Amore Immortale

 

parte XIII

 

di Vickysweetgirl

 

    

Capitolo 13

 

 

                                                                                   Piove su le tue ciglia nere
sì che par tu pianga
ma di piacere; non bianca
ma quasi fatta virente,
par da scorza tu esca.
E tutta la vita è in noi fresca
aulente,
il cuor nel petto è come pesca
intatta,
tra le palpebre gli occhi
son come polle tra l'erbe,
i denti negli alveoli
son come mandorle acerbe.
E andiam di fratta in fratta,
or congiunti or disciolti
( e il verde vigor rude
ci allaccia i melleoli
c'intrica i ginocchi)
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su i nostri volti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggeri,
su i freschi pensieri
che l'anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
m'illuse, che oggi t'illude,
o Ermione.”

 

(‘La pioggia nel pineto’ di Gabriele D’Annunzio)

 

 

-Vita-

 

 Il piccolo vampiro non mutò la sua espressione nel saperli suoi. Sembrava non sapesse cosa significassero la sfida, il desiderio, la vittoria.

Non avevano via di scampo; la piccola porta di legno alla fine del corridoio era solo la parte esterna del più complesso sistema d’entrata, formato anche da un’altra porta interna, totalmente in acciaio e che si poteva aprire solo con una chiave che Melìt teneva sempre con sé. Tale precauzione serviva a proteggere da chiunque, mortale o immortale, i tesori che ivi erano contenuti.

Nemmeno Nicki sapeva bene di cosa si trattasse, ma immaginava che qualcuno che aveva vissuto un’eternità dovesse avere un’infinità di ricchezze; specie se quel qualcuno non doveva spendere alcunché per sopravvivere quotidianamente.

Imprecando Nicki sferrò un calcio contro la porta.

“Maledizione, siamo in trappola!”

Demian lo guardò con urgenza, voltandosi poi subito a guardare il giovane vampiro che  aveva iniziato a camminare lentamente verso di loro.

“Sta arrivando!” esclamò.

Nicki si guardò attorno come a cercare qualunque cosa che potesse tornar loro utile. Ma non c’era assolutamente nulla, né oggetto o apertura; allora fece un passo in avanti e stringendo i pugni si mise in posizione di difesa. Sapeva bene che le sue mani nulla avrebbero potuto contro un essere invulnerabile ma non poteva fare altro.

Alex snudò le zanne, ma improvvisamente si voltò alle sue spalle. Demian e Nicki guardarono nella stessa direzione senza capire; solo un minuto dopo udirono distintamente dei passi, che si susseguivano con una cadenza veloce, sempre più forti e ravvicinati. Demian sussultò quando vide Andrea piombare sulla scena con un salto, senza che l’avesse visto arrivare, le ginocchia a terra. Si rialzò ansioso e guardò immediatamente verso di lui. Il rossino digrignò i denti.

“Demian…”

Immediatamente sopraggiunse anche Melìt, con molta più eleganza di quanto non avesse permesso l’agitazione ad Andrea, fermandosi all’improvviso, senza sbilanciarsi oltre il piede puntato a terra, senza respirare, senza nessuna traccia di stanchezza o della lotta interrotta.

“Ma bene, vedo che il mio pulcino sta avendo la meglio” constatò il biondo soddisfatto. “Li ha messi in trappola come due topi. Continua pure, mon enfant, il tuo paparino non permetterà che ti intralcino”.

Andrea si voltò di scatto a guardare il suo creatore con odio e subito dopo si mosse verso Alex, con la stessa rapidità.

Melìt si interpose tra i due e spinse indietro Andrea, mandandolo a sbattere contro la parete. Il moro si riprese subito, scartò di lato mettendosi sulla traiettoria tra Alex e Demian. Riportò gli occhi dove un attimo primo c’era Melìt ma il vampiro era svanito.

Il biondo piombò dall’alto ma il moro si spostò, evitando il colpo che lo avrebbe colpito in piena sulla testa. Dal pugno che aveva colpito il pavimento, iniziò ad articolarsi una ragnatela di crepe che in breve dominò gran parte del pavimento; con un crepitio sinistro esso si frantumò.

Demian barcollò dalla sua posizione; le mattonelle cedettero sotto i suoi piedi e come in una scena al rallentatore, il rossino vide l’ambiente scorrere verso l’alto e sentì le gambe piegarsi e poggiare sul nulla. Udì una voce terrorizzata chiamarlo e iniziò a cadere. Non ebbe il tempo di gridare, di tentare di aggrapparsi a qualcosa.

Si sentì stringere a metà della caduta. Erano braccia quelle? L’impatto fu tremendamente violento e lo fece gemere senza che se ne rendesse conto. Ma non fu doloroso come si aspettava.

Riaprì gli occhi che aveva chiuso durante la caduta, lentamente, ed attese che la vista riacquistasse il suo equilibrio prima di provare a muoversi. Le ossa sembravano ancora intatte anche se era tutto indolenzito. Guardò in basso e vide due braccia che lo allacciavano.

“Nicki?” chiamò incredulo. Si volse e si accorse di essere per metà steso sopra Nicola, che con la schiena a terra e gli occhi chiusi non accennava a muoversi. “NICKI!” gridò, “Nicki svegliati. Ehi, stai bene?!” lo scosse con veemenza. Il ragazzo a terra mugolò e subito dopo mosse gli occhi sotto le palpebre, finché non riuscì ad aprirle. “Oh Cristo, Nicki!” esclamò l’altro sollevato oltre ogni dire, “Tu… tu sei pazzo!” lo accusò con voce incrinata, “Cosa hai fatto?!?!”

“… Ti ho salvato la vita, idiota” disse l’altro semplicemente. “In questi casi si dice ‘grazie’, non lo sai?”

Il rossino aggrottò le sopracciglia e lo guardò incredulo.
“Tu… tu!”

Nicki stirò un angolo della bocca in quello che voleva essere un sorriso e allungò una mano verso il viso dell’altro.

“Stai bene?” chiese a bassa voce, evidentemente provato dalla caduta.

“S-sì”

Il rossino si rialzò facendo attenzione affinché le gambe non cedessero e guardò in alto. C’era un buco enorme che sovrastava la sala dove erano caduti. Come folgorato, Demian si guardò intorno; erano precipitati nel salone dove si era tenuta la festa, infatti c’erano ancora dei vampiri vicino la continua parete circolare, evidentemente sconcertati dall’improvviso crollo del soffitto.

Si accorse solo all’ultimo momento che qualcuno gli si era piazzato davanti.

“Demian!” Andrea gli prese il viso tra le mani. “Dio mio, stai bene?! Io… stavo impazzendo, credevo di averti…” Il moro interruppe il suo sussurro struggente, sopraffatto dal terrore che per lunghi, interminabili istanti lo aveva annientato.

“Tranquillo, sto bene” lo tranquillizzò Demian. “Sono stato molto fortunato, Nicki mi ha aiutato, in qualche modo”.

Aveva appena finito di parlare quando il moro lo abbracciò con trasporto, facendogli staccare i piedi da terra e restare diritto solo perché appoggiato a lui.

“Ti amo”.

Demian trasalì e sgranò gli occhi. “Cos-”

“Ti amo” ripeté Andrea. “Ti amo da impazzire, più di questo mondo così dolce, più di questa energia che mi sta addosso e che mi permette di vivere, e che non so nemmeno se sia giusto chiamare vita. Non posso sopportare l’idea di perderti, neanche per un solo istante!” Demian respirava a fatica, sopraffatto dalle emozioni che quella dichiarazione improvvisa aveva suscitato in lui. Il cuore gli batteva all’impazzita, come se stesse per scoppiare. Oh sì, stava morendo. “Ti amo come lo intendono gli uomini, come descriveva Shakespeare, come romanticamente enfatizzava Oscar Wilde, come la luna ama il sole nella storia, Demian…”

La voce del vampiro scivolava come miele sui pensieri, sul cuore del ragazzo, offuscando ogni pensiero logico, concentrando tutto su un’assurda, insensata, travolgente emozione…

Il discorso fu interrotto dall’atterraggio nella sala di Melìt e Alex. Andrea si voltò repentinamente, spingendo indietro il rossino con decisione. 

Melìt iniziò a battere le mani. “Non ho parole per la commozione che questa scena così toccante mi provoca” disse enfatizzando. “Davvero quasi meglio di Oscar Wilde, te lo concedo Andrea. Sei sempre stato un romantico, d’altronde…”

“Non provare nemmeno per un attimo a prenderti gioc-”.

Andrea s’interruppe. Il suo sguardo si distese e voltandosi lentamente serrò le due arcate di denti tra loro.

Demian poggiava col fianco sinistro su un ammasso di macerie. Tentò di raddrizzarsi e portò una mano a toccarsi il braccio su cui era caduto. Quando si guardò la mano la vide bagnata di sangue. Guardò immediatamente il braccio e vide la giacca e la camicia ormai a brandelli che mostravano un taglio obliquo sulla pelle, che rigurgitava copiosamente cruore. Rialzò lo sguardo verso Andrea, con gli occhi lucidi e le labbra tremanti.

Andrea, girato di tre quarti verso di lui, lo guardava sconvolto ed attratto. Melìt e Alex puntarono i loro occhi su di lui come segugi sulla preda, occhi che si accesero subito di un rosso intenso e terrificante.

Gli altri vampiri nella sala guadavano Demian con lo stesso colore negli occhi, espressione del desiderio che il ragazzo aveva involontariamente suscitato.

Puntellandosi sul braccio destro il rossino si rimise in piedi, tendendo immediatamente ogni muscolo del corpo, guardandosi attorno guardingo.

 

Si sentiva senza via di fuga.

 

“Demian, il tuo braccio!” lo chiamò Nicki avendo ben chiara la situazione.

“Non-non è niente” Il rossino aveva la voce tremante e il viso pallido.

Andrea si volatilizzò per ricomparire al fianco del rossino, stringendogli le braccia. Il suo sguardo era teso, indecifrabile, le sopracciglia avevano perso la loro linea decisa; una goccia di sudore gli solcò la tempia.

“Mmmm, senti che roba!” commentò Melìt leccandosi le labbra, oltrepassando il limite della decenza. “Dovrò sbrigarmi, c’è un sacco di gente che vuole il mio dessert di mezzanotte” rise con gusto, la luce rossa che non si spegneva neanche per un istante nel suo sguardo.

I vampiri, probabilmente gli unici rimasti dopo il fallimento della festa, iniziarono ad avvicinarsi con andatura lenta.

Andrea estrasse un fazzoletto dalla tasca interna del cappotto e con mani tremanti per l’agitazione improvvisò una fasciatura sulla ferita profonda, che non accennava a smettere di sanguinare. Le mani del vampiro si impregnarono del sangue di Demian. Si costrinse a non lasciarsi distrarre, a pensare a come evitare che quel branco di vampiri affamati si gettasse senza pensare sul corpo invitante e caldo del ragazzo.

Nicki si avvicinò ai due e afferrò Demian per le spalle, senza però riuscire a staccarlo da Andrea.
“Lascialo andare. Lo porto via, tu pensa a loro” disse Nicki con decisione.

Andrea guardò Demian, poi passò lo sguardo su tutti i vampiri presenti. Guardò a terra, poi Nicki.

“D’accordo. Portalo via” acconsentì il moro.

Un ringhio emesso da uno dei vampiri bastò a far scattare Andrea con la schiena contro Demian e a farlo soffiare come un gatto.

Demian si sentì afferrare la mano da dietro e voltandosi vide Melìt, che dopo aver posato su di lui un divertito sguardo dalla luce rossa, gli baciò la mano, sulla quale era colato un ricco rivolo di sangue.

Nicki si frappose subito tra il ragazzo e il vampiro, spingendo indietro il rossino con la schiena, per allontanarlo da Melìt.

Andrea si scagliò sul biondo, afferrandolo per i capelli, ormai reso cieco dalla rabbia, dalla tensione, gli occhi sbarrati e i denti in bella mostra tra le labbra tremanti.

Melìt si leccò le labbra. “Mmmmh, il sangue migliore che abbia mai assaggiato. E’ semplicemente…” Il vampiro s’interruppe, spegnendo il sorriso sul proprio volto, che divenne improvvisamente serio.

Andrea ebbe un sussulto che si estese in tutto il corpo sottoforma di brividi. Il sole era prossimo a sorgere. Né lui né Melìt dissero nulla, rimanendo fermi uno di fronte all’altro, Andrea con ancora tra le mani l’oro dei suoi capelli.

Gli altri vampiri, accortisi del pericolo imminente solo minuti dopo che se ne erano accorti i due millenari, fuggirono imprecando in inglese.

Alex iniziò a spostare lo sguardo attorno a sé, nervoso, il petto che vibrava.

Andrea si rivolse a Nicki in una supplica. “Andate via da qui. Andate lontano, dove sarete al sicuro” la sua voce era roca.

“Al sicuro? Da me? Niente è al sicuro da me, mio caro Andrea, dovresti saperlo”.

Nicki afferrò il braccio ferito di Demian.

“AHIA!!”

“Andiamocene. E stavolta fa quello che ti dico!”

“Ma…”

Senza dargli il tempo di replicare, Nicki lo trascinò via per il braccio ancora sano, correndo veloce come un fulmine.

Con ansia Alex guardò Melìt, che con un cenno gli diede il permesso di andare a trovarsi un nascondiglio. Anche se il sole doveva ancora sorgere sarebbe stato fatale per lui, infatti iniziava già a provare un dolore bruciante sulla pelle. In un attimo il giovane vampiro scomparve.

Rimasti soli, Andrea lasciò andare l’altro e arretrò di qualche passo. Il biondo l’osservava attentamente; gli occhi ormai erano tornati del loro colore ametista. Sorrise e senza dire una parola svanì in una nuvola di vapore.

Andrea rilassò finalmente i muscoli, in tensione da troppo tempo ormai . I suoi occhi si posarono su un punto del pavimento, dopodiché si chiusero. Sentì l’aria che gli stava attorno fremere e sfumare velocemente verso più basse temperature. Una volta riaperte le palpebre, si ritrovò ad osservare il buio. Era di nuovo il momento di spegnere il mondo. Di spegnersi.

 

La ferita gli bruciava da morire. Sentiva il sangue pulsargli dolorosamente nelle tempie, i muscoli e le ossa delle gambe e delle braccia sembravano spingere contro la carne per uscire dalla pelle.

Mentre correva a fianco di Nicki capì che non ce l’avrebbe fatta ancora per molto, e infatti rallentava sempre più. Nicki, non scorgendolo più con la coda dell’occhio, si voltò e lo richiamò.

“Eh no, non ora, continua a correre!”

Senza rispondere il rossino aumentò la spinta sulle gambe e strinse i denti per farsi forza.

Il compagno alzò improvvisamente la testa, come avvertendo qualcosa, e dopo qualche secondo la terra iniziò a tremare; ma non solo la terra, tutto sembrava sul punto di crollare: pareti, statue, soffitto.

“Che succede?!” domandò Demian con ansia.

“Cazzo, sbrigati, crolla tutto!”
“Cosa?!” chiese nuovamente il rossino, dato che la voce dell’altro era stata sovrastata dal rumore vibrante della pietra.

“STA CROLLANDO TUTTO!” urlò Nicki questa volta.

I due si apprestarono ad uscire dall’edificio che stava per diventare una trappola mortale, senza riprendere fiato, i cuori impazziti nei petti. Gli occhi brillarono nello scorgere il mastodontico portone d’ingresso.

Demian avvertì una stretta intorno alla caviglia e poi sentì slanciarsi pericolosamente in avanti. Cadde violentemente  con lo stomaco e il mento a terra, con un grido strozzato. Quando si riebbe  gettò uno sguardo indietro e con terrore vide Melìt, in ginocchio a terra che lo teneva per la gamba, con un ghigno terrificante e gli occhi come rubini.

“Credevi di sfuggirmi, moccioso?” chiese egli in un’implicita minaccia, la voce accesa nei toni e colorita dall’eccitazione.

“Dannato, lasciami! Aaah..!” Demian lanciò un gridò acuto quando l’altro lo tirò più a sé, solo con la mano, come se fosse una bambola. Strusciò sul pavimento senza potersi aggrappare a niente per impedire a quel demone di prenderlo. Tentò di piantare le unghie nel pavimento, ma queste stridettero sul marmo.

Melìt ormai l’aveva quasi sotto di lui; lo guardò con una luce vittoriosa negli occhi ed alzò la mano libera per piantargli gli artigli nella carne. Demian, sconvolto, non poté che guardarlo con occhi terrorizzati ma non rassegnati.

 

Il gesto del vampiro si fermò a mezz’aria.

 

Il biondo era come paralizzato, lo sguardo fisso, la mascella contratta e un sospiro lento e spezzato che fuoriusciva dalle labbra socchiuse. Melìt si rimise in piedi senza sforzo; corrugò la fronte e guardò per un’ultima volta i due fuggitivi prima di sollevarsi veloce come un proiettile verso l’alto, sfondando il soffitto già pieno di crepe.  

Rimasto ansimante per terra, Demian si riparò dai calcinacci che gli cadderò addosso. Venne tirato su senza grazia da Nicki ed insieme uscirono finalmente dal castello.

Correvano spericolatamente, facendo i passi più lunghi della gamba, inciampando in continuazione. Mentre percorrevano il sentiero che conduceva in citta, sentirono un boato di proporzioni enormi raggiungerli alle spalle. Demian e Nicki non si voltarono. Continuarono la loro corsa verso la salvezza.

 

Non aveva mai visto una città lontana come Londra. O meglio non aveva mai visto una città al di fuori della sua Roma. Camminare per quelle strade era diverso che nella Città Eterna, Demian si sentiva investito da uno strano senso di potere. Londra gli dava la sensazione di poter fare qualunque cosa, di poter andare ovunque attraverso quelle vie larghe e pulite, di poter rallentare o correre nella sua vita, di poter essere qualunque cosa.

Ordinata e affascinante, sicura ma misteriosa, moderna ed elegante, immersa e persa nell’eterna foschia. L’aria era così gelida da entrargli nelle ossa eppure la gente sembrava non sentirla.  Il grigiore era il perenne attributo di ogni cosa, dalle strade impeccabili al cielo nuvoloso.

Gettando l’occhio sulle persone che gli passavano accanto, si stupì della gran varietà umana dal punto di vista nazionale.

A Londra non c’era posto per imbarazzo, né timori. Allora perché era così malinconica? C’entrava qualcosa quel perpetuo grigiore, o il cielo che sembrava promettere neve sulle donne dall’aria intelligente e sugli uomini dagli occhi aperti eppure un po’ tristi?

Demian poté subire il fascino della città solo per poco, perché lo stato in cui versava non poteva far allontanare il pensiero da quello che era successo e dai giorni da incubo che aveva passato. La mente, o forse il cuore, andò subito ad Andrea. Era riuscito a mettersi al sicuro? Già gli mancava. Affondò la bocca nel bavero del cappotto che Nicki gli aveva ceduto per nascondere gli abiti lacerati e coprirsi. Le parole di Andrea ancora gli riecheggiavano nella mente.

Ti amo gli aveva detto.

 

Ti amo.

 

Il rossino avvampò, gemendo al ricordo e si strinse nella braccia, spaventato dalle sue stesse reazioni. Non aveva mai immaginato che qualcuno potesse amarlo. Sapeva ormai che c’era qualcosa tra lui e il vampiro, ma sentirsi fare una dichiarazione del genere, così diretta, era ben altra cosa. Il moro tremava mentre gli confessava quel sentimento e la sua voce era più dolce e viva di come l’avesse mai sentita. Aveva avuto paura di quelle parole che avevano avuto il potere e la forza di spazzare via ogni altro pensiero, persino nella situazione in cui si trovavano.

La ferita al braccio destro bruciò sotto lo sfregare incosciente della sua mano. Mugugnò con disappunto.

Nicki, al suo fianco, lo guardava pensieroso. Poteva immaginare lo sconvolgimento che avevano rappresentato quei giorni per lui, lontano dalla sua città, dalla sua vita, dalla vita stessa, tra le grinfie di un demone bevitore di sangue uscito da uno dei suoi peggiori incubi, che l’avrebbe ucciso senza rimorso. Essere rapito, imprigionato, morso, umiliato da un vampiro non è decisamente il massimo della vita quando sei un adolescente per cui già la vita stessa è un problema. Non è il massimo della vita per nessuno. Eppure la mente del ragazzo aveva ridotto tutti quegli avvenimenti da film horror a sfondo delle parole d’amore che Andrea gli aveva pronunciato.

Sorrise. Sì, decisamente un ragazzino. Demian sentì gli occhi su di lui e spostò lo sguardo su Nicki.

“Che c’è?”

“No, niente” tagliò corto l’altro.

“Tanto lo so che ti stai facendo una cultura con i miei pensieri.”

“Touché!”

“Stronzo. Mi hai decisamente rotto.”

“Ti ho decisamente salvato” puntualizzò Nicki. Il rossino aprì la bocca ma la richiuse subito, e tornò a guardare davanti a sé. Nicki continuava ad osservarlo: il suo cappotto gli stava largo e i capelli scarmigliati risaltavano più del solito sulla pelle cerea. “Tutto bene?” gli chiese con una nota di preoccupazione nella voce.

Demian lo guardò nuovamente con sguardo aperto.

“Sì, perché?” rispose, nonostante le sue palpebre fossero evidentemente pesanti e sotto gli occhi avesse due spesse strisce grigie, a dimostrazione di quanto sonno avesse.

Nicki tornò a guardare la strada, poi affrettò il passo. “Vieni con me”.

Demian si affrettò per stare dietro al compagno, nonostante il male tremendo che sentiva alle gambe e ai fianchi.

Arrivarono nella zona di Westminster Palace. Demian guardò ammirato l’eleganza e l’imponenza del Big Ben, che svettava silenzioso nel malinconico mattino londinese, osservando pensoso il Tamigi, placido sotto di lui.

L’aveva sempre visto in tv e innumerevoli volte aveva sperato di poterlo vedere dal vero, un giorno, e ammirare il suo tranquillo, distinto distacco. E ora era lì, nella stessa aria che respirava lui, costruito sulla stessa terra su cui stava camminando. Il suo cuore divenne più leggero, per un momento.

Svoltarono strada innumerevoli volte, fino ad arrivare in un quartiere pieno di aiuole, siepi e alberi curati, dove sfilavano case tutte uguali, attaccate l’una all’altra. Appartenevano sicuramente a una classe sociale benestante; ogni facciata, unico elemento visibile delle abitazioni, era liscia e lucida, di un intenso blu fumo dall’effetto increspato. Nicki si fermò sotto i gradini di una di esse.

Salì di corsa gli scalini, estrasse una chiave dalla tasca anteriore dei jeans e dopo aver fatto scattare due volte la serratura aprì la bella porta con la tipica targa dorata sopra. Il ragazzo entrò senza dire niente e Demian lo seguì, fermandosi prima di entrare, ad osservare la targhetta. Nome e cognome erano vergati con un carattere talmente vaporoso e raffinato da risultargli illeggibili. Un tuono lo fece sobbalzare. Si affrettò ad entrare.

Lo colpì subito un opprimente odore di chiuso, misto con un altro acre e indefinibile, come di cibo andato a male. L’interno non era come poteva essere immaginato dal di fuori. Nell’ingresso erano accatastati scatoloni e oggetti di ogni tipo: da cerotti ad un apribottiglie. Demian dovette scavalcare alcune scatole per dirigersi nella stanza in cui si tuffava il piccolo atrio.

Il soggiorno era corredato di un angolo cottura vecchio modello, un tavolo di legno con una gamba più corta delle altre, portata al loro livello innalzandola con degli stracci; due sedie, una delle quali con lo schienale sfondato; bicchieri con il fondo sporco di caffè che giacevano sul tavolo e sul bordo del lavandino, e per terra due o tre portacenere ricolmi di mozziconi e polvere grigia e nera.

Nicki spalancò la piccola finestra e i soffi gelidi che s’intrufolarono tra le assi delle imposte sfiorarono Demian, che rabbrividì ma provò sollievo, perché il cattivo odore sembrava attenuarsi; evidentemente nessuno entrava in quella casa da mesi e lo dimostrava anche lo spesso strato di polvere che ricopriva ogni cosa, sbiadendola.

L’altro sospirò e diede un calcio a una lattina, facendola rotolare lontano accompagnata da un leggero rumore metallico. Si grattò la testa.

“Questa casa è un vero schifo” constatò con una smorfia. “Magari diamo una pulita più tardi, che ne dici… Demian?” raggiunse il rossino che si sosteneva con le mani al bordo del tavolo, le gambe piegate e la testa china; il respiro pesante. “Ehi” lo chiamò sostenendolo per le spalle. “Che ti prende?”

Il ragazzino rialzò appena il capo, i suoi occhi erano lucidi e le palpebre calate a coprire metà della pupilla.

“Non… non mi sento molto bene” confessò e si passò una mano sul viso pallido.
Il bruno passò un braccio intorno alla schiena di Demian e l’altro sotto le sue ginocchia, tirandolo su con ben poco sforzo. Il rossino vide la stanza vorticargli intorno mentre sentiva che la terra gli veniva tolta da sotto i piedi. Gemette e strinse la maglia dell’altro sulla spalla, stringendo gli occhi forte.

Dopo averlo guardato un’ultima volta in viso, Nicki si diresse verso le scale che partivano dal corridoio e iniziò a salirle, facendo attenzione a non sballottare troppo il ragazzo.

La stanza da letto era modesta ma accogliente, con le pareti e il soffitto alti colorati di blu. Il letto era posto centralmente e perpendicolare alla parete opposta alla porta, la finestra era grande e si apriva sulla parete a sinistra, mentre su quella destra vi erano uno scrittoio ricoperto di fogli e buste semivuote di biscotti. Per terra c’era un paio di stivali appoggiati contro il comodino di fianco al letto e tutto nell’arredamento, dalle tende corte alla finestra al tappetino ovale ai piedi del talamo, era di un bel blu cobalto. Il pan dam però contrastava con il disordine colorato e confuso di oggetti e vestiti che ricoprivano il pavimento: pacchetti per metà vuoti di sigarette, maglie, un altro posacenere, una bottiglia di vino vuota.

Scalciato un mucchio di panni per terra, Nicki si diresse verso il letto, chinandosi per posarci sopra il ragazzo semi incosciente.

Avvertire la morbidezza della trapunta sotto la schiena provocò a Demian un sospiro di puro piacere. Nicki tirò giù la coperta.

“Era da un po’ che non ti sdraiavi su un vero letto, eh?”

“Mmmh” mugolò il giovane contorcendosi piano, inarcando la schiena e tendendo il collo. Nicki stirò un angolo della bocca; si sedette sul letto e piano gli sfilò via il cappotto, che gettò più in là. Si portò una gamba del ragazzo sul grembo, iniziando a slacciargli le scarpe. Quando gliele ebbe sfilate gli piegò una gamba, per infilargliela sotto il piumone. Demian alzò la testa, le sopracciglia aggrottate. “Che fai?” chiese con voce assonnata.

“Ti metto a nanna, bebè” disse Nicki, e infilò anche l’altra gamba sotto le coltri, infine tirò su la coperta, fino a che il bordo non toccò le spalle del ragazzo.

Demian tirò fuori un braccio e lo abbandonò sopra la testa. “… posso farlo anche da solo, scemo” disse con gli occhi chiusi.

“Sì, certo che puoi” lo assecondò l’altro. “Adesso mi procuro qualcosa da mangiare, ok? Credi di potertene stare qui, buono buono ad aspettarmi?”

Il ragazzo si voltò su un fianco con un una spinta.
“Non so se si nota ma sono a pezzi. Mi gira la testa”fece notare secco.

“Va bene. Torno subito allora, sei al sicuro. Almeno finché il sole splende” aggiunse alla fine, poi si alzò ed uscì dalla stanza, ridiscendendo le scale.

 

Brividi di freddo ovunque. Aveva la febbre? Sentiva il respiro sempre più pesante. O erano le sue orecchie ad essere particolarmente sensibili? Piegò le gambe sotto le coperte ma il dolore gli impedì di completare il movimento. Accidenti, il suo corpo era un solo grande livido che univa insieme gambe, addome, braccia e spalle, senza che riuscisse a localizzare il dolore.

Era già passato un po’ di tempo da quando Nicki era uscito. Aveva sentito il portone che veniva chiuso a chiave, e poi solo il rumore di quei suoi gravi respiri.

Si mise a sedere sul letto, stringendo i denti per non cedere al dolore. Sospirò, esausto. Poggiò la fronte sulla mano destra e il gomito sul ginocchio. Era ancora vivo, nonostante tutto, eppure non riusciva a gioirne come avrebbe dovuto. Come poteva, visto che ogni notte sarebbe stato un incubo? Melìt non lo avrebbe mai lasciato stare, aveva giurato di ucciderlo e aveva tutti i mezzi per farlo. Pensò ad Andrea, come non smetteva più di fare ormai, e invocò dentro sé il suo nome con tutte le forze. Aveva bisogno di stringerlo, aveva bisogno dei suoi occhi. Aveva paura.

Mise le gambe fuori dalle coperte e il freddo della stanza lo colpì duramente. Fece roteare il bacino per poggiare i piedi sul pavimento ma un capogiro bloccò il suo tentativo facendolo ricadere all’indietro, con la testa sul cuscino. L’impatto gli provocò brividi lungo la nuca e Demian rinunciò anche a muoversi per paura di provare ancora quella sensazione spiacevole. Non si era mai sentito così debole in vita sua.

“Eccomi” annunciò la voce di Nicki appena entrato nella stanza. Demian non l’aveva nemmeno sentito rientrare. Aveva i capelli scomposti, le guance ed il naso arrossati dal freddo e una busta di plastica nella mano. “Ho preso tutto quello che il mio budget mi ha concesso… ehi, tutto bene?” chiese il bruno vedendo il ragazzo sdraiato scompostamente sul letto, con le braccia tese e immobili, la testa appena piegata per poterlo guardare.

“Ho fame” ammise il giovane con voce spezzata.

Nicki lo raggiunse e si sedette sul letto, iniziando a tirare fuori il cibo che aveva comprato. C’erano una bottiglia di latte, dei tramezzini confezionati, una lattina di birra e un sacchetto di carta con tre pagnottelle di pane. Demian non riuscì ad aspettare oltre, si tirò velocemente a sedere, afferrò un panino e gli diede un grosso morso, masticando il minimo indispensabile, freneticamente, e ingoio, precipitandosi poi a dare il secondo morso. Mente masticava il boccone gli occhi si posarono sui tramezzini e sulla loro invitante farcitura. Lo stomacò manifestò i suoi desideri con un lungo, sgraziato brontolio. Afferrò la confezione e la tasto un po’ ovunque per cercare di aprirla.
“Aah!!”

 La scatola di plastica rotolo sul letto, macchiata di rosso nell’angolo più appuntito.

“Sei la persona più disastrosa che abbia mai conosciuto!” esclamò Nicki esasperato, guardando la ferita sul polpastrello del rossino, piccola ma profonda a giudicare dalla forma arrotondata e dalla lucida e copiosa goccia di sangue che sgorgava da essa, che subito colò in un piccolo rivolo lungo le falange. Il ragazzo dai capelli dorati incrociò le gambe sul letto e si sporse in avanti, prendendogli con malagrazia la mano. Avvicinandola alla bocca leccò via la scia rossa dalla sua punta fino a risalire verso il polpastrello, soffermandovisi.

Demian non disse nulla mentre guardava la scena col cuore ancora palpitante, per l’agitazione di essersi tagliato.

Nicki spostò gli occhi su di lui un attimo prima di ritirare la lingua e allontanare il volto dalla sua mano. Alzò un sopracciglio, disegnando un’espressione alquanto disgustata sul proprio volto.

“Chissà cosa ci trovano nel sangue. Quello degli esseri umani è così diverso dal suo.”

Demian assunse un’espressione indifferente prima di rispondere.

“Nessuno ti ha chiesto di fare questa cosa così disgustosa”.

Nicki sospirò ed estrasse dalla cintura un coltellino svizzero. Demian immaginò che fosse perfetto in caso di pericolo, quando il nemico era convinto di aver disarmato l’avversario, che invece poteva ancora giocare quella carta. Astuto, pensò il ragazzo, senza potersi trattenere dal provare un po’ di ammirazione.

Servendosi del coltello Nicki lacerò la coriacea plastica e ne tirò fuori un tramezzino, annusandolo con un mugolio di piacere prima di addentarlo con gusto.

“Adoro l’abbinamento tonno e uovo, e tu?” domandò.

Senza rispondere Demian prese finalmente il sandwich e lo divorò. Il tonno non lo faceva impazzire, ma non si sognava neppure di lamentarsi: in quel momento era delizioso.

Più mangiava più aveva fame, così afferrò la pagnottella di pane a cui aveva dato solo due morsi e divorò anch’essa. Nicki sembrò ricordarsi di qualcosa di importante. Infilò una mano nella busta.

“Togliti i vestiti” disse perentorio.

“Perché?” chiese Demian allibito, smettendo di mangiare.

“Ti medico quel brutto taglio. Non può restare così”.

Lentamente Demian si sfilò la manica destra della giacca a brandelli, mostrando oltre la lacerazione della camicia la ferita che ormai non sanguinava più, ma che aveva i bordi gonfi e violacei.

Nicki armeggiò con una boccetta di plastica, rovesciandola di colpo su del cotone, dopodiché passò quest’ultimo sulla carne ferita, troppo velocemente prechè il rossino potesse fermarlo o allontanarsi.

“AAAAAAH!! CAZZO!!” urlò senza contenersi.

Nicki, stupito, piegò le labbra in un sorriso malizioso.

“Zitto e sopporta” sembrava divertito.

“Tu… tu sei pazzo!” accusò Demian con la voce tremante e gli occhi lucidi di pianto trattenuto.

Nicki sembrò non dargli ascolto. Prese un grosso cerotto e glielo appiccicò sulla ferita; mise via gli accessori del pronto soccorso improvvisato.

Demian carezzò la ferita da sopra il medicamento. Si rinfilò la manica della giacca logora e prese la lattina di birra sul letto; l’aprì con uno schiocco deciso e ingurgitò il contenuto alzando il mento.

“Ehi, quella era mia! I ragazzini non dovrebbero bere alcolici. Ti avevo preso il latte” si lamentò Nicki mentre gli toglieva di mano la lattina, scoprendo che Demian se l’era scolata per metà. “Alcolizzato”.

“Depravato” ribatté il rossino prima di singhiozzare e lasciarsi ricadere sul letto.

Nicki diede un morso al croccante panino e gattonò sopra il letto, portandosi sopra il ragazzo. Si chinò e gli posò le labbra sulla fronte. A quel contatto Demian riaprì di scatto gli occhi ma non si mosse.

“Non sembra che tu abbia la febbre” constatò Nicki allontanandosi quel poco che bastava per guardarlo in viso. “Sei solamente stanco e debilitato. Dormi”.

Demian non rispose. Continuava a guardare l’altro attentamente, senza sbattere nemmeno le ciglia. Immobile, continuanuò a tenere un braccio piegato sopra la testa e l’altro all’altezza delle spalle, ma la linea tesa della mascella rivelava un nervosismo che voleva celare.

Nicki schiuse le labbra. Guardò il ragazzo steso sotto di lui con occhi differenti. Si sentì in una posizione favorevole, forte come il leone che tiene sotto di sé la fragile gazzella. Piegò leggermente i gomiti, per farsi più vicino a lui, sfiorò con il naso la sua guancia prima di chiedersi cosa stesse facendo. Sentì Demian trattenere il respiro mentre lo guardava con pupille tremolanti. Così da vicino le sue ciglia si mostravano in tutta la loro lunghezza e flessibilità, lievemente ricurve in prossimità dell’iride acquosa e viva.

Demian mosse una gamba; Nicki ascoltò il fruscio prodotto da quel gesto sulla coperta e si sistemò meglio, con l’avambraccio piegato sopra la testa del rossino che non fiatava, solamente si limitava a guardarlo con occhi cauti.

Nicki lasciò scivolare lo sguardo sulle sue labbra e sulla zona intorno al collo e si inumidì le labbra, socchiudendo le palpebre. Liberò dalle narici un respiro che lo riportò alla realtà. Lentamente si tirò indietro e scese dal letto.

Demian girò appena la testa per guardarlo interrogativo e sollevato. Un sospiro silenzioso si liberò dalle labbra socchiuse; si passò il dorso della mano sotto il mento, asciugando un sottilissimo strato di sudore. Deglutì e abbassò gli occhi.

Nicki lo guardò per un’ultima volta ed uscì dalla stanza. Aggrottò le sopracciglia ripensando all’improbabile atmosfera che si era creata un attimo prima in quella camera.

 

Riaprì gli occhi mentre il sole del pomeriggio dipingeva ombre sulle pareti della stanza. Il cuscino soffice contro la guancia dava una piacevole sensazione di benessere e sicurezza ed infatti non voleva lasciarlo. Rimase steso su un fianco, con gli occhi aperti a guardare i raggi chiari che colpivano il pavimento e i muri, e il pulviscolo che vi galleggiava dentro lento.

Sentì dei passi sulle scale e girò la testa per veder arrivare Nicki, con due tazze nelle mani.

“Sei sveglio” fu il suo saluto tranquillo.

“Come se non lo sapessi” rispose svogliato Demian, mettendosi a sedere lentamente; i muscoli del corpo gli facevano ancora più male.

Nicola ignorò l’accusa implicita in quella frase e andò di lato al letto, porgendo al ragazzo una delle tazze. “So che ti piace il latte”.

“E quando te l’avrei detto?” domandò il rossino sulle sue, accusandolo nuovamente con la voce e lo sguardo taglienti, mentre iniziava a sorseggiare piano la bevanda poco più che tiepida, come piaceva a lui.

Nicki roteò gli occhi ed allargò le braccia. “Lo sai che sei impossibile da prendere?”

“Sì” rispose l’altro secco.
“Non potresti addolcire un po’ quel tuo caratteraccio? Sei molto più tenero mentre dormi, nei tuoi sogni”.

Demian staccò improvvisamente le labbra dal bordo della tazza e lo guardò arrabbiato.
“Adesso spii anche i miei sogni? Ti detesto!” si sfogò, impotente.

“Non è stato intenzionale, te lo giuro” tentò di difendersi l’uomo, portando le mani aperte davanti a lui. “Sei molto… aperto mentre dormi. I sogni e i pensieri escono da te senza che si debba far nulla per carpirli”.

“Non sei il primo a dirmelo. Mi dà fastidio. I miei pensieri sono miei e basta. E pure i miei sogni”.

Nicki sorrise. “Beh, stavolta puoi stare tranquillo. Non hai sognato nulla di compromettente”.

“E cioè? Non ricordo”.

“Ci tenevi ad esprimere come ti piacesse il latte.” Il rossino tornò a bere. “… facevi questo interessantissimo discorso mentre ti muovevi a gambe aperte sopra il vampiro Andrea”. Demian iniziò a tossire e del latte cadde sulla trapunta blu. “Cazzo mi sporchi il letto! Come se già questa casa fosse un esempio di pulizia”.

“Tu… tu…” provò a dire il ragazzo ma le parole vennero bloccate da altri colpi di tosse.

Nicola sogghignò. “Ti piacerebbe farlo vero? Come con un essere umano”.

“Eh…?” Il rossino si stava ancora riprendendo, respirando profondamente e deglutendo.
“Scopare”.

Demian lo guardò sconvolto, con un’espressione mista di rabbia e imbarazzo.

“Smettila! Sei una fogna”.

“E tu sei meno santarellino di quello che vuoi far credere” gli disse Nicki portando la mano destra sul corrispettivo fianco. Il ragazzino tornò a guardare di fronte a sé, e Nicki poteva sentire la furia che gli bolliva nelle vene. “Su, non dirmi che adesso sei arrabbiato” provò a dire in tono leggero, conoscendo già la risposta.

“Dobbiamo stare per forza insieme tutto il tempo?” chiese il rossino facendo ben intendere cosa volesse in quel momento.
Nicki sospirò, continuando a guardarlo mentre stringeva forte tra le dita le lenzuola. Fece per uscire. Si voltò verso la finestra, socchiudendo gli occhi per via della luce fredda che filtrava tra le nuvole. Demian guardò nella stessa direzione, con un timore crescente che gli palpitava nel corpo. Non mancava molto al tramonto.

Il ragazzo sulla porta tornò sui suoi passi e si mise di fronte al rossino, che lo guardò domandandosi cosa diavolo volesse ancora da lui.

“Vieni con me. Stai meglio vero?” chiese egli andando a spalancare le ante dell’armadio e frugandovi dentro.

“Eh? E dove vuoi andare? Vorrei ricordarti che tra poco sarà notte e ci sono due vampiri che vogliono ammazzarmi, sai com’è…” disse Demian sarcastico, non credendo alle sue orecchie.

“Ti ricordo, carino, che è stato proprio Melìt a darmi questa casa. Quindi sa perfettamente che siamo qui” spiegò il ragazzo.

Demian scattò in piedi, con l’agitazione che gli cresceva dentro. “E perché cazzo non me l’hai detto subito?!” quasi gridò.

“Non verrà, sta architettando qualcosa. Non farebbe mai nulla senza un piano ben strutturato, nemmeno per il tuo bel faccino. O meglio, per il sangue che a quanto pare gli piace tanto…” precisò Nicki. Il suo volto si fece estremamente serio mente guardava un punto indefinito nell’armadio. “Chissà cos’ha il tuo sangue di diverso dal mio” chiese a se stesso ma ad alta voce. “E’ diventato pazzo quando l’ha bevuto, i suoi occhi non sono mai stati così. Perché?” pronunciò quell’interrogativo con un sussurro. Demian non osava dire nulla. Nicki si riscosse da quei pensieri, afferrò una camicia e la lanciò a Demian senza nemmeno voltarsi. “E’ la cosa più decente che ho. Spero tu non sia schizzinoso”.

L’indumento era finito sulla testa del ragazzino, che lo tirò via con foga. Demian lo guardò dopodiché iniziò a togliersi la giacca ormai a brandelli e la camicia altrettanto lacera. Rabbrividì violentemente e si sbrigò ad infilare la camicia pulita. “Non hai un impianto di riscaldamento te??” domandò stizzito.

“Sono momentaneamente inutilizzabili. Dovrai accontentarti del mio cappotto”.

“Non posso toglierlo a te. Sarai anche una specie di modificazione genetica, ma non sei immune dal freddo”.

Nicki gli andò di fianco e sistemò sulle spalle di entrambi il lungo cappotto. Il rossino lo guardò interrogativo.
“Adesso smettila di blaterare e andiamo. Stasera esci con me” concluse Nicki, mentre Demian lo guardava sbattendo le ciglia.

 

L’orizzonte londinese era grigio. Il sole era occultato dalle nubi pesanti di pioggia. Grosse e piccole gocce battevano silenziose sul vetro della cabina, ostacolando la visuale del paesaggio urbano. Eppure Demian era rapito dallo scenario decadente e suggestivo che si poteva ammirare dalla ruota panoramica, dall’altezza -seconda solo a quella di Singapore - che non provocava vertigini ma solo un grande senso di struggente e triste bellezza.

Londra, dominata dalla pioggia, cedeva interamente a tutte le sfumature del grigio, in un modo che non si può capire guardando solo le foto su internet. Quel panorama suscitava una pungente malinconia nell’anima del rossino, già dominata dalla paura e da cupi pensieri. Si chiese se avrebbe avuto un futuro, se sarebbe sopravvissuto abbastanza da poterlo costruire, e per la prima volta in vita sua desiderò fare qualcosa per avere una vita diversa, da poter condividere con la persona amata. Si riscoprì più sentimentale, più ragazzino di quello che aveva creduto. Il cuore non voleva tranquillizzarsi mentre rimpiangeva di non aver detto ad Andrea che…

Quando Nicki parlò fu come se si risvegliasse da un sogno. “Hai una faccia” commentò con una smorfia, poggiando le spalle alle pareti della cabina dalla forma di uovo, con le braccia incrociate sul petto.
Demian mosse appena la testa per guardarlo mesto e un po’ seccato. “Come se la tua fosse migliore” bofonchiò, tornando a guardare la città che si apriva davanti e sotto di lui, ampia e umida.

Le persone presenti nell’abitacolo emettevano gridolini emozionati. Demian riconobbe diverse lingue, tra cui l’inglese e il tedesco.

Si sistemò meglio il cappotto sulle spalle e spostò ancora di più il peso sul poggiamano che correva intorno tutta la cabina. Tutto stava diventando scuro e se ne accorse sensibilmente mentre guardava la punta del Big Ben svettare in lontananza, perdendo sempre di più i suoi dettagli.

“Sempre più scorbutico” commentò Nicki. “Credevo che l’occhio di Londra ti sarebbe piaciuto”.

“E mi piace. Altroché se mi piace, è bellissimo… il mondo da qui è bellissimo. La ruota gira lenta, lasciando il tempo di ammirare la città e di pensare” disse il rossino senza distogliere lo sguardo. “E’ solo un po’ triste. Questa austerità, questo grigiore, le antiche abitazioni vittoriane che rimangono sullo sfondo di una metropoli dinamica e vivace…”

Nicki guardò nella sua stessa direzione. “Ci vengo sempre da quando sono qui” seguì un minuto di silenzio in cui Nicki sembrò riordinare pensieri troppo complessi da riuscire a esprimere. Increspò le sopracciglia. “Mi sarebbe piaciuto poter vivere stabilmente qui. Avere Melìt al mio fianco per sempre. O meglio, essere io al suo… per tutto il resto della mia vita” parlava, più a se stesso che con Demian. “Ora dovrò sfuggirgli per sempre. E non è detto che non riesca a prendermi. Nessuno è mai riuscito a salvarsi, quando ha deciso di vendicarsi di qualcosa”.

“Perché l’hai fatto?” domandò Demian scattando indietro, guardandolo. “Aiutarmi era firmare la tua condanna, mettersi contro di lui” gli parlò in tono concitato, con un’espressione disperata.

Nicki semplicemente lo guardò e sorrise. “Perché mi piaci”.

Demian imbronciò le labbra in un’espressione che divertì l’altro, che si trattenne dal ridere.

“Credevo di esserti antipatico” confessò atono.

Nicki rise e il suono della sua risata fu lieto e piacevole all’udito; trasparente, paragonabile a una folata di vento tiepida.

Il rossino stava per dire ancora qualcosa ma Nicki si voltò. “E’ ora di scendere” disse, e s’incamminò verso l’uscita della cabina.

Demian notò solo allora che ormai la ruota aveva quasi concluso il suo giro. Si portò di fianco a Nicki, senza più dire niente, aspettando il suo turno per scendere. Il London Eye, ovvero l’Occhio di Londra, non fermava mai il suo ruotare, e per salirvi e scendervi bisognava praticamente saltare dalla piattaforma esterna alla cabina ellittica, e viceversa. Nicki e Demian saltarono dall’altra parte quasi nello stesso momento. Nicki si voltò, col sorriso sul volto che scomparve così com’era apparso: Demian non c’era.

Si guardò attorno ma di lui nessuna traccia. Davanti ai piedi il suo cappotto; l’ombra della preoccupazione e del dubbio dipinta sul suo volto. Melìt?

 

Era vento quello che lo stava investendo? Sembravano lame ghiacciate che gli ferivano la carne.

Quel vortice sembrava volergli strappare via le palpebre nonostante le tenesse serrate con tutte le forze. Si stringeva saldamente a qualcosa di duro.

Cosa stava succedendo? Melìt l’aveva raggiunto? Ma non c’era ancora il sole? Non riusciva a formulare molti pensieri coerenti, con quel soffio feroce nelle orecchie e quello strano dolore.

Il vento cessò e Demian rovinò pericolosamente a terra, sfregando contro la terra ruvida, avvertendo che la pelle del viso veniva graffiata. Quando la spinta propulsiva s’interruppe, Demian si fermò sul terreno, scomposto come una bambola gettata con violenza a terra.

Passarono lunghi secondi prima che osasse provare a muoversi. Fece scivolare le mani in avanti, affondando le dita nel terreno. Alzò la testa quel tanto che bastava per guardare di fronte a sé. La vista, inizialmente annebbiata, si schiarì lentamente un battito di ciglia dopo l’altro, mettendo a fuoco l’ambiente.

La mente gli giocava qualche scherzo? Non era una vegetazione forestale quella?

Piano si mise in ginocchio, gemendo per il dolore che sentiva nelle ossa di tutto il corpo. Era davvero ridotto male. Si guardò attorno, sempre più incredulo: alberi così alti da non scorgerne la cima si immergevano nel nero tiepido, rischiarato appena dalla luce morbida priva dei raggi del sole, che ormai stava scomparendo. Sotto di lui la terra fresca ricoperta di erba viscida e attraversata da grosse radici che sbucavano in superficie; a tratti lunghi ciuffi d’erba gli solleticavano la pelle attraverso la camicia.

Si mise in piedi; non aveva più le scarpe. Continuò a guardare in aria, stringendosi nelle braccia. Accidenti che freddo, pensò, e rimpianse il cappotto di Nicki.

“Hai freddo?”

La voce imperiosa che udì alle sue spalle lo spinse a voltarsi con lentezza. Ad almeno venti passi di distanza c’era una ragazza. Sembrava una sua coetanea, ma il crepuscolo ormai a un soffio dal diventare notte alterava dolcemente i contorni e le ombre, e non ci avrebbe messo la mano sul fuoco. La ragazza si mosse verso di lui e finalmente i dettagli del suo viso divennero distinguibili, oltre alla fisionomia generale. Demian tese subito i muscoli allorché si accorse che era un vampiro. Non poteva sbagliare: aveva occhi grandi e lucenti come biglie e un viso ovale del colore della porcellana. Piccoli dettagli confermavano la sua intuizione, come il fatto che si muovesse senza produrre nemmeno un fruscio, che la sua pelle fosse compatta e perfetta, tranne che per…

“Smettila di fissarmi a quel modo. Se continui ti uccido” lo avvertì ella in tono freddo e deciso.

Demian rabbrividì lungo la schiena e strinse un pugno, tentando di non mostrare ansia né tanto meno paura.

“Chi sei?” chiese in tono pacato, perché farla arrabbiare era l’ultima cosa che voleva. “Sei qui per conto di Melìt?” sputò fuori, temendo la risposta che avrebbe ottenuto.

Lei fece un gesto secco con la testa, scuotendo i lunghi capelli neri che si mossero come un’onda, perfetti.

“Io non sto con nessuno. Mi fido solo di me stessa”.

“Beh… buon per te” le rispose Demian non sapendo cos’altro dire.

La vampira lo guardò fisso per un po’, poi scomparve e riapparve a un soffio dalla sua faccia. Demian arretrò ma troppo precipitosamente, tanto che cadde all’indietro inciampando tra i rami. Gemette.

 Mar’ja inclinò lievemente la testa per guardarlo. “Sei veramente ordinario. Chissà cosa ci trovano quelli là in te”.

“E’ quello che mi chiedo anch’io” concordò Demian.

La creatura lo guardò con cipiglio.

“Volevo vedere com’eri. Parlarti. Non conosco poi così tanto Andrea, ma il fatto che non ti abbia ancora trasformato mi sorprende” confessò in tono meditativo.

“T-trasformato?” ripeté il rossino.

Ella si abbracciò i fianchi e non distolse lo sguardo.

“Un vampiro che ama prima o poi cede al desiderio di trascinare la persona amata con sé, nell’eternità. Eternità, piccolo, sai cosa significa? No, certo che non lo sai. Sei praticamente appena nato, odori ancora  di latte materno. Non è come la dipingete voi umani, un tempo infinito per godere di tutto. L’eternità non è una vita che procede all’infinito. L’eternità non procede. Il nostro orologio si è fermato dallo scambio di sangue, e siamo uguali da allora, lo saremo per sempre. Capisci cosa vuol dire?” chiese in tono acuto, sorridendo. Il suo sorriso, abbinato a quella terribile cicatrice, rese la sua espressione spaventosa agli occhi di Demian. “Siamo sempre uguali a noi stessi, fermi, come in un limbo, come in un sogno dal quale non ci possiamo svegliare. La bellezza? Nulla a che vedere con quella di un mortale. L’immortalità? Inutile, quando tutte le persone che ti sono vicine muoiono e tu rimani solo. L’immortalità è una maledizione subdola, perché attraente. Oh sì… Comunque tutte queste cose le sa anche Andrea. Sono sicuro che ha pensato più volte di portarti a lui.

Demian la guardò fisso, confuso.
“Lui… non-non lo farebbe mai. Non mi farebbe mai del male” spiegò, sicuro di quello che diceva, anche se la sua voce vacillava.

“Male? Non desideri l’immortalità?” domandò stupita, distendendo la propria espressione. Il rossino scosse la testa senza distogliere però lo sguardo. “Cosa? E come puoi affermare di amarlo?” chiese ancora incredula.

“Non mi pare di aver detto una cosa simile”.

“E vorrei ben vedere… non puoi amarlo e non desiderare, anche se irrazionalmente, di stargli accanto per sempre. Di sconfiggere la morte per…” Mar’ja chinò la testa, “Inutile continuare. Credevo aveste un rapporto diverso”, rialzò la testa e nel suo sguardo Demian lesse decisione. “Non abbiamo più niente da dirci. Ero solo curiosa. Come tutti quelli che hanno saputo di voi”.

“Aspetta!  Non… non vuoi niente da me?” chiese il rossino, sconvolto dalle parole di lei.

La vampira, che stava per voltarsi, si bloccò a metà, puntando gli occhi taglienti nei suoi.

“Qualcosa la vorrei” rispose lei chiara, e tacque. Il rossino strinse tra loro le labbra e non disse più nulla. Se c’era una cosa che aveva imparato in tutta quella storia era che non bisognava mai giocare col fuoco, quando ardeva così vicino. “Sarà gustoso” continuò lei, “saperlo dilaniato dal rimorso per averti ucciso con le proprie mani, per non aver resistito al tuo sangue profumato… o per averti trasformato per puro egoismo” sorrise e un guizzo lampeggiò nei suoi occhi.

“Ma tu chi sei? Perché ce l’hai con lui?” preso coraggio Demian, avanzando con i pugni alzati e lo sguardo deciso.

Lei si voltò nuovamente verso di lui, e il suo viso parve mutare in una maschera di cera senza alcuna espressione, ma una sfumatura nello sguardo che sembrava odio.

“Perché avrei preferito la morte a questo”.

Sparì scattando con velocità, ancor prima di aver terminato di parlare. Demian si guardò attorno con frenesia, cercandola ma tutto fu inutile. Se n’era andata.

Solo in quel momento il panico lo assalì: non sapeva dove fosse. Ormai tutto andava scurendosi sempre più e non c’era traccia umana ovunque lo sguardo si posasse. Sapeva che presto il buio avrebbe sopraffatto ogni cosa. Starnutì rumorosamente e tirò su con il naso. Si strinse più strettamente nelle braccia.

Una goccia d’acqua gli cadde sulla guancia. Alzò gli occhi, temendo si verificasse quello che sospettava. Infatti a quella prima goccia ne seguirono altre, finché non cominciò a piovere sempre più fittamente. Iniziò a camminare in una direzione qualunque, cercando di controllare l’ansia che stava iniziando a dominarlo. Dove diavolo era? Camminare faceva male, un po’ per i dolori ossei e muscolari, un po’ perché quel tipo di terreno gli feriva i piedi scalzi.

Si fermò e si guardò attorno, posando lo sguardo sull’infinità di alberi da cui era circondato. Le foglie, verde umido come i suoi occhi, schermavano quella poca luce che era rimasta del giorno, proiettando ombre nel fondo boschivo. Le foglie si opponevano alla pioggia che doveva essere sicuramente molto più impetuosa di quella che gli cadeva addosso, fitta ma sottile e quasi piacevole, per niente gelata come gli era sembrata la prima goccia. Guardò in alto. Tra le foglie ormai verdi e nere si intravedeva un cielo grigio chiarissimo, increspato dalle gocce che cadevano verso il basso. Su lui.

Seguì quei meccanismi che mimetizzati eppure così visibili si mettevano in moto lentamente; seguì quell’istante, lo guardò negli occhi, e si accorse che tutto intono a lui sembrava cantare sulle note di una singolare, soave musica  suonata dalla natura. Le gocce che cadevano su una pianta avevano un suono diverso da quelle che cadevano su un’altra; scivolavano veloci sulle latifoglie, lisce e concave, per culminare sulla punta, in una gocciolina timida che poi cadeva sul terreno, che l’assorbiva avido; si aggrappano a quelle aghiformi, perle lucenti su ogni singolo ago. Un’orchestra suonava libera da spartiti, senza alcuna costrizione, eppure creando un’armonia perfetta. Suonava per Demian. No, per se stessa.

La foresta respirava. Demian non riusciva a farlo, travolto da quello splendore, da quella vita primigenia, da quella forza così bella e struggente intorno a lui, che si era svelata con la semplicità e il miracolo di un fiore che sboccia.

Ricominciò a camminare, scavalcando radici sporgenti, appoggiandosi a un albero dal grosso tronco per sostenersi; abbassò la testa sotto i rami che crescevano orizzontali, intrecciandosi con altri, creando cornici barocche in quel quadro silvestre. L’incavo di una foglia all’altezza del suo viso, era la piccola culla dell’acqua piovana che brillava in se stessa, nascosta, ricca. Avvicinò le labbra, alzando appena la testa, e chiudendo gli occhi piegò il bordo della foglia in basso, aprendo la bocca, accogliendo sulla lingua la fresca dolcezza di quella fonte. Si staccò aprendo gli occhi lentamente, battendo le ciglia piano. Si asciugò la bocca col dorso della mano e guardò nuovamente in alto, girando su se stesso, danzando, guardandosi attorno come se vedesse il mondo per la prima volta. I capelli erano ormai fradici, così come gli abiti, ormai fusi con la pelle resa molle dall’acqua. Sorrise senza potersi trattenere e iniziò a correre in quel paradiso selvaggio, scansando al volo fronde invadenti, saltando rami caduti sul terreno, rinvigorito da quella forza che lo circondava. Gli occhi, ormai polle intrise del colore bagnato del bosco, brillavano mentre s’immergeva sempre più nel fondo di quell’Eden che gli aveva fatto sentire la vita come mai prima di allora.

Era tutt’uno con la natura, lo sentiva. Era la natura. Era il giovane albero che non si sarebbe fermato nella sua scalata verso il cielo, per riuscire un giorno a guardare il sole non solo attraverso le fronde; era uno di quei fiori violacei che si arrampicavano in una spirale sulla corteccia delle querce, forti e tenaci, come le radici che si opponevano al terreno, come la pioggia che piangeva sul suo viso, lavandolo di ogni cosa che non fosse euforia, che non fosse gioia.

Il suo cuore batteva così forte, così piacevolmente forte, tanto da poterlo sentire premere contro il petto con l’intensità di un’eruzione. Si tirò indietro i capelli con le mani, accarezzandosi la fronte e chiudendo gli occhi; le mani scesero sul collo, le labbra si socchiusero mentre godeva di quell’istante di eternità, inebriato. Riaprì gli occhi. Non sentiva più dolore, era parte di tutto quello che lo circondava, di quella perfezione, era uno spirito di quel luogo. Era quel luogo. Senza fermarsi ruotò su se stesso, ridendo, girando i palmi verso il cielo, offrendosi alla pioggia. Le ciglia bagnate davano l’impressione che piangesse, ma di piacere, le gocce d’acqua pura si liberavano dal loro intrico per scivolare svelte sulle sue guance, simulando davvero un pianto, intenso, commovente, lieto.

Quando arrestò il suo volteggiare guardò nuovamente davanti a sé e si fermò. Spalancò gli occhi e continuò a camminare. Di fronte a lui si apriva il mare azzurro e grigio, simile a ghiaccio fuso, sfumato appena di rosa. Il sole ormai era affondato in esso, lasciando dietro di sé un cielo cobalto senza nubi ed il vento ad accarezzare la superficie.

Si appoggiò ad una roccia. Ciuffi rossi gli si erano attaccati nuovamente alla fronte, sulla base del naso, scomposti. Il petto si abbassava ed alzava mentre respirava a fondo, come sentiva di non aver mai fatto. La foresta sfociava su una spiaggia incoronata da un’alta scogliera, vestita di una sabbia chiarissima come in un sogno. Il mare si inchinava ai suoi piedi, lambendola rispettosa ma decisa, seducente ma dolce, arricciandosi capriccioso in pallida spuma terminando la sua spinta verso essa, come in omaggio.

Demian non sbatteva quasi più le ciglia, rapito. Totalmente rapito. Tutto era divenuto scuro e ovattato, niente era più  reale. Qualcuno lo guadava da laggiù, una sagoma che aveva i contorni di un uomo, scura e immobile, il vento lieve che muoveva il suo cappotto e i suoi capelli. Egli si incamminò verso di lui, piano, divenendo sempre più visibile man mano che entrava nel fascio di luce lunare che colpiva la sabbia lontano dalla riva.

Demian sgranò gli occhi e sospirò. Si staccò dalla parete rocciosa ricoperta di muschio e mosse alcuni passi in avanti, le braccia abbandonate lungo i fianchi, la pelle che non avvertiva più il freddo, che non avvertiva più niente se non vita, se non dolcezza.

Andrea sorrideva dolcemente, inglobando in quel sorriso i singoli elementi del suo volto. I suoi occhi erano due diamanti, così belli da far piangere. Il ragazzo sorrise a sua volta, pienamente, mostrando i denti chiari stretti tra loro. Risero i suoi occhi come le sue labbra e si lasciò andare mentre il moro si spingeva in avanti per prenderlo tra le braccia, facendogli alzare i piedi da terra, iniziando a volteggiare mentre rideva e lo guardava in quegli occhi, ora più vivi che mai.

Gli fece poggiare il petto contro il suo e avvicinò il viso a quello dell’altro, mentre non smetteva di fissarlo in quegli smeraldi. Mio Dio, non era mai stato seducente come in quel momento: così eccitato, morbido, umido, felice.

I loro respiri si mischiarono, confondendosi.

Il rossino lasciò scivolare le braccia sulle sue spalle, intorno al suo collo, stringendosi a lui mentre ancora danzavano, anche se più piano. Finché Andrea si fermò e Demian toccò di nuovo terra coi piedi. Tenne la testa alta per non perdere il contatto con gli occhi del vampiro, i loro sorrisi ora spenti, i volti che esprimevano solo amore. Chinandosi il moro lo baciò, e Demian chiuse gli occhi, abbandonandosi a quell’ulteriore gioia.  

 

 

 

 

 

Continua…