DISCLAIMERS:
I personaggi sono disgraziatamente del grande
Asada, ma in segreto sono anche I miei amanti! Contando che in effetti io
sono Akane…(scherzo!) NOTE: POV di Akane. Ancora ricordi, quelli che avevo lasciato indietro. Vediamo il numero 5 dell'edizione italiana. Volevo fare anche il 6 ma proprio non ci sono riuscita, veniva troppo lungo il capitolo. Vediamo in caso lo lascio indietro, ci penso dai. Fra un po' arriva un bel momento. Attendete trepidanti. Ghghghgh. Ringrazio Slanif, Parsifal, Mikako aka Yukino, Selene aka Yama An, Sawadee...e tutti gli altri lettori che non ho nominato. Buona lettura. Baci Akane
A moon appeared in the nightsky capitolo IX - Ma guardati! di Akane
/a proposito di
riabilitazione/ La palestra della riabilitazione ospita in questo momento solo me, il fisioterapista, l'infermiera e la scimmia rossa. Questo tipo ce l'ho sempre appresso ed è stancante. Oggi è il primo giorno di esercizi, fino ad ora mi avevano lasciato a riposo. Mi hanno avvertito di non aspettarmi nulla di particolare, che sarà dura...ma ugualmente sono curioso...già, proprio curioso di vedere come va! Rimango concentrato mentre mi alzo aggrappandomi alle sbarre parallele, con forza mi tiro su e arrivo in piedi, appoggio il piede sano e fin qua nulla di strano. Poi appoggio piano piano quello della gamba rotta e una fitta di doloro risveglia al massimo i sensi facendomi imprecare. Quello che mi da maggiormente fastidio non è il non riuscire a camminare come si deve, lo sapevo in fin dei conti...ma la sua risata. Questo tipo fastidioso che mi sta sempre fra i piedi. Mi sta proprio prendendo in giro. E in nome della giustizia appena mi alzo e cammino, la prima cosa che farò sarà prenderlo a calci e pugni per sotterrarlo! Questo mi invoglierà maggiormente ad alzarmi in fretta e camminare...e Hitonari vedrà che ce la faccio anche senza di lui! Si. Ma intanto devo accontentarmi di altri esercizi minori, meno faticosi di questo. Meglio non sforzarlo troppo. Alla fine mi fa un massaggio particolare che non so quanto bene mi abbia fatto visto le parolacce che ho inventato. Dopo aver visto la figura pessima della scimmia rossa, mi sento sollevato. È sul mio stesso livello. L'importante è che non mi superi! Mi lascia andare per i fatti miei. Vado in camera per starmene tranquillo. Mi stendo un po' nel letto stanco. Non pensavo potessi spomparmi così facilmente. Sono diventato un pappa molla. Dovrò esagerare con questi esercizi, non so quanto validi siano, forse non hanno capito che io non voglio solo tornare a camminare ma addirittura voglio tornare a correre e saltare. A giocare a basket. Ora mi riposo un attimo e poi torno in palestra e vedrò di darmi da fare in qualche modo. Non sopporto di stare steso in un letto d'ospedale senza far nulla....ad aspettare che la grazia Divina mi guarisca e che il miracolo avvenga. Io so che tornerò a giocare a basket, lo so benissimo, ma è una frustrazione continua. Stare fermo a riposare e aspettare...aspettare che? Che questo cavolo di gamba guarisca sola e mi funzioni come prima? Non sono convinto. Io devo camminare e correre e saltare di nuovo. Così perdo solo tempo. Non ne posso già più. E penso di capirlo bene solo ora, Yamazaki. Quando l'ho incontrato ce l'aveva a morte con me perché riversava su di me le sue frustrazioni. Si comportava da gran bastardo, ma lo capisco benissimo. Anche allora, ma adesso è diverso. Adesso ci sono dentro io anche se siamo diversi. Glielo dissi. Lui si sentiva responsabile di tutto. Era ancora il capitano del Kouzu Basketball Club. E non poteva giocare. Non l'ho capito subito. L'avevo scambiato per un cretino egoista ed egocentrico nonché presuntuoso. Mi assalì, litigammo. Però lo provocavo, non distoglievo lo sguardo e non avevo paura di lui. Poteva farmi male, dovevo provare soggezione e rispetto per uno come lui, era un mio senpai, il mio capitano. No. Nulla. Non lo riconoscevo come tale. Il fatto era che semplicemente mi aveva scambiato per se stesso. Era pieno di rimpianti e fragile e pensava che io fossi come lui vedendo la mia sospensione. Si sentiva responsabile e al tempo stesso colpevole. Lo capii giocando con lui. Era solo uno stupido. Quindi non potevo fare a meno di provocarlo a dovere. Per fargli capire che non ero come lui e che non avevo paura di vivere e affrontare le magagne che la vita mi poneva davanti. Volevo dargli a mia volta una lezione, non me ne sarei mai andato prima. Così mi sfidò. Lui era la difesa ed io con la possibilità di tre palloni dovevo passarlo. Solo allora mi avrebbe lasciato in pace. Lì per lì rimasi interdetto. Non sapevo esattamente cosa pensare se non che non mi piaceva. Ma come è nel mio carattere non mi sarei mai tirato indietro. Lo affrontai. E non mi importava un fico secco di sapere il suo passato, le sue motivazioni e i perché. Non volevo sapere proprio nulla. Volevo solo che capisse che io non avrei mai avuto i rimpianti finchè avrei fatto sempre e solo quello che mi sarebbe piaciuto, quello che la mia testa mi diceva, quello che secondo me andava fatto, era giusto. Io i rimpianti non sapevo cosa fossero e non l'avrei mai saputo. E lui era solo un egoista egocentrico che faceva finta di pensare alla sua squadra ed invece riversava il rancore e la frustrazione per il non poter più giocare a basket su quelli che lui credeva simili a lui. Non parlai, non dissi nulla. Continuavo a guardarlo e capii che gli succedeva nella sfida. Lui non poteva giocare e basta. E di rimpianti ne aveva a bizzeffe. Così col solo linguaggio di quello sport comunicammo e compresi. Era facile poi. E arrivai alla conclusione che era solo uno sciocco. Misi la parola fine a quello strazio...perché vederlo ridotto in quello stato, uno stato in cui non arrivava a fare più nulla di basket, era straziante. Lo colpii per scuoterlo. I miei soliti modi, io non ne conosco altri, di dolci. È contro la mia natura. Un colpo unico, non molto forte ma deciso. Poi le mie parole. Peggio del pugno che gli lanciai. Gli dissi che doveva guardarsi un po'. Solo questo. E lui ammise da se qual era il problema. Lo provocai ancora un po' perché in fondo è l'unica cosa che so fare bene dopo il basket e le risse! Volevo vedere se fino a novanta anni sarebbe rimasto là ad aspettare il miracolo... Ci scambiammo qualche altra parola e mi confermò le impressioni che avevo avuto. Mi apparve decisamente una persona migliore. Io allora non ero ancora come lui. Non ero consacrato al basket, non sapevo ancora che farne della mia vita, ed ora non è che sia meglio, so solo di certo che non smetterò mai di giocare a basket. Io sapevo unicamente come vedevo io la vita. Una scommessa continua alla quale bisognava attingere a piene mani in ogni momento senza lasciarsi indietro nulla...per non avere rimpianti, per non provare invidia verso nessuno. Io ora non sono come lui, e non lo ero nemmeno a quel tempo. Io e Yamazaki siamo sostanzialmente diversi. Molto. Lui poi è rinsavito ed è diventato maturo, uno in gamba. Io sono lontano anni luce da lui, ma nonostante la mia diversità da tutti, da Hitonari stesso, mi sento vicinissimo a loro, alla mia squadra. A quel diavolo bianco. Anche se non sono il capitano di nessuna squadra mi ci sento responsabile ugualmente, ho fatto tanto per radunarli tutti. Mi sono essenziali dal primo all'ultimo ed avevo una paura folle che tutto sfumasse ora...poi però ho capito che non sarebbe potuto succedere, grazie ad Hitonari. Basta fidarmi di lui. Ed io mi fido. Io non ho rimpianti al punto in cui mi trovo. Invidio chi può camminare e correre e saltare, ma so che tornerò a farlo anche io. Lo so. Ne sono convinto. Devo solo darmi da fare. Ho già iniziato. Dall'esperienza stessa di Yamazaki ho imparato molto e mi è preziosa come ogni altra cosa. Non potrei certamente farne a meno. È vero. Poi passai tutto il resto del tempo a pensare e rimuginare sullo strano pomeriggio. Ad Arada e Harumoto...e a Yamazaki...per poi finire su Hitonari. Già. Sumire con me che mi parlava la sentivo vagamente. Lei non capiva il legame fra le persone e uno sport come il basket. Io invece cominciavo ad affacciarmi verso quel mondo dove in cima ai pensieri di uno sportivo c'è solo una palla di cuoio e un campo da gioco. Riflettei molto per poi insinuarmi la voglia di parlarne con Hitonari. Appena realizzai che avrei voluto con me il biondo mi venne fame e mi rilassai. Una reazione strana. Non ne parlai più con Sumire, capivo che non poteva capire...l'aveva detto lei stessa...ed io volevo solo qualcuno che capisse. Mi sentivo strano, malinconico per Yamazaki e sollevato perché io avevo davanti a me molto, ancora. /Parlando con lui/ Quindi a questo punto torna subito facile ricordare quel discorso che ebbi con lui agli allenamenti del pomeriggio. Non il giorno dopo. Passò un po' di tempo nel quale continuai a pensare a questa cosa. Non stavo molto bene, quella volta. Mi era venuto un bel raffreddore. Hitonari capì subito che non stavo molto bene, mi sedetti in un angolo a guardare gli altri con la scusa che avevo finito gli esercizi. Lui mi si sedette accanto. Mi chiese cosa avessi ed io risposi 'nulla'. affrettato, senza nemmeno guardarlo. Mi sentivo in imbarazzo, detestavo quando gli altri notavano che avevo qualcosa che non andava. Si sentiva la pioggia, la ricordo, e non veniva voglia di allegri pensieri. Buttava giù parecchio. Mi venne in mente quel discorso. Glielo accennai. "secondo te è possibile consacrarsi al basket?" Lui mi guardò stupito. Non capì come mai mi venivano certi pensieri. Si limitò a rispondermi porgendomi la sua bottiglietta d'acqua. Io la guardai come a cercare di vederci qualche veleno e mi bagnò con uno schizzò stizzito, così la presi e bevvi. Non so come ma capiva al volo sempre come stavo. E il tempo passava e ci comprendevamo sempre meglio. "certo..." Rispose così. Ma io sapevo che avrebbe detto così. "cosa serve per non avere rimpianti, un domani?" Pensieri apparentemente sconnessi. Si faceva fatica a starmi dietro, me ne rendo conto solo ora. Ma lui non si fece domande e mi rispose. Tutte cose che io sapevo. "fare quello che ti piace senza mai rimandare o risparmiarsi. Come fai tu, oserei dire..." Io feci un mezzo sorriso. Non ero in piena forma altrimenti ne avrei sparate una delle mie. "io non so cosa sarà del mio futuro, e non ho nemmeno dedicato tutto al basket, per ora...ma non voglio avere rimpianti...e nemmeno doveri..." Lui ascoltò e assorto rispose: "ma a volte i doveri sono obbligatori. È giusto fare quello che ti piace per non avere rimpianti, ma non devi pensare solo a te stesso e a divertirti e basta. Altrimenti i rimpianti vengono lo stesso." Era anche quello un pensiero contorto, lo guardai torvo cercando di capire. Così proseguì con la frase: "non è giusto fare quello che più ci piace divertendoci il più possibile, o meglio non solo. Bisogna metterci dell'altro. Penso si tratti di maturità e responsabilità. Non so, sai...non sono il più adatto a risponderti. Per quel che mi riguarda..." Si interruppe pensieroso e continuò. "...ora voglio solo giocare a basket, ma dietro non c'è più solo egoismo. La squadra che sta diventando questa banda di idioti mi lascia una curiosità. Voglio vedere come va avanti. E non voglio giocare più da solo. È questo. Poi crescendo si vedrà il modo più adatti di giocare. Per ora penso non sia troppo sbagliato cercare di divertirsi. Ma il senso del basket non è solo in questo. C'è un segreto dietro...che scopriremo più avanti. Piano." Ovviamente non disse tutte queste cose in fretta ed in una sola volta. Si interrompeva, guardava gli altri, beveva...ma ce la fece. "si...forse hai ragione..." Ma le mie ammissioni erano velate e difficili da dire. Dargli ragione era un gran passo per me. Ma mi piaceva parlare con lui. Quando riuscivo ad essere serio senza strane trovate. Poi mi presi la testa fra le mani iniziando a starnutire. "è meglio che vai, non mi sembri in forma...mi hai appena dato ragione...e sono convinto che tu non abbia capito nulla di quel che ti ho detto!" Mi aveva dato dello stupido, lo capii ma non riuscii a trovare il punto giusto dell'offesa, così snocciolai solo un: "imbecille!" E mi alzai andandomene a cambiarmi. Erano belli i momenti in cui parlavamo così con lui, ma mi vergognavo un po' a cercarlo troppo spudoratamente, facevo finta di capitare da lui casualmente ma poi capiva sempre che lo facevo di proposito. Eppure mi aiutava molto parlare con lui. Ora lo posso ammettere a distanza di tempo. Ad interrompere i miei pensieri arriva quella scimmia rossa di cui ho scordato il nome. - ehi, andiamo a fare due tiri? Mi annoio da solo e voglio sfidarti un po'!- Poco gentile, rumoroso e antipatico. Gli ringhio: - tanto rassegnati che oggi ti batto, deficiente!- Il mio repertorio non è molto fornito oggi, sono solo stanco, ma non voglio più star fermo, risparmiarmi, riposarmi sugli allori. Devo prendermi da solo quello che voglio, come ho sempre fatto. E ci riuscirò. Questione di poco. FINE
CAPITOLO IX
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