Un saluto a tutti i fan di Amore immortale! Perdonate la lunga attesa, ma adesso ho altri due capitoli in cantiere, quindi almeno quelli verranno postati regolarmente senza lunghe attese. Attualmente sono alla stesura del capitolo 13 e spero di non metterci un'eternità come al solito per concluderlo. Auguro un felice anno nuovo a tutti voi che mi seguite, spero possiate godervi fino in fondo il continuo delle vicende di Demian ed Andrea. Bacio di sangue a tutti .

 

 
 

 


 

 

Amore Immortale

 

parte XI

 

di Vickysweetgirl

 

    

“E allora capisci che quella vita eterna

che tutti cercano non è un dono, ma una maledizione,

e della peggior specie, perché non ha fine.

E il mondo attorno a te cambia, cambia la storia,

cambiano gli uomini, e tu sei sempre lì, sempre uguale,

nient’altro che te stesso. E i ricordi diventano troppi…

… e pesano…”

(‘Gli eroi del crepuscolo’ di Chiara Strazzulla)

 

 




 

 

-Party col diavolo-

 

 La notte passò veloce come un sospiro.

L’ansia cresceva in lui, la paura costante pervadeva ogni sua fibra, attanagliandolo. Non lo aveva ancora trovato e la sua angoscia aumentava sempre più.

Si fermò ad un incrocio di vie silenziose, con la testa chinata e lo sguardo colmo di tristezza. Si portò una mano sul viso, in un gesto molto umano; un soffio gelido gli scostò i capelli dalla fronte. Si voltò così velocemente che nessuno avrebbe potuto percepire il movimento. La strada dal quale era venuto si distendeva lontana, stretta e bianca della luce pallida dei lampioni. Girò la testa a destra e a sinistra, utilizzando i suoi occhi soprannaturali per scrutare gli angoli delle strade buie. Passi echeggianti lo fecero immobilizzare. Capì subito che non erano passi umani. Troppo perfetti, troppo sicuri, senza rumori strascicati,  solo i colpi limpidi di un paio di tacchi larghi. Provò ad esercitare la lettura mentale, ma fu come scontrarsi contro un muro. Mantenne la sua solita calma, pur tenendo alta la guardia.

Un altro veloce ma impetuoso spostamento di vento lo investì e quasi senza impiegare tempo alzò il braccio, scartando di lato, un polso sottile nella sua mano. Sgranò gli occhi, illuminando di sorpresa la sua rigida compostezza. Osservò l’immortale al di lui fianco e rimasero ambedue immobili. Lei alzò la testa adornata di lunghi capelli neri per puntargli contro due occhi che sembravano essere stati creati per odiare.

 

Poteva sentire il ticchettio dell’orologio da polso di Nicki, tanto era vivido il silenzio che invadeva la stanza. Lo agitava guardare la sua schiena alta e dritta, la sua postura perfetta, le ampie spalle e le braccia conserte, lo agitava che continuasse a guardare fuori dalla finestra le stelle lontane, senza più rivolgergli parola. Il ragazzo dai capelli dorati gli aveva schiuso la sua anima insieme alla sua memoria e i ricordi scaturiti dalla sua mente l’avevano scosso come un terremoto. Non provava gioia per il dolore di colui che lo teneva prigioniero, ma una sorta di compassione per quell’uomo che aveva sofferto tutta una vita per amore.

 

Amore.

 

Può davvero solo una parola rappresentare il perno di una vita? Pensò che quel sentimento decantato da romanzi, canzoni e poesie non era altro che generatore di sofferenza. Amare tanto qualcuno, come Nicki aveva amato suo padre, la sua donna, il suo bambino, e portarsi dietro per tutta la vita un tale dolore proprio a causa di quegli amori negati e feriti…

Dei colpi alla porta lo distolsero dai suoi pensieri ed entrambi si voltarono verso la stessa direzione. Nicki scivolò velocemente verso l’uscio ed aprì.

Sulla soglia apparve la figura maestosa di Melìt.

Il vampiro guardò Nicola senza espressione, alzò un braccio e gli afferrò i capelli con decisione. Nicki gemette di dolore ma non fece nulla per liberarsi. Allora Melìt allentò la presa e lasciò scorrere il palmo sulla sua guancia.
_Nicki, mi sorprendi._ Gli disse usando un tono estremamente calmo_ Da quando prendi iniziative?
_Mi… mi dispiace Melìt… signore._ farfugliò l’umano.

Il vampiro lo attirò a sé, senza lasciargli nessuna scappatoia.

_Non fare proprio ora il cattivo ragazzo, mio fedele Nicki._ Avvicinò il viso al polso dell’altro, lentamente e sussurrò._ Non vorrei doverti far male.

Affondò crudelmente i denti nel suo braccio, squarciando la sua carne e procurandogli tanto di quel dolore da farlo urlare.

Demian scattò in piedi e indietreggiò istintivamente. Riscossosi però balzò in avanti.

_Lascialo! E… ehi!

Afferrò il braccio dell’immortale, sbalordendosi nuovamente di tanta fermezza e tentò invano di allontanarlo dall’altro. Gli occhi rossi di Melìt si puntarono su di lui e con un colpo il rossino venne scagliato via, contro il muro più lontano.

Il biondo tornò ad occuparsi di Nicki e lo morse nuovamente, succhiando con voracità. Le labbra del mortale tremavano e i suoi occhi socchiusi erano umidi e trasparenti ma concentrati per sopportare il dolore. Quando giudicò che era abbastanza il vampiro si staccò con decisione dalla sua carne e leccò le lunghe lacerazioni che gli aveva procurato volontariamente; alzò gli occhi per guardarlo. Lo sguardo tremante di Nicki si fissò sugli occhi fiammeggianti di Melìt e il vampiro gli sorrise in maniera poco rassicurante, posando una mano sul suo collo.

_Che bella espressione hai. Non ti avevo mai fatto provare il dolore durante i miei baci. Eppure, nonostante questo, non scorgo la minima traccia di paura nei tuoi occhi.

Nicki tentò di sorridere.
_Io vi amo._ Disse appassionatamente_ Non posso temere niente che provenga da voi, perché io morirei con gioia tra le vostre braccia.

Demian, ancora a terra con la schiena contro la parete, sbatté più volte le palpebre, sconcertato. Sentir uscire simili parole dalla bocca di uno come Nicki era qualcosa di incredibile. Un tipo così sicuro, così padrone di sé, così superiore.

Melìt inarcò le sopracciglia e sorrise.

_Oh, ma così mi fai sentire in colpa, ragazzo mio._ Disse enfatizzando sulle parole, rendendo il suo tono quasi falso. Posò una mano sulla spalla dell’altro che si teneva il braccio sanguinante e lo oltrepassò, avvicinandosi a Demian. Il rossino si alzò di scatto e indietreggiò ma incontrò subito la resistenza del muro alle sue spalle. Vi si spalmò contro e alzò la testa, toccando il freddo intonaco con la nuca. Melìt gli sfiorò i ciuffi di capelli dietro l’orecchio e gli sorrise in maniera gentile._ Dobbiamo occuparci del tuo aspetto, mon petit. Non vogliamo certo fare brutta figura coi nostri ospiti, domani sera. Cosa penserebbero della mia ospitalità vedendoti in questo stato?

 

Ospiti?

 

Demian schiaffeggiò la sua mano.

_Sei disgustoso, non toccarmi!_ sibilò.

Melìt sorrise a trentadue denti.

_Bisogna che qualcuno ti insegni un po’ d’educazione, piccolo impertinente._ Demian non ebbe neanche il tempo di replicare in maniera tagliante come stava per fare, che il vampiro lo lanciò letteralmente sul letto. La veemenza del gesto lo lasciò per alcuni istanti attonito e non appena fece per fiatare la mano dell’altro gli tappò la bocca con forza, impedendogli persino di respirare. Il terrore gli gelò il sangue quando vide gli occhi folli del vampiro sopra di lui, le sue iridi fiammeggianti, il suo ghigno malefico. Lo teneva bloccato, il corpo sopra il suo, persino la sua voce era divenuta ancor più decisa, roca e bassa._ Ti piacciono così tanto i vampiri Demian?_ Il ragazzo lo guardava con gli occhi spalancati e i muscoli completamente immobilizzati_ Bene, allora accetta le conseguenze di avere a che a fare con noi.

Con una mano fece voltare di lato la testa del rossino e gliela bloccò contro il letto. Allargò a dismisura la bocca, emettendo quello che sembrava essere in tutto e per tutto un ruggito e si avventò sul suo collo senza esitare.

Demian levò un grido disumano che perforò persino le proprie orecchie. Nicki sgranò gli occhi sconvolto dalla brutalità del gesto di Melìt ma non poté far altro che stringere i pugni impotente.

Il rossino strinse spasmodicamente le braccia del vampiro con le dita, non riuscendo nemmeno a scalfire la dura pelle sovrannaturale. Si spinse col corpo contro il suo, tentando invano di spostarlo, scalciava e gemeva incontrollatamente.

_Aaaaaah..!!! La… aaaah…_Le parole che tentava di dire si perdevano in ansiti e gemiti, i suoi occhi spalancati all’inverosimile erano colmi di terrore. Tremava così tanto da sembrare in preda a una crisi epilettica, si morse le labbra così forte da spaccarle. E intanto sentiva Melìt continuare imperterrito a succhiare il suo sangue con voracità, senza risparmiargli dolore e disagio. Lo teneva bloccato come un animale, immobile sotto di lui, predatore che vince sulla preda e ad ogni sorsata Demian fremeva intensamente e lanciava suoni di gola acutissimi._ LASCIAMIIIIII!!!!!! AAAAAAAAAAAAAH!!!

I suoi occhi si riempirono di lacrime e il mondo divenne opaco e distorto, tanto da non riuscire più a distinguere ciò che aveva intorno. Le sue orecchie erano piene solo delle sue grida e del battito irregolare del suo cuore, in testa solo il dolore che lo stava lacerando. Il vampiro squarciava il suo collo, strappando sempre più carne.

Le labbra si staccarono lente dalla sua gola, pulite e lucide, rosse come le fiamme dell’inferno. Sorrise e solo i suoi denti tradirono il sontuoso banchetto che aveva appena consumato; rossi di sangue, essi simboleggiavano l’immagine più classica e raccapricciante del vampiro.

Il rossino rimase immobile, gli occhi aperti a guardare il nulla, la pelle grigia come quella di un cadavere.

Il vampiro si leccò le labbra e assaporò fino all’ultima goccia del sangue nella sua bocca, dopodiché tornò a sorridere.

_Bene, allora ti si può domare._ Constatò con voce perfettamente equilibrata. I cambiamenti nel suo aspetto stavano già avvenendo: la pelle era divenuta meno abbagliante, ma non raggiungeva neanche l’incarnato pallido di Andrea, visto che era molto più vecchio del moro; le sue labbra erano divenute tizzoni ardenti, i suoi occhi si erano accesi dello stesso colore dell’orizzonte al tramonto. Demian , lentamente, girò la testa nella sua direzione e lo guardò furioso, tentando senza riuscirvi di nascondere il terrore che provava. Il suo viso tradiva ogni emozione: la pelle livida, i muscoli contratti, le labbra ferite e tremanti, gli occhi che rigurgitavano incessantemente lacrime. Portò tremando una mano sul proprio collo e lo sfiorò appena, avvertendo con orrore la pelle bagnata e le deturpazioni; non osava guardarsi la mano per paura della vista del sangue. Non appena li aveva toccati, i buchi slabbrati avevano centuplicato la loro sensibilità e preso fuoco sotto le sue dita.  Deglutì a vuoto. Il suo respiro era spezzato e i gemiti che tratteneva trapelavano dalle sue labbra sottoforma di uggiolii vergognosi. D’un tratto Melìt iniziò a ridacchiare, portandosi il dorso della mano di fronte alla bocca._ Te la sei fatta addosso dalla paura?_ chiese divertito dopo aver notato il cambiamento fisiologico nel ragazzo.

Umiliato, Demian scoppiò in singhiozzi e si girò su un fianco, avvicinando le ginocchia al petto, abbracciandosi. I tremori che lo scuotevano non accennavano a diminuire e strizzò le palpebre, provando una folle paura della morte.

Non era stato come con Andrea. Con lui sì, aveva avuto paura, ma era stata una paura scaturita da ciò che non si conosce, da un sentirsi dolcemente impotente, completamente nelle sue mani, e la sua bocca era stata buona e desiderosa di lui, ma anche timorosa di fargli del male. Aveva provato una sensazione fastidiosa e dolorosa ma significativa, qualcosa di intenso che li aveva legati. Il suo sangue aveva attraversato le sue vene donandogli piacere, e anche se era consapevole che tutto ciò era sbagliato, ne gioiva segretamente. Gli avrebbe offerto il collo ancora e ancora, e ancora… Nemmeno per un istante la sua fiducia in lui era venuta meno.

 

Ma Melìt l’aveva sottomesso. Ferito, torturato, umiliato. Non era stato un dono.

 

L’aveva preso con  la violenza dello stupro e ridotto a un bambino piangente che si urina addosso.

Il biondo si alzò dal letto e da lui, e lo guardò trionfante dall’alto, pienamente conscio del suo potere.

Demian si mosse per guardarlo, il tremore che non lo abbandonava nemmeno per un istante, lo sguardo forte e determinato di sempre.

_Non… non ti perdonerò mai per questo._ Riuscì a dire mentre sentiva il proprio petto scosso e la voce che faticava così tanto ad uscire.

Il vampiro si portò una mano su un fianco.

_Molto meglio così. Il perdono è qualcosa di così noioso._ Rispose tranquillamente_ E’ molto più eccitante la vendetta. L’odio. Non credi?_ il suo sorriso si spense_ Odiami Demian. Questo renderà tutto più divertente,_ continuò con naturalezza _ una vittima docile e sottomessa non fa per me.

Improvvisamente fece un passo veloce in avanti e Demian sobbalzò sospirando.

Il vampiro rise sguaiatamente.

 

 

Ecco perché il suo potere non aveva avuto effetto. La sua mente era chiusa a lui come un bocciolo alla notte. I capelli e gli occhi scuri, la bocca carnosa, i lineamenti di un’eterna giovane donna, una cicatrice obliqua che tagliava a metà il suo volto…

Mar'ja Sokolova.

Figlia di un bolscevico, diciotto anni appena compiuti, lei non capiva i complicati meccanismi della crudele politica del periodo storico in cui viveva. Gli avvenimenti della Grande Guerra la toccavano solo marginalmente, come molte altre ragazze della sua età, ma conosceva bene la fame e le rinunce che in quel periodo pativa il suo Paese; i rifornimenti e le materie prime scarseggiavano e serpeggiava il malcontento tra il popolo.

Il 1917 fu un anno di svolta per la Russia, che concluse il suo impegno nella prima guerra mondiale e subì le profonde conseguenze di due rivoluzioni, quella di febbraio -secondo il calendario giuliano- e quella di ottobre, la decisiva.

Un menscevico aggressivo, per un atto di sfregio verso suo padre rapì Mar’ja, rinchiudendola nei sotterranei della sua casa. Lì la giovane subì tutti i tipi di violenza che un uomo può usare su una fanciulla di cui può disporre come vuole.

Mar’ja conobbe la tortura, lo stupro, l’umiliazione, tutte le ripercussioni di una lotta che non le apparteneva. Divenuta una bambola oggetto di sevizie, la sua mente non gridava aiuto, ma implorava la morte che non riusciva a darsi. Non voleva negarsi l’aldilà, anche se era certa di meritare solo l’inferno.

Andrea si trovava in quella che ancora veniva chiamata Pietrogrado. Viaggiava con piacere, amando esplorare nuovi posti quanto tornare in quelli che entravano nel suo cuore. Vedeva per la prima volta quella città e sapeva del clima ostile che vi aleggiava. Dopotutto non era diverso da Roma; la guerra aveva posato i suoi gelidi artigli ovunque. L’atmosfera russa gli piaceva: gelida e dannatamente romantica; aveva avuto persino la fortuna di trovarvi la neve.

Fu allora, in quell’ottobre del 1917 che lui sentì la sua disperazione. Essa si stagliava sopra il vociare dei pensieri della città.

Per quale strano motivo aveva notato una giovane che non aveva nulla di speciale, in quel mare di angoscia? Non era la sola sventurata, e allora perché?

Non riusciva a capirlo e forse nemmeno voleva. Era un dispensatore di morte ma desiderava aiutare quell’anima. Non poteva lasciarla morire. Era innocente, fragile, e nessun altro l’avrebbe aiutata.

Seguendo il calore della sua disperazione la raggiunse con facilità, entrando in quella casa mentre il suo aguzzino dormiva.

La stanza-prigione in cui era rinchiusa puzzava di chiuso e di urina, e se non fosse stato per i suoi occhi da vampiro non avrebbe potuto muoversi in quel buio. Si avvicinò ad una finestra che era stata crudelmente murata e con una piccola spinta la frantumò, facendo in modo che la luce della luna illuminasse l’ambiente. Abbassò lo sguardo a terra. Sapeva esattamente dov’era la ragazza pur avendola semplicemente percepita e non individuata con gli occhi. Ella giaceva riversa sul pavimento di legno, con il corpo torto in una posa innaturale, con il petto in sotto e i fianchi rivolti verso l’alto.

Si inginocchiò e le scostò i capelli incrostati dalla fronte. Sotto la sporcizia e le ferite grumose si scorgevano un bel viso e lineamenti nobili. Le labbra spaccate formavano un piccolo cuore rosso sulla pelle chiara, le lunghe ciglia sfioravano dolcemente la parte alta delle sue guance scarne.

Era malata. Pulita e in salute doveva aver fatto girare la testa a molti uomini.

Non mangiava da molti giorni; formiche e altri insetti rivoltanti brulicavano sui resti del pane che qualche giorno prima il suo aguzzino le aveva dato. Nella confusione barlumi di coerenza si affacciavano alla sua mente e Andrea li afferrò per sapere chi lei fosse e cosa le era successo. Vide l’uomo che la teneva prigioniera prenderla più d’una volta al giorno, il cibo che era costretta a lappare dal pavimento, gli accesi colori del dolore che in vita sua non aveva mai conosciuto e che l’aveva stupita, sconvolta e tormentata fino alla perdita della coscienza. Le venivano rivolte solo parole d’odio e di lussuria, ingiurie su suo padre, frasi impronunciabili per una ragazza per bene, offese d’ogni sorta. Andava avanti così da due mesi e negli ultimi giorni aveva smesso di alzarsi, di mangiare, di piangere, di chiedere pietà, credendo o illudendosi di essere ormai morta.

Andrea la sollevò tra le braccia con delicatezza. Era fragile come carta bagnata e ricadde con la testa all’indietro, nemmeno un muscolo attivo nel suo corpicino scheletrico. Incrociò le gambe e la fece sedere su di sé, facendole poggiare il capo al suo petto. Le passò ripetutamente una mano sui capelli e la carezzò con la voce.

_Va tutto bene, bambina. Va tutto bene._ E intanto la cullava_ Il dolore sta per finire. Senti? Non percepisci la dolcezza Mar’ja? Senti il suo canto? Tra poco sarà tutto finito, esisterà solo l’amore. Le diceva mentre tentava di ingannare la sua mente trasmettendole sensazioni dolci. Il viso della giovane, pur nella semi incoscienza, si rigò di lacrime.

Volevo diventare grande, diceva la coscienza di lei, volevo avere una vita perfetta come quella di Aalina… avere una famiglia tutta mia, essere corteggiata da un bravo ragazzo che poi mi avrebbe sposata.

I pensieri di quella giovane donna che stava appena affacciandosi alla vita e il cui volo era stato fermato, come un uccellino a cui si spara appena ha spiccato il volo, lo travolsero come un’ondata gelida. La maledizione che gli faceva sentire i dolori altrui come propri colpiva sempre con tale, precisa crudeltà.

Chiuse gli occhi, addolorato, e chinò il capo su di lei, omaggiandola perché stava morendo e la sua vita si sarebbe spenta come la fiammella di una candela sotto l’atroce delicatezza di un soffio.

Il vampiro riaprì gli occhi, tenendoli socchiusi, e snudò le zanne sul suo collo. La giovane sbarrò gli occhi e strinse le dita sulla sue spalle. Andrea si fece strada tra le fibre della sua carne, fino ad arrivare al puro, denso liquido.

La sua pelle era acre di sporcizia e di sudore, ma tutto ciò aumentò il piacere del nutrimento. Era così prelibata con la sua tenera carne di bambina, inebrianti il sapore della tortura e il suo sangue carico d’odio. Bevve da lei come un assetato da una fonte, ignorò i suoi gemiti e le rese l’atto piacevole come un amplesso. Dopo il primo istante di dolore e paura, infatti Mar’ja provò un lungo, interminabile piacere che la pervase in ogni parte. Aprì la bocca ma senza farvi uscire alcun suono, solo profondi respiri che la liberano di ogni dolore.

Sorrise.

Andrea si staccò da lei e rimase con le labbra a un centimetro dalla sua pelle, aspirandone il dolceamaro profumo che ne scaturiva. Lasciò che la sua vista si schiarisse e il sangue entrasse in circolo donandogli di nuovo la stabilità emotiva; guardò la ragazza tra le sue braccia. Ella tremava lievemente e aveva occhi e labbra serrati, il volto cereo. Con gli artigli si ferì rudemente la gola e mise a contatto le di lei labbra sul suo sangue, scaldato da quello di lei.

Era un’esperienza nuova e strana quella che stava avendo. Mai aveva dato il Dono Tenebroso a qualcuno né mai aveva voluto farlo. Temeva di sbagliare, di fallire, di peccare. E’ tremando che continuò ciò che aveva iniziato, mettendo forzatamente da parte dubbi e incertezze.
_Aah…

_Fallo Mar’ja,_ la incitò_ e non morirai mai. Fallo e  potrai avere la tua vittoria sulla morte. Fallo e niente di tutto ciò che ti accadrà in futuro potrà ferirti. Fallo e potrai ucciderlo._ concluse in un sussurro crudele.

La giovane sbatté le palpebre più volte  e si leccò le labbra. Il dolce sangue di Andrea le sembrò uno speciale nettare e leccò quindi tutta la superficie del suo collo, godendone come se fosse già una vampira. Stregata da quello strano sapore così simile al sangue ma che non sembrava esserlo si aggrappò alle spalle del moro e succhiò voracemente dalla sua ferita, come se così avesse potuto avere la sua rivincita, la sua vendetta nei confronti della vita stessa. Sì, l’avrebbe giocata.  

Il vampiro stava con gli occhi chiusi e le mani tremanti sulla sua schiena.

Che sensazione strana sentirsi succhiar via il sangue da un essere umano! In un certo qual modo piacevole, ma strano.

Quando credette che fu sufficiente, staccò con la forza la giovane da sé e la fissò negli occhi. Il suo sguardo era vuoto ma i suoi occhi brillavano come specchi d’acqua nel deserto. La parte inferiore del suo viso era tutta impiastrata di sangue e le sue mani tremavano intensamente. Con un forte gemito si contorse e cadde all’indietro, strisciando sul pavimento, spaventata. Si bloccò di colpo e inarcò la schiena, sbarrò gli occhi, stirò le dita dei piedi. Un grido alto si levò da lei, come se fosse stata trafitta da una lama. Andrea le tenne la mano e le parlò con dolcezza, nascondendo il turbamento e la paura.

_Mmh… aaagh!!

_Non preoccuparti, è… normale._ Disse il vampiro tradendo insicurezza_  E’ la morte umana, ma dopo questa vivrai in eterno! Non ti lascerò sola nemmeno per un istante, non aver paura. E’ quasi finita… è quasi finita._ Le ripeté come in una cantilena_ Sarai perfetta, mi senti? Bella come nel ritratto che è appeso nella tua camera da letto, anzi, molto di più! Sarai bella come non lo sei mai stata. Una zarina. _ Sorrise.

D’un tratto Mar’ja si bloccò, gli occhi sgranati e la bocca chiusa. Ricadde sulle assi del pavimento con un tonfo, gli occhi chiusi.

Il vampiro, che le sedeva accanto, attese in silenzio il cambiamento. Il volto cambiò colore, divenendo di un bianco niveo, così luminoso da brillare persino nel buio. I suoi capelli riacquistarono la loro morbidezza sotto la sporcizia. Le guance si riempirono, il corpo riacquistò volume sotto i cenci, le labbra divennero rosee. Quando la giovane riaprì gli occhi Andrea provò un infinito orgoglio. Le sue iridi erano di un grigio intenso ed empatico, con contorni e venature nere.

Gli ematomi sulla sua pelle scomparvero come per incanto, così come le piccole ferite. Ma una lunga linea trasversale, che andava dalla tempia sinistra alla parte destra del mento, non accennava a dissolversi come le altre e campeggiò sul volto bianco, rossa, luminosa e gonfia. Andrea non ne comprendeva il motivo.

La novella vampira sbatté le lunghe ciglia, stupita, e con espressione tranquilla e le labbra dischiuse  si alzò lentamente, guardando attorno a sé come se quella stanza puzzolente fosse il luogo più misterioso e affascinante che esistesse al mondo. Andrea la imitò e si alzò, osservandola attentamente mentre lei girava su stessa, volteggiando veloce come una ballerina.

_Che succede là dentro?_ La voce di un uomo arrivò attraverso la porta. Il torturatore della giovane entrò spavaldo nella stanza, sicuro di trovarvi la sua vittima indifesa con cui prendersela. Il suo viso era inespressivo mentre si trovava di fronte alla scena che mai si sarebbe aspettato di vedere: la sua martire in piedi, straordinariamente in forze, con occhi vivi e consapevoli, accanto ad un uomo bianco come il marmo. Indietreggiò._ Ma cos…

Prima che potesse esprimere il suo stupore e completare la frase, Mar’ja gli saltò addosso e lo morse ovunque maldestramente, prosciugandolo della vita, rendendolo avvizzendolo come una prugna secca. 

_Mar’ja basta, è morto. Non bere più o ti farà male_ le disse il suo creatore.

Allora si staccò dal cadavere di colui che l’aveva rovinata, ci camminò sopra e facendo uno scatto improvviso  con la testa fissò gli occhi sull’unica fonte di luce concessa alla stanza e i suoi occhi si accesero come pezzi di vetro sotto il sole di mezzogiorno. Scattando balzò fuori dalla finestra e corse a piedi nudi nella radura dietro la casa. Piroettava come se non fosse mai stata malmenata, libera e bella come non mai.

Andrea la seguì silenzioso e l’ammirò. Un nuovo, bellissimo vampiro creato da lui. Si sentiva emozionato e orgoglioso nello stesso momento, ma un certo timore si era impadronito di lui dal momento in cui le aveva dato il sangue. Il timore di aver commesso un errore, di non averla fatta come si deve, di averle solo fatto un torto privandola per sempre del conforto della morte, non lo abbandonava un attimo.

Melìt una volta gli aveva detto che non tutti erano adatti a diventare degli immortali; quasi tutti impazzivano appena nati o divenivano delle bestie senza intelletto, capaci solo di nascondersi ed uccidere in maniera avventata, privati sia della furbizia che del buon senso. D’altronde non è cosa da tutti sopportare il peso del nutrimento e dell’eternità.

Non aveva pensato che lei potesse essere inadatta, che forse non era la cosa giusta farle un dono più crudele che misericordioso. Aveva solo sentito un forte desiderio di salvarle la vita e deciso che in un modo o nell’altro avrebbe vissuto.

Ed ora era lì; una ninfa dei boschi che danza tra gli alberi, sotto la luce lunare. E rideva, rideva come una bambina che gioca. Il vampiro le si avvicinò mentre lei si chinava per specchiarsi in un piccolo stagno.

Il grido che lanciò ruppe ogni vetro della casa.

La ragazza si rialzò tremando e Andrea la voltò di colpo afferrandola per una spalla. Sul volto d’ella c’era ancora quell’orrendo taglio obliquo, una ferita ancora aperta che non si sarebbe chiusa mai più. La ragazza guardava Andrea gridando e tutti gli animali della notte fuggirono terrorizzati nell’udirla.

Si gettò in ginocchio e si tastò il viso freneticamente, destinata alla bellezza e alla deturpazione eterna.

Il moro, sconvolto, indietreggiò e solo allora si rese conto di ciò che aveva fatto. Non aveva chiuso le sue ferite prima di trasformarla e quel taglio, quella voragine sul suo candido viso non si sarebbe rimarginata mai più. Un vampiro rimane per l’eternità com’era nel momento della sua trasformazione.

Cadde anch’egli in ginocchio, tentando di prenderla per le spalle e chiederle perdono, ma lei lo colpì e strisciò all’indietro; gli occhi due laghi rossi in cui Andrea avrebbe voluto annegare.

_Mar’ja, io…

La nuova vampira, sconvolta e confusa, continuava a tastarsi le ferite e guardava fissa davanti a sé con gli occhi spalancati.

Andrea si sostenne la testa con la mano. Che cosa aveva fatto?

Per tutto il tempo che furono insieme, -e cioè un mese- lui le insegnò tutto ciò che un neonato deve sapere per poter sopravvivere: i vampiri sono immortali, non possono essere scalfiti né dalle armi né dalle malattie ma devono temere il sole ed il fuoco che li distruggerebbero; un vampiro si nutre esclusivamente di sangue, non deve bere quello dei morti che gli sarebbe fatale, e deve essere discreto per non farsi scoprire e compassionevole per non divenire preda del rimorso. L’aiutò a scoprire tutte le sue nuove potenzialità, tra cui la sua nuova forza, la sua elasticità e la sua velocità. Inoltre le insegnò ciò che per lui era fondamentale: si uccide solo il colpevole e mai l’innocente. Fu un buon maestro, premuroso e paziente.

Non vissero mai in armonia. Mar’ja lo odiava non solo perché l’aveva trasformata, ma anche perché l’aveva sfigurata per l’eternità. Così, trascorso un mese tra entusiasmo e rancore, la moretta se ne andò senza lasciare spiegazioni o tracce. Ma Andrea comprendeva e si tormentava per ciò che le aveva fatto.

Non la rivide più… fino a quella notte.

 

La donna vampiro si divincolò con facilità dalla sua presa e lo guardò torva. La ferita eternamente giovane, come sarebbe stata lei per sempre, non poteva nascondere la sua beltà. I luminosi occhi grigi spiccavano sul suo viso, ovale perfetto del colore delle perle; la sua bocca, carnosa e tenera, le dava un’aria da bambina imbronciata; ma la sua espressione irata tradiva ciò che era veramente e cioè una bambola assassina.

_Mar’ja_ sospirò Andrea, sorpreso oltre ogni dire,_ sei tu.

_Cosa c’è, creatore?_ chiese lei in tono tagliente_ Sono riuscita a sorprenderti._ Constatò compiaciuta.

_Ti ho avvertita da molto ma non potevo sapere che fossi tu. Le nostre menti sono silenziose l’una per l’altra, lo sai. Non ho altri figli oltre te e assolutamente non immaginavo che un giorno ti avrei rivista.

Lei tenne alta la testa, senza smettere di fissarlo.

_Dopo tutto questo tempo provo ancora così tanta rabbia nel guardare il tuo viso._ Gli disse, e Andrea tese una mano per toccarla ma lei scattò all’indietro._ Non mi toccare! Io ti odio! Ti odio per quello che mi hai fatto!

_Mi odi perché non te l’ho chiesto_ affermò il vampiro.

_Ti odio perché te l’ho chiesto invece!_ sbottò_ Te l’ho chiesto con tutta me stessa senza avere bisogno di parole._ Chinò il capo_ E ti odio perché so che non dovrei prendermela con te ma solo con la mia stupidità, con la mia sciocca voglia di vivere. In quelle condizioni… mi attaccai così disperatamente alla vita!

_Tu non hai alcuna colpa Mar’ja. Ero io quello sbagliato. Non avevo alcun diritto di trascinarti in questo inferno.

_E ti odio…_ continuò lei come se non l’avesse udito,_ ti odio perché tu eri lì. Se tu non ci fossi stato non avrei mai avuto occasione di diventare ciò che sono. Sarei morta come sono morti tutti coloro che mi erano cari. Non dovevi essere lì, perché eri lì?!_ chiese disperatamente, puntando nei di lui occhi uno sguardo di fuoco, uno di quelli che solo lei possedeva; caldo e terrificante._ Non dovevo poter avere quest’opportunità. Sarei dovuta morire quella notte.

_Lo pensi davvero?_ le chiese tristemente. Mar’ja gli diede la schiena_ Non c’è stato mai neanche un solo istante in cui tu abbia ringraziato di essere ancora…

_Viva?!_ esclamò lei stizzita tornando a guardarlo_ Io NON sono viva.

Il vampiro socchiuse gli occhi addolorato.

_Mar’ja… tu sei mia figlia nel sangue e lo sarai sempre.
_STA ZITTO!!_ Sbottò lei sgranando gli occhi.

_Mar’ja. Sarai dentro di me per tutto il tempo che sarò condannato a vivere.

_Smettila, smettila di chiamarmi per nome, non lo sopporto! Non vedi cosa mi hai fatto?! Sono solo una…_ una smorfia si manifestò sul suo viso_ …cosa immutabile con un orrendo, maledetto squarcio sul viso che non guarisce da cento anni! Sai a cosa penso ogni volta che mi rimiro in uno specchio? A quella notte, a quello che sono; alla mia mostruosità. Questa ferita_ si accarezzò il volto con la punta delle dita,_ mi ricorda ogni giorno che sono solo un corpo morto ormai. Ti detesto Andrea!

Il moro tacque per lunghi secondi.
_Se mi detesti perché sei venuta da me?
Ella si ricompose e sorrise come se fosse stata una ragazza qualunque.

_Perchè voglio vederti morto._ Ammise atona e concisa_ Tu stai cercando Melìt, il francese.

A quel punto Andrea si riscosse dalla tristezza che l’incontro con la vampira gli aveva causato e scattò in avanti, afferrandola rudemente per le spalle.

_Tu sai qualcosa? Tu sai dov’è Melìt?!_ Chiese concitatamente.

La donna non fece nulla per liberarsi dalla stretta e lo guardò seria, distruggendo il sorriso che aveva avuto fino a pochi istanti prima; il suo viso quello di una bambola di porcellana scheggiata.

_Allora è vero quel che si dice._ Osservò_ Un giovane umano ti ha rubato il cuore, o qualunque altra cosa tu abbia dentro il petto…_ Scosse lentamente la testa_ Che non so cosa sia e non voglio neanche saperlo.

_Mar’ja tu sai dov’è Melìt?! Avanti parla!_ la esortò.
_Sennò che cosa farai?_ chiese lei con aria innocente_ Mi ucciderai, maestro?

_Smettila di fare la sciocca, e parla!

 Il moro aveva alzato la voce; stava perdendo il controllo.

_E’ proprio vero allora._ Asserì la vampira trovando conferma nel temperamento dell’altro_ Si dice che abbia capelli rossi come un tramonto e occhi puri ma tristi…

_Lui per te non deve esistere!_ Mise in chiaro il vampiro sull’orlo della furia_ Lo voglio lontano da quelli come noi.

_Tranne che da te._ Puntualizzò lei saccente.

Spazientito, Andrea si staccò bruscamente dalla ragazza e si voltò adirato per andarsene. Mar’ja sistemò le spalline sgualcite dell’antico abito che indossava.

_Se lo cerchi qui non lo troverai mai._ Andrea si fermò e voltò lentamente la testa_ Il vampiro Melìt ha attualmente la sua dimora a Londra, in un castello che domina la città.

_Londra?_ ripeté il vampiro stupito.

_Sì. Risiede lì già da qualche anno, e nessuno d’altro canto osa impedirglielo. E’ certamente l’immortale più temuto attualmente in circolazione.

_E…

_E lì c’è anche il tuo giovane amico; sì._ Mar’ja abbassò gli occhi, mettendosi a giocherellare con le perline della collana che scendeva sul suo petto_ Domani notte darà una festa. Una di quelle cose mondane e alquanto chic. Ci saranno tutti gli immortali d’Inghilterra! O almeno quelli che contano…

Lasciò scorrere qualche secondo, dopodiché Andrea parlò.

_Perché me lo stai dicendo?

_Te l’ho detto._ La vampira portò ciuffi della lunga frangia dietro l’orecchio sinistro_ Voglio vederti morto. Nonostante io sia stata creata da te non ho nemmeno la metà dei tuoi poteri, e non potrei competere in uno scontro. Non ti sto aiutando ma solo mandando verso una morte certa._ concluse soddisfatta.

Il moro la guardò ancora per un lungo istante. Lesse odio nei suoi occhi e tanto dolore; sapeva che tutto ciò che quella ragazza era e provava era causa sua. Fece un passò indietro.
_Grazie comunque. E ti chiedo perdono, ancora una volta.
Si voltò e nel farlo venne investito dal vento che sempre accompagnava le sue sparizioni. Nella strada rimase solo Mar’ja, che fissava muta l’asfalto nero come il suo cuore in quell’istante.

 

Il sole stava per sorgere e sebbene l’idea lo uccidesse avrebbe dovuto attendere la notte successiva per raggiungere il castello di cui Mar’ja aveva parlato.

A velocità supersonica arrivò al primo cimitero che trovò sulla sua strada e si rinchiuse in una tomba familiare contenente tre cadaveri, ormai scheletri, nei loro feretri. Profanarla fu così facile che non servirono nemmeno i poteri della sua mente.

Era stanco. Si sedette in un angolo della buia tomba e lasciò che la testa gli ciondolasse sulla spalla, stese una gamba e piegò l’altra. Per lui luoghi come quello erano all’ordine del giorno.

Non appena il sole si dipinse completamente sullo sfondo del cielo in tutta la sua sfericità, il vampiro chiuse gli occhi e cadde in un sonno senza sogni, accompagnato dall’apprensione e dalla smania.

 

L’improvvisa immersione in acqua lo colse alla sprovvista, non permettendogli di trattenere il respiro. Venne preso per i capelli e tirato su nuovamente da una mano forte e inspirò così tanta aria da bastargli per una vita. Il rossino tossì più volte.

_Ma sei cretino?!?! Vuoi ammazzarmi?!?!

_No, lavarti._ Lo corresse Nicki_ E farti avere un odore decente.

_Fanculo._ Demian si torse e gli gettò dell’acqua addosso. Era seduto nella vasca da bagno e l’acqua gli arrivava fino allo stomaco. Nicki, dietro di lui con la maglia arrotolata sopra i gomiti, gli lavava i capelli con decisione, insaponandoglieli con energia._ Posso anche fare da solo, sai!?_ Gli fece notare il ragazzo_ Sono abbastanza grande da non avere bisogno della balia.

_Finiscila, sei solo un poppante.

_Poppante a chi brutto idio… AHI! Fa piano!!

_Devi essere impeccabile, non hai sentito Melìt?_ Nicki passò la cipolla della doccia sulla testa dell’altro e sciacquò via la schiuma_ Posso lavarti il corpo?
_No.

_Sei proprio un ragazzino. Lascia che ti strofini almeno la schiena, no?_ detto questo fece scendere le mani e non appena toccò il suo collo Demian tremò e si irrigidì. Subito ritrasse la mano e quella del rossino prese il suo posto. Lo guardò comprendendo_ Ti fa male?_ il rosso scosse la testa per dire di no_ Di solito non è doloroso,_ spiegò Nicki_ mi dispiace.
_Non dispiacerti. Non sei stato tu._ Gli disse Demian stringendosi nelle spalle.

_Ti faccio del male anch’io servendolo.

Demian si voltò nella vasca per guardarlo.

_Di che ospiti parlava prima?_ Nicki chiuse tra loro le labbra e si alzò in piedi; il più giovane poggiò i gomiti sul bordo della vasca_ E’ qualcosa di cui devo preoccuparmi, vero?_ chiese retoricamente, sconsolato.

L’altro lo guardò serio e gli si avvicinò. Si inginocchiò sul lato lungo della vasca e immerse una mano nell’acqua, trovando quella del rossino che sospirò confuso.
_Devi essere forte, mi hai capito bene?_ Demian lo guardava senza fiatare_ Mantieni la calma. E soprattutto non farlo arrabbiare!_ sottolineò Nicola esasperato, stringendogli forte la mano_ Tu sei così…_ cercava di trovare le parole, nervoso come il ragazzino non lo aveva mai visto_ irritante! Faresti perdere la pazienza a chiunque. Non fare stronzate, stai buono e non ferirti._ Col dito indicò i segni del morso di Melìt_ E copri quello.

Il rossino ritirò tranquillamente la mano e Nicki lo guardò intensamente negli occhi.

_Tu non sei come lui._ proferì Demian.

_Oh, sì che lo sono._ lo contraddisse l’altro.

Ma il ragazzo scosse piano la testa.

_Tu sei umano.

Nicola lo guardò ancora un istante e si rialzò nuovamente, allontanandosi. Quando fu vicino alla porta si fermò, posando una mano sullo stipite.

_Al calare del sole inizierà la festa che ha organizzato in tuo onore. Non posso dirti altro. Lo scoprirebbe e come hai visto non sono nelle sue grazie più di te._ Disse in tono freddo e fece per andarsene.

_Ti fa male?

Il più grande si toccò la fasciatura sul braccio e si girò con la testa verso l’altro, sorridendo.

_No.

_Non mentire.

_Allora non farlo neanche tu.

Demian distolse lo sguardo.

_Sei sicuro che vada bene così?_ Nicki tacque e il rossino si sporse di più sul bordo della vasca_ L’amore che tu provi… così si abbassa a un’ubbidienza ceca, al terrore per ogni singola cosa che fai.

_Finisci di lavarti._ Gli disse l’altro turbato_ Torno tra poco.

E se ne andò, lasciandolo solo.

 

Il sole tramontò. Per Demian, quella palla di fuoco che si nascondeva dietro l’orizzonte, era la molla che faceva scattare la sua paura.

Si trovava in una stanza riccamente arredata con mobili in legno massello; c’erano un grande specchio ovale appeso alla parete con una ridondante cornice rococò, e pesanti tende di velluto alla finestra. A lui piacevano quelle suppellettili d’altri tempi, ma in quel momento sarebbe voluto essere lontano anni luce da lì.

Si avvicinò allo specchio. La penombra che avvolgeva la stanza, in cui danzavano ancora gli ultimi raggi del sole morente, lo fece apparire misero e spento a se stesso. L’immagine riflessa poco aveva del ragazzo che era sempre stato: indossava un elegante abito nero da cerimonia, completo di gilet sotto la comoda giacca, cravatta viola carico che gli stringeva la gola in maniera perfetta, scarpe costose appena lucidate. Si sentiva infastidito da tutti quegli strati di vestiti e dal gel che gli teneva indietro i capelli scoprendogli la fronte, ma Nicki lo aveva praticamente vestito con la forza. Alzò lentamente una mano e con dita leggere toccò il suo riflesso nello specchio. Era molto più pallido ed era dimagrito; i suoi occhi apparivano infinitamente tristi. Era così stanco di difendersi, di stare all’erta, e si sentiva spegnere giorno dopo giorno, appassire come una rosa lasciata senz’acqua. Sapeva che non sarebbe riuscito a sopportare tutto questo ancora per molto, che la paura presto lo avrebbe annientato, che la mancanza di Andrea sarebbe stata troppo grande da sopportare. Aveva resistito fino a quel momento come meglio aveva potuto, affrontando ogni cosa con tutta la grinta e il coraggio che possedeva, ma tutto quello che aveva visto e vissuto era stato troppo, e un essere umano non può sopportare tanto; quando Melìt l’aveva morso riducendolo a una gazzella nelle grinfie del leone, l’aveva compreso. Per la seconda volta nella sua vita aveva dovuto sperimentare la totale impotenza, ed era stato così orribile che persino le lacrime avevano fatto male. A differenza di quello che lasciava credere, lui non era abituato alla violenza.

La temeva invece.

Impazziva quando veniva sottomesso, ridotto all’impotenza.

 

Non voleva più subire.

 

Strinse forte il pugno fino a farsi male, si voltò di scatto e collerico uscì dalla stanza. 

 

 

_Stai molto bene vestito così. Sembri quasi un gentiluomo._ Lo prese in giro Nicki, che gli lanciava occhiate divertite ma compiaciute_ Dopotutto sono stato io il tuo stilista.
_Il mio stilista? Mi hai solo lanciato due stracci da mettermi._ Lo corresse Demian.

_Due stracci?! Ragazzino, quei vestiti arrivano direttamente da Parigi. Sai Parigi, la capitale della moda, hai presente?_ gli spiegò scandalizzato.

Il più giovane sbuffò e continuò a camminare. Meditabondo, diede voce ai propri pensieri.

_Forse questa è la mia ultima notte.

Nicki si voltò per guardarlo.
_Cosa?

_Niente.

Il più grande riprese a camminare, il suo sguardo offuscato dall’infelicità.

 

Arrivarono in un’ala del castello in cui Demian non era mai stato prima. Statue di vetro costellavano il lungo corridoio come tanti freddi vampiri, immobili, vigili e senza vita. Si fermarono di fronte a una grande porta arcuata, oltre la quale provenivano delle voci. Nicki, che lo precedeva, si fece da parte poggiando una mano sull’elaborata maniglia dorata.

Il rossino non era sicuro di voler entrare in quella stanza; aveva una brutta sensazione e sapeva che se ne sarebbe pentito. Tuttavia i rumori che sentiva erano in tutto e per tutto quelli di una festa elegante: voci educate, tintinnii di bicchieri che si scontravano, la musica di un violino. L’altro aprì la porta e titubante Demian la oltrepassò.

La musica lamentosa e addolorata dei violini lo investì come una calda folata di vento. Mai luogo gli era apparso più brillante e sfarzoso di quella sala. Il pavimento di marmo era così lucido che riusciva a specchiarvisi; sull’intero ambiente il soffitto si stendeva alto, irraggiungibile; tutto era bagnato dalla luce bianca di tre grossi lampadari di cristallo, posizionati in modo da formare un triangolo equilatero. Un lungo tavolo ricoperto da una tovaglia candida si allungava quasi infinito, offrendo squisitezze e leccornie varie; le diverse pietanze erano servite su piatti di porcellana, le posate erano d’argento, i bicchieri di cristallo finissimo.

Demian era abbagliato da tanto lusso e splendore. Si voltò e guardò Nicki con un’espressione indecifrabile ma l’altro, dopo un lungo sguardo, se ne andò richiudendosi la porta alle spalle. Il ragazzo allora sospirò e mosse i primi passi verso il centro della sala. Si guardò attorno, notando che c’era già molta gente. Si chiese che senso avesse una festa in quel frangente e perché Melìt gli avesse fatto prendere parte ad essa come se non fosse un prigioniero. Notò il portamento elegante degli uomini presenti, la bellezza sconvolgente delle donne, le loro risate piacevoli, cristalline, simili allo scorrere dell’acqua. Non c’era nessuno che non fosse straordinariamente elegante, non c’era nessuno che non fosse bellissimo. Melìt amava così tanto la bellezza da circondarsene non solo dal punto di vista artistico, evidentemente.

Notando un grosso recipiente contenente una specie di ponce rosso scuro, si avvicinò al tavolo e afferrò un bicchiere così delicato da sembrare che potesse andare in pezzi alla minima pressione. Infatti diminuì la stretta e prese il ramaiolo con cui servirsi da bere. Poggiò le labbra sul bordo del calice e fece defluire tra le labbra un’ampia sorsata.

Sgranò gli occhi, l’espressione sconvolta il viso. L’inconfondibile sapore del ferro si diffuse nella sua bocca, veloce e pungente. Spostò a fatica lo sguardo sul calice che aveva in mano, guardandolo con orrore. Lo lasciò cadere e questo si frantumò ai suoi piedi.

Demian, tremando, si portò una mano davanti la bocca, colto da un improvviso e attanagliante senso di nausea. Corse fuori passando dall’immensa porta finestra che dava sul terrazzo, e in uno dei grandi vasi addossati alla ringhiera vomitò, e più vomitava più sentiva il sapore del sangue e questo non faceva che rinnovargli il disgusto e lo stimolo. Frastornato, si voltò verso la sala.

 

 Una sala piena di vampiri.

 

Li guardò attentamente e si chiese come avesse fatto a non capirlo prima. Erano così belli, così paurosamente perfetti, con delle movenze fluide e sicure. Eppure non erano tutti pallidi.

Quando i conati cessarono si rialzò lentamente, appoggiandosi alla balaustra. A testa china sospirò forte e si slacciò un poco la cravatta e il primo bottone della camicia. Sentiva lo stomaco contrarsi ad ogni respiro, la gola chiusa, le gocce di sudore freddo scorrergli lungo le tempie; le asciugò. I suoi movimenti sembravano svuotati dell’energia.

_Va tutto bene?_  si voltò lentamente quando udì quella voce suadente e sicura rivolgerglisi. Rimase muto, guardando la persona che gli si trovava di fronte. Vestiva un completo grigio perla, con una cravatta di seta bianca; il suo panciotto era ornato da bottoncini di madreperla e aveva capelli di un bel castano scuro, tagliati corti, occhi nocciola accesi per via dell’immortalità, sopracciglia ben disegnate che li coronavano._ Ah, questo?_ chiese egli toccandosi con un dito il volto_ E’fondotinta. Molto utile quando si vuole passare inosservati tra gli umani._ Camminò verso Demian, a passo tranquillo e impeccabile, tanto che sembrava scivolare sul pavimento senza impacci di alcun genere.

Il ragazzo indietreggio fino a toccare la ringhiera con i palmi e lo guardò dritto negli occhi, l’ansia che lentamente si faceva strada in lui.

_N-non ci sono esseri umani qui. _ Disse rispondendo a quello che l’altro aveva appena detto.

_Ci sei tu._ Precisò il vampiro.

_Ci sono solo io.

_La festa è in tuo onore, non lo sai?_ Demian lo guardò di traverso asciugandosi le labbra con la mano. Il vampiro prese il fazzoletto bianco latte dalla tasca esterna della propria giacca e glielo porse._ Prego, tieni._ Il ragazzo non si mosse_ Oh, andiamo, non ti mordo mica.

Dopo un istante egli rise della sua involontaria ironia.

_Lo trova divertente?_ chiese il ragazzo serio, la voce ancora rauca.
_Non essere così spaventato. La tua paura eccita la mia fame._ Lo avvertì, rimettendo nella tasca il suo fazzoletto_ Non mi sono presentato, il mio nome è Steve Hamilton._ Sorrise e i suoi occhi fecero lo stesso_ Tu sei il piccolo Demian. Ormai sei diventato una specie di celebrità tra noi Figli della Tenebre.

Il rossino spostò lo sguardo alla sua sinistra e lo riportò velocemente sul vampiro. Stava soppesando possibili vie di fuga.

Non ve n’erano

_Ah!_ si portò una mano alla testa, sgranando gli occhi confuso.

Steve Hamilton corrugò le sopracciglia e ridacchiò, stupito dalla sua reazione all’intrusione mentale e divertito per il pensiero che aveva appena letto.

_Non credo sia molto intelligente da parte tua tentare di scappare. Non c’è modo per te di passare inosservato. Non c’è luogo dove tu possa nasconderti._ Pronunciò l’ultima frase abbassando il tono di voce.

Si avvicinò a Demian, schiacciandolo contro la balaustra, sfiorandogli il colletto con le dita.

_M-mantenga le distanze._ La sua voce era bassa e incerta.

L’altro toccò coi polpastrelli il cerotto sul suo collo.

_Mmmmh, non ti si riesce proprio a resistere._ Disse e con uno scatto che fece sospirare Demian profondamente glielo strappò via_ Però! Non c’è andato leggero. Guarda qua che buchi..._ Toccò i segni del morso di Melìt._ Il rossino tremò violentemente e si ritrasse, per quello che poteva, visto che il vampiro gli era addosso_ Suvvia, hai paura di me?_ gli chiese egli utilizzando un tono estremamente dolce, accompagnandolo con un sorriso che lo era altrettanto; gli accarezzò la guancia e si chinò leggermente sulla sua spalla_ Hai un buon profumo. Potrei…_ non concluse la frase ma fece sporgere la lingua dalle labbra.

_No!

_Sarà veloce e indolore, non devi avere paura. Ne prenderò solo un po’, te lo prometto.

L’altro gli parlò con voce molto bassa e roca, rapito com’era dal desiderio. Quel gioco eccitante sembrava esaltarlo parecchio e la sua voce s’incrinò infatti, segnata dall’emozione. Posando con decisione le mani sulle braccia del ragazzo, toccò la sottile pelle della sua gola con la punta della lingua.

_Ma che scortesia. Non poteva aspettarmi prima di importunare il mio giovane ospite?
Il vampiro di nome Steve si voltò sorpreso ed evidentemente nervoso.
_Voi… io… perdonatemi, non vi ho sentito arrivare._ Iniziò balbettando.

Demian notò subito che gli si era rivolto dandogli del voi, quindi lo conosceva e sapeva chi fosse e quanti anni aveva.

Melìt si fece elegantemente avanti con le mani nelle tasche del bel completo bianco, con la giacca avvitata a disegnare perfettamente il suo busto triangolare e i pantaloni che esaltavano la lunghezza delle gambe; la camicia marrone era trattenuta sul collo da una cravatta dello stesso, innocente colore dell’abito e così le scarpe che odoravano di lucido; la giacca aperta lasciava vedere il panciotto chiuso con bottoni di perla e un brano della cintura nera. Quella sera i suoi capelli biondi erano raccolti in una coda bassa, ma sulla fronte vagavano liberi, eppure perfettamente in ordine, i ciuffi più ribelli della lunga frangia. Ostentando un’eleganza unica il vampiro si avvicinò alla scena, e precisamente a Demian, prendendo il suo mento tra le dita, con la leggerezza delle ali di un uccello.
_Capisco che sia un bocconcino appetitoso ma un po’ di controllo, suvvia._ Disse sorridendo mellifluo_ Dopotutto abbiamo tutta la notte per giocare col nostro giovane ospite._ Il suo volto mostrava gentilezza ma le sue parole non lasciavano spazio a fraintendimenti sul loro significato.

L’altro vampiro, chiaramente a disagio per essere stato colto in flagranza, si ricompose ed emise un risolino sollevato.

_Ah ah ah, sì, avete ragione. Perdonatemi. E’ che davvero il vostro amico è alquanto… invitante. Non era mia intenzione mancare di rispetto, e…

_Non deve preoccuparsi,_ lo interruppe Melìt_ so bene che la tentazione è grande quando si tratta di lui. E lei è così giovane! Facciamo così, le concedo il primo assaggio della serata. Lo consideri un aperitivo speciale.

Il vampiro bruno si leccò le labbra senza potersi trattenere e subito il suo viso tornò una maschera di freddezza in cui solo gli occhi tradivano la sua eccitazione.

_Signore, mi onorate._ Mosse alcuni passi svelti in avanti_ Allora, se non vi dispiace…_ Si chinò su Demian mentre i suoi occhi divenivano rossi come fiamme.

_NO!!

Dopo aver gridato, il ragazzo scattò di lato e corse all’interno della sala, inciampando quando si ritrovò a metà tra la porta finestra e l’uscita. Rovinò con il mento a terra e si rialzò dolorante. Girò su sé stesso, guardandosi attorno in preda al delirio; si sentiva come se avesse la febbre. Sguardi famelici si puntarono su di lui uno alla volta, finché ebbe gli occhi di più di venti vampiri addosso. Immobili e composti essi erano più somiglianti a delle statue che a degli esseri umani. In realtà, pensò Demian, non avevano niente di umano.

Respirando a fatica il giovane si voltò, per trovarsi con il viso a un millimetro da quello di una scultura. Si rese conto solo in un secondo momento che quel volto non era quello di una statua, ma di una donna. Un vampiro bellissimo, coi capelli di un nero setoso e occhi castani, appuntiti ed empatici. Il rossino indietreggiò istintivamente.

_Ciao._ Salutò la donna accennando un sorriso_ Festa noiosa, non trovi?_ disse sistemandosi un capello invisibile sopra l’acconciatura_ Così vecchio stile!_ si lagnò_ Ma cosa ci si può aspettare da un vampiro millenario?

Il ragazzo la guardò senza riuscire a distogliere lo sguardo. Era pietrificato e sentiva nelle orecchie il martellare del proprio cuore, così furioso da eclissare anche la musica dell’orchestra.

La vampira, nel suo abitino nero scollato che metteva quasi totalmente in mostra il piccolo seno e gran parte delle cosce, tese una mano per posarla sul suo petto e sorridendo mostrò i denti, questa volta mettendo in evidenza i canini.

Quella vista fece scattare qualcosa in Demian, che fuggì scompostamente verso la porta. Riuscì a raggiungerla e ad aprirla, col sempre presente timore che qualcuno gli piombasse addosso per sbranarlo. Scattò velocemente fuori.

 

Forse poteva farcela, forse poteva riuscire a salvarsi da quell’inferno. Voleva solo andare il più lontano possibile da lì.

 

Ma mentre una debole speranza si accendeva in lui, dopo solo qualche passo sbatté contro qualcuno nel buio del corridoio e sentì mani gelate afferrargli le braccia con forza, chiudendolo in una morsa.

Demian gemette forte e alzò la testa di scatto. I suoi occhi si spalancarono lentamente mentre osservava il volto davanti a sé.

 

 

 

 

Continua…