Ecco finalmente il capitolo numero 2! ci ho messo tanto a scriverlo
spero sia di vostro gradimento. Come sempre attendo vostri commenti.
Il pezzo scritto prima dell'inizio del capitolo è un pezzo della
traduzione di una canzone tratta dal musical "Tanz der Vampire" (la
danza dei Vampiri) che in originale è in tedesco e si chiama "Die
Unstillbare Gier" (la brama insaziabile).
Amore Immortale
parte II
di Vikysweetgirl
Finalmente notte,
niente stelle in cielo
-Oro e sangue-
Sono nato a Roma, agli inizi del Medioevo. Ero di umili origini. Sono stato testimone del feudalesimo e delle ingiustizie contro quelli che non possedevano nulla. Mio padre non amava mia madre. Dopo averla messa incinta violentandola, lui sparì dalla circolazione, tornando solo anni dopo, con molto più denaro di quanto ne avesse mai avuto in vita sua, negando tutto ciò che era successo e tutto quello che aveva fatto a mia madre; mi indicò come figlio di una sgualdrina che tentava di incastrarlo dopo che aveva scoperto della sua fortuna, ottenuta in qualche modo discutibile. Il mondo va sempre avanti allo stesso modo. I bastardi si trovano in ogni luogo e in ogni epoca. Ma a quell’epoca il bastardo ero io e la vita non faceva che ricordarmelo.
Mia madre mi ha sempre odiato. Ero solo frutto di una violenza, dello stupro che le aveva rovinato la vita, dandole solo una bocca in più da sfamare e frecciatine pungenti quando passava per le strade. Spesso, da bambino, mi lasciava senza mangiare per giorni. Oramai non sentivo nemmeno più la fame. Solo un’anziana signora muta e sorda, che ho sempre creduto essere mia nonna mi accudiva. Fui un bambino silenzioso. Rare volte mi lasciavo andare alla mia naturale indole vivace. La dura vita mi aveva forgiato le ossa già a quell’età. Iniziai molto presto a lavorare ma non era poi così strano a quei tempi. Crescendo iniziai a fare ogni tipo di lavoro, solo per cercare di portare denaro a mia madre, per cercare di redimermi dalla colpa di essere nato.
Devo assolutamente raccontarti di Bella. Sono impaziente di farlo. Bella è stata il mio amore mortale. Era una ragazza povera, ma sola, quindi in un modo o nell’altro riusciva sempre a mettere insieme un po’ di cibo per tirare avanti. La incontrai un giorno d’estate, usciva dalla chiesa in cui io non entravo mai e una folata di vento portò via il nastro che le ornava i capelli. Destino volle che fossi io a raccoglierlo; mi corse incontro. _Scusate, quello è mio._ le porsi la fettuccia cremisi_ grazie! Sorrise. Sorrisi a mia volta.
_Legatelo meglio. Vi dona, sarebbe un peccato
se lo perdeste.
Da dove veniva tanta sfacciataggine? _Cioè… volevo dire… oh, perdonatemi._ dissi passandomi una mano fra i capelli, mordendomi le labbra, nervoso. Nervosissimo. Non era da me. _Non preoccupatevi. Vi ringrazio per il complimento. Mi sentivo un completo idiota. Ero certo che lo pensasse anche lei. Da quel giorno la vidi praticamente tutti i giorni.
Come avevo fatta a non notarla prima? Era un incanto! Le forme aggraziate del suo viso rimarranno impresse nella mia memoria per sempre. Abitava fuori dal villaggio, immersa nella natura, come una ninfa dei boschi, ed era molto religiosa. Non potevo dirmi d’accordo con lei su questo punto, io ero un vero miscredente. La Chiesa nel corso del medioevo era diventata una struttura di potere molto importante ed aveva mutato fortemente il suo carattere originale di semplice comunità di fedeli; aveva acquisito il potere temporale. Ma lasciami tornare a lei…era incredibilmente graziosa e senza rendermene conto, me ne innamorai pian piano, sorridendole timidamente giorno per giorno, osservandola felice mentre mi salutava da lontano con la mano, incantevole nel suo abito viola, dai bordi decorati con passamanerie e le maniche a sbuffo. I suoi lunghi capelli biondi venivano sempre spettinati dal vento, i suoi occhi verde acqua sorridevano sempre, era bellissima, davvero. Tra sguardi fugaci e timidi sorrisi, un mattino la feci mia. Si lavava nel ruscello, non lontano dalla sua casetta ed io, giovane ed eccitato la scorsi durante la caccia. Rimase a guardarla, incantato, con la gola secca, il petto in fiamme. La sua nudità era la cosa più meravigliosa ed eccelsa che avessi mai veduto. Le sue forme aggraziate, la sua pelle rosea, i capelli bagnati aderenti alle spalle, la linea della schiena che culminava nelle rotondità soffici e così tremendamente voluttuose delle sue natiche.
Sfacciato e forte mi avvicinai a lei che mi
vide. Tentò di coprirsi le nudità, arrossendo. Amavo ogni singola parte di
lei, a cominciare dai suoi piccoli capezzoli appuntiti e seducenti. Non
dicemmo nulla. Ero così elettrizzato. La presi tra le braccia, dolcemente, e
la baciai. Tremò contro di me e mi rispose, avvinghiandosi a me, respirando
nella mia bocca, bagnata e bellissima, profumata di acqua e di vento. La presi lì, in mezzo alla natura, libera e vergine, donata a me, sotto di me… Incantata, fragile, appassionata, la mia sirena, la mia musa sedotta dall’amore con cui la investivo.
Oh, era mia, come avevo sempre sognato!
Era la mia prima volta, avevo diciannove anni. Un’età tarda per un uomo perdere la propria verginità. Ero ancora un ragazzo, ma a qui tempi ero già un giovane uomo.
Passai molto tempo con Bella. Il tempo libero che avevo lo dedicavo a lei, solo a lei, nascondendoci insieme nelle stalle, respirando il profumo dei suoi capelli dorati, guadandola negli occhi dolci e un po’ tristi, baciando le sue piccole labbra carnose. Fu il mio periodo dell’oro. Era dolce la mia Bella, dolce e delicata, ma con un senso di giustizia che adoravo, una mentalità tutta sua, moderna e sensibile. Posso affermare che allora era molto più forte di me. Come ogni giovane del mio ceto, avevo sogni di uguaglianza e nobili ideali e la certezza che presto ogni uomo sarebbe stato libero di essere quello che voleva nella vita. Libertà! Oh, mio sogno romantico, quanto tardasti ad arrivare…
Arriviamo alla parte più terribile; devo purtroppo mettere per un momento da parte il mio amore per Bella e la nostra spensieratezza d’amore. All’età di vent’anni divenni ciò che sono. Vagavo per le strade della città, ebbro d’amore ormai. La fame, la stanchezza, nulla più mi pesava, perché sapevo che ci sarebbe sempre stata lei a lenire ogni sofferenza, con le sue tenere carezze e le sue promesse d’amore. Avevo intenzione di chiederle di sposarmi. Era da poco calato il sole, mi affrettavo a tornare a casa, si stava per scatenare una tempesta. Mi accorsi troppo tardi della carrozza che stava per investirmi. Mi coprii il volto con le braccia. Un grido. Cavalli che nitrivano. Lo scalpitio degli zoccoli a terra. Poi solo il normale, comune chiacchiericcio della gente, solo un po’ più concitato. Mormoravano qualcosa, coprendosi la bocca con le mani. Guardai davanti a me, spaventato, il cuore che batteva all’impazzata. Dalla carrozza scese un uomo. L’uomo in questione indossava abiti pregiati: una lunga veste di velluto rosso stretta in vita da una cintura dello stesso colore e una casacca di velluto nero, rifinita in oro. Al collo portava un medaglione, con un simbolo che non conoscevo. L’uomo era così bello da far venire i brividi. Aveva la pelle candida e lunghi capelli biondi sciolti sulle spalle. Rimasi immobile a fissarlo, rapito dalla sua bellezza. I sui occhi erano del colore del mare in tempesta, con una punta di viola acceso al loro interno. Mi sorrise, tendendo le sottili labbra, disegnate così perfettamente sul suo viso allungato. _Dovresti fare più attenzione. Ci vuole meno tempo a morire che a crearsi una lunga vita. Non so come spiegare… la sua voce aveva una muta risonanza. Forò il mio cuore con quella frase, lo trafisse in un istante, come se avesse pronunciato parole d’amore e senza che me ne rendessi conto dipendevo già da lui. Quell’essere sembrava non avere età, era luminoso ed elegante, e aveva una luce particolare negli occhi, una luce che mi avvertiva di temerlo, di stargli lontano… … ma non vi riuscii. Mi avvicinai a lui senza parlare, mi sentivo a disagio ma nello stesso tempo bene. Rise guardando la mia espressione. _Dì qualcosa almeno._ mi disse. _Non so proprio cosa dire. Egli allargò ulteriormente il suo sorriso maligno. _Perchè non inizi con delle scuse? _Scuse? _Un plebeo come te intralcia in questo modo il mio cammino e non si degna nemmeno di scusarsi. Dove andremo a finire!_ disse enfatizzando, alzando le braccia. _Non credevo di dovervi alcuna scusa. Ma se vi ho mancato di rispetto perdonatemi. Fui sfrontato. Avrebbe potuto farmi imprigionare solo per il modo in cui mi ero relazionato con lui. Ma si divertiva. Gli piacevo. Con la mano mi fece segno di salire sulla sua carrozza. Senza esitare troppo obbedii. Non sapevo dove saremmo andati; avevo riacquistato un minimo di lucidità e mi domandavo chi fosse il bello sconosciuto e perché ero salito così d’impulso sul suo cocchio. Avevo delle ipotesi. Probabile che il ricco signore avesse per me un interesse sessuale. Perché mai una persona del suo livello doveva invitare sulla sua carrozza un tipo comune e per di più con mezzi così modesti come me? Mi sembrò di vederlo ridacchiare di me. Oggi ne sono sicuro. Evidentemente mi lesse nel pensiero. Durante tutto il viaggio lo guardai di sottecchi, il mio cuore impazzito non voleva smetterla di fare tutto quel chiasso. Riuscivo solo a sentire i suoi battiti furiosi; un misto di inquietudine e ammirazione. Non dimenticherò mai come lo vidi con gli occhi di un essere umano: i suoi capelli erano lisci e perfetti, con una scriminatura centrale; le labbra erano un disegno perfetto sul suo volto bianco e liscio, gli occhi di quel colore così peculiare, dalla forma leggermente allungata, con i contorni netti, come se si fosse truccato con un cosmetico invisibile, il naso dritto e regolare. Non riuscivo a staccare gli occhi dal suo profilo straordinario, dal suo volto affilato. I suoi lineamenti, i suoi gesti erano quelli di un uomo fiero ed elegante. Poggiò il viso sul dorso della mano; notai che indossava parecchi anelli evidentemente molto costosi. Ho sempre amato gli anelli, il mio amore per essi nacque quel giorno. Egli profumava dell’aroma intenso e intrigante dei gelsomini; ne era come intriso. E mi piaceva. La carrozza si fermò e scendemmo davanti ad una villa. Notai immediatamente gli angeli raffigurati nel bassorilievo del fregio dell’immensa villa. Mi piacque quel particolare. Non ero mai stato abituato ad apprezzare l’arte viste le mie povere origine, ma m’innamorai di ogni bellezza di quella casa... di questa casa. Dentro era buio e chiesi il perché al nobiluomo. Mi rispose con naturalezza.
_Mi spiace, è che vedo così bene al buio, da
dimenticarmi che gli esseri umani non possono farlo. _Signore… la vostra mano…
_Sei molto bello Andrea… la tua pelle
lievemente abbronzata dal sole italiano, i tuoi occhi cristallini, i tuoi
capelli corvini, puliti e scompigliati… sei mite ma coraggioso e sei
intelligente. Sei bello come una rosa appena fiorita. Alzai una mano, pronto a toccarlo, ma egli la bloccò, guardandomi con occhi luminosi ed eccitati.
Folli!
Iniziò a trascinarmi per l’immensa casa. _ Che cosa fate?!_ chiesi in preda all’agitazione. Non mi rispose. Continuò a trascinarmi; tentavo di liberarmi, ma la sua presa era ferrea, non riuscivo nemmeno a creargli difficoltà. Mi fece attraversare lunghi corridoi bui finché non arrivammo in una stanza ben arredata e più calda del resto della casa. Lì c’erano tre uomini, tutti nel pieno del vigore, adulti ma comunque giovani. Mi guardarono tutti e tre e mi sentii a disagio; avevano degli sguardi famelici. Si alzarono e il misterioso padrone di casa mi gettò in avanti con poca cura. _Come concordato. Direi che è all’altezza delle mie promesse, non è vero?_ disse egli con voce atona. _Oh si_ disse uno di loro_ perfettamente all’altezza. E un altro si avvicinò per accarezzarmi la guancia. Picchiai quella mano.
_Ehi, che caratterino. Adesso gli insegno io
qualche buona maniera… _Come d’accordo._ gli rispose il terzo uomo che fino a quel momento era rimasto in silenzio e sorrise soddisfatto.
Qualcuno mi sbatté con la testa sul tavolo. Tante dita, tutte che entravano e uscivano dal mio orifizio più segreto. Qualcuno mi segava, ma non potei provare piacere. Faceva male! Terribilmente e non facevo che ringhiare e piangere di rabbia…piansi di rabbia come te l’altra notte. Ho rivisto me stesso nella tua situazione, ho sentito le mie grida nei tuoi strilli, nelle richieste di aiuto della tua anima, gli urli dei miei pensieri quella notte.
E’ una notte che non ho mai dimenticato, è
stata la notte in cui ho perso per sempre la mia dignità di uomo mortale.
Sarebbe stato più umano uccidermi; in questo modo l’hanno fatto in maniera
molto peggiore. Quando vieni ucciso dentro ed il corpo vive ancora, esso non
rappresenta altro che un contenitore pieno di vergogna e umiliazione. Cos’ero ormai? Quando abusano del tuo corpo, senti di non potere più nulla, non è così? E’ l’esperienza che mi ha cambiato totalmente, è stato questo episodio a farmi diventare grande, a farmi crescere, a guastare la mia era dell’oro e a catapultarmi in un mondo di orrore.
Credo che svenni, perché mi risvegliai che mi
trovavo su un enorme letto a baldacchino, tende rosse scendevano da esso,
svolazzando al vento che entrava dall’enorme finestra aperta. Rabbrividii.
Non tentai nemmeno di muovermi. Il terrore mi aveva paralizzato su quel
talamo. Sentivo il sapore del sangue nella bocca, odore di sesso su di me.
Volevo vomitare ma non riuscivo ad alzarmi, non volevo, inconsciamente
temevo che se mi fossi alzato avrei sentito le conseguenze delle violenze
subite. Piansi molto e silenziosamente quella volta. Era dai tempi
dell’infanzia che le lacrime non bagnavano più il mio viso. Senza che me ne
accorgessi, il crudele uomo che mi aveva fatto stuprare da tutte quelle
persone e che era rimasto a guardare, seduto su di una sedia, tutta la scena
per ore, si era avvicinato al letto, e mi guardava dall’alto, con il volto
inespressivo. Dissi con voce bassa, rotta dalle lacrime che tentavo inutilmente di trattenere dal momento in cui mi ero accorto della presenza d’egli nella stanza. Continuavo a tenere gli occhi chiusi, tremavo leggermente. _Credi che sia questo quello che voglio?_ la sua voce era calma, come se non fosse accaduto nulla. Ma non andai in collera, ero troppo stremato per questo_ non desidero il tuo corpo Andrea. O almeno non come intendi tu. _Mi avete fatto fare quelle cose orribili e siete rimasto a guardare senza battere ciglio! Spiegatemi dunque il perché! Cos’ho mai fatto di male nella mia vita per dovermi meritare una cosa simile?! Non vi ho neppure nemmeno visto prima di oggi!_ la mia voce tremava, era piena di rabbia. Lui si limitò a sorridere e si allontanò. Torno un istante dopo con una lunga striscia di cuoio. Mise in atto ciò che aveva in mente prima che potessi fare qualcosa. Mi colpì con quella frusta sul petto ed io urlai come un animale ferito._ Aaaaaaaaaah!!! Fermo! Mi alzai dal letto, cercai di mettere in secondo piano i dolori laceranti che avvertivo in ogni parte di me. Lui seguì ogni mia mossa, oltrepassando l’ampio letto a baldacchino, come se volasse. Ed era effettivamente così. Non potevo far altro che scansarmi, ma ogni sferzata mi colpiva sempre, anche quando ero certo di averla evitata. Mi sentivo bagnato. Sanguinavo, lasciavo scie scarlatte su qualunque cosa toccassi. Lo vidi eccitarsi, balzar fuori dal suo stato di eterna calma e assoluta compostezza. Era diventato improvvisamente “umano”. _Oh, si…il tuo sangue, il tuo odore…mmm… Non capivo fino in fondo ciò che stava dicendo. Per me non era altro che un pazzo! Ogni frustata lacerava un lungo lembo del mio corpo, il dolore che provavo è indescrivibile, ero così provato, così messo a dura prova da aver portato al massimo il mio istinto di sopravvivenza. Ormai ero un vero animale che tentava di sopravvivere. Ricordo molto poco di quei momenti, la mia vista era annebbiata, sentivo solo il pulsare impazzito del mio cuore nelle orecchie. Ero diventato il mio cuore e le mie gambe, sentivo di avere una forza che non avevo mai avuto prima. Ero sicuro che mi volesse uccidere. Caddi sotto il colpo dell’ennesima scudisciata; le gambe d’un tratto m’avevano tradito e quando toccai il freddo pavimento capii che le forze mi avevano abbandonato. Non sentivo più il mio corpo.
Solo il suono del mio respiro ansante…
Venni tirato su da forti braccia e trascinato per chi sa quali corridoi. Non so quanto tempo passò, ma venni immerso dolcemente in un’enorme vasca piena d’acqua calda. Le ferite bruciavano, la testa pulsava e non riuscivo a mettere a fuoco nulla se non il viso dell’artefice di quella insensata tortura. I suoi movimenti fluidi, i suoi capelli biondi, perfettamente pettinati, il colore magnifico dei suoi occhi ora mi appariva privo di qualunque bellezza, il suo sguardo freddo mi irritava e mi magnetizzava allo stesso tempo. Lasciai cadere la testa sulla spalla. Mi accorsi solo in quel momento di essere nudo. Chiusi gli occhi e mi lasciai andare a pensieri precisi. In realtà il pensiero fu uno solo.
Bella.
La mia bella.
Non volevo morire così! Perché dovevo morire così?
Con le ultime forze rimastemi alzai il braccio, tentando scioccamente di colpirlo. Ma lui afferrò la mia mano. Lì mi resi conto di quanto fossi debole. Stavo perdendo ancora sangue, l’acqua non aiutava. Lo guardai negli occhi e in quel momento capii davvero che non era un essere umano. Le sue iridi erano rosse, accese, gli occhi sbarrati rendevano il suo viso terrificante. Le labbra serrate tremavano, mi paralizzai dal terrore. Un essere umano può solo tremare di fronte ad una visione simile. Mi afferrò le braccia con forza, conficcandomi le unghie affilate nella carne. Non ebbi nemmeno la forza di urlare, non potevo staccare gli occhi dai suoi, trepidante. All’improvviso aprì la bocca, allargandola in modo innaturale, rivelando due canini acuminati che mi travolsero con la consapevolezza che portavano con se. Dopotutto avevo sentito parlare spesso di Lamia, la dea che accecata dal dolore divenne demone, divenendo l’incubo d’ogni bambino. Ma mai avrei pensato di trovarmi di fronte ad un vampiro!
Non avevo più voce per gridare.
Egli si chinò paurosamente su di me e stringendo i miei capelli nella mano, conficcò i suoi denti nel mio collo.
Sentii quelle punture distintamente e fu come se con quel gesto avesse collegato dei fili invisibili al mio cuore, e pian piano li tirasse a piacimento, giocando con la mia vita ad ogni sorsata.
Sentivo il rumore inconfondibile di ampie sorsate, il cuore che pulsava a ritmo con i suoi sorsi, completamente in sua balia.
Sentivo le energie abbandonarmi lentamente, mi sentivo sempre più debole.
La mia vista si era appannata, non so se per quella perdita eccessiva di sangue o per le lacrime copiose che mi sgorgavano dagli occhi.
Ricordo quel momento con estrema precisione; per un umano è qualcosa di davvero sconvolgente.
Ad un certo punto provai persino piacere, un piacere strano, che mi scorse lento nelle vene, facendomi provare qualcosa di molto vicino al momento antecedente all’orgasmo.
Gli stavo graffiando la pelle con forza, ma sembrava non accorgersene, preso com’era dal suo banchetto, dalla sua voluttà.
Non ricordo granché dei momenti successivi… ricordo che lui si fermò improvvisamente; che si staccò da me, la mia testa ricadde all’indietro, ero inerme nelle sue mani. Mi posò delicatamente a terra.
Ero ancora vivo?
Ero ancora vivo.
Il mio respiro era così flebile che nemmeno io riuscivo ad udirlo.
Ma ero ancora vivo e non riuscivo a pensare a nulla, vedevo solo volti, tanti volti. Il volto di mia madre, triste e arrabbiato quando posava lo sguardo su di me. La sagoma di mio padre, i suoi capelli castani; il volto della mia adorata nonna e il suo profumo antico che percepivo quando mi stringeva a se, dolcemente. La mia Bella dal volto angelico, il volto dell’amore. Lo splendido viso del mostro che avevo conosciuto quella notte, che in poco tempo mi aveva distrutto, che mi stava uccidendo… Sorrisi… la morte forse poteva essere dolce per me. Per me che avevo conosciuto solo ingiustizie e indifferenza, per me che non avevo avuto l’amore di una madre, che non avevo mai avuto un padre, che mi ero innamorato della donna più bella del mondo e la stavo perdendo così…
Qualcosa a contatto con le mie labbra. Un polso… il suo. Bagnato? Riuscii ad aprire gli occhi e a mettere a fuoco il viso del mio castigatore. _Bevi Andrea. Bevi e non morirai. _Cosa…tu… _Bevi Andrea._ E premette ancor di più il polso contro la mia bocca. Non capivo cosa voleva che facessi. Mi leccai le labbra.
Sangue.
Rabbrividii.
Il suo sangue era dolce e invitante, un vero nettare.
Leccai il suo polso, lo afferrai con le mani; ci posai le labbra sopra e inizia a succhiare.
A succhiare, a succhiare…
Ooh com’era dolce, com’era denso e caldo!
Mi sentii pervadere da nuova forza; le energie tornavano velocemente e riuscii persino a mettermi seduto.
Lui aveva un sorriso mordace sul volto e uno
sguardo stanco ma eccitato. Mi staccò piano da sé e io caddi all’indietro, irrigidendomi tutto, sgranando gli occhi. Iniziai a tremare, a contorcermi su me stesso, a ringhiare. Ero accecato da un dolore nuovo e sconosciuto, le mie membra dolevano, i miei occhi si annebbiarono di nuovo e mi conficcai le unghie nei palmi delle mani. Mi alzavo e mi rigettavo a terra, come impazzito. Qualcosa stava cambiando. Mi sentivo morire. _Si, stai morendo. Non badarci._ mi disse con noncuranza. Ma la sua voce non mi raggiungeva, le sue parole mi sfioravano appena, ero in preda al panico. Le escrezioni del mio corpo uscivano da me senza la mia volontà. Cosa stava succedendo?! Non so quanto tempo durò quell’agonia. Ma ricordo che d’un tratto mi bloccai. Riversai gli occhi all’indietro.
Non ricordo nulla da quel momento in poi perché ero morto.
Riaprii gli occhi con un respiro profondo.
Qualcosa era cambiato. Oh, si se era cambiato. Mi misi a sedere; mi guardai attorno.
Avevo forse nuovi occhi?
Non avevo mai visto le cose intorno a me con quella…luce, non avevo mai visto l’energia che emanavano, la loro… bellezza. Guardai le mie mani. Le ferite che mi ero inferto si erano rimarginate. Al posto delle unghie avevo artigli duri e affilati, con la lingua accarezzai canini appuntiti, la mia pelle…ero illividito? Mi voltai di scatto.
Sentivo odore di sangue. Lo sentivo!
E LO VOLEVO.
_Oh si, lo so che lo vuoi mon petit._ disse egli con voce gentile_ Ora alzati_ mi aiutò ad alzarmi_ Il mio nome è Melit. Vieni con me, diamoci una ripulita e andiamo a caccia. _Cosa mi hai fatto?! Cosa…_ ero sconvolto_ io…brucia tutto, brucia! _Cosa, mon petit? _Tutto… vive… arde! Io… Lui sorrise. _E’ sempre stato così. Solo che tu non lo potevi vedere. _Cosa mi hai fatto?! Ridammi i miei occhi, ridammi ciò che… _Sei come me ora. Sei mio figlio. Ti insegnerò tutto. Da troppo tempo aspettavo qualcuno come te.
Fu la mia prima notte da vampiro. Dopo avermi lavato dolcemente, mi fece indossare una corta veste di velluto rosso e un manto scuro, facendo in modo di vestirmi alla sua stessa maniera. Ci inoltrammo nella notte. Mentre camminavo mi guardavo intorno, prendevo pian piano confidenza col mio nome corpo, con le mie nuove capacità. Ero ancora sconvolto, non rivolgevo parola al mio Creatore; gli camminavo accanto, in silenzio, mentre lui mi parlava, mi spiegava tutto ciò che dovevo sapere. _Non possiamo esporci alla luce del sole mon petit. Siamo Figli delle Tenebre e come tali possiamo uscire allo scoperto solo quando cala la notte. Ma in compenso a parte Febo, nient’altro puoi ucciderci. Da questa notte niente potrà più ferirti figlio mio. _Cosa sono ora? Cosa mi hai fatto diventare? Perché sento questa stana… sete? Perché ogni persona ha questa strana… _...attrattiva. _... si.
_ Andremo a caccia ora. Sai bene di cosa
dovrai nutrirti d’ora in poi.
_Il sangue umano è il nostro solo ed unico
nutrimento. _Si. Oh, non far finta di nulla, ne senti l’odore. Avverti anche il battito del cuore dei bambini che dormono nelle loro case. Senti il profumo inebriante di chi ti passa accanto e ogni secondo che passa hai sempre più sete, perché sei un novellino delizioso ed è così che deve essere.
Quella consapevolezza…
Io nutrirmi di una persona? Mi avventai su di lui, strattonandolo, riuscendo a smuoverlo. La mia forza, era aumentata a dismisura. Rise.
_Era da notti che ti seguivo… era da molte
notti che ti avevo notato… così bello, così forte, così pieno d’amore per
tutto, con un passato così duro, con una tristezza dentro alleviata soltanto
dall’affetto per quella ragazza…E ti ho scelto per questo, ti ho scelto
perché ami! Per chi è come noi la solitudine è un fardello che si porta
dietro per decenni, millenni… Sono molto più vecchio di quello che immagini.
Ho vissuto molto più a lungo di una persona comune. _Non hai più una vita. Ti ho donato l’immortalità._ disse allargando le braccia_ ora lasciami. Siamo in mezzo alla strada, ci guardano tutti. Ero sconvolto! Scappai via. Corsi, corsi senza sentire alcuna fatica, senza stancarmi mai, corsi per paura e per angoscia. Ero così veloce. Mi fermai cadendo. Ero finito in un vicolo buio.
Mi irrigidii.
I miei sensi si affinarono.
Ero un animale affamato, una belva feroce.
Percepivo chiaramente un uomo nell’ombra.
Vidi immagini di luoghi mai visti, volti sconosciuti. Cosa stava succedendo? Erano i pensieri di quell’uomo…
Gli stavo leggendo nella mente!
L’uomo si avvicinò; barcollava. Era ubriaco. Non passò che un istante prima che mi avventassi su di lui, su quel corpo fatto di sangue.
Sangue Sangue Sangue Oh, si la mia sete veniva appagata!
Stavo squarciando la gola di quel pover’uomo, senza delicatezza, con foga, furia…
FAME.
E più bevevo più mi sentivo forte.
Mi sentivo pieno di vita, sentivo il sangue scorrermi nelle vene, caldo e dissetante.
Ero tremendamente eccitato; il sangue mi eccitava. Mi scaldava.
Vedevo immagini mentre bevevo.
Vedevo fotogrammi della vita di quell’uomo, percepivo i suoi pensieri, i suoi sentimenti, la sua paura, i suoi sogni infranti, le sue speranze, le sue disillusioni, ogni cosa.
Ero quell’uomo in quel momento.
Venni staccato violentemente da quel corpo caldo e appagante. Ci vollero parecchi secondi prima che mi riprendessi dalla trans in cui ero piombato. Tutti quei colori… Avevo… ucciso quella persona. Avevo ucciso un essere umano. Arrivò Melit piombando dal cielo, che mi guardava con aria di rimprovero, come fossi stato un bambino che aveva fatto qualcosa che non andava. _Andrea, Andrea… non puoi uccidere la prima persona che capita, devi stare attento, devi essere sicuro che nessuno ti veda. E poi, oh santo cielo, non puoi sprecare tutto quel sangue!_ era vero, io, la vittima, i nostri abiti, erano tutti sporchi di sangue_ devi fare più attenzione, una prelibatezza del genere non va sprecata_ disse, e prese una mia mano nella sua per poter leccare le mie dita imbrattate _E poi devi fermarti prima che il cuore smetta di battere. Altrimenti la morte porta via anche te. Ricapitolando calma, attenzione e prudenza, mi sono spiegato? Non dissi nulla. Rimasi per terra, con lo sguardo nel vuoto. Piansi. Tentai di asciugare quel pianto intenso, ma qualcosa mi terrorizzò. Vedevo una patina rossa davanti ai miei occhi mentre piangevo. Non capivo…poi capii… erano le mie lacrime quelle.
Io piangevo sangue!
Questa scoperta mi paralizzò forse più del fatto che dovevo uccidere per nutrirmi. Credo che le mie lacrime di sangue sottolineassero proprio il modo ripugnante in cui dovevo nutrirmi da quel momento in poi.
Non lo sopportavo. Guardai il mio Creatore
negli occhi. _Sono stato io a crearti. Se prima per me eri come un libro aperto e riuscivo a leggere i tuoi pensieri con estrema facilità, ora le nostri menti sono divise per sempre. Sei sconvolto per le tue lacrime di sangue? Stai tremando.
Ringhia e gli saltai addosso, atterrandolo.
_Non sono tuoi simili mon petit._ disse senza
scomporsi e mi colpì violentemente con la mano, facendomi rotolare a
parecchi metri di distanza_ Sei un predatore ora. Il più pericoloso che
esista. Non considerarli più tuoi fratelli. Gli saltai di nuovo addosso, e ci rotolammo nel vicolo, picchiandoci, insultandoci, piangendo tutta l’amarezza e il senso di inevitabilità che sentivo dentro. Fino a che mi sottomise col suo corpo; ero troppo stanco e amareggiato per poter continuare quell’assurda lotta, dove lui era molto più forte di me. Con un pezzo di vetro mi ferì la gola. Il taglio si richiuse istantaneamente. _Non puoi uccidermi Andrea. Non puoi. E non provare mai più a mancarmi così di rispetto. Sei mio ora, mio figlio, la mia creatura e come tale dovrai comportarti. Sii un figlio ubbidiente e sii grato perché ti ho fatto.
Tornammo nella sua dimora. Mi mise nudo davanti a un lungo specchio dalla massiccia cornice dorata e si posizionò dietro di me, accarezzandomi i fianchi. _Lo vedi come sei splendido?_ disse carezzandomi l’orecchio con il suo alito caldo e rassicurante_ sei magnifico._ mi accarezzai il viso. Era lo stesso ma allo stesso tempo era cambiato. La mia pelle non era più colorita, ma bianca, cerea. Esangue. Ed era fredda, il mio corpo non era più tiepido come quello di ogni essere umano ma si era improvvisamente freddato. Portai una mano sulla parte sinistra del petto.
Avevo ancora un cuore? Perché era come se non ci fosse, il mio cuore non batteva più.
_No. Ma non sei neppure vivo. Non sei più un essere umano pur continuando ad esserlo. Piangi ancora?_ Attraverso il mio riflesso nello specchio vedevo due sottili rivoli di sangue segnare le mie gote perlacee. Il contrasto mi distrusse. Sentivo di essere un’altra cosa rispetto a quello che ero sempre stato. Egli mi strinse da dietro._ Hai ancora un’anima umana. Sei consapevole di ciò che sei ma non riesci ad accettarlo. Provi il dolore in maniera più intensa di qualsiasi altra creatura al mondo perché sei un vampiro e non c’è niente che possa lenire questa sofferenza se non la cosa da cui sei più spaventato: il sangue.
Lo odiavo. Indubbiamente. Lo odiavo con tutto me stesso, con un’intensità che non avevo mai provato in tutta la mia giovane vita.
Ma lui era come me. Lui poteva capirmi, lui sapeva cosa provavo.
Non mi respinse, anzi, era tutto ciò che voleva, un compagno da avere con sé per l’eternità, perché essa, per lui, era ormai divenuta insopportabile; l’unica compagna silenziosa che per 500 anni lo aveva tormentato col proprio peso.
Ero così sorpreso di sapere quanto fosse vecchio. L’immortalità è qualcosa che mi spiegò quella stessa notte. Viviamo per sempre, non c’è nulla che possa ucciderci se non il sole ed il fuoco. Per il resto siamo immuni da tutto. Le malattie ci sfiorano senza contaminarci, non ci nutriamo d’altro che di sangue. E questo è il nostro solo appagamento e la nostra condanna. Non posso morire neppure volendolo eppure spesso l’ho desiderato. Ma sto divagando…
Quei feretri terribili e claustrofobici sono
indispensabili per noi durante il giorno, per difenderci dai mortali raggi
solari. Impazzii quando capii, a un passo dall’alba, che dovevo entrarci
dentro. _Devi entrarci. Non devi aver paura, io sarò in quella accano a te; il mondo è tuo, niente deve spaventarti. _NO NO! _ero fuori di me. _Ragazzino viziato che non sei altro, entra là dentro! Ne va della tua sopravvivenza, quindi entra senza fare storie! Idiota d’un vampiro! _Non entrerò mai in una BARA!_ dissi calcando bene sull’ultima parola. Lui si spazientì e mi chiuse dentro a forza e una volta chiuso il pesante coperchio di legno inizia a battere forte con i pugni dall’interno. _APRIMI!! APRIMI! NON VOGLIO STARE QUA DENTRO, APRI SUBITO! MALEDETTO APRI, E’ UNA BARA, E’ UNA BARA OH, MIO DIO, APRI! Non aprì. Passai il giorno là dentro, piangendo come una bambino. Mi spaventava il buio, lo spazio angusto. Ma dopo poco tempo venni colto dalla sonnolenza e mi addormentati senza accorgermene, piombando in un profondo sonno senza sogni.
Dopo quella prima notte iniziai la mia vita di novello vampiro. Restai con Melit che mi insegnò ogni cosa. Che la nostra forza era molto superiore a quella degli esseri umani; che dovevo stare attento, perché se mi lascio troppo andare loro possono capire che non sono quello che sembro. Mi insegnò a cacciare con eleganza, con classe; tentavo di non far soffrire la mia vittima, benché lui non concedeva loro questa “gentilezza” e uccidesse con ferocia, godendo della paura della sua ostia. Io invece mentre mi nutro mostro alla mia vittima immagini dolci, tento di non farle temere il momento, di addolcire la sua morte…Tutto ciò non mi redime, ma cosa posso fare? E’ la mia natura, ho dovuto imparare a conviverci sebbene non ci si abitui mai. Il mio Creatore amava Parigi. Mi ci portò grazie al potere del volo che io acquisii solo moto tempo dopo. Diceva che Parigi era l’unica città ad avergli rubato il cuore. Era nato li ancor prima che la capitale francese prendesse quel nome. Passai con lui cinque anni, amandolo ed odiandolo, lui divenne il mio tormento e la mia sola consolazione. Lo odiavo per ciò a cui mi aveva condannato; ma come lo amavo in quelle notti vuote, uguali a tutte le altre, quando piangevo in solitudine, rimpiangendo la mia vita mortale, maledicendo ciò che ero, e lui saliva sul mio letto, stringendomi a sé e cullandomi mi baciava e accarezzava e ripeteva che mi amava e che lo avrebbe fatto in eterno.
Pensavo sempre a Bella. La mia Bella dai dolci occhi di laguna. Solo una notte, dopo un mese di assenza mi presentai a lei, entrando furtivamente nella sua casa mentre era stesa sul letto, addormentata, con gli occhi bagnati di lacrime.
Com’era bella… e come doveva soffrire per la
mia improvvisa scomparsa. Come vampiro riuscivo a percepire l’amore
fortissimo che la legava a me e inconsciamente ne fui compiaciuto. Mi
inginocchiai accanto al suo letto e le posai una mano sulla guancia morbida.
Quella casa era ai miei occhi più meravigliosa di qualsiasi lusso in cui avevo vissuto in quell’ultimo mese. Quel luogo era nostro, sapeva di noi, del nostro amore e delle nostre promesse. Promesse che non avrei potuto più mantenere. Quanto mi mancava… Si svegliò. Dapprima rimase a fissarmi nella penombra, confusa. La luna la illuminava.
Sembrava una dea.
_Andrea!? _Bella… _Oh, Andrea! Si gettò al mio collo, urlando, piangendo, sentivo la sua felicità, il suo sollievo. L’avevo così, tremante e felice tra le braccia, così umana e fragile. La scostai da me. _Bella. _Dove sei stato?! Sei sparito! Nessuno sapeva dov’eri! Andrea, amore mio, sei tornato, credevo mi avessi abbandonata per sempre! La guardai intensamente. Il suo viso raggiante, privo delle ombre di pochi istanti prima, con delle occhiaie accentuate, a simboleggiare le sue notti insonni, mentre mi pensava e si chiedeva dov’ero o se mi fosse successo qualcosa. Asciugai con le dita le sue ciglia bagnate; prese la mia mano tra le sue piccole e calde. _Sei così freddo... dove sei stato?
_Tesoro non posso restare. Sorrisi. _Non posso mia adorata, io non sono più colui che amavi. _Non dire stupidaggini, sei il mio Andrea e sei tornato da me!
_Perché mi mancavi e per dirti addio mia
adorata. _ assunse un’espressione orribile. A stento tratteneva le lacrime.
Leggevo nella sua mente le domande che si poneva, il dolore che provava…
smisi di leggerla. Mi parve un sacrilegio profanarla così. _ Sono diverso
ora. Non sono più un uomo normale. Mi hanno trasformato in una gelida statua
assassina. Non posso starti più accanto. _Continuerò ad amarti per l’eternità amore mio, visto che essa è l’unica cosa che mi resta ormai. _Non ti seguo vita mia! _Lo so._ mi avvicinai per baciarla e a contatto con le mie labbra gelide rabbrividì_ sei bella come il primo giorno che ti ho vista…
Si strinse al mio mantello. _NO!_ mi calmai_ no. Io non POSSO stare con te, ma vorrei, è l’unica cosa che vorrei, tornare alla mia precedente vita, con te. Mia cara devi continuare a vivere mi hai capito? So che possono sembrarti crudeli e insensibili le mie parole, ma devi farti una vita. Trova qualcun altro da amare e che ti ami. Io non posso più… Quanto dolore provai nel dirle quelle cose… e sapevo che la stavo ferendo a morte, ma non avevo scelta. Mi fissò sconvolta. Non riuscì più a frenare le lacrime. _Pronunci tali parole senza batter ciglio… come hai potuto…smettere di amarmi…_ disse a bassa voce. _Non ho smesso. Mi bloccai. Melit era lì fuori, che mi attendeva.
E iniziavo ad aver fame. Che sciocco ad andare
da lei senza essermi nutrito prima. _Aspetta! Mi afferrò per un braccio. Mi voltai a guardarla, facendo forza su me stesso per non crollare. Mi fissava negli occhi, probabilmente capendo che non ero più l’Andrea che aveva amato e che ancora amava. Lentamente mi lasciò ed io scivolai via nell’ombra, raggiungendo l’artefice della mia pena. Mi consolò tutta la notte, accarezzandomi e riempiendomi di baci, asciugando con le labbra le mie lacrime di sangue.
Per tutto il tempo che restai con lui imparai tante cose e potenziai le mie nuove capacità.
Portai in casa un fanciullo, un ragazzo che avevo scelto come mia vittima. Appena entrato nella villa egli corse verso l’immenso camino che vedi qua a fianco e tese le mani verso il fuoco per scaldarsi. Mi fece tanta tenerezza il bocconcino prelibato che avevo scelto come primo piatto quella sera. Perché si, mi capitava di uccidere anche più persone in una notte. Non mi trattenni. Lo raggiunsi e lo abbraccia, lo baciai sulla bocca costringendolo a stare in punta di piedi; accarezzai i suoi ricci castani e lo trascinai dolcemente sul letto, prendendo a baciargli il viso, affamato di sangue e di amore. Mi feci sopra di lui, sovrastandolo come un’amante. In quel momento Melit irruppe nella stanza. _Non innamorarti di ogni tua vittima. Finirai solo col soffrire. Risi fragorosamente. Lo guardai. _Io sono sofferenza Melit! Si appoggiò allo stipite della porta incrociando le braccia sul petto. Era vestito di blu quella sera. Era impeccabile.
_Piantala di giocare Andrea. Non può amarti
come speri, tu sei il cacciatore e lui la preda. E come potevo pretendere amore io? Io che ero e sono morte? Ruggii e lo baciai sulla bocca, di prepotenza, infilando la mia lingua nella sua, pronto a ferirgli la glossa e a succhiargli il sangue da lì, uccidendolo così, in un bacio! Stavo per farlo. Ma non lo feci. Mi alzai strattonandolo verso l’uscita. _Vattene. Il ragazzo esitò un istante poi fuggì. Melit rise.
_Non avresti dovuto lasciarlo andare. Potrebbe
raccontare ciò che ha sentito… ciò che ha visto. La notte dopo mi ritrovai a camminare nel parco della villa, meditando sul dubbio senso della mia esistenza, quando sentii un odore fetido. Dietro un cespuglio c’erano due uomini morti da non più di un giorno, sicuramente vittime di Melit, che una notte sapeva essere preciso ed elegante da seppellire la sua vittima, quella dopo talmente irrispettoso da gettarla dove capitava. Ma una delle due vittime era il ragazzo della notte precedente, quello che per un istante avevo amato nella sua innocente bellezza e nella sua fragilità e che in un puro gesto di pietà avevo risparmiato. In segreto lo avevo visto vivere e crescere e diventare un uomo forte e dalla peculiare beltà.
E lui l’aveva ucciso, l’aveva amato nell’assassinio, l’aveva torturato ed ucciso.
Persi la testa.
Lo trovai in casa, intento a scrivere una lettera indirizzata a chissà chi. Ha forse amici un vampiro? E lo presi per il bavero del mantello e lo strattonai, gettandolo per terra, furioso come non mai. _L’hai ucciso tu! _Chi? _Non fare l’innocente lurido figlio di puttana! _Parlo del moccioso di ieri sera? Non ti sei perso nulla… non aveva tutto questo gran sapore e nessuna esperienza interessante da assimilare.
_Sei un cane. L’hai ucciso perché lo amavo,
l’hai ucciso perché per quel solo unico istante io l’ho amato e sei
impazzito di gelosia! Avevi paura che volessi trasformarlo, avevi paura che
ti lasciassi per lui! Beh io ti lascio adesso caro Melit!_ mi voltai Si alzò dalla sedia. _Oh si che posso e lo sto facendo. _Ehi aspetta! Sono il solo che conosci. Sei solo senza me! Mi si avvicinò; mi voltai per guardarlo dritto negli occhi. _Non resterò un minuto di più in questa casa, non ci resto qui con te!
Uscii fuori, senza prendere niente con me.
D’altronde non avevo nulla che fosse materialmente mio. Si affacciò dalla
finestra e mi urlò contro, nel vento. Era sconvolto, dal tono della sua voce sono sicuro che piangesse. Non l’avevo mai visto farlo. Ma neppure mi costrinse con la forza a rimanere; sapeva di avermi affrontato nella maniera sbagliata questa volta, con i miei sentimenti non bisogna scherzare. Sono la cosa a cui sono più sensibile.
Da allora visitai ogni luogo esistente, conobbi gente buona e malvagia.
Iniziai a star male uccidendo, a provare
sensazioni che mai avevo provato. I fantasmi di quelli che uccidevo mi
perseguitavano nei sogni. Il senso di colpa mi opprimeva, mi uccideva! Incontrai altri della mia specie, con alcuni ebbi scontri, da altri conforto. Ho visto scorrere sotto i miei occhi epoche su epoche. Ho vissuto l’intero Rinascimento, ho visto e amato le differenze tra il primo e il maturo, ho avuto l’onore di conoscere il maestro Da Vinci, che non ancora “il maestro”, una volta tentò di sedurmi potrei aggiungere sorridendo e il grande Botticelli che dipinse la sua famosissima Venere dopo che ebbe ascoltato la mia descrizione di Bella e potrei giurare che s’ispirò a lei. Mi affascinò il carattere impetuoso e sicuro di Tiziano, che per un lungo periodo fu sovrano incontrastato dell’arte veneziana. Non credo ci siano luoghi che io non abbia visto ma quelli che ricordo con più amore sono Tokyo, Parigi, la meravigliosa Venezia ed il suo splendore dell’era rinascimentale e Roma. Ma quella che amo di più è certamente la mia Roma. L’ho vista cambiare così tante volte, eppure lei rimane sempre la stessa, a guardarmi coi suoi impareggiabili tramonti e la sua storia costruita passo dopo passo, affrontando tutto e resistendo, arrivando fino a questi freddi giorni del ventunesimo secolo. Mi piacerebbe raccontarti di quando vissi nell’affascinante Giappone o nella mia Venezia, che amo quasi al pari di Roma e parlarti delle opere meravigliose che ho visto, delle persone che ho conosciuto… però non basterebbe una notte per raccontarti la mia vita giovane Demian. Voglio raccontarti solo un altro piccolo, frammento della mia lunghissima esistenza. Tornai a Roma dieci anni dopo. Il mio Creatore non era più qui. Però qualcosa mi costrinse a cercare Bella con la mente… la trovai facilmente. Ora viveva in una piccola casa ai margini del bosco. La luce era accesa al suo interno. Sbirciai per vederla lì, con qualche anno in più, il suo viso aveva solo iniziato ad ospitare le primissime rughe che non la imbruttivano affatto, anzi, l’essere divenuta una donna adulta l’aveva resa ancora più affascinante di quanto era mai stata. Stava rammendando, seduta su una sedia, il viso stanco manteneva ancora intatta la sua dolcezza. Un bambino giocava a terra, un bambino di circa cinque anni. E c’era un uomo, suo marito che riparava la gamba del tavolo rovinato, lo stesso della vecchia casa di lei. Non resistetti e le lessi nella mente. Aveva sposato l’uomo dal viso gentile, di sette anni più grande di lei, cinque anni dopo la mia scomparsa. Mi aveva rimpianto molto, ma ora era felice con lui e col figlio che le aveva dato, Enrico. Lessi però nella sua mente un desiderio proibito. Desiderava avere avuto un figlio da me, così avrebbe potuto ricordarmi sempre e rimirarmi nei suoi occhi. Un sogno ingiusto verso il suo sposo che l’amava profondamente. Alzò gli occhi. Mi ritrassi subito. Lei venne ad affacciarci alla finestra. Dio com’era bella… Suo marito la chiamò. Lei scrutò meglio nel buio fuori dalla casa e raggiunse il suo uomo.
Non la rividi mai più.
Sorrisi nascosto nell’ombra. Si era fatta una vita ed era serena.
Ero sinceramente felice.
Ecco credo che questo possa bastarti come storia… sei il primo a cui la racconto e credimi ti racconterei dell’altro, ma come ti ho già detto una notte non basta. Sono curioso di sapere cosa ne pensi piccolo Demian… della mia esistenza.
Continua…
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