Rieccomi col seguito del mio caro "Immortal
Love". Spero che vi piaccia e che commenterete. Un bacio a tutti.
Amore Immortale
parte X
di Vickysweetgirl
Il gran
desiderio d'un cuore inquieto è A.Camus
- Sete d’amore -
Non aveva mai visto occhi così belli eppure così terrificanti. I soffi agitati del suo respiro erano vergognosi. Non poteva nascondergli il fatto che avesse paura. Melìt non staccava più gli occhi, magnetiche ametiste, dai suoi. Nonostante ad una prima impressione quegli occhi gli fossero sembrati freddi, ora che li guardava così da vicino -pericolosamente vicino!- il loro colore intenso, la loro espressività, le onde violacee che si rincorrevano in quelle iridi incandescenti creando una tempesta nei suoi occhi, la profondità del suo sguardo come se ci si potesse morire dentro, lo fecero ricredere. Il suo viso non presentava la minima imperfezione. Sembrava che uno spesso velo luminoso avesse ricoperto la sua pelle, facendo scomparire i normali segni dell’epidermide e così il passaggio del tempo, ogni imperfezione, se mai ne aveva avute. Sembrava che non potesse essere imperfetto, che fosse nato nella compiutezza e che egli stesso non potesse essere altro. Tentando di fingere impassibilità, posò lo sguardo sulle sue labbra stirate in un ghigno sicuro; esse erano pallide come corallo bianco e quindi non si era ancora nutrito. Deglutì. Ricordava lo stesso colore sulle labbra di Andrea poco prima che lo mordesse e ricordava il colore che avevano assunto dopo, quando dal suo letto, stanco e debole, le aveva ammirate, vive e bellissime, dello stesso colore delle ciliegie mature. Eppure si era offerto spontaneamente al vampiro dai capelli neri, gli aveva praticamente detto, senza pensarci nemmeno troppo in verità, ehi, assaggia pure il mio sangue. E’ invecchiato di soli diciassette anni! La smorfia che passò sul suo viso sembrava solo la pallida ombra del sorriso che quel pensiero aveva suscitato in lui. Chinò la testa e chiuse gli occhi quando sentì un familiare fischio nelle orecchie. Melìt alzò un sopracciglio. Afferrò rudemente la mano sinistra del giovane che gemette un po’ per la sorpresa, un po’ per il contatto con la pelle fredda. Con dita veloci egli sciolse la benda di fortuna che Nicola gli aveva legato al dito e fissò con bramosia la piccola ferita ancora aperta. Il vampiro sorrise senza distogliere lo sguardo, che sembrava ora addolcitosi eppure accesosi insieme. _La mia ospitalità è così pessima da indurti a farti questo pur di tentare di fuggire? Un altro fischio, più acuto del precedente, perforò i suoi timpani. _AHI!_ gridò senza riuscire a trattenersi e liberò la propria mano da quella dell’altro per portarsela alla tempia. Melìt inarcò entrambe le sopracciglia, sorpreso. _Tu… _Siete tutti uguali maledizione! _ sbottò Demian inferocito_ Quando lo capirete che fa male?! _Ma è sbalorditivo!_ esclamò il vampiro spalancando la bocca in una reazione tipicamente umana e allontanandosi un poco da lui per poterlo guardare meglio_ Che reazione strana e piacevole alla lettura mentale! _Piacevole non direi proprio, vampiro bastardo._ Rispose deciso il ragazzo guadandolo truce. Melìt incrociò le braccia sul petto e si accarezzò il mento con le dita. _Non mi era mai capitata una cosa del genere prima. Te ne accorgi, quando ti leggo. _Sì e con te fa molto più male che con Andrea._ disse in un tono accusatorio. Il biondo vampiro rise lievemente e la sua risata risultò bella e addirittura piacevole. _Naturalmente. Quel ragazzo è dolce per natura.
Detto questo Melìt afferrò nuovamente la mano
del ragazzo, tranquillamente stavolta, staccandogliela con dolcezza dalla
testa. Si chinò su di essa senza staccare gli occhi da quelli di Demian. Con
l’altra mano bloccò il giovane alla parete e si introdusse il dito ferito
nella bocca. Il vampiro si staccò appena dal dito e si leccò le labbra. Nei suoi occhi passò un lampo rosso, che gli attraversò le iridi e gli accese di elettricità le pupille. Ma svanì subito. _Andrea non te lo ha fatto piacere? Sei terrorizzato. Ti darò così tanto godimento che sicuramente mi supplicherai di farlo ancora. Tornò ad avventarsi sopra il taglio del suo dito e riprese a succhiare, più lentamente stavolta, carezzandogli la pelle con la lingua in un movimento morbido e ritmico. _Smettila… SMETTILA! Demian strizzò ancora le palpebre e si strinse nelle spalle, potendo solo subire. Un brivido più caldo degli altri gli scivolò dal dito lungo il braccio, fino a scorrergli sopra la spalla e scendergli lungo la schiena, terminando lungo i fianchi. Era il brivido più lungo che avesse mai provato in vita sua e ne rimase così sorpreso che riaprì gli occhi.
Era quasi piacevole adesso…
Si morse le labbra e si fece coraggio, guardando l’altro che ancora suggeva, prendendo piccoli sorsi e molto lentamente, facendogli sentire bene il sangue che scorreva dalle sue piccole vene alla sua bocca insaziabile. Era fastidioso ma a tratti piacevole e si sentì in colpa con se stesso per questo. Cercò di allontanare la mano da lui, ma la stretta dei suoi denti gli fece cambiare immediatamente idea. Non avrebbe esitato a staccargli il dito con un morso. Un capogiro lo colpì con violenza e lui strinse ancora forte gli occhi, sperando con tutto il cuore che l’altro la smettesse prima che svenisse, prima che lo dissanguasse. Il respiro usciva da lui tremante, rumoroso. Doloroso. Si lasciò cadere contro il muro e Melìt lo lasciò andare, l’orlo del suo mantello sfiorò il ginocchio del ragazzo a terra. Le labbra strette, lucide ma perfettamente pulite, la testa dritta, lo sguardo duro rivolto verso di lui. Demian respirava affannosamente, si stringeva il dito al petto e non aveva ancora riaperto gli occhi. Le sue spalle che si alzavano ed abbassavano velocemente mandarono in visibilio il vampiro. Più lontano, Alex aveva smesso da un pezzo di giocherellare con le proprie dita e già da un po’ stava fissando la scena, lo sguardo fisso, gli occhi sbarrati. Melìt si voltò verso di lui. _Tesoro, calmati. Non puoi banchettare con lui. Perché non vai a cercarti una bella signorina? Il giovane vampiro si alzò con movimenti lenti e indecisi, ed uscì dalla sala lanciando continuamente sguardi verso Demian, finché non se ne fu andato. Non appena fu uscito Melìt tornò a guardare il ragazzo a terra che socchiuse gli occhi umidi, guardando un punto indefinito di fronte a sé, il volto pallido, le pupille tremolanti. Il biondo sorrise affabilmente._ Il tuo sangue è irresistibile. Un richiamo, ogni vampiro lo desidera. Mi sento molto onorato di averlo potuto assaggiare. E’… denso di angoscia e pervaso da una speranza di base, una prelibatezza dal gusto raffinato e acerbo. Ah! Andrea deve essere impazzito quando si è fermato. Avrei voluto berne fino all’ultima goccia!_ confessò con un gesto teatrale della mano, che passò tra i capelli lucidi. Demian alzò lo sguardo verso di lui, la fronte corrugata, il viso contratto. _T…tu… _ sospirò. Il vampiro si portò le mani sui fianchi continuando a guardarlo.
_Nicki._ Chiamò con tono deciso. _Signore. _MALEDETTI BASTARDI!_ urlò il rossino in preda a un’improvvisa crisi isterica, sgranando di colpo gli occhi. _Riportalo in cella. Demian si alzò di scatto e si scagliò contro Melìt, dandogli l’impressione di scontrarsi contro un muro. Lo afferrò per la veste e cercò invano di strattonarlo e spingerlo, colpendolo con pugni dati con tutta la sua forza. Non avrebbe raggiunto lo scopo nemmeno se non fosse stato indebolito dal furto del suo sangue. _BASTARDO, BASTARDO!_ inveì_ UCCIDIMI SUBITO!_ Il vampiro lo staccò da sé con forza, posandogli le mani sulle spalle e spingendolo indietro. Nicola lo tirò contro il suo petto e lo trascinò via, mentre Demian ancora si dimenava con estrema energia per uno a cui era stato portato via parecchio sangue. Il vampiro ascoltò le grida del giovane affievolirsi mentre veniva portato via; le sentì anche quando quest’ultimo fu chiuso di nuovo in cella. Si leccò le labbra e fissò lo sguardo nel vuoto.
La grossa chiave stridette nell’antica serratura arrugginita. Nicki lo guardò attraverso le sbarre, il viso impassibile. Sapeva quanto poteva essere eccitante la bevutina di un vampiro ma conosceva anche tutta la paura che si provava, la sensazione di essere nelle mani di qualcun altro, di non poter fare niente se non attendere il volere di colui che beveva. Demian si era aggrappato alle sbarre e le scuoteva forte, come impazzito, ma il solo effetto che ottenne fu quello di fare un gran fracasso. _Sei uno sfacciato e uno stupido._ Gli disse l’altro serio._ Non sai proprio con chi hai a che fare. _Sei un essere ignobile!_ lo accusò_ Stare con quel mostro! Mi fai schifo, come e più di lui. Tutto questo è rivoltante!! Come puoi farlo?!_ tremava. Nicki si voltò e risalì le scale senza dire una parola. Demian continuò a sbraitare finché la debolezza non lo assalì e lo fece accasciare contro le sbarre. Sospirò pesantemente. Si portò una mano alla fronte e chiuse gli occhi forte._Cazzo…_esalò. Brividi gelidi lo aggredirono e si strinse tra le braccia. Dire che Andrea gli mancava era un eufemismo. Gli mancavano la sicurezza e le attenzioni che gli sapeva dare, esse erano per lui come una medicina. Ripensava con dolcezza agli imbarazzi, alle notti passate nel suo letto, tra le sue mani fredde. Desiderava ardentemente guardare la luna, come aveva fatto con lui altre volte e sentire la sua voce suonata da chissà quali arpe magiche riempirgli le orecchie e l’anima. Lo stava cercando? Era in pena per lui? Demian non desiderava altro che vederlo e picchiarlo perché ci stava mettendo così tanto a trovarlo. Aprì gli occhi e osservò il buio. Aveva paura. Era in balia di esseri contro i quali non poteva nulla. Chiuso in una disperazione troppo grande per poter essere arginata pensò a un familiare abbraccio e a un corpo gentile sul suo, che lo stringeva mentre rabbrividiva. Pensò ai suoi occhi pieni di luce e dolcezza, quegli occhi che non si sarebbero spenti mai. Gli occhi di un uomo coraggioso, di un uomo che l’avrebbe difeso sempre, che nessuno avrebbe mai potuto fermare, perché lui era tutto, era una cometa tra polvere di stelle.
Faceva lo stesso se lui non era propriamente un uomo?
Si sdraiò con la schiena a terra e sentì una lacrima scivolargli lungo la guancia. Riaprì gli occhi e sospirò. Aveva giurato a se stesso che non avrebbe pianto più, eppure il pensiero di lui così lontano, di quella dolcezza e quella calma così distanti da lui lo straziarono.
Lo voleva come si vuole il sole dopo un inverno durato anni.
E se non lo poteva aiutare nonostante lui l’aspettasse con così tanta impazienza? Forse non lo avrebbe più rivisto. Probabilmente sarebbe morto la notte successiva, o forse no, addirittura quella stessa, tra le atroci sofferenze che quell’animale immortale poteva provocargli solo per diletto. Era solo e il terreno era freddo come la pelle che aveva imparato ad amare. Ma la solitudine che sentiva dentro era molto, molto più fredda. Si morse le labbra tentando di non cedere alla follia che lo lambiva. Doveva resistere per poter avere la possibilità di avere ciò che non aveva mai avuto, per Alisa e per poterlo rivedere. La vita era stata così ingiusta con lui. Lo aveva sempre saputo ma mai come ora aveva provato quella strana sensazione nel petto, come se avesse perduto qualcosa lungo il cammino, come se avesse perso tante occasioni per sorridere ed essere felice. Ora la prospettiva della pura e semplice gioia gli appariva un sogno irraggiungibile ma anche il tesoro più grande. Aveva appena iniziato a capire quanto quell’unica sensazione potesse essere importante.
Perché quando pensava a lui gli venivano in mente solo cose gentili?
Pensava a baci ardenti e non a morsi, a tristi lacrime rosse e non a denti che premevano spietati dentro la sua carne, a occhi brillanti, alla loro luce caleidoscopica e non alle iride macchiate di rosso che lo avevano spaventato. In quel preciso istante si aggrappava solo a ricordi buoni e di dolce poesia, a immagini di lui, con lui, insieme a lui.
Lui, lui, lui…
Si rotolò sulla destra e pronunciò il suo nome con straziante desiderio; le sue lacrime fatte di semplice acqua salata gocciolarono sulle pietre, bagnandogli la guancia. Ma lui non se ne avvide, continuò a cercarlo nella mente, perché era lui il pensiero che teneva lontana la follia.
Le dita seriche accarezzavano la nuca delicata.
La fece flettere all’indietro, così da poter
avere completo accesso alla sua gola. La sentì mugolare confusa e le si fece
più sopra, sovrastandola, premendosi contro il suo seno morbido, mentre si
sentiva conficcare le lunghe unghie nelle braccia. I fiotti che riempirono
dolcemente la sua bocca erano amari di cinismo. Ogni sorsata portava con sé
l’odio e l’indifferenza della fanciulla che aveva un collo così delicato.
Assaporò quel male come fosse miele e tenne gli occhi serrati, assumendo
un’espressione così beata da far pensare, all’occhio che avesse indugiato
sulla scena, che fosse perso nell’estasi di un bacio. La giovane inarcò la
schiena ed esalò l’ultimo respiro, sulla sua bocca l’ombra di un sorriso.
Una crudele, sottile vendetta scaturita dall’invidia?
Tornò a chinarsi silenzioso di fianco a quel corpo abbruttito da una vita insana. Le guance scavate e le occhiaie basse e profonde accentuavano il pallore del suo viso, le sue labbra sottili sarebbero rimaste per sempre aperte in un grido muto. Passò il palmo della mano sopra quegli occhi oscenamente spalancati e li chiuse con rispetto, mormorando tra le labbra una sorta di litania confusa, che non voleva essere una preghiera ma un commiato. Si rialzò e voltò la testa in direzione dei rumori della città e vi si immerse con sicurezza e una certa fretta. Niente ora avrebbe potuto fermare i suoi passi, oltre che avere di nuovo Demian tra le sue braccia. Parigi. I grandi viali alberati lo accolsero gentilmente. Le chiome degli alberi truccati del bruno autunnale erano affascinanti e per niente cupe mentre oscillavano nelle ombre della notte, ricercando la luce dei lampioni, che le accarezzava volentieri, come a volerci fare l’amore. Una città elegante, una città ricercata e un po’ snob, una città romantica, viziosa e piena di sé. Era bella. Bella nell’accezione più profonda del termine, come può esserlo una rosa canina o una ninfea, la luna falcata nel cielo o un quadro impressionista. Parigi è attuale, giovane, alla moda. La gente camminava per le strade come nel posto più sicuro del mondo. Le donne passeggiavano sole sui lunghi boulevard, con il mento dritto e il petto in fuori, il passo deciso e un fascino straordinario. Come non accarezzare con lo sguardo le bionde francesine? Dalla direzione opposta alla sua veniva una donna dalle caviglie sottili lasciate scoperte da un paio di scarpe con il tacco a spillo e un corto vestito bianco che le disegnava amorevolmente il vitino d’ape. Camminava elegantemente, con passo sicuro nonostante i vertiginosi tacchi, la vita stretta in un’alta fascia scura, l’abitino chiaro che sembrava danzare sulle sue gambe tornite e ben modellate. Man mano che si avvicinava Andrea poté vedere la lucentezza di un paio d’occhi di un azzurro intenso e disarmante, truccati sapientemente con delle spesse linee nere di matita; le sopracciglia scure denotavano intelligenza ma anche una certa dolcezza e si arcuavano sensualmente sui suoi occhi dalla forma morbida e perfetta. Occhi vivaci, dolci e schietti. Capelli di un soave biondo si intravedevano sotto la tesa del grande cappello bianco che fino a poco prima nascondeva le gemme dei suoi occhi. Le sua piccola bocca marrone si tese in un delicato e affascinante sorriso nello stesso istante in cui gli passò a fianco.
Un vampiro di una perfezione inaudita.
Mai aveva visto la pelle d’avorio di un immortale così squisitamente invitante, come quella di una fanciulla umana. Un lavoro perfetto. Aveva scandagliato la sua mente ma non vi aveva trovato alcuna notizia su Melìt. Non sapeva nemmeno della sua esistenza. Cambiò direzione e attraversò a passo svelto il ponte che univa le due rive della Senna. Le luci della città s’immergevano nell’acqua e riemergevano tremolando e richiamando l’attenzione come bambine capricciose. Quella lucentezza, tutta quella vita, quell’abito elegante indossato dalla città erano splendidi, abbaglianti. L’adorava, ma non riusciva a guardarsi intorno. Dal primo momento in cui aveva messo piede lì non aveva fatto altro che cercare nella mente di chiunque incontrasse un indizio sul vampiro che cercava. Gli esseri umani non gli avevano dato alcuna informazione utile e così nemmeno l’immortale che aveva appena incontrato. Si poggiò alla balaustra del ponte e posò la fronte sui palmi delle mani. Mai come in quel momento aveva odiato la barriera che esisteva tra la sua mente e quella del suo creatore. Quel silenzio non gli permetteva di percepirlo, anche se si fosse trovato alle sue spalle. Socchiuse gli occhi e osservò i riflessi sul pelo dell’acqua, sulla cui superficie le luci creavano bruschi cambiamenti cromatici. Soffriva nel saperlo in pericolo, chissà dove. Era davvero in quella città? Parigi era la città del suo creatore, dove altro poteva essere andato? La risposta era semplice: ovunque. Digrignò i denti e chiuse gli occhi. Gemé di frustrazione. Si raddrizzò di colpo, infuriato, e con un balzo così fulmineo da non poter essere percepito svanì nell’aria notturna. Ed il ponte sulla Senna rimase come una corona senza il suo gioiello più splendente. Setacciò ogni zona nella speranza di avvertire almeno il novizio di Melìt. Quel giovane immortale era nato dal suo sangue e perciò possedeva un potere enorme, che andava al di là della sua comprensione. E lui l’aveva capito quando vi si era scontrato. Era scaltro, deciso, senza paura, era suo fratello nel sangue, ma nato da un Melìt molto più vecchio di quando aveva creato lui, e quindi possedeva una forza che non doveva assolutamente sottovalutare. Comunque Andrea non percepiva nemmeno lui, e nella mente di tutti quelli che incrociava, non trovava nemmeno il dubbio dell’incontro con un essere sovrannaturale. Fermandosi ad un incrocio sembrò come materializzarsi dal nulla. Si guardò intorno come se così facendo avesse potuto scorgere gli occhi di Melìt o la chioma rossa di Demian. Prese a camminare per la via buia col passo di un essere umano. Quella strada era isolata, stretta e parecchio buia; si era infatti allontanato dai lustrini e dalle luci del centro. Infilò i pollici nelle tasche anteriori dei jeans scuri che indossava, scostando i lembi del cappotto che gli coprivano le cosce e continuò a camminare nell’aria immobile e secca di quella sera.
Una tavola abbondantemente imbandita si presentava di fronte a lui, la tovaglia candida che sprigionava una soffice luce che inondava la scena; come staccatosi dal proprio corpo poteva vedersi seduto a capotavola.
Rideva.
Silenziosamente.
Gesticolava allegramente con le mani e i suoi occhi sorridevano gioiosi. Dall’altra parte del grande tavolo Andrea lo guardava con tenerezza; rideva anch’egli e mangiava con gusto ma con eleganza una bistecca dall’aria succulenta e sorseggiava vino di un rosso così vivo da sembrare l’unica cosa reale in quell’atmosfera da sogno.
Un sogno?
Demian aprì gli occhi lentamente, sbattendoli molte volte prima di mettere a fuoco l’ambiente circostante. Avvertì l’odore soffice del latte ancora prima di vedere la scodella davanti la sua faccia. Come se un ago lo avesse punto scattò a sedere, guardandosi attorno agitato. I sonni in quella cella non erano mai ristoratori e il non riuscire a capire se in cielo era alto il sole o la luna lo faceva impazzire. _Se ti agiti ogni volta in quel modo diventerai vecchio presto. _Non credo comunque di diventare vecchio._ Rispose il rossino senza voltarsi a guardare l’altro. Nicki allora gli andò davanti con le braccia lungo i fianchi, lo sguardo estremamente serio. _Che parole dure per un moccioso che deve ancora iniziare a vivere. Demian alzò improvvisamente lo sguardo divenuto duro. _Sappiamo entrambi che non uscirò mai più da questo fottuto castello, non è vero?_ Nicola chiuse gli occhi ed espirò profondamente, abbassandosi e accovacciandosi sui talloni, le braccia distese sulle ginocchia._ E’ notte o giorno? _Notte._ Nicola indicò con lo sguardo la scodella di latte._ Bevilo finché è ancora caldo. _ Senza rispondere Demian posò svogliatamente lo sguardo sul contenitore e lo prese tra le mani portandoselo mestamente alla bocca senza però berne il contenuto, facendo solamente in modo di avvertire il caldo liquido sulle labbra. Quella notte era stata cupamente rivelatrice. Vedeva con fin troppa chiarezza la sua situazione. Melìt non l’avrebbe lasciato andare e non poteva contare sull’aiuto di nessuno, nemmeno su quello di Nicola che sembrava a tratti gentile con lui. Era a corto di idee e voglia di trovarle. Si sentiva scoraggiato e solo e l’unica persona che potesse aiutarlo non arrivava. E se non riuscisse mai più a trovarlo? O se peggio non volesse nemmeno cercarlo? Magari si era già stancato di lui, magari era felice di essersi liberato di un noioso ragazzino umano con cui si era già divertito a sufficienza. I suoi occhi si fecero lucidi e abbassò la testa per nasconderlo. Nicola piegò la testa._ Tutto bene?_ Demian non rispondeva, preda del turbinio di pensieri che gli affollava la mente e l’anima. L’altro si alzò sospirando. Melìt era a caccia._ Vieni con me. Sarò punito severamente per questo ma hai bisogno di stare per un po’ in un ambiente più “umano”. Si avvicinò al rossino e lo fece alzare praticamente di forza, dopodiché lo portò fuori dalla cella, in un’altra ala del palazzo. Attraversarono una porta piccola e modesta rispetto a tutto il resto, fatta di legno e neanche troppo pregiato. La stanza in cui si trovarono era spartana ma grande, con un letto singolo, un armadio, una scrivania, un baule di foggia antica, una finestra chiusa con sbarre come fosse anche lui prigioniero. C’erano inoltre un’alta e stretta porta con un pomello dorato e una tenda attraverso la quale si intravedeva una piccola e semplice cucina. Nicola indicò il letto e Demian guardò in quella direzione, confuso. Vedendo la sua esitazione l’altro lo spinse gentilmente, inducendolo a sedervisi. Demian tastò il materasso attraverso la coperta bruna e improvvisamente il sonno lo assalì ancora, come se non avesse dormito da mesi. Voleva posare la testa su un cuscino soffice e accoccolarsi contro il letto. _Fallo se è questo che vuoi,_ gli disse Nicola_ non so se avrai altre occasioni. _Cavolo, è impossibile andare avanti con questa aspettativa che martella l’anima!_ sbottò lasciandosi cadere con la schiena sul letto, le braccia aperte, la gambe che dondolavano sul bordo del letto, lo sguardo al soffitto_ E poi mi fa incazzare il fatto che tutti possiate sapere quello che penso e io non posso farlo con voi! Nicola sorrise, ma di un sorriso forzato mentre gli si avvicinava a braccia conserte. _Se Andrea ti lasciasse bere il suo sangue anche tu potresti farlo probabilmente. Esso provoca diverse reazioni negli esseri mortali._ Il rossino stava per rispondergli in maniera tagliente ma si bloccò pensoso. Era un’idea così terribile dopotutto?_ Che c’è?_ gli domandò il bruno sorpreso_ L’idea ti stuzzica? Demian lo guardò truce. _Non sono malato come te. Con lentezza Nicki si calò sul ragazzo, sostenendosi con le braccia, trovandosi faccia a faccia con lui. Il rossino non si mosse ma corrugò le sopracciglia e si tese, pronto a difendersi da qualsiasi cosa. L’altro iniziò a parlare con voce bassa e lentamente. _Sei… proprio un mocciosetto irrispettoso e ingrato. Non dovevo farti uscire da quella cella, sai? Probabilmente sarò punito per questo non appena il mio Signore tornerà e tu mi parli in questo modo? _Non mi è stata insegnata la riconoscenza. Nicki lo guardò per un lungo istante negli occhi, scorgendovi un’arretrata stanchezza sottolineata dalle occhiaie scure sul volto eccessivamente pallido, dagli occhi arrossati e leggermente gonfi. Piegò la testa, pensieroso.
_Sei così diverso dai tuoi coetanei. Nicola inarcò il sopracciglio. _Abbastanza perché tu mi porti un po’ di rispetto. _So per esperienze che l’età non rende una persona meritevole di rispetto. _E cosa la rende tale? _Le azioni che essa compie. Il ragazzo dai capelli dorati si chinò maggiormente sull’altro ma subito si rialzò, allontanandosi. _Dovresti approfittare di questo poco tempo che hai disposizione. Se hai sonno dormi pure, se hai voglia di fare un bagno o una doccia fallo tranquillamente e se hai fame, beh, la cucina come hai potuto vedere è al di là di quella tenda. Ovviamente io ti sorveglierò. Molto da vicino. Demian scattò a sedere, stizzito. _Certo, certo, come se potessi davvero andarmene! Abbiamo salito un’infinità di scale per arrivare fin qui, solo un pazzo si getterebbe da un’altezza simile! L’altro sorrise maliziosamente.
_Però, sei sveglio. Il rossino lo fissava corrucciato, non capendo fino in fondo quello che l’altro gli stava dicendo. Era stranamente incuriosito da lui; di solito il prossimo lo lasciava indifferente, eppure lui era interessante. _Come sei finito nel girone? L’altro rise del modo in cui Demian gli aveva posto la domanda. _Vuoi davvero sapere come? Vuoi davvero conoscere cosa si cela sotto la mia faccia umana? Ho fatto cose da farti avere gli incubi per mesi. _Ho sopportato cose peggiori._ Tagliò corto il rossino_ Fammi conoscere il “mostro” che mi sorveglia. _Bene, allora ascolta attentamente._ Disse Nicola sedendosi scompostamente sul letto davanti a Demian che intanto si era messo con le gambe incrociate_ Mio padre era un ricco industriale, mia madre una casalinga felice. Avevo anche un fratello maggiore, Michele, il pupillo di mio padre. A lui sarebbe toccato tutto un giorno: la nostra villa sul mare, che io amavo, l’attività di famiglia e la Bugatti del ’33 di mio padre. Non ero invidioso per questo; così doveva essere, così era sempre stato. Il figlio primogenito doveva avere le migliori mele del cesto e a me toccavano la casa di Palermo e il motoscafo, più una consistente somma di denaro per non scatenare il mio risentimento e permettermi di vivere agiatamente per tutta la vita. Non era questo che volevo, i soldi non mi hanno mai fatto gola; amavo mio padre e facevo di tutto per ottenere la sua considerazione, il suo rispetto. Ma ero irrequieto, ribelle, poco incline a seguire le regole e la vita inquadrata di una famiglia all’antica come la mia, dove mia madre ancora indossava abiti stile anni Sessanta e collane di perle. Lui mi considerava un incapace, un delinquentello da due soldi e mai, mai mi avrebbe affidato qualcosa di importante per lui. Stravedeva per Michele: il migliore della classe, diplomato con il massimo dei voti, buono, educato, altruista… il figlio perfetto!_ sibilò con rabbia_ Sarebbe morto per lui, ne sono certo, mentre non perdeva occasione per sminuire me: cos’ho fatto di male, Nicola, per avere questa piaga? Perché non assomigli un po’ a tuo fratello? Il tuo sguardo è insolente Nicola, i tuoi occhi ardono d’odio mentre mi guardano. Non capiva che erano fiamme alimentate dal bene e non dall’odio? Passai gli anni più preziosi della mia vita soffocato dalle mie stesse origini e a ventisei anni, stanco dell’inutilità della mia esistenza, iniziai a non rientrare la sera. Mi fermavo nei locali a bere fino all’alba, credendo stupidamente che l’alcol potesse darmi quel calore e quella felicità che cercavo senza nemmeno saperlo. Mi sentivo senza un presente e senza un futuro. Fu in uno di questi locali che incontrai la donna che fu la causa di tutto ciò che avvenne dopo. Grazia era più grande di me di due anni ed era la ragazza più sexy che avessi mai incontrato! Guardandola mentre ballava sulla pedana, facendo ondeggiare i morbidi fianchi stretti nell’abito di paillette, e faceva svolazzare i suoi lunghi capelli neri provai qualcosa di diverso dal semplice desiderio e quando i suoi occhi incontrarono i miei capii di amarla. O almeno allora credevo fosse così. Finimmo a letto insieme quella sera… o meglio nel bagno del locale, ma che importa? Ero pazzo di lei. Era una barista, figlia di un operaio e di una sarta e per questo quando dissi a mio padre che volevo sposarla divenne una furia. “Una ragazza di classe sociale così inferiore? Giammai!”_ Rise a bassa voce_ Non gli diedi ascolto, nmaturalmente. _Non fatico a crederlo._ Disse Demian tranquillo. Nicki gli scoccò un’occhiata maliziosa e continuò il suo racconto. _Beh insomma, mi cacciò di casa, negandomi ovviamente anche il denaro. Andai da lei raccontandole tutto, evitando però di dirle che la causa che aveva scatenato tutto era stata la sua condizione sociale. Non volevo ferirla. Iniziò ad urlare, a piangere disperatamente, diceva che ero stato un idiota, un vero coglione a lasciare mio padre, che ora non avevamo nulla, che lei non voleva fare una vita da pezzente, che l’amore non riempie lo stomaco e cazzate varie. Non aveva paura di non mangiare con me. Lei mi aveva avvicinato quella sera perché sapeva chi ero e sapeva che con il figlio di uno degli uomini più facoltosi di Palermo avrebbe fatto una vita di agi. Mi cacciò in malo modo spezzandomi il cuore. Avevo rinunciato a tutto per lei. Per una ragazza del genere! Come avevo potuto innamorarmene? Non avevo più una casa, nessun posto dove andare e da principino qual ero, abituato a dormire nel mio letto regale, mi ritrovai a passare le notti sulla spiaggia, con il cielo stellato a farmi da tetto, con solo il rumore delle onde a cullarmi invece della voce della mia donna. Piangevo di continuo, io che non l’avevo mai fatto in vita mia, e la cosa peggiore fu quello che venni a sapere in seguito.
La mia “sposa” era incinta.
La mia sposa aveva buttato via il mio bambino.
Credo che gli uomini siano molto più forti dei vampiri, se riescono a non morire dopo una notizia del genere. Pazzo di rabbia andai davanti la porta di Grazia ed urlai con tutto il fiato che avevo in corpo che era una puttana, che l’avrebbe pagata cara per aver ucciso mio figlio._ Nicki si bloccò improvvisamente e si alzò, dando le spalle al rossino. Demian se ne stava in silenzio; la storia aveva preso una piega estremamente tragica e non sapeva cosa dire. Da dietro poteva vedere che Nicola aveva la testa china sulle spalle sempre perfettamente erette. Capì in quel momento quanto aveva dovuto soffrire nella sua vita, quanto la morte di quel bambino mai nato l’avesse segnato. Infine il ragazzo si voltò e sorrise senza tentare di celare la tristezza._ Ero ridotto davvero male, avrei voluto morire. In quel momento amavo più di qualsiasi altro al mondo qualcuno che mai sarebbe nato, che non avevo mai visto, ma che era stato generato da me. Non sai quanto si può amare un figlio che nemmeno viene alla luce._ Si voltò di nuovo_ Ormai ero irriconoscibile dal ragazzo che ero, un vagabondo reso folle dal dolore e dalla solitudine. Lavoravo in un bar, ma sapevo che presto sarei stato cacciato a causa dei ritardi e del poco impegno. Presto non sarei stato più nemmeno in grado di pagare un pezzo di pane. Fu mentre ero in quello stato che incontrai Melìt. O meglio, fu lui a trovarmi, naturalmente. Camminavo senza vedere, la mia mente schiava dei fallimenti della mia vita. Lui mi afferrò per le braccia e mi fermò evitando che una macchina mi investisse. Lo guardai incazzato e mi abbagliò. Sai bene cosa vidi, perché tu hai avuto lo stesso impatto quando hai visto per la prima volta un immortale. La sua pelle non era semplicemente nivea, ma abbagliante, prima di difetti, i suoi occhi sembravano cambiare colore da un secondo all’altro. Dal blu al rosso, dal rosso al viola e così via. Le sue labbra mi incuriosirono, perché erano bianche al pari della sua pelle. Dopo tanto tempo solo la sua vista riuscì a farmi formulare pensieri coerenti. Chi era? Da dove veniva? Esisteva davvero o era frutto della mia mente ormai distrutta? Mi convinsi che fosse la morte stessa venuta a prendermi, un castigo del cielo perché ero solo una piaga, proprio come sosteneva mio padre, un essere inutile e vergognoso… uno stupido che aveva creduto di poter essere felice. Il destino non mi era venuto incontro ed io avevo fatto le scelte sbagliate._ Disse tristemente, gli occhi socchiusi in una posa estremamente dolce._ Lo sconosciuto mi strinse a sé e senza nemmeno capire perché piansi, stupendomene mentre lo facevo. Non riuscivo più a chiudere gli occhi e mi battevano i denti mentre una sua mano mi accarezzava teneramente la schiena e l’altra giocava con i capelli sulla mia nuca. Avevo i brividi… era così freddo ma non volevo staccarmi. Alzai le braccia, confuso. Volevo abbracciarlo o respingerlo? Lui scelse per me, afferrandomi le braccia con decisione, allacciandole intorno al suo corpo, guardandomi negli occhi con una dolcezza che non conoscevo. Mio padre mi guardava solo con durezza, mia madre con compassione, Michele con assoluta freddezza, Grazia con malizia ma mai con dolcezza. Eppure quello sconosciuto posava i suoi occhi così belli nei miei, facendomi sentire nudo. Anche io potevo…_ ma s’interruppe, scuotendo la testa_ ora sai com’è successo. Sai come quali sono stati gli eventi che mi hanno portato a essere quello che sono ora. _Non proprio._ Precisò Demian saltando giù del letto e parandoglisi davanti.
Nicki sorrise. Demian sussultò.
_Io… non amo Andrea! Che ti salta in mente? _Non ci vuole molto se è per questo. _Non ti odi come vuoi farmi credere._ Demian scosse le spalle e si sedette sul letto._ Lo so come lo cerchi, come vorresti che fosse qui. La tua mente è piena di lui. Il rossino lo incenerì con lo sguardo.
_Vuoi smetterla anche tu di leggermi la mente?!
Con te non me ne accorgo! Demian tornò a guardare fisso davanti a sé e incrociò le dita delle mani, i gomiti poggiati sulle ginocchia. Le parole di Nicki l’avevano colpito profondamente. _E… le cose orribili che hai fatto? _Non ti si può proprio sfuggire!_ esclamò l’altro esasperato. Si fece però immediatamente serio, lo sguardo che sembrava essersi posato sul rossimo ma che in realtà guardava qualcosa che era solo nella sua mente._ Disse che avrebbe fatto qualunque cosa per me… che ero stupendo, che meritavo solo amore. Io… non volevo… io… mi baciava, non faceva altro e carpì dalla mia testa cose che non dovevo pensare. Non doveva succedere!
_Che cosa è successo?
_Ne sei proprio sicuro?
Continua…
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