DISCLAIMERS:  I personaggi sono disgraziatamente del grande Asada, ma in segreto sono anche I miei amanti! Contando che in effetti io sono Akane…(scherzo!)

NOTE:  POV di Hitonari. Da qui iniziano i ricordi dal numero 1 del manga! Baci Akane

 


A moon appeared in the nightsky

capitolo IV - Contro tutto e tutti

di Akane


/Il giorno di dolore che uno ha/

"Lui se ne è andato. Lo sapevo che non avrebbe detto nulla a nessuno, è scappato da qui, da tutto. Sono sicuro che non telefonerà, che non scriverà, che non dirà mai nulla sulla sua riabilitazione. Perché lui è così.

Ma al pensiero...che non lo vedrò per chissà quanto tempo...non so come dire.

È come quando tutte le parole sai che non ti servon più. Si suda per trovare il coraggio di non starsene soli, si tira in mezzo chiunque, il destino, un Dio...me lo sono chiesto mentre camminavo di sera e arrivavo al mio rifugio. Ma nessuno me lo spiegava perché sia successo a noi. Ho aspettato che lassù tirasse un po' di vento per portarmi via, me, la tristezza...quei pensieri fissi su Tachibana che mi rimbombavano...e il vento è soffiato, mi sono rialzato ed ho cercato delle soluzioni per aiutarlo concretamente. Mi sono reso conto, e questo me l'ha insegnato proprio lui, che la vita è più forte di te, non puoi dirle no! Eppure ricordo che all'inizio sembrava tutto fermo, tutto...morto...caduto, volato via...ed è stato là quando il vento soffiava e il cervello si è rimesso in moto che la ruota ha ripreso a girare.

Alla fine era solo il mio giorno di dolore. Il mio che coincideva con quello di Tachibana.

Tutto lì.

Si perché indietro non si torna, abbiamo capito che la vita non è giusta, non va mai come vorremmo. Mi sono immaginato cosa avrebbe detto lui. Farsi una ragione è vivere, basta aspettare un po' di sole che batte dove contavi. Senti ugualmente la ferita bruciare ma sono cicatrici necessarie per diventare più forti....così ho assorbito il mio giorno di dolore pensando che a Tachibana va peggio. Pensando che non avevo tempo per piangermi addosso, perchè dovevo darmi da fare per lui.

Il mio cuore aveva perso un pezzo con quella testa calda, con la sua gamba rotta e le sue ali abbassate, ma è riuscito a prendere il suo ritmo lo stesso, ho preso l'aria a pieni polmoni ed ho realizzato che il mondo è pieno di merda, ne sono circondato, ma anche senza che mi dispero rimane sempre merda...allora tanto vale che mi adopero solo per colui a cui tengo. Bisogna sbatterci di muso contro la realtà, ma l'ho accettata. Con difficoltà. Come una sveglia che suona e tu chiedi che ora è? E ti rispondi che è ora di vivere e di darsi da fare per chi vale la pena. La vita è più forte che facile, lo si impara a proprie spese, è impossibile rifiutarla. Non devi farlo nemmeno tu...e so che non lo farai. Ci siamo aiutati a vicenda in questo momento duro e ce la faremo anche ora così separati. Cresceremo e questo giorno di dolore un domani sarà un ricordo, sarà l'arma con cui diventeremo invincibili...e ci rincontreremo su un campo da basket....per giocarci una delle nostre partite...e riprenderemo a volare insieme.

È così perché non può essere altrimenti.

Ci arriveremo insieme.

Ora in mezzo alla sofferenza di questa lontananza posso dire di stare bene e di essere più forte di ieri. E così per ogni giorno che passa.

 

/che incontro!/

Lo Ricordo. Giorni come quelli per me erano terribili. Prima di quella partita avevo preso la mia decisione. Con contrarietà e sofferenza. Ho dovuto scegliere. O quel basket che mi imponeva mio padre, che ho sempre odiato, oppure rinunciare a quel tesoro che ormai non riuscivo più a vedere come tale. Giocavo bene ma non mi importava nulla, non mi facevo scrupoli nel sporcare le partite. Era come se il basket lo odiassi. Non lo facevo con gioia, non mi divertivo. Lo detestavo e il muro invalicabile dietro cui mi ero chiuso mi aveva portato ad un carattere impossibile pieno di astio. Ero intrattabile. Ma non mi sentivo capito, compreso. Mi chiedevo se avesse mai avuto un senso la vita che conducevo...e se qualcuno avesse la chiave per aprirmi.

Poi è arrivato lui. In quella partita lo vedevo per la prima volta. L'avevo di fronte. Non l'avevo calcolato per tutto il tempo in cui ero stato in panchina, poi il mister mi aveva fatto entrare. Non mi importava nulla. Nemmeno di giocare. Non sentivo più nulla, ero come atrofizzato, insensibile ad ogni emozione.

Mi fronteggiava e lo vidi solo quando tentò di rubarmi la palla. Lo osservai attentamente, era strano. Trapelava la sua anormalità da ogni poro. Sbandierava a tutti che mollava il basket ma ci metteva una passione nel praticarlo, nell'affrontarmi, che non era quella di uno che avrebbe mollato.

Ci scambiammo uno sguardo che voleva penetrare l'altro. A ripensarci un po' i brividi mi vengono.

Ma tentai di superarlo, ero superiore a lui, lo si capiva. Non volevo perdere tempo, non mi interessava misurarmi con lui.

Ma non demordeva...ed io mi ero stufato. Non sopportavo di vedere quella luce negli occhi di qualcuno. La luce di chi ama il basket. Tutto quell'impegno nel cercare di soffiarmi la palla, di battermi...detestavo tutto e alla fine troppo sotto pressione sono scoppiato. Non mi importava della partita, di uscire, di deludere tutti. Volevo solo egoisticamente farlo smettere.

Lo colpii.

E lui in risposta attaccò un mio compagno che credeva fossi io con un calcio volante. Assurdo.

Poi lo rividi fuori dalla palestra, dopo l'incontro. Prima arrivò il casino e poi lui. Pensai chiaramente che era un segno. Lui era il simbolo degli schizzati...dovevo tagliare con quel mondo di merda in cui vivevo.

Lo dissi a tutti, mio fratello compreso. Mi irritava terribilmente, stavo mandando tutto a puttane consapevole che mio padre mi avrebbe cacciato di casa, e non mi toccava la cosa. In un certo senso provavo sollievo dall'allontanarmi da loro. Quando tutti se ne andarono lui rimase e coi suoi modi sborni e impiccioni mi disse quel che pensava usando termini diretti e poco delicati...come se gli avessi chiesto qualcosa. Cosa voleva da me?

Dopo un secondo scambio di pugni e calci mi disse esattamente che io volevo fare solo quello che volevo, contro tutto e tutti. E mi impressionò perché nonostante non lo ammisi era vero .era esattamente il punto della situazione e nessuno di quelli che mi conosceva a fondo ci era arrivato...un idiota qualunque che mi aveva visto giocare solo due minuti! Mi fece pensare. Ma gli feci notare che lui faceva come me, anche se per motivi diversi. Piantava tutto nonostante la passione che aveva per quello sport.

Prima di andarmene gli lanciai uno sguardo molto penetrante che lui ricambiò e sostenne senza problemi, pochi, nessuno, ci riusciva.

Già...mi colpì proprio. E il suo ricordo mi tormentò la sera nella mia camera e i giorni seguenti. Specie poi quando litigai con mio padre e mi buttò fuori.

Quell'idiota...mi diede le chiavi di un appartamento lontano da loro e mi disse di andarmene! Pensai che era quello che volevo, anche se in fondo a me stesso sapevo che stavo solo fuggendo da tutto e da tutti. Accusavo gli altri di fare merda da tutte le parti, di esserne circondato...ma la verità è che ce l'avevo io dentro di me!

Provocai senza pensarci mio padre dicendogli che ce n'era almeno uno scartato da lui che unito al mio gioco gli avrebbe dato parecchio filo da torcere. Già...parole...parole che ero sicuro di lasciare come tali.

Poi però...come potevo?

 Lo rividi...e accidenti lo rividi proprio nella stessa scuola alla quale mi ero iscritto....come una persecuzione! Non voleva togliersi dalle scatole. Io volevo vivere in pace la mia vita buia, autocompatirmi, fare la vittima...allontanarmi dal basket...e lui non me lo permise.

 

/Solo l'inizio!/

Si ricordava ancora il mio nome. Lo gridò. Mi vien da dire proprio quello che pensai allora.

'Mi sa che non starò più in pace da ora in poi!'

Sentivo che non mi avrebbe mollato, che sarebbe stata la mia ossessione...ed io la sua...e ricordo...la sensazione.

Ero contento. Dentro, molto dentro di me, ero felice di vederlo. Come un lontanissimo entusiasmo, un eccitazione sottile che non provavo da tempo. Lo mostrai con un po' di freddezza e il suo stesso sorriso di chi sta per divertirsi sadicamente a spese di qualcun altro!

Uno di fronte all'altro.

Il cortile deserto e solo noi.

Ci salutammo con dei mugugnii o simili.

Già...ero sadicamente contento di vederlo.

Mi sentivo un masochista perché avevo una vaga idea che sarebbe stata la mia rovina!

Con quello sguardo scuro e penetrante mi parlava, mi accusava di non saper essere me stesso, di non saper parlare...ed io mi sentivo in mezzo a tutte le parole che non avevo mai avuto il coraggio di dire. Dentro mi sentivo freddo. Mi ci ero sempre sentito. Non ci era entrato nessuno, ma quando lui mi si avvicinò, ogni volta che entrava prepotente nella mia vita, sentivo qualcosa di diverso.

Lui è sempre stato la mia fonte di calore.

Mi sfidò, farfugliò qualcosa sul fatto che non eravamo pari e mi puntò il pallone da basket contro. All'idea di fare un one to one con lui non trovai il motivo per cui non farlo. Anzi. Tutt'altro. Sapevo che mi sarei divertito. Ero convinto di vincere.

Ero odioso, lo ammetto, ma lui combinava da solo le stupidaggini!

Quando vidi che mi stava battendo pensai che poteva essere come me....e l'idea di potermi fidare di qualcuno mi inorridì....o forse solo mi spaventò...per evitare quella sensazione nuova dimostrai che eravamo diversi...e che non mi importava di sporcare il basket...perché lo odiavo...volevo convincermene. Gli feci lo sgambetto e lui cadde. Presi poi la palla e feci canestro mentre mi gridava dietro di tutto. Mi piaceva la situazione. Mi sentivo più forte, volevo starmene da solo in quel luogo alto e freddo che nessuno riusciva a raggiungere. Nessuno poteva essere come me, sentirmi, ascoltarmi, avere risposte, tirarmi giù, farmi compagnia, camminare con me.

Volevo solo fare la vittima.

Lo ero dalla nascita e freddamente convinto di essere costretto alla solitudine e all'incomprensione degli altri mi illudevo che andasse bene così e che il basket non contasse nulla.

Lui diceva esattamente il contrario.

E i suoi occhi sulla schiena, quando me ne andai, mi pungevano, mi davano un fastidio immane.

Finii solo per pensare alle sue parole tutta la notte e a rivedermi quel suo sguardo accusatore.

Ma quel silenzio che mi era sempre piaciuto ad un tratto mi irritava, il buio mi irritava, i rumori notturni mi irritavano, la solitudine mi irritava...e non vedevo l'ora di tornare a scuola. Non sapevo il perché. Volevo il giorno.

Ora so cosa volevo.

Che lui continuasse a tormentarmi, a scuotermi, a parlarmi, a sfidarmi...che mi invitasse a scendere dalla mia postazione di sicurezza ove guardavo tutti dall'alto.

Lo desideravo disperatamente...e che fosse proprio lui a farlo.

A buttarmi giù. Con forza e testardaggine.

Un impresa quasi impossibile alla quale, ora so, solo una persona poteva riuscirci.

Tachibana mi ha cambiato profondamente e non ho paura di ammetterlo. Mi piace dirlo.

Come al solito è stata colpa sua...e sono contento ora di essergli stato io d'aiuto. Questo mio giorno di dolore me lo godrò come avrebbe fatto lui, ma senza compatirmi o tornare indietro.

Con lui, con quel nostro incontro, quelle nostre parole, accuse e sguardi iniziammo.

Contro tutto e tutti

 

FINE CAPITOLO 4