Scusate il ritardo della pubblicazione! Ma con scuola e impegni vari non ho più avuto molto tempo per scrivere. Spero di farmi perdonare con questo capitolo.


 


 

 

Amore Immortale

 

parte VIII

 

di Vikysweetgirl

 

 

 

 

Nel lasso di una notte un immortale sei diventato,

il tuo corpo solo il riflesso di quello umano,

nell'oblio della notte vivi,

la dolce agonia del nutrimento aneli,

è un desiderio sensuale e assoluto.

Ti nutri di sangue, piangi sangue,

il giorno ti è nemico, la notte è la tua culla,

il buio che hai intorno non è tagliente 

come quello che hai dentro.

Non hai mai voluto il dono eterno,

sei una vittima non più innocente,

voli nel buio, aggredisci e ti nascondi.

Bevi, godi e soffri.

(“Un immortale” di Vittoria Agostinelli)

 

 

-Dissidia-

 

 La tensione era quasi tangibile.

Si erano spostati in un posto che desse meno nell’occhio, soprattutto per evitare che qualche innocente rimanesse coinvolto  nello scontro che stava per avere luogo.

Andrea aveva insistito per riportare Demian a casa, ma il ragazzo si era opposto fermamente e quindi il vampiro, rassegnatosi, lo aveva fatto rimanere pur temendo per lui, facendogli promettere che non si sarebbe mosso da dov’era, e cioè seduto su un masso, in un ambiente roccioso che sembrava essere una montagna ormai arida e dimenticata.

Melìt era deciso ad affrontare Andrea, nonostante quest’ultimo fosse restio, perché non voleva coinvolgere il suo protetto umano. Così il vampiro moro aveva scelto quella montagna desolata, quel luogo sperduto.

Demian si ritrovò a pensare che se fosse morto lì, in mezzo al nulla, nessuno l’avrebbe più ritrovato. Il suo corpo sarebbe rimasto a giacere nella terra sabbiosa, la sua anima a vagare sopra di esso, guardandolo con pietà perché non era mai stato felice.

Qualcuno l’avrebbe cercato?

Sbatté più volte le palpebre e si  accarezzò energicamente la faccia. Che pensieri gli venivano in mente ora? Quanti altri diciassettenni in tutta Roma, o meglio in tutto il mondo, stavano pensando la stessa cosa?

Sorrise ironico. Beh, comunque nessun altro si trovava ad attendere l’esito di uno scontro tra vampiri. In verità nessuno aveva a che fare con dei vampiri e basta. Lui ci viveva addirittura insieme con un vampiro, e ci faceva…

Scosse forte la testa. Non era proprio il momento di pensare a certe cose, uno scontro tra titani stava per avere luogo.

Perché restavano immobili quei due? Stavano parlando? Lui non poteva sentirli, era troppo distante.


Il fruscio del vento che accarezzava la terra non gli piaceva. Troppe volte l’aveva sentito, troppe volte aveva ascoltato quel piccolo, quasi impercettibile suono tipico del silenzio. Di fronte a lui, non troppo distante, c’era il suo creatore.

Dopo tutti quei secoli riusciva ancora a rimanere basito di fronte alla sua bellezza. Veder svolazzare i suoi capelli biondi mossi dal vento era stranamente rassicurante.

Un vampiro, paradossalmente, è rassicurante, perché non cambia mai nel tempo, rimane sempre lo stesso e in un mondo che muta troppo repentinamente, questo in un certo senso è confortante. Quella figura gli era così familiare. Innumerevoli volte l’aveva visto rientrare in casa, camminando tranquillo, altrettante volte l’aveva visto atterrare elegantemente dal cielo come un dio e ogni volta l’aveva amato, come padre, come fratello, come compagno. In un tempo ormai lontano si era lasciato consolare dai suoi baci, dalle sue attenzioni, dal suo amore.

 

L’amore di chi l’aveva privato della vita.

 

Ora lo guardava e provava una nostalgia che in un primo momento non aveva avuto il tempo di avvertire.

Aveva amato quel corpo, lo aveva adorato. Provava ancora qualcosa, che però era indefinibile e fuggevole come il battito d’ali di una farfalla.

Ora importava solo proteggere Demian da lui, solo questo.
_Cosa c’è Andrea?_ La voce di Melìt suonò tranquilla e fredda._ Sei ammutolito. Hai paura?_ Sorrise nel suo solito modo sardonico. Il vampiro moro alzò la testa, incrociando i suoi occhi, comunicando con lui solo attraverso quello scambio di sguardi. Il biondo sorrise, senza malignità stavolta, solo con una parvenza di nostalgia_ No. So bene che non mi temi.

Melìt si avvicinò senza staccare gli occhi da lui, fino a che si ritrovarono a un paio di metri di distanza l’uno dall’altro.
_Perchè sei tornato?_ gli chiese Andrea con tono grave.

Il biondo non rispose. Guardava il moro con interesse, come soddisfatto.

_Sei bellissimo figlio mio. Se possibile ancor più bello dell’ultima volta in cui ho posato i miei occhi su di te.

_Potresti scegliere meglio i tuoi complimenti, maestro. Non sono cambiato di una virgola da quando ero un ragazzo umano.

_Figliolo, è stressante farti un complimento._ rispose l’altro sbuffando.

Aveva sempre avuto quell’atteggiamento canzonatorio e leggero, elegante e sicuro, come un vivace dio greco che vive tutta la sua esistenza disteso su di una nuvola, guardando gli altri curioso, consapevole che nessuno potrà mai eguagliare la sua bellezza e la sua grazia.

Sì. Era questo Melìt.

Era il momento. Andrea fece appena in tempo a crearsi attorno una barriera, che Melìt l’aveva già attaccato.

Non aveva mosso nessuno dei suoi arti, semplicemente si era lanciato con tutto se stesso, avvolto in un’atmosfera densa, contro di lui.

I capelli di Andrea si mossero così come i suoi abiti, ma lui non si scompose. Bloccò l’assalto del vampiro con la sola barriera, puntando nei di lui occhi lo sguardo deciso.

L’acqua dei suoi occhi era improvvisamente divenuta fuoco, lava incandescente, eppure le sue labbra, le sue guance, erano rilassate, ferme e immobili come in un dipinto, e solo quello sguardo corrucciato, quelle sopracciglia unite ad esprimere turbamento tradivano lo sforzo che stava facendo.

Erano così vicini i loro visi ora, così pochi centimetri dividevano le loro labbra.

Sarebbe bastato così poco per farle incontrare, per unirle ancora, per riprovare di nuovo la sensazione deliziosa e struggente di un bacio dato ad uno come lui. Un bacio tra due vampiri.

Il tempo non aveva lasciato in un’epoca lontana la loro familiarità, ogni bacio di disperazione e bisogno, ma il sangue aveva oscurato molto di loro, senza tuttavia cancellarlo.

Sì, provava rabbia verso il suo creatore, rabbia perché nella sua gelosia gli portò via ogni altro conforto che non fosse lui stesso, perché quel suo sorriso beffardo lo aveva catturato sin dal primo sguardo, quando lui ancora era un giovane umano che correva per le strade ebbro dell’amore per una donna; lo odiava perché nonostante il male che gli aveva fatto sin dall’inizio, non riusciva ad odiarlo.

Qualunque sentimento provasse per lui, Melìt non riusciva mai a lasciarlo indifferente.

Il biondo vampiro scattò improvvisamente all’indietro, tornando alla posizione di un attimo prima. Non l’ombra di affanno in lui, niente che potesse dimostrare effettivamente che quell’attacco c’era stato.

 

Andrea pensò che sapeva esattamente come sarebbe stato baciarlo di nuovo.

 

Sgranò gli occhi, che divennero due perle opalescenti. Da essi si irradiò una bianca luce soffusa, che spinse tutta la propria dirompente forza verso l’altro, tramutandosi in ghiaccio all’istante.

Ghiaccioli acuminati saettarono contro Melìt che spiccò un balzo in aria, sfuggendogli. Ma schivare quell’attacco non lo mise in salvo. Non appena gli occhi bianchi di Andrea si puntarono verso l’alto le armi di ghiaccio seguirono quel movimento, senza smettere di inseguire il loro bersaglio mobile.

Il biondo volteggiò nell’aria, i suoi capelli seguirono docili ogni suoi movimento, danzando elegantemente con lui, gli orecchini scintillarono al primo, debole raggio lunare.

Aprì le braccia, come a voler stringere a sé quelle lame, ma man mano che queste si avvicinavano a lui, si scioglievano improvvisamente, a causa dell’improvviso calore che stava emanando. Melìt ridiscese velocemente, piantandosi coi piedi nel terreno, alzando un grosso polverone. Senza aspettare si lanciò contro l’altro e il suo movimento emise un suono di velocità.

Andrea schivò il colpo e subitaneamente tentò di colpirlo alla nuca, ma senza riuscirvi.

La velocità di entrambi sembrava eguagliarsi.

 

Si muovevano con tanta lestezza che agli occhi di Demian sembravano scomparire. Solo ogni tanto li rivedeva comparire, ora a destra, ora su una roccia a sinistra, con scene che si susseguivano a scatti, sbalordendolo. Il rossino si alzò in piedi, facendo qualche passo in avanti, tentando di aguzzare la vista come meglio poteva, ma il risultato non cambiò.

 

Andrea scivolò al fianco di Melìt, afferrando un suo braccio e torcendoglielo in un movimento che lo avrebbe rotto a un essere umano.

Sembrava che Andrea non si stesse impegnando come si deve, come se non avvertisse un reale pericolo o più semplicemente come se non volesse usare tutta la sua forza contro di lui.

Digrignò i denti e scaraventò il biondo vampiro lontano, in un gesto di rabbia, di frustrazione, alzando un polverone che si protrasse per un lungo tratto. Prima ancora che la nuvola bruna si dissolvesse, il moro si sentì cingere da braccia che conosceva sin troppo bene. Quella stretta ferrea e possessiva tante, tante volte era stata il suo terrore e la sua unica consolazione; innumerevoli notti il suo ricordo aveva significato conforto e lacrime copiose, perché l’aveva amata ed odiata al contempo.

Una persona si può solo amare od odiare per rimanere nella sanità. Quando questi due sentimenti coesistono, la mente sconfina nella follia, mandando in frantumi la razionalità. Si diventa pazzi, folli, e forse sono proprio questi gli amori che durano per l’eternità.

Sotto il gelo della sua pelle la mente iniziò a funzionare a ritroso. Andrea chiuse gli occhi, lasciandosi andare a quel viaggio nel tempo, nei suoi ricordi, senza impedire ai pensieri di tornare a quella notte di dolore, quando aveva scoperto che un immortale non può vivere senza l’amore dei suoi simili.

 

 

 

I trent’anni che seguirono dopo averlo lasciato furono segnati da molteplici scoperte, che determinarono la formazione del vampiro che adesso era. L’orrore della solitudine pervase ogni singolo giorno di quei tristi anni di decadenza.

Parigi era stata la sua tomba in quel periodo e ogni giorno, cadere nelle tenebre da solo, senza nessuno sguardo di dolcezza e comprensione, senza nessuno che lo guardasse negli occhi per dirgli ti comprendo, era come morire ancora.

Sentiva battere i cuori di ogni singolo mortale che passava in superficie. Le risate, le voci, la vita di tutti quelli che ormai gli erano estranei, che ormai gli sembrava di non riuscire nemmeno più a capire. Tutto ciò che prima era sempre stato ovvio ora non lo era più.

Perché quelle persone ridacchiavano e sembravano così felici? Non sapevano quanto era crudele l’essenza stessa dell’esistenza? Quanto tutto era corrotto e pieno di dolore e sangue versato? Quanto la morte fosse crudele, ancor di più se non portava a termine ciò che aveva iniziato?

Oramai non capiva più coloro di cui un tempo aveva fatto parte e questo lo faceva sentire ancora più solo. Si sentiva un bambino senza Melìt. Un bambino che deve imparare a camminare senza essere tenuto per mano, solo, senza alcun sostegno.

Quasi ogni notte piangeva nel suo feretro, ricordando caldi abbracci e baci di sangue, ricordando occhi di un azzurro violaceo, la prima cosa che aveva visto come nuovo vampiro e l’ultima come umano. Quegli occhi elettrici, enigmatici e attraenti, come dolci calamite di cui non ci si può fidare.

Ogni notte era sia vuota che colma. Scopriva sempre qualcosa in più sui suoi poteri. Non avendo più l’ala del suo creatore a proteggerlo, riuscì a sviluppare al meglio le sue capacità: accrebbe la sua forza, potenziò la vista e imparò a creare il ghiaccio. Scoprì questa potenzialità in maniera alquanto strana. Durante il sonno diurno veniva sempre più spesso destato dal tremore delle sue stesse mani; esse gelavano e intorno alle dita si creava un sottile strato di brina che gli faceva sentire però un fuoco dentro. Si spaventò parecchio in qui giorni, perché un vampiro non può in alcun caso ammalarsi e quella sembrava una strana malattia.

Dopo sette notti capì cos’era quel gelo che scaturiva dal suo fuoco interiore e come controllarlo e che poteva utilizzarlo come un’arma.

Scoperte, rivelazioni, gloria. L’adrenalina e il senso di onnipotenza che provò in quel periodo sfociarono ben presto, allo scoccare del trentesimo anno, in disperazione e tutto in lui vacillò.

Cercava amore, elemosinava amore!

Aveva provato con gli esseri umani ma non era possibile. La giovinezza, l’immensa fame, finivano col fargli uccidere l’oggetto del desiderio, oppure farglielo abbandonare per non divorarlo.

Quella notte aveva divorato una giovane donna e la sua sorellina. La consapevolezza di ciò che aveva fatto lo colpì in quel momento come non aveva mai fatto da quando era rinato come vampiro. Febbricitante, urlando come un ossesso, provò odio per sé stesso, per tutta la sua specie, per tutti quei vampiri che non aveva ancora incontrato. Conosceva solo Melìt e lo desiderava più di ogni atra cosa al mondo. Desiderava ardentemente essere stretto dalle sue braccia e sentirsi dire che andava tutto bene, anche se naturalmente così non era.

La solitudine, il dolore, il rimorso avrebbero sempre riempito la sua vita ferma per l’eternità.

In poche ore, grazie alla sua velocità, raggiunse a piedi la villa dove aveva visto la morte e la sua rinascita, dove era stato costretto ad abbandonare un’esistenza per iniziarne una nuova, più intensa, più profonda. O forse semplicemente più inutile e priva di significato.

Solamente guardare la facciata della dimora che un tempo era stata sua gli provocò un’intensa emozione che si manifestò in un’improvvisa frenesia.

 

Quella era la sua Roma ed ora era di nuovo a casa.

 

L’aria che aleggiava tutt’intorno a lui era diversa da quella di qualsiasi altro luogo che avesse mai visitato. Il vento portava alle narici un dolce e intenso profumo di rose selvatiche e quello caldo e buono del pane. Provava qualcosa di molto simile alla gioia, una sensazione che mai aveva provato dopo la sua trasformazione. Il rumore delle foglie che strusciavano le une contro le altre, creando un sinuoso movimento delle fronde non lo aveva mai dimenticato e nemmeno la finestra al secondo piano, illuminata, che spiccava su tutte le altre buie. La stanza di Melìt.

Oh, era rimasto tutto uguale a trent’anni prima. Niente era cambiato, nemmeno lui stesso.

Aprì la bocca, sorridendo in maniera assolutamente sincera. Non voleva altro che colui che l’aveva creato.

Scavalco con un balzo il cancello e corse velocemente, in un modo che poteva sembrare umano. Non appena si fermò davanti al grande portone di legno, senza avere neppure il tempo di toccarlo, esso si aprì, e sulla soglia comparve un’alta figura dai lunghi capelli biondi, vestito di velluto nero.

Andrea tentò di sorridere, ma il risultato fu solo una smorfia impacciata e tenera. Aveva sempre mantenuto le sue espressioni umane, forse, pensava, perché era ancora molto giovane.

Aggrottò le sopracciglia, tentando di trattenere le lacrime che rischiavano di distruggere la sua fredda facciata di vampiro. No, non voleva che gli occhi gli si velassero di rosso proprio adesso, non voleva offuscare l’immagine di Melìt.

Il biondo vampiro rimase sulla porta a fissarlo, nessuna espressione sul suo volto. Il suo viso però non era quello che Andrea ricordava. Nessun sorriso beffardo aleggiava sulle sue labbra e quegli occhi color indaco sembravano intrisi di una nuova crudeltà, maggiore di quella che ricordava, di quella che sulla sua stessa pelle aveva un tempo assaggiato. Rabbrividì. Il gelido vento soffiò su di loro, il mantello del moro andò a sfiorare con l’orlo la mano dell’altro.

Andrea provò qualcosa di molto simile all’imbarazzo. Cos’era? Una vergogna strana lo costrinse ad abbassare gli occhi, a non guardare l’altro in volto, a tentare almeno di trovare parole adatte, scuse, giustificazioni.

Il suo orgoglio ferito provava vergogna. Lui se n’era andato ed era tornato, esattamente come egli gli aveva predetto. Ricordava esattamente la loro lite prima dell’abbandono, l’amore che egli gli negò, il desiderio di libertà, la ribellione, l’impeto che contraddistingue ogni giovane, e le parole che il suo creatore ruggì nella notte, colto da una disperazione senza precedenti: “Non ti riprenderò con me quando sarai solo e disperato! Il tuo amore ti tradirà. Odiami finché puoi, perché presto l’amore in te avrà il sopravvento e allora non avrò pietà!”

Il moro strinse i pugni, nervoso come un ragazzino.

E non lo era forse?

Alzò improvvisamente la testa, guardandolo negli occhi, disperato come lo era stato trent’anni prima. Si morse le labbra e Melìt si avvicinò velocemente a lui, stringendolo forte, con una stretta che avrebbe ucciso un umano.

Le sue ossa stridettero sotto quell’impetuosità ma lui non si mosse. Era meraviglioso stare di nuovo tra le sue braccia, percepire di nuovo con quella intensità il suo amore morboso, la sua passione, la sua possessione. Lo abbracciò a sua volta, nascondendo il volto nel suo collo, in un gesto molto umano.

Si sentì fragile e felice, terribilmente felice, anche se questa sua emozione si affiancava inevitabilmente ad un senso di sconfitta.

Ora non importava. Importava solo lui, Melìt, e l’amore che provava per lui, che era più grande di qualsiasi orgoglio.

_Stupido, sciocco figlio._ Gli sussurrò il vampiro, rendendo dolce il suo rimprovero. Andrea non poteva dire nulla. Aveva sbagliato, aveva sbagliato tutto. Si era creduto onnipotente, aveva creduto di poter fare a meno di lui, di quella casa, di poter vivere solo, come la natura stessa di un vampiro richiede._ Non dici niente?_ Andrea continuava a tacere, ma non smetteva di stringere il corpo dell’altro; la sua stretta era ferrea._ Figlio orgoglioso.

Lo canzonò Melìt teneramente. Si staccò da lui, forzando l’altro a lasciare la presa. Scrutò il volto del suo novizio e glielo accarezzò con un’urgenza pacata, tenuta a freno. Voleva essere dolce, assaporare ogni istante di quel momento che aveva aspettato dall’attimo stesso in cui era stato abbandonato da lui.

Sorrise e Andrea ricambiò, senza tentare di nascondere alcuna emozione. Essa stava avendo ragione della superbia.

_Devo essere orribile. Sono venuto non appena il sole me l’ha concesso._ Continuava a non staccare gli occhi dai suoi, disperatamente attaccato alla di lui veste.

Com’era bello nella sua lunga tunica di velluto nero e i suoi capelli erano più brillanti e chiari di come li ricordava. Perfettamente pettinati, con la scriminatura centrale di un bianco tenue e lucente, i suoi capelli gli lambivano le spalle.

Voleva togliergli la veste, vedere il corpo perfetto che amava, accarezzare quelle spalle, quella schiena forte e flessuosa, sentirsi di nuovo tutt’uno con lui nel sangue e nel freddo dei loro corpi.

Melìt sorrise solamente, stirando a malapena le sottili labbra rosate.

_Ti preoccupi del tuo aspetto, quando sei la creatura più bella che abbia mai attraversato le strade di Roma? Il tuo viso mi incanta, come ha sempre fatto ogni volta che ti abbia guardato, e i tuoi occhi intensi e rapiti mi catturano e mi fanno annegare in loro come ogni volta.

Strinse di nuovo a sé il giovane immortale, mordendosi le labbra, per contenere un’emozione che rischiava di farlo traboccare. Erano secoli che non provava più una sensazione simile, quel sollievo misto ad amore. Andrea avrebbe giurato di averlo sentito tremare contro di lui.

Sembrava che non avesse mai lasciato l’immensa villa. Tutto era come trent’anni prima: gli arazzi sugli spaziosi muri color panna, le lunghe e pesanti tende di velluto rosso alle finestre, aperte a mostrare la luna, come piaceva a Melìt, e il vento gelido entrava e li sfiorava, ed era piacevole; il lampadario con le cento candele era sempre lì, immutabile, come se il fuoco dei piccoli moccoli di cera d’api non avesse dovuto spegnersi mai, come loro che avrebbero sempre arso del fuoco della dannazione.

Lo sfarzo, la seta e l’oro lo colmarono di piacere, perché molto tempo prima il suo maestro gli aveva insegnato ad amare quelle cose.

Senza bisogno di dire altro Melìt spinse Andrea sull’ampio divano di broccato rosso, bloccandolo giocosamente, salendogli sopra senza però schiacciarlo, solo standogli vicino, abbracciandolo con più amore di quanto avesse mai fatto.

Lo baciò sul collo e il moro perse la testa. Una lacrima scarlatta attraversò la sua guancia fino a perdersi tra i capelli dell’altro. Sentì le labbra di Melìt scivolare dolci sul suo collo e lo schiudersi di esse per lasciare il posto al contatto dei suoi denti freddi.

Chiuse gli occhi e gemette al penetrare di quelle zanne nella sua carne…

 

 

 

Una puntura acuta lo fece svegliare e lo spinse a liberarsi da quelle braccia decise.

Si voltò a guardare Melìt. Si toccò il collo. Due piccoli fori gemelli si chiusero subito sotto le sue dita, senza lasciare traccia sulla pelle diafana.

_Quei tempi sono stati ingoiati nella memoria, Melìt._ Disse sicuro, ad alta voce il moro_ Quei momenti che ami non possono più tornare.

_E tu non li ami forse?

Il silenzio venne interrotto solo dalla carezza del vento su quella distesa landa desolata.

Andrea ridusse l’apertura delle sue gambe, rilassandosi. Si voltò di tre quarti, sempre continuando a fissare il biondo vampiro.

_Li amo. Ma molti di più sono i momenti che odio. Il vento che soffia in me alimenta più le fiamme dell’ira che quelle della passione._ Melìt socchiuse gli occhi. Difficile dire se per tristezza, delusione o rancore._ Ora vattene. Non desidero vederti mai più.

L’altro, rise sguaiatamente, inarcando la schiena all’indietro in maniera innaturale, allargando a dismisura la bocca, come un mortale non avrebbe mai potuto fare, mostrando la dentatura crudele. Quando smise, continuando a sghignazzare, si rivolse ad Andrea.
_Posso anche andarmene, giovane. Ma io so che le tue parole non dicono il vero. Non ho bisogno di leggerti nella mente. Mi basta ricordare la tua espressione mentre eri tra le mie braccia. Era appagamento!_ Terminò alzando la voce, non spazientito, solo desideroso di convincere il suo interlocutore.

Mentre ascoltava, Andrea percepì la presenza di un altro bevitore di sangue.

Come aveva potuto essere stato così incauto? Lasciarsi trascinare, cullare dai ricordi e dimenticarsi che lì c’era anche Demian!

Scomparve, muovendosi ad una tale velocità che persino Melìt faticò a notare lo spostamento.

Il vampiro biondo rimase immobile, a guardare fisso davanti a sé, un sorriso lieve e un po’ triste sulle labbra.

 

In contemporanea allo scontro, Demian camminava avanti e indietro, avendo rinunciato a percepire i movimenti dei due vampiri, se quelli erano davvero movimenti.

Scalciò un sasso e si lasciò cadere col sedere a terra, sospirando, preoccupato per Andrea. Avrebbe potuto scommettere sulla sua vittoria, convinto, ingenuamente, che lui fosse il più forte. Ma non conosceva Melìt, e soprattutto non sapeva come misurare o comparare le potenzialità di quelle creature misteriose e terrificanti. Un fischio acuto perforò le sue orecchie.

_Aah!_ gemette. Si voltò di scatto e vide un ragazzino. Era esile, scarno, con i capelli scompigliati e occhiaie profonde sotto gli occhi di vetro._ Ma tu sei quello dell’altra sera._ Il rossino non aveva potuto non riconoscere Alex, il compagno di Melìt. Il ragazzo stava in piedi, etereo ed evanescente come un fantasma, intrappolato nella sua pelle traslucida, nella sua condizione di bambino che non sarebbe cresciuto mai. Indossava pantaloni di velluto scadente, lunghi fino al ginocchio, una lunga maglia grigia e un gilet nero ridotto a un vecchio straccio. Il giovane si avvicinò a Demian, che balzò in piedi, indietreggiando. Non doveva dimenticare che anche se minuto e apparentemente fragile, si trovava di fronte a un vampiro._ Cosa vuoi?!_ continuò il rossino allarmato.

Il ragazzo non pronunziava parola. Il suo sguardo vitreo fece rabbrividire Demian. Si mosse instabilmente, un passo dietro l’altro, sempre più velocemente, snudando le piccole letali zanne.

A quel punto il rossino impietrì dalla paura; iniziò a correre sul terreno tutto uguale, il cuore che sembrava volergli sfondare il petto. Sentiva solo il rumore pesante e opprimente del suo respiro che gli ronzava nei timpani e i piedi che strusciavano sulla terra arida.

Sentiva che lo stava seguendo, lo sentiva, e anche se sapeva che quell’essere era sicuramente molto più veloce di lui e che sicuramente non gli sarebbe sfuggito, non si sarebbe fermato per niente al mondo.

E il fatidico momento non arrivava.

Come mai non era ancora stato agguantato e sbranato?

Dopo qualche minuto il rossino si fermò, ansimando per lo sforzo, poggiando le mani sulle ginocchia. Si voltò, ma non vide nessuno. In lontananza vi era solo l’oscurità.

Si guardò attorno, cauto, spaventato. Avvertì uno scricchiolio alla sua destra e si voltò in quella direzione di scatto, osservando con terrore la piccola belva acquattata sul terreno.

Quella creatura non aveva nulla di umano. Le ossa avevano assunto posizioni impensabili, gli occhi dimensioni paurose e il colore dei rubini, le stesse forme del viso si erano sformate.

Demian indietreggiò goffamente, gemendo, inciampando sui suoi stessi piedi. Cadde con la schiena a terra e vide sopra di lui l’immagine di quel ragazzino dagli occhi infiammati che si stava lanciando su di lui, con un ringhio sulle labbra deformate che lo paralizzò.

Serrò le palpebre, tentando di estraniarsi con la mente da quella situazione. Ma il contatto violento che si aspettava non arrivò e nessuna zanna giunse a dilaniarlo.

Con coraggio riaprì gli occhi, lentamente, osservando il cielo nero. Ricominciava a sentire il mondo intorno a lui. Alzò la testa, sentendosi sollevato ed attonito nel vedere davanti a sé l’ampia schiena e i capelli scuri di Andrea.

Il vampiro aveva le gambe distanziate l’una dall’altra, pronto ad attaccare il piccolo vampiro accovacciato a terra, con le iridi di brace e solo l’imitazione del viso di un ragazzino.

I lineamenti deformati dalla fame, dall’aggressività, ricordavano poco lo sguardo perso e spaurito del bambino che era apparso nella villa di Roma.

Andrea era teso, gli occhi sbarrati, i denti digrignati. Chiunque sarebbe caduto in ginocchio tremando di fronte a lui in quel momento. Emise quello che sembrava essere il ringhio di una bestia, reso malvagio dalle corde vocali umane.
Demian fece per mettersi seduto e Andrea allungò un braccio lungo la sua destra.

Il giovane vampiro si ritrasse di qualche centimetro. Non sottovalutava affatto il vampiro più adulto che aveva davanti, anzi lo temeva. Si rimise in piedi, il suo bianco viso si rilassò, ma il suo sguardo rimase di fuoco.

L’intensità di quel silenzioso duello di sguardi è qualcosa che un umano riesce a fatica a capire, concentrato com’è sull’idea che la forza sia dimostrata solo da muscoli, violenza fisica e armi. Ma quello scontro invisibile c’era e Demian se ne rendeva conto sin troppo bene.

Gli occhi di Andrea mettevano in guardia, minacciavano, promettevano una punizione inclemente se solo egli avesse osato attaccare.

Il brunetto captava perfettamente il pericolo; sapeva che non sarebbe stato sensato avvicinarsi. Non era certo della sua vittoria nel caso avesse dovuto affrontare un simile avversario, ma con una sorta di orgoglio, o forse solo di cocciutaggine, non accennò a ritirarsi.

_Beh, che modi sono?

La voce era di Melìt, comparso improvvisamente dal nulla, le mani sui fianchi, un dolce, pacifico sorriso sul volto.

_Porta… via… questa creatura. Immediatamente._ Lo minacciò Andrea senza guardarlo._Che plachi la sua fame altrove._

_Come sei severo!_ Il biondo vampiro si era avvicinato alla sua creatura, passandogli un braccio sulle spalle dure e tese nella loro esilità, l’altra mano sul proprio fianco._ Non ricordi le tentazioni e le difficoltà a cui deve far fronte un novizio?_

_Sì, un novizio allevato da te! Vattene. Andatevene tutti e due._ La voce del moro era una roca minaccia, tanto che Demian ne ebbe paura.

Melìt scosse placidamente la testa, con gli occhi chiusi.

_Ah, figlio mio, non capisci._ Riaprì gli occhi, infusi di una luce eccitata, di qualcosa che era molto lontano dal pentimento o dall’arresa._ Neghi l’evidenza? Hai vissuto abbastanza secoli per capire. E’ questa la nostra natura, la sola cosa che ci può dare pace e appagamento. E amare la tua preda può solo rendere più doloroso il momento in cui la perderai.

_Non gli farò del male._ Enunciò Andrea sicuro._ Mi ucciderò prima di fare una cosa del genere.

_Menti a te stesso. Hai fame di lui, lo senti? Questo… patetico sentimento te lo fa solo desiderare di più!_disse Melìt alzando la voce, cercando di turbare suo figlio.

Intanto Demian si era avvicinato ad Andrea e delicatamente gli aveva posato una mano sulla spalla. Essa era dura, i muscoli tesi sotto la pelle, il suo corpo tremava per la rabbia e per la tensione.

_Andrea…_ Il rossino lo chiamò a bassa voce, temendo di distruggere l’autocontrollo che al momento vigeva nell’altro.

Il moro posò una mano sulla sua, senza rilassarsi.

Alex muoveva le dita freneticamente, gli occhi sbarrati che si muovevano a destra e a sinistra.
_Hai fame piccolo?_ Chiese il suo creatore con tenerezza, sorridendo. Gli posò una mano sulla testa e gli accarezzò i capelli.

Il ragazzo emise un verso strozzato e girò su se stesso, agitato, mostrando i denti. Iniziò a respirare pesantemente, sul viso un’espressione tormentata. Si portò una mano al petto, stringendo convulsamente tra le dita la maglia logora, puntando lo sguardo a destra, lontano, tentando di calmarsi.

Andrea spinse via Demian, la sua mano sembrò sfondargli il petto tanta fu la forza con cui lo fece.
_Va via!_ gli ordinò.

_Cosa? Non so nemmeno dove sono!_ protestò il rossino.

La risata di Melìt si levò alta, frantumando l’equilibrio de momento.
_Che scena divertente! Tieni così tanto a quel ragazzo e non capisco se la cosa sia più divertente o più patetica.

Il vampiro biondo diede le spalle ad Andrea e a Demian e voltò la testa di lato. Come se avesse dato un segnale, il giovane immortale accanto a lui corse in avanti, attaccando Andrea.

Era veloce, scattante, si muoveva a zig zag e quando fu davanti al moro, in un istante scomparì, per confonderlo, per poi riapparire e sferrare un calcio al suo fianco.

Andrea parò l’offensiva bloccando la gamba dell’altro, per poi torcerla. Tentò di scagliare il corpo del più giovane lontano ma Alex si aggrappò ai suoi capelli, impedendoglielo. Infine Andrea lasciò andare il suo arto e il brunetto, con un’agile mossa, sgaiottolò dietro Andrea che nemmeno lo vide e con un salto mortale passò sopra la sua testa, atterrando davanti a lui, acquattandosi. Con gli artigli graffiò le gambe dell’altro, strappando i suoi abiti, facendo fuoriuscire dalla sua carne fiotti generosi di sangue.
_Maledetto._ Imprecò il moro, afferrandogli la testa con entrambe le mani.

Si guardarono negli occhi, dove imperversavano fulmini. Alex sorrise. Un sorriso furbo che esprimeva vittoria. Andrea spinse improvvisamente via il ragazzino e si voltò allarmato.
Demian si trovava stretto tra le braccia del vampiro Melìt, un braccio intorno al collo e l’altro che gli aveva afferrato una mano. Il rossino stava sferrando calci, si dimenava come un ossesso, facendo scorrere insulti nel fiume delle sue parole.

_Demian!_ Andrea chiamò il suo nome sconvolto, tremando di rabbia. Velocemente si avvicinò ai due ma Melìt strinse ancor di più il suo braccio di marmo sul collo dell’altro, strappandogli un gemito strozzato. _No! Lascialo!_ Eruppe il vampiro, terrorizzato che potesse accadere qualcosa al suo beniamino. _Lascialo andare, lo uccidi!_

_Non agitarti Andrea, mon amour,_ Il biondo poggiò il mento sulla spalla del ragazzino, afferrando il suo viso con le dita, facendoglielo alzare. Guardò Andrea sorridendo. _Aah, com’è delicato. Basterebbe così poco per…

_NO!_ Urlò Andrea sconvolto. _Tu non…

_A… Andrea…_ Riuscì a proferire Demian._ Non…  preoccuparti… tu…

_Lascialo andare ti ho detto! O io ti… io ti…

_Ah ah ah. Tu cosa? Ti conviene placare le minacce. Ho qualcosa che ti è molto a cuore proprio qui tra le braccia.

_Perché stai facendo tutto questo? E’ la tua vendetta? Vendetta perché non sono stato il figlio che avresti voluto. Perché ho sempre voluto di più che sangue e oscurità, perché ho sempre amato la luce!

_Ed io non l’ho forse amata? Figlio, non ricordi lo sfarzo in cui vivevamo, io e te, in quella che ora è la tua dimora? Io amo le stesse cose che ami tu.

_Il tuo amore per la luce e per tutte le cose belle è distorto! Tu sei crudele. Lo sei sempre stato.

Melìt rise sguaiatamente.

_Questa è bella, e tu non lo sei, forse? Tu sei… buono. Pensi questo, vero?_ I suoi occhi brillarono di malvagità. _Tu sei esattamente come me. Uccidi ogni notte da più di mille anni, bambino, e mentre baci questo ragazzo provi l’irresistibile desiderio di sentire i grumi del suo dolce sangue sciogliersi sulla tua lingua. Piccola, perversa creatura, non puoi conciliare l’amore e la sete. Tu mi hai abbandonato per ben due volte.

_Sei stato tu ad andartene l’ultima volta._ Continuò Andrea, che spostava lo sguardo da Melìt a Demian, in continuazione.
_Perché tu mi hai indotto a farlo!_ Il biondo urlò, facendo tremare la terra. I suoi occhi erano colmi di vera rabbia stavolta. Allargò la bocca, in un sorriso scomposto, terrificante. In quel momento appariva come un vero vampiro da immaginario collettivo. _Mi hai negato il tuo amore. Farò lo stesso con te.

La figura del biondo sembrò dissolversi, per poi riapparire e allargarsi a dismisura, investendo Andrea che venne sospinto all’indietro da quella specie di proiezione fumosa.

Si tenne coi piedi piantati a terra, la testa china per ripararsi dalla sabbia che gli feriva gli occhi. Il suo mantello venne strattonato all’indietro dal vento, i suoi capelli gli scoprirono la fronte.

Quando tutto sembrò essersi acquietato Andrea riaprì gli occhi. Si guardò attorno, traendo un profondo respiro. Non vi era più traccia né di Melìt e della sua creatura, né di Demian.
Il vampiro, sconvolto, chiamò a gran voce il nome del suo creatore, poi quello di Demian. Corse, in lungo e in largo, usando la sua incredibile velocità, cercandoli, tentando di avvertirli se possibile.
Ma niente, non sentiva nulla a parte la presenza degli animali della notte.

Lacrime cremisi scivolarono sul suo volto senza che potesse fare nulla per fermarle.
Demian, il suo Demian era nelle mani di Melìt, nella mani di quel mostro.

Chinò la testa, gli occhi chiusi, incurante del vento che gli sferzava contro.

Quando riaprì lentamente gli occhi, vide qualcosa di bianco lì accanto, sul terreno. Sotto una pietra, a pochi passi da lui, c’era un essere un foglietto.

Si abbassò per raccoglierlo. Lo spiegò e schiuse le labbra. Serrò le palpebre, tentando di controllare il dolore, la rabbia che sentiva, l’impotenza che si era impadronita di lui.

Strinse forte tra le dita quel pezzo di carta e una lacrima cadde sopra di esso, macchiando ed evidenziando la  frase Bevi, godi e soffri.



 

Continua…