Ta daaaa!! Ecco il primo capitolo di questa mia nuova storia. Mi sta prendendo moltissimo e ci sto mettendo davvero tantissimo impegno! Quindi spero come al solito nei vostri commenti! Negativi o positivi che siano!  I prologhi lasciano sempre un pò a bocca asciutta, ma spero che adesso sarete soddisfatti.  Il pezzo introduttivo del capitolo non è opera mia ma mi sembrava una poesia adatta alla storia. Si intitola "L'angelo Nero". Ringrazio chi l'ha scritta.
 


 


 

 

Amore Immortale

 

parte I

 

di Vikysweetgirl

 


 

L'angelo nero è tornato a bussare alla mia porta
È entrato senza che me ne accorgessi
Nel silenzio assoluto dei suoi passi inesistenti
avvolgendomi con il suo manto
fatto di fumo e di tenebra.
Muta creatura della notte più buia
mi ha presa senza che un lamento
venisse fuori dalle mie labbra gelide
bianche come la cera…
Sono anch'io una creatura della notte
una sorta di vampiro
assetato di vita.
Voglio solo fuggire via, nell'oscurità,
spiegare le mie ali di pipistrello
e volare lontano, nella notte che amo
verso il mio oscuro e maligno sposo
e nel suo abbraccio mortale
poter riposare……
………Per sempre………

 

 

 

 

 

-Incontro con un vampiro-

 

  Si sentiva intorpidito.

Aveva ancora gli occhi chiusi anche se aveva appena ripreso conoscenza; tentò di muoversi ma il risultato fu solo quello di sentire in un istante, dolore in tutto il corpo. Ogni suo osso, ogni suo muscolo gridava.  Lasciò andare un sospiro ed aprì gli occhi guardando il soffitto. Dove si trovava? Qualcuno aveva evidentemente avuto pietà di lui. Il ragazzo guardò sotto le coperte. Aveva dei panni diversi addosso e qualche fasciatura qua e là. Era un sollievo sentirsi asciutto dopo tutto quel tempo sotto la pioggia, sotto i colpi di quei malviventi, che sulla pelle umida facevano ancora più male. Si chiedeva chi fosse stato a portarlo in quel luogo caldo; si guardò attorno. La stanza sembrava quella di un palazzo ottocentesco, anche se c’era poca luce e non riusciva a studiarne i particolari. Fuori dalla portafinestra, dietro le spesse tende da cui proveniva un fioco bagliore lunare, doveva esserci persino un ampio balcone. Chissà a chi apparteneva quell’accogliente dimora. Il suo sguardo si posò sul fuoco dell’imponente camino; il suo calore era così piacevole. Alzò lo sguardo, sentendo dei passi. Tentò di mettersi a sedere, trattenendo gemiti di dolore.

_Non sforzatevi. Non siete messo affatto bene.

Il giovane trasalì al suono di quella voce. Il timbro del misterioso uomo era caldo e suadente, profondo e rassicurante.

Una vera voce maschile!

Di quella persona riusciva solo a distinguere una sagoma indefinita.

_Io…d-dove sono?_ farfugliò il rosso, accorgendosi che la propria voce era innaturalmente rauca, allora tossì un paio di volte per tentare di migliorarla.

_Siete nel mio palazzo, non volevo portarvici senza chiedere prima il vostro consenso, ma eravate privo di sensi e in una situazione poco piacevole._ l’uomo aveva parlato con estrema fluidità; si notava una certa educazione nel suo modo di esprimersi.

_In un palazzo?! _esclamò il ragazzo sbalordito_ Dove…da quanto tempo…

_Avete dormito quattro ore.

_Non volevo darti disturbo. E poi non so se sia valsa la pena prendersi cura di me._ disse il ragazzo abbassando lo sguardo per poi rialzarlo curioso_ puoi avvicinarti? Sei totalmente in ombra, non riesco a vederti.

Il misterioso uomo esitò per un istante, ma poi lentamente si fece avanti. C’era silenzio nella stanza, a parte il rumore prodotto dai passi del padrone di casa; egli entro lentamente nel fascio di luce selenico.

 

Il ragazzo scattò all’indietro.


Era paura?

 

O…meraviglia?

 

L’uomo che gli si trovava di fronte era diverso da chiunque altro il giovane avesse mai visto. Non riusciva a definirne l’età. Il volto, cereo ed eccessivamente luminoso, non mostrava alcuna ruga, nemmeno espressiva, nonostante ciò quel volto era MOLTO espressivo. Quel pallore innaturale era sconvolgente. Un uomo non può esserlo a tal punto…può esserlo solo…un cadavere! I suoi occhi erano azzurri, intensi, cangianti, così penetranti da togliere il fiato. Ne derivava uno sguardo profondo e tagliente. Lisci capelli corvini, gli ricadevano sulla fronte scoperta e sulle spalle. Lo sconosciuto era totalmente vestito di nero: indossava stretti jeans, stivali in pelle alti fino al ginocchio, una maglia aderente, una cintura sui fianchi; sulle spalle un mantello morbido.  

Quell’essere emanava un’aura stranissima, allettante, singolare e uno strano segnale arrivava invisibile ai sensi del ragazzo, un segnale percepito dal suo naturale istinto animale.

 

Pericolo.

 

Lui iniziò ad avvicinarsi al letto, con passo sicuro, lentamente, come se temesse di spaventarlo.

Beh troppo tardi! Il giovane rosso non si sentiva a suo agio in quella stanza, davanti agli occhi di quell’uomo inconsueto. Il cuore gli batteva forte, come se corresse un imminente pericolo. Ma egli l’aveva salvato, perché averne timore? L’uomo in nero si fermo improvvisamente e il rosso sobbalzò.

_Dunque avete gli occhi verdi.

_Come…?_ chiese il ragazzo cadendo dalle nuvole.

_I vostri occhi…sono dunque verdi. Somigliano al bosco in autunno, quando il cielo è grigio, l’atmosfera fresca e pesante e la selva risplende delle gocce d’acqua rimaste dopo una tempesta, sulle foglie di ogni singolo albero. Si…esattamente quel verde.

L’uomo stava parlando fissando negli occhi il ragazzo, con voce bassa, roca, esprimendo intensamente quel pensiero.

Il ragazzo lo osservava a bocca aperta, braccato dagli occhi dell’altro.
_Emh…ma cosa stai dicendo?!_ chiese il giovane.

_Qual’è il vostro nome?

_Io…mi chiamo Demian.

_Demian..._ l’uomo iniziò a camminare avanti e indietro, continuando a fissare con interesse il ragazzo. Spariva quando piombava in zone buie e ricompariva quando era investito dalla luce._ ha la stessa radice di “demone”. Avete un bellissimo nome.
_Ma cosa stai dicendo?! E perché continui a darmi del voi? Non ci sto capendo più niente! Sei un poeta? Un professore?

_Ne l’uno né l’altro giovane Demian.

_Allora chi sei? Sei…Dio, sei così pallido! Ti senti bene?

_Fin troppo bene, temo…
Demian si alzò di scatto dal letto, un po’ irritato dal comportamento strano dell’individuo. Sentì subito dolori lancinanti ovunque, ma continuò comunque a camminare, fino a trovarsi di fronte all’altro.

Quell’uomo era almeno dieci centimetri più alto di lui.

Si sentiva improvvisamente così piccolo!

Alzò la testa, guardandolo in viso. Accidenti, sembrava ancora più bianco visto così da vicino. E i suoi occhi erano troppo cangianti, troppo brillanti nel buio della stanza. Non sembrava neanche umano.

_Non sbagliate.

_Eh?_ chiese Demian senza capire.

L’individuo sorrise all’espressione dell’altro.
_Se siete in grado di alzarvi, forse non è il caso che rimaniate oltre. Posso farvi portare ovunque desideriate.

_Ditemi…ditemi chi siete.

Detto questo il ragazzo afferrò un polso dell’altro, prima di riuscire a trattenersi.

 

Panico.

 

Il ragazzo si staccò improvvisamente da quel corpo, come se fosse stato bruciato da tizzoni ardenti.

 

Quell’essere era freddo come il ghiaccio!

Sospirava impaurito, portandosi la mano al petto, come fosse ferita.
_Ma…t…tu…_balbettò il giovane_ sei…freddissimo, sei…sembri…morto!

L’essere si oscurò in volto.
_Andate via da qui._ disse deciso.

Demian stava iniziando ad avere paura. Quel colorito, quella pelle gelida…erano innaturali!

Non se lo lasciò ripetere due volte, uscì dalla stanza, senza guardarsi intorno, cercando solo l’uscita, disorientato. D’un tratto qualcosa gli piombo addosso avvolgendolo con un manto morbido e Demian non vide più niente. Nell’arco di un paio di secondi, la coltre che aveva spento la luce era sparita senza che se ne accorgesse e ora si guardò attorno. Si trovava in un vicolo; era ancora buio. In qualche modo si trovava fuori da quella dimora. Ma dove? Uscì dal vicolo. Roma si apriva davanti a lui, avvolgendolo con la sua magica e malinconica atmosfera. Piazza di Spagna lo abbracciò cordiale, come ogni volta, diffondendo in lui sicurezza. Sorrise. La Fontana della Barcaccia stillava la sua acqua eterna, porgendo omaggio ai piedi della scalinata di Trinità dei Monti.  Nella piazza c’erano solo una guardia e due innamorati, seduti accanto alla fontana. Era piacevole essere lì, a quell’ora, a gustarsi quel luogo incantato, senza i milioni di turisti che ogni giorno, persino d’inverno, accorrevano ad ammirare la Città Eterna.

 Il giovane si guardò. Ora indossava dei semplici pantaloni giallastri di cotone ed una maglia dello stesso colore e dello stesso materiale. Si accorse di non portare nessun tipo di calzatura; i suoi piedi erano coperti solo da dei soffici calzini. Sospirò e si mise a camminare.

 

Camminò così tanto da non capire più nemmeno dove si trovava. Nessuna casa, nessun’automobile, solo una stretta strada, gli alberi e le  stelle. Si sentiva stanco, il corpo gli doleva e gli girava anche la testa. Si sedette su un masso poco distante e poggiò i gomiti sulle gambe e il viso sui palmi delle mani. Quanto tempo era passato...due ore?

Non sapeva dove andare, non sapeva nemmeno dove era capitato e come tornare agli scenari  romani a lui più familiari.  Si ridestò dai propri pensieri quando sentì il rombo di un automobile. Questa venne parcheggiata sull’erba, in malo modo, il motore si spense. Demian vide scendere dalla vecchia Peugeot bianca un uomo grassoccio, che aveva indubbiamente superato la mezza età da un pezzo; gli venne incontro, sistemandosi gli occhiali squadrati sul naso, i capelli brizzolati che spiccavano sulla sua pelle abbronzata.
_Ciao ragazzo…cosa fai tutto solo?_ chiese l’uomo con un ghigno sul volto. Il giovane non rispose, si limitò a guardare l’individuo con sguardo confuso_ vieni, sali sulla mia auto…fa molto freddo…_ detto questo l’uomo si abbassò, posando una mano sulla coscia del rosso che capì immediatamente le intenzioni dell’altro.

Demian sentì che il vento aveva cambiato direzione.

Si voltò, stupendosi di trovare ad un passo da lui, l’essere che l’aveva portato nel proprio sontuoso palazzo.

L’anziano uomo s’irrito per quella intrusione e assunse un’espressione stizzita. Non fece nemmeno in tempo a parlare, perché venne anticipato dalla misteriosa creatura dagli occhi iridescenti.

_Vattene immediatamente, sbrigati.

Disse egli con tono minaccioso.

L’uomo, consapevole di essere nel torto, si allontanò imprecando e ripartì rumorosamente sulla propria auto.

Demian si alzò in piedi, trovandosi faccia a faccia con l’altro che lo osservava.

Stranamente, non sentì montare in lui la paura di qualche ora prima.

_Da un po’ di tempo non fai che salvarmi…_ disse il rosso ironico_ si può sapere cosa sei…chi sei?!

L’essere rise sommessamente.
_Non vi hanno insegnato a ringraziare?_ pronunciò con la sua voce chiara e decisa.
Demian incrociò le braccia  sul petto.
_Beh, cosa ti fa credere che corressi qualche pericolo? Avevo tutta la situazione sotto controllo.
Lui scosse la testa sorridendo.
_Voi non sapete quanto erano perversi i pensieri di quell’uomo…

_Perchè, tu lo sai…?

L’individuo rimase in silenzio ed iniziò ad incamminarsi.
_Venite. Invitarvi ad andarvene nelle vostre condizioni e senza degli indumenti adeguati è stata una mancanza imperdonabile da parte mia. Torniamo nella mia casa.

_Ah, certo, se tu quella la chiami casa! Non vengo con te finché non mi dici chi sei e come fai a sapere sempre dove mi trovo! Mi segui forse? Ehi mi ascolti?! E poi piantala di darmi del voi!

L’essere si fermò per voltarsi a guardare il ragazzo.
_A volte mi lascio andare.

_E questo cosa vorrebbe dire?!

_Niente. Andiamo ora. E’ una nottata fredda._ Lo sguardo dell’uomo si posò sui piedi di Demian_ ma siete senza scarpe.

_Te ne accorgi ora?_ Senza dire una parola, l’altro gli si avvicinò paurosamente, facendolo indietreggiare in automatico; lo prese in braccio come si farebbe con un bambino piccolo, con una mano sulla sua schiena e l’altra negli incavi delle ginocchia_ ma…!!

_Chiudete gli occhi._ lo strinse a sé.

Demian poté solo sospirare, perché immediatamente si sentì leggero; l’altro lo coprì col proprio mantello, dopodiché il rossino poté solo sentire lo sferzare del vento gelido addosso.

Un istante dopo tutto cessò. Il ragazzo venne liberato dal manto e riaprì lentamente gli occhi.
_Tutto bene?
Gli chiese l’altro con la sua voce profonda.

_Ma…cosa è successo?

_Siamo a casa ora.

_M-mettimi giù!

L’altro obbedì. Demian gli voltò le spalle, incrociando le braccia sul petto.
Ponetemi pure le vostre domande.

Il ragazzo sussultò e si voltò. Aveva riconosciuto la voce del suo misterioso salvatore.

 

Ma l’aveva sentita lontana…nella testa.

 

_Cosa…

_Vi prendo dei vestiti più adatti. Poi potrete pormi tutte le domande che desiderate.
_Aspetta! Come ti chiami?
_...Andrea.

Chissà perché Demian si aspettava un nome diverso. Questo nome era così dolce, così…comune.

 

L’essere sparì, così il rossino poté guardarsi bene attorno. Il fuoco di un camino spettacolare, scaldava la stanza e rendeva l’atmosfera pesante e densa di colori che sembravano appartenere ad un’altra epoca. Era una sala da pranzo enorme, con un lungo tavolo di legno pregiato, sulle pareti erano appesi molti quadri, tutti appartenenti all’era rinascimentale e manierista.

_Conoscete la storia dell’arte?
Demian sobbalzò sentendo la voce di Andrea, che era ritornato.

_Ecco…si…è l’unica materia che abbia mai studiato a scuola.

L’altro sorrise.

_Come mai un diciassettenne come voi, gira per le bellissime quanto pericolose strade di Roma, finendo aggredito in continuazione da pervertiti d’ogni sorta?

_Ma io…come sapete la mia età?!

_Un giovanissimo. Dovreste fare più attenzione.  

_Ehi, ehi, cos’è una predica? E poi sono io quello che deve fare le domande no? Limitati a rispondere per favore!
_Sfacciato e ingrato. Sbrigatevi ad indossare questi.

Disse lanciandogli degli indumenti e un paio di scarpe.

Demian assunse un’espressione corrucciata e imbronciando le labbra iniziò a spogliarsi.

 

Andrea seguì con lo sguardo ogni movimento, accarezzando le linee del suo corpo man mano che l’altro lo scopriva. Il giovane sembrava essere appena uscito da uno dei dipinti appesi al muro: aveva la pelle chiarissima, la linea delle spalle decisa e ossuta; il collo era morbido, gli addominali quasi invisibili, i capezzoli rosa. Sul suo corpo non vi erano ancora gli attributi secondari di un uomo, infatti era completamente glabro. Il moro sospirò silenziosamente non appena il giovane si tolse gli slip. Il membro rilassato ciondolava tra le sue gambe; si voltò e lui poté bearsi di natiche sode, piccole e perfette, che si aprivano appena mentre lui si abbassava…


Sublime!

 

Demian s’immobilizzò.

Aveva capito bene? Era stato l’altro a parlare?

Quel ronzio nella testa…ce l’aveva con lui?!
Sublime…

Il ragazzo arrossì e si sbrigò ad indossare i boxer che l’altro gli aveva dato, i jeans e la maglia scura, aderente, morbida, da mettere sotto una corta giacca di velluto blu. Tutto sembrava essere della sua misura.
Il moro sorrise.
_Vi stanno benissimo.
_Sin troppo bene direi…sono tutti della mia taglia!
_Ho fatto portare un po’ di indumenti mentre eravate privo di sensi.

_Ma...non sapevi nemmeno quanto sarei rimasto.

_Speravo…il più a lungo possibile.

Demian rimase ammutolito.
_Aspetta, non sarai anche tu una specie di maniaco, vero?
Andrea rise di gusto.
_No, assolutamente no. Anche volendo non potrei esserlo.
_E questo che vuol dire?!

_Sedetevi pure.

Il ragazzo non se lo fece ripetere due volte, e si sedé su una delle mastodontiche sedie di legno, ornate con drappi di seta rossa; l’altro fece lo stesso.

_Allora, ho ancora le mie domande!
_Ve l’ho promesso, risponderò.

_Bene. Quanti anni hai?
Andrea non si aspettava una domanda tanto semplice e al contempo così complicata. Sorrise.

_Non mi credereste mai.

_Mettimi alla prova.

_Non posso.

_E perché?

_Vi spaventereste.

Demian non riusciva a capire.

_Ok…prossima domanda. Come…com’è possibile che tua pelle sia così bianca e così fredda? È…TROPPO fredda. E i tuoi occhi…sono strani…bellissimi, si, ma…TROPPO belli! E come hai fatto a portarmi in Piazza di Spagna in due secondi? So che sei stato tu! E come abbiamo fatto a tornare qui in un istante?
_Piano, piano, piccolo curioso!_ esclamò l’altro divertito_ Una domanda alla volta…dunque…come potrei dirtelo senza spaventarvi?
_Più dici così più mi spavento.

Andrea fece una pausa, posò gli occhi sulle proprie mani unite sul tavolo; sembrava riflettere su ciò che stava per dire. Infine alzò lo sguardo, gli occhi in quelli dell’altro, come a volerlo incatenare a lui.

_Sono un vampiro.

Il silenzio aleggiò nell’aria per un arco di tempo interminabile; le parole di Andrea echeggiavano ancora nella testa di Demian, che con la bocca aperta, guardava l’altro senza sapere se ridere o arrabbiarsi.

_Ma che cazzo dici? Non prendermi in giro maledetto. Un vampiro…chi vuoi che creda a una cazzata simile? Se non ti ne sei accorto non ho più cinque anni!

_Vi avevo avvertito che non era una cosa a cui avreste creduto facilmente.

Demian ridacchiò.

_Vuoi farmi credere che ti nutri di sangue?
_Non voglio farvici credere. Io MI NUTRO di sangue.
_Certo…e dormi in una bara di giorno e puoi uscire solo di notte, vero?
_E’ esatto.

Demian si alzò dalla sedia di scatto, sentendosi preso in giro.
_Oh, ora smettila! Mi sono stancato. Il tuo pallore non è abbastanza per giustificare una cosa simile.
_Sapevo che non era una cosa a cui avreste creduto facilmente.

_E vorrei ben vedere…e smettila una buona volta di darmi del voi!

 

Un lieve spostamento di vento.

Il volto di Andrea a due centimetri da quello di Demian.

Il ragazzo trasalì e istintivamente saltò all’indietro, ma venne prontamente bloccato dall’altro che gli afferrò il polso.

Demian non riusciva a smuovere la mano chiusa su di lui nemmeno di un millimetro, sembrava che fosse rimasto prigioniero di una statua di marmo…dura e gelida.

Gemette.

Il misterioso individuo lo fissò negli occhi, le labbra socchiuse.

Sentiva il cuore del rosso battere freneticamente, la vena del suo polso premere contro le sue dita, il suo respiro spezzato e l’espressione terrorizzata.

_Ho fame di te. Ho fame del tuo sangue.
Demian sgranò gli occhi, le gambe iniziarono a tremargli. La sua mano venne accostata alle labbra dell’altro, che sfiorò il suo polso con la punta della lingua.

_BASTA! SMETTILA!_ gridò il ragazzo agghiacciato.

Andrea si ritrasse e lasciò libero l’altro, che indietreggiò accasciandosi contro la parete dietro di lui.

Lo sguardo del rossino su di egli, immobile.
_Tu sai che sono un vampiro. E lo percepisci con il naturale istinto di ogni animale._ Demian non riusciva a parlare, era troppo spaventato e sconvolto e sembrava che le parole non potessero più uscire da lui_ sta tranquillo, non ti farò del male. Questa notte mi sono già nutrito e resisto molto bene alla lusinga dell’odore dolce del tuo sangue_ nessuna risposta da parte dell’altro che si sentiva come un topolino nelle grinfie del gatto_ Mi dispiace averti spaventato, è stato imperdonabile. Ma non mi avresti mai creduto.
_...mi ucciderai ora?_ la voce del rossino uscì bassa e irriconoscibile dalle su corde vocali.

_Ti ho detto che non ti farò del male.

_Ma ad-esso…adesso so il tuo segreto…non credo…non credo che…

_E’ vietato parlarne agli umani, si…_ abbassò lo sguardo_  ma non ho resistito…_ alzò gli occhi per guardare l’altro che sussultò_ Sono preda della solitudine Demian. La solitudine è una dolce assassina che ti consola nei momenti bui, e se ti leghi a lei è la fine. Ti rimane accanto, splendida nella sua melanconica bellezza, asciuga le tue lacrime ed è troppo tardi quando ti rendi conto che ormai non hai nessun altro oltre lei.
Demian lo guardava ancora spaventato. Andrea abbassò la testa e si voltò, camminando lentamente nell’oscuro bagliore del fuoco. Il giovane lo seguì, cauto, tentando di non far sentire i propri passi che in realtà il vampiro udiva perfettamente.

_Mi hai aiutato perché ti sentivi solo?

Andrea girò la testa di lato.
_Ti ho aiutato perché avevi bisogno di aiuto. Avevi bisogno di qualcuno questa notte, in questa fredda notte d’autunno e lì c’ero io, e ti ho sentito gridare e non solo, ho sentito il tuo grido interiore. Gridavi non voglio, non voglio! E pregavi, pregavi con tutta l’intensità di te stesso e piangevi non per paura, ma perché sapevi di non poter fare nulla, piangevi per rabbia! E ti ho aiutato, perché in quel momento tu avevi un bisogno disperato di me, avevi bisogno di me più di chiunque altro al mondo._ il vampiro di voltò e sorrise tristemente_ e perché mi sentivo solo.

Demian si sentì mancare.

Troppe emozioni quella notte, troppe paure, troppe assurdità.

Andrea lo sorresse prima che potesse cadere, stringendoselo contro.

Il rossino sospirò e chiuse gli occhi, tremante di paura, ma abbandonato fra le braccia dell’altro.
_...e’ forse un incubo?_ chiese con voce bassissima, quasi un pigolio.

_Si lo è…mio piccolo Demian.

_Cos’è questo…? E’…ipnosi?
Il vampiro sorrise chiudendo gli occhi.
_E’ solo l’innato effetto che quelli della mia specie sortiscono sugli esseri umani. Tutto, tutto di me ti seduce. Oh, è così facile, anche troppo facile. La preda che desidera la morte ci viene direttamente tra le braccia, offrendosi a noi in uno spietato gioco di seduzione.

_Io voglio morire…
_No, non lo vuoi.

_Si invece.

_Leggo che non è così.

_Cosa leggi…?
_Un racconto dell’orrore.

 

 

 

 

 

 

 

Il sole era alto nel cielo, Demian aprì gli occhi.

Si trovava nel letto della notte prima, tra lenzuola di seta rossa e morbidi cuscini di piume. Si mise a sedere; i dolori vari non lo avevano ancora abbandonato. Si portò una mano alla testa, gli faceva male. Si alzò in piedi e all’improvviso ricordò tutto.

Se la memoria non lo ingannava, ora si trovava nella dimora di un vampiro.

Dopo qualche secondo di meditazione ridacchiò divertito. Tentò di convincersi che fosse stato tutto un incubo. Ma osservò i propri abiti, la stanza in cui si trovava…non poteva essere stato un sogno!

Uscì dalla lussuosa camera per cercare l’uscita. Quella “casa” di giorno era splendente e tremendamente bella.

Riuscì a trovare l’uscita principale, un’enorme porta di legno su scalini di marmo. Fuori di questa c’era una stanza fatta di pietra con un portone che era grande il doppio del primo. Lo spinse con forza ed uscì.

Rimase a bocca aperta nel vedere quanto, dall’esterno, quella costruzione sembrasse uno dei castelli del suo vecchio libro di fiabe. Camminò all’indietro, osservando l’edificio, rapito. Dopo qualche minuto si voltò e corse per l’ampia strada bianca, oltrepassando il prato verdeggiante ricoperto di foglie secche e gli alberi spogli, arrivando di fronte l’enorme cancello che ovviamente era chiuso; lo scavalcò senza pensarci due volte.

Ok.

Era fuori.

E ora?

Non aveva soldi con se, nessun posto dove andare, niente da fare.

Ripensò a due giorni prima; immagini intense, ancora vive lo assalirono e strizzò gli occhi tentando di scacciarle. Ma ormai la tristezza e il dolore si erano nuovamente impadroniti di lui.

Iniziò a camminare senza meta, lasciando che la gente gli passasse accanto, che il traffico incombesse sulle strade, senza che lui ci facesse realmente caso. Roma, la sua unica amica, l’affascinante donna dalla chioma rossa come la sua, alla quale aveva fatto tante confidenze, che mai l’avrebbe tradito. Roma era la culla del suo dolore e della sua consolazione, il suo primo amore, il suo amore eterno. Via del Corso, vivace e solare, l’ospitò gentile. Entrò in un bar, ma ricordandosi all’ultimo momento di non avere nemmeno un soldo con sé, fece dietro front e tornò in strada. Aveva fame.

Era da due giorni che non mangiava e si sentiva davvero debole e lo stomaco non faceva che brontolare.

La giornata trascorse tra i morsi della fame e giri senza meta.

Famiglie felici uscivano ed entravano dai negozi, coppiette si tenevano per mano, saturi di serenità, i talentuosi musicisti in Via del Corso suonavano i loro violini, abbandonati con le guance sul proprio amato strumento, con solo la loro genialità, che li innalzava al di sopra degli altri.

I passi lo condussero presto al Pincio, il luogo che aveva sempre amato di più.

Si sedette sul quella famosa terrazza che ospitava ogni giorno persone diverse; il sole stava tramontando. La cupola di San Pietro in lontananza, solo una sagoma nera sullo sfondo giallo dorato del cielo, dipinto dal  sole che moriva. Lo sguardo perso, rapito, commosso da quello spettacolo imparagonabile ad altro.

Una donna col suo bambino in grembo, passando, si fermò ad ammirare il panorama con un mite sorriso dipinto sul volto di bambina. Speranza e sogni nei suoi occhi.

Il sole calava lentamente dietro la Città Eterna e Demian, le gambe penzoloni, il profilo serio, una mano sulla fredda pietra, l’altra abbandonata sulle gambe. Una lacrima sfuggì alle sue ciglia cadendo giù.

Si risvegliò.

Corse via.

Corse veloce, non badando alle persone che colpiva involontariamente, non sentiva più nemmeno le gambe.

Frammenti di memoria:

 

 

 

* Sua madre piange abbandonata sul tavolo, i suoi capelli scuri a coprirle il volto delicato; le mani piene di graffi ancora freschi.

Sua sorella che grida come un’ossessa, suo padre su di lei, la sovrasta e la divora come un orso fa con un pesciolino.

A quell’orrida vista lo spinge via, con tutta la violenza che conosce.

Sua sorella rannicchiata sul letto, tremante, piccola e fragile.

L’uomo lo colpisce, un calcio nello stomaco, due enormi mani lo afferrano, lo sbattono sul letto.

Tenta di ribellarsi.

“O te o lei”

Stringe le lenzuola.

Tacito consenso.

Viene lacerato.

Grido inumano. *

 

 

 

Gridava mentre correva.

 

Non voleva ricordare! Ma era tutto ancora così vivido, così fresco!

 

Senza sapere come né perché cercò istintivamente l’enorme edificio che la notte prima l’aveva ospitato senza chiedere nulla in cambio.

Scavalcò l’alto cancello strappandosi i jeans; inciampò, corse e si scontrò rumorosamente con il grande portone. Era chiuso. Si lasciò scivolare contro di esso, a terra, il viso sul freddo marmo.

Il sole era ormai tramontato. Quando Demian alzò gli occhi vide che la porta era socchiusa.

Si alzò ed entrò barcollando nel palazzo. Si lasciò cadere in un angolo qualunque della casa, non stava ragionando, quasi non pensava più. Si accucciò ad una parete e iniziò a singhiozzare.

Una figura scura scivolò accanto a lui, il suo respiro caldo gli fece venire la pelle d’oca.

_Perchè stai piangendo?
La sua voce profonda, calda, calma.

Era un piacere sentirla di nuovo.

_Non sono niente, non sono più niente, oh, questo dolore, toglimelo, toglimelo!

E continuò a piangere e a singultire, tremando.

Andrea lo strinse a sé con forza, affondando il viso nei suoi capelli, inalando il suo profumo.

Demian rabbrividì.

_aah…sei freddo!_ Ma non importava, quella stretta era forse più calda di qualunque altra avesse ricevuto nella sua vita_ Ahi! La testa.

_Riesci a percepire quando ti leggo nella mente?
_Fa male! Smettila!_ gli ordinò tra le lacrime.

Andrea sciolse l’abbraccio, con le mani asciugò teneramente il viso del ragazzo, madido di lacrime. Gli occhi erano diventati rossi per via del pianto.
_Tua madre rimaneva zitta non è così? Sapeva di ciò che accadeva in casa vostra.  Sapeva tutto. Questa consapevolezza è marchiata a fuoco nella tua mente._ Demian ascoltava senza riuscire a dire nulla_ la tua sorellina, la tua sorellina dalla vocina acuta e le lucide scarpette rosse, come quelle della favola. Si rinchiude nelle favole, sognando un principe azzurro che la libererà dalla prigionia dello stregone cattivo.

_Smettila.

_Avevi paura eppure sei rimasto lì. Tu l’hai protetta.

_Ma sono scappato!

_Cosa potevi fare? Hai sacrificato te stesso.

Demian tremava al ricordo, si aggrappò alle spalle dell’altro e non faceva che tremare.

_Lui…lui diceva lasciami fare…o tu o lei…o tu o lei…_ singhiozzò_ l’ho lasciata lì…

Il vampiro lo abbracciò di nuovo.

_Smetti di tremare.

Il suo sussurro caldo contrapposto alla sua pelle fredda…

Il contrasto lo deliziò. Il suo abbraccio protettivo lo calmò lentamente, come lo farebbe uno materno.

Insieme dondolarono, piano, stretti in un abbraccio sicuro, in un abbraccio che non bisognava di parole.

Demian smise di piangere; si sentiva più tranquillo.
_Hai sofferto tanto piccolo mio. Non dovrai soffrire mai più, nessuno dovrà mai più avere questo fragile corpo con la forza._ Demian chiuse gli occhi. Oh, la sua voce lo cullava, il suo alito caldo gli faceva battere forte il cuore…_ Questo dolore che ti pervade non dovrà mai più infestare i tuoi occhi di smeraldo.
Il rossino si sentiva rapito da ogni parola, si sentiva rassicurato da quella situazione e non spaventato come doveva.

_Allora_ Andrea si scostò leggermente dal corpo dell’altro, che lo stava abbracciando. Quando Demian se ne rese conto ritirò le braccia_ adesso me la racconti la tua storia?
_La mia storia?
_Adesso non venirmi a dire che non hai una storia.

Il moro sorrise e gli accarezzò i capelli, arruffandoli.

_C’è sempre una storia.

_E la tua com’è?

_La mia è dolore…dolore e amore. Oro e sangue.
_Me la vuoi raccontare?
Perché si sentiva così vicino a quell’uomo? Non provava paura come la  notte precedente, si sentiva stranamente bene, al sicuro, tranquillo. Seduto a terra , le gambe piegate all’indietro, il naso all’insù, a guardare il misterioso essere che si alzava e si sedeva con le gambe accavallate su una poltrona di velluto verde, le braccia poggiate sui braccioli che sembravano essere d’oro…

_Sono d’oro.

_Smettila di profanare la mia testa!

Andrea rise.
_E’ così facile leggerti nella mente.
_Beh, non farlo! Se vuoi sapere qualcosa chiedimela! Mi fischiano le orecchie sennò!
_Va bene_ sorrise caloroso_ non entrerò più nella tua testa senza permesso. Anche perché te ne accorgeresti.

_Esatto.
_E’ strano, nessuno si è mai accorto di niente.

_Vuoi dire che sono strano?

Il vampiro rise di nuovo.
_No,  credimi, ho viste tante cose veramente strane nella mia lunga vita, e tu non rientri nemmeno tra le prime cento.

 _Sei così vecchio?

_Ho circa 1500 anni. Un età che va oltre la tua concezione, bambino mio. Ho visto scorrere le  epoche come le pagine di un libro e ho visto tanti luoghi e tante persone…lascia che ti racconti la storia che desideri conoscere…ho bisogno di raccontartela.

 

 

 

 



 

Continua…