che avevi bisogno di ‘reintegrarti nella società di un certo livello’ e che ‘un bel ricevimento era quello che ti ci voleva per perdere i modi da contadino che dovevi aver preso stando nel Codowal’. Non che la cosa sia possibile, ma conosci il mio vecchio. Per questo tu verrai al ballo con me.”
Hanamichi aveva lo sconforto dipinto in viso. Proprio come Kaede e Yohei lui odiava i ricevimenti che di tanto in tanto si tenevano a corte e ai quali lui era stato più volte costretto a partecipare. Dovere di cavaliere, dicevano. Ma una tale fiera di vanità e ipocrisia era in conflitto con ogni sua convinzione. Certo, era nato e cresciuto in una famiglia nobile, ma suo padre era sempre stato una persona alla mano, e Hanamichi non si era mai visto costretto a partecipare a stupidi banchetti.
“Non è giusto!” sospirò rassegnato, dopodiché riprese a camminare seguito dai suoi amici.
Giunti all’ampio scalone che conduceva alla sala del consiglio i tre giovani vennero accolti da un vecchio paggio che li salutò con un inchino.
“Lord Sakuragi, Sir Mito. Oh, Vostra Eccellenza!” esclamò l’uomo vedendo Kaede “Vedo che ci siete anche Voi. Seguitemi, prego.”
Hanamichi stava cercando di trattenersi dal ridere quando un calcio negli stinchi da parte di Rukawa catturò la sua attenzione.
“Piantala, idiota” gli disse freddo il moretto.
“Kitsune” rispose Hanamichi con un sorriso divertito sul volto “se avessi visto la faccia che hai fatto quando ti ha chiamato ‘Vostra Eccellenza’ anche a te verrebbe da ridere!”
“Hn.”
“Eddai! Possibile che tu non veda mai il lato divertente delle cose?”
“Tu basti e avanzi come buffone…”
Il rossino fece finta di non aver sentito, anche perché in quei pochi istanti erano riusciti ad arrivare davanti all’ampia porta di legno intagliato della sala del consiglio.
Non appena vi ebbero messo piede furono sommersi dal rumore assordante di una ventina di voci differenti levatesi nello stesso momento.
La grande sala illuminata da ampie finestre e dalle decine di candelabri posizionati negli angoli più bui era gremita. Intorno all’enorme tavolo che si trovava al centro della sala erano stipate quasi trenta persone, e altrettante si trovavano alle spalle degli uomini seduti, intervenendo animatamente alla conversazione.
“Il Gran Consiglio al completo a quanto vedo” disse Hanamichi facendosi d’un tratto serio “Bene. Almeno non corro il rischio di dover spiegare le cose più volte. Signori” si rivolse poi ai suoi amici “direi che possiamo cominciare.”
Con passo sicuro si diresse verso l’imponente trono di legno scuro che si trovava a capotavola, suscitando sussurri sorpresi al suo passaggio.
“Re Satoru” disse inchinandosi di fronte all’alto uomo dai capelli color della pece che sedeva su quello scranno decorato “sono venuto a fare rapporto.”
“Ah, Hanamichi” disse sorridendo il re “vedo che stai meglio.”
La voce del re aveva un timbro profondo, ma a differenza di quella del figlio trasmetteva calore e sentimento.
“Com’è stato il tuo soggiorno nel Codowal?”
“Indimenticabile” sogghignò il rossino divertito.
Il re lo guardò con un sorriso in tralice, dopodiché scoppiò in una fragorosa risata.
“Vedo che non sei cambiato” riprese ancora sorridendo “Bene. Dopo questa riunione voglio che mi racconti qualcosa. Ma adesso, il rapporto.”
Dopo essersi seduto Hanamichi cominciò a parlare. Non appena ebbe aperto bocca il silenziò calò nella sala, mentre tutti si volgevano verso di lui per poter meglio sentire.
Mentre esponeva ciò che aveva scoperto Hanamichi si soffermò ad osservare l’uomo che sedeva accanto al re.
Il generale Akagi doveva essere alto poco meno di due metri, e la sua figura imponente a stento era contenuta nella massiccia poltrona di mogano. I lunghi capelli corvini erano trattenuti da un laccio di cuoio e l’espressione torva che aveva in viso gli conferiva un aspetto terrificante. Indossava stretti pantaloni di cuoi e una giubba dello stesso materiale che metteva in risalto i suoi muscoli torniti, ed un pugnale ricurvo pendeva dalla cintura che aveva legata in vita.
“Vediamo” parlò, e la sua voce risuonò come un tuono “stai dicendo che l’esercito di re Takato ha cominciato a muoversi?”
“Esattamente” rispose Hanamichi rivolgendosi al re “Takato sembra fermamente intenzionato a non permettere ad anima viva di superare i confini del suo regno. Sta schierando le sue truppe a protezione della frontiera.”
“Ma perché?” chiese Akagi “A quale scopo sottrarre uomini alle campagne e sprovvedere le città della guardia permanente? Siamo in tempo di pace! Neppure durante la più sanguinosa delle guerre si sfruttano così tanti uomini!”
L’osservazione del giovane generale aveva scatenato un gran trambusto: ogni persona presente nella grande sala si era alzata e provava ad esprimere il proprio punto di vista, cercando di sovrastare il crescente rumore.
“Come dobbiamo reagire? È una situazione senza precedenti!”
“Chissà cosa ha spinto quell’uomo a comportarsi in questo modo…?”
“…che sappia qualcosa? Sta succedendo qualcosa di strano e solo Takato ne è a conoscenza?”
“Signori… Signori!” esclamò all’improvviso re Satoru “Cerchiamo di non perdere di vista l’argomento principale di questa riunione. Hanamichi, ci stavi parlando dell’esercito radunato nel Codowal.”
“Sì” rispose Hanamichi alzandosi in piedi “Takato sta radunando tutte le sue truppe sulla frontiera, ma non è questa la notizia peggiore. A quanto pare il re del Codowal si sta dando da fare per ritrovare i Magli del Caos.”
Alle sue parole un silenzio carico di tensione calò nella sala del consiglio.
Tutti i presenti fissavano ora Hanamichi ora il re con la paura e lo sgomento dipinti in volto.
Tsuzuku...
Ehm, sì, lo so, sono un pezzo di cacca... non succede niente... ma siccome posto una volta ogni morte di papa volevo avere qualcosa... okkei, oggi sono decisamente dislessica... cmq, spero che la cosa possa piacere...
un bacio a tutte!
Su(k)