Anche i gay hanno un cuore - variazioni

seconda parte

di Fiorediloto

 


Lewis
 

Polvere. Lo scantinato era un gigantesco, grigio ammasso di polvere. Ne vedevo ovunque. Si annidava in spessi gomitoli negli angoli, ricopriva le vecchie sedie, l’armadio scassato, il guscio di stufa a carbone, relitto d’altri tempi. Disegnava manti spessi sul pavimento, qua e là violati da orme stinte, antiche almeno quanto la bottiglia di Heineken dimenticata in un angolo. Una corte di cicche calpestate e spinelli sotto un banco completava lo squallore del pavimento.
«Là ci sono le scope, datevi da fare!» disse il professore, e si tirò dietro le spalle la maniglia della porta. Gli rimase in mano. La riattaccò con un borbottio indignato e se ne andò, lasciandoci soli.
«Cazzo!»
Mi voltai. Mani in tasca e solito broncio corrucciato, Danny Marlow tirò un calcio a una sedia pericolante. Quella tremò e ondeggiò un attimo, in bilico sopra un mucchio di scatoloni smangiucchiati dalle tarme, poi cadde in un frastuono, sollevando una nube di polvere grigiastra e fitta come nebbia.
Danny si parò una mano davanti alla bocca, ma gli scappò un colpo di tosse.
«Smettila» mormorai.
Era colpa sua, come al solito, e mi ritrovai ad odiare perfino i granelli di polvere che nuotavano in controluce. Era colpa sua, come sempre. Perché mi aveva provocato, perché aveva reagito al mio pugno, perché adesso eravamo in punizione in quella cantina maleodorante, e con ogni probabilità ci saremmo di nuovo scannati. Perché mi odiava mentre io… Meglio non pensarci.
Mi avvicinai al mucchio di scope che, desolato, chissà da quanto tempo attendeva mano umana. Le chiome delle scope erano così piene di bruma grigiastra che dubitavo di poterci ripulire qualcosa.
«Sta’ zitto, frocio di merda.»
Presi una scopa dal manico scorticato e gliela lanciai. «Pensa a lavorare!»
Ma evidentemente Danny Marlow, il bullo della scuola, l’uomo che non doveva chiedere mai, quello che faceva a pugni un giorno sì e l’altro pure, non era tanto preparato, perché il manico gli sbatté dritto dritto sul naso, il bel naso sottile che dava al suo profilo quell’aspetto adorabile…
Emise un gemito comico, che mi strappò una risata.
«Coglione, io non lo pulisco questo porcile! Coglione frocio di merda.»
Il sorriso mi morì sulle labbra. Mi volsi e presi a spazzare furiosamente. La bottiglia di Heineken, malcapitata, mi finì tra i piedi. La spinsi contro il muro e quella si spaccò con un sonoro crash.
«Mi hai sentito, culattone? Sei anche sordo, culattone frocio di merda?»
Serrai il manico tra le mani con forza. Era ruvido e frastagliato da smozziconi e schegge di legno.
«Sto parlando con te, CULATTONE…», e scandì ogni sillaba, casomai non avessi capito bene.
Non ci vidi più. Strinsi talmente forte che una scheggia mi entrò nel palmo. Mi lasciai sfuggire un grido sorpreso.
«… che hai?» borbottò Danny.
Non risposi. Stavo tentando di far uscire la scheggia, inutilmente per quanto mi accanissi.
«Ehi…»
Ebbi un sussulto. Mi sembrava passata un’eternità dall’ultima volta che mi aveva parlato così – senza gentilezza, senza affetto, no, non pretendevo tanto: solo senza strafottenza, senza insultarmi.
«Che vuoi?» borbottai, sospettoso.
«Fa’ vedere, coglione.»
Alzai gli occhi, sorpreso. Gli tesi la mano, dove la scheggia di legno campeggiava contornata da un bordo di carne color sangue.
Danny prese la mia mano e la strinse, armeggiandoci con impegno. E mentre lavorava borbottava qualche insulto alla mia volta, leggero come una pioggerella estiva, e commenti su come fossi riuscito a farmi male da solo. «… altro che fare a pugni… ti stende pure il vento, ti stende…»
«Però io ho steso te» mormorai. Alzai la voce: «Mi dispiace, ma mi avevi provocato…»
Danny non rispose.
«Non fare finta di non sentire.»
Danny strinse per far uscire la scheggia – troppo forte, mi parve, e mi lamentai.
«Ti ho fatto male?» ghignò lui, con una vocina innocente d’angioletto.
«Stronzo.»
Silenzio. Strano. Stranissimo. Danny Marlow non aveva mai lasciato passare un insulto a nessuno – figurarsi poi a me. Possibile che… Lo guardai, così bello, così stranamente corrucciato, il labbro inferiore stretto tra i denti mentre studiava la mia mano e il modo di assediare la scheggia traditrice.
Traditrice? L’avrei messa su un altare! Mi permetteva di avere Danny così vicino… così…
«Danny?»
«Sì?»
«Danny… ti a…»
«A…?»
Le sue labbra, leggermente dischiuse e rosse, violentate dal continuo mordicchiare…
Okay, magari un’altra volta.
«… ha mai detto nessuno che certi shampoo fanno miracoli contro la forfora?»
E poi ricordo un dolore lancinante alla fronte… una testata delle peggiori, seppi poi… ma anche un paio di braccia calde che mi stringevano, e profumo di gel e della pelle del suo giubbotto, e della sua.
Il suo fiato su di me. Spalancai gli occhi. Mi stava baciando.