All I Want
di Kriss
parte III
Non gli pareva vero.
Forse era solo un sogno.
Come quelli che aveva fatto durante le ultime due
notti.
Nathan si voltò con un sorriso, gli occhi che
brillavano al sole sotto la tesa del berretto.
- E questo? A cosa serve? -
No... Non era un sogno.
Nat era lì con lui, presente, reale, meraviglioso; e
ci sarebbe stato per due giorni interi.
Sabato e Domenica solo con lui...
Hiro fece un lungo respiro soddisfatto e si avvicinò
al compagno per vedere cosa gli indicava.
Quella mattina erano saliti al Kyomizudera e Nat era
rimasto affascinato dalla vista che si poteva ammirare
dalla veranda del tempio, gli occhi sognanti persi nel
verde circostante.
In verità, tutto sembrava incantarlo e sorprenderlo,
dai negozi di manifatture artigianali alle piccole
pozze dove i fedeli si lavavano le mani prima di
entrare nei templi, all’abbigliamento dei monaci e
addirittura a quello delle persone comuni. Fotografava
tutto e faceva molte domande, ascoltando attentamente
le risposte e annuendo contento.
Sembrava un bambino felice di scoprire e imparare.
- Oh, questo? Si chiama shiuinshu. È una specie di...
di libretto, e si usa per farsi fare i timbri dei
posti che hai visitato. Così ti ricordi di dove sei
stato. -
- Davvero? Che bello! -
Alzò gli occhi su di lui, scintillanti, immensi, e
Hiro quasi si sentì mancare.
Il mare, in confronto, sembrava una pozza di acqua
stagnante.
- Vieni. Prendiamone uno. – riuscì a dire, e di nuovo
venne investito dal verde di quello sguardo.
Nat fece un risolino e batté piano le mani.
Un bambino.
Meraviglioso.
Nonostante il velo di tristezza che ogni tanto faceva
capolino sul suo volto, oscurando la luce che lo
animava.
Si erano incontrati la sera prima, al solito posto, e
Nat gli aveva detto che per il fine settimana era da
solo. Brad era a Osaka e non sarebbe tornato che la
domenica molto tardi.
Hiro aveva faticato a contenere il proprio entusiasmo
alla notizia, ma aveva anche notato la stanchezza che
trapelava dagli occhi del compagno. Stanchezza mista a
qualcos’altro, che Hiro non era riuscito a definire, e
che Nat cercava in tutti i modi di non manifestare.
Sembrava quasi che quei momenti con lui gli servissero
per non pensare, e per nascondere un malessere che
sentiva dentro di sé. Quasi un modo per sfogarsi.
A Hiro andava bene così, perché gli faceva piacere
vederlo tanto entusiasta, e sapere di poter provare,
anche con poco, ad aiutarlo. Anche se avrebbe
preferito sapere cosa c’era che non andava.
Ma forse, era ancora presto.
E inutile, al momento, rimuginarci troppo.
Ora erano insieme. Doveva solo pensare a stare con
lui, a farlo stare bene, a divertirsi. E a non dargli
il tempo, né il modo, di soffermarsi su quanto lo
faceva soffrire.
Così, lo portò in giro tutto il giorno, facendogli
visitare i luoghi che desiderava vedere e anche quelli
che non erano indicati sulle guide, mostrandogli
piccoli negozi e stradine strette e caratteristiche,
templi e santuari, raccontandogli alcune delle storie
legate ad essi.
- Quelle che mi ricordo. Ce ne sono così tante! -
E facendogli provare le specialità e i piatti tipici.
Nathan lo seguì entusiasta e curioso, e al termine del
pomeriggio era stanchissimo, ma l’ombra cupa che ogni
tanto gli oscurava lo sguardo era svanita.
- Ho comprato un sacco di cose. – disse con un
risolino, agitando i pacchettini che aveva in mano e
che stava riponendo nella borsa.
Si erano finalmente seduti, prendendo una bibita
fresca in un bar.
- Non so nemmeno a chi regalarle! -
- Tienile per te. Come ricordo. -
Nat gli sorrise e annuì.
Aveva le guance arrossate dal caldo e i capelli
spettinati che ogni tanto gli ricadevano sugli occhi,
un velo dorato che lui si tirava spesso indietro.
L’immagine di lui, del suo volto, dei suoi piccoli
gesti, dei suoi occhi.
Quelli sarebbero stati i ricordi che Hiro si sarebbe
tenuto. I propri souvenir.
- Ne abbiamo fatta di strada oggi, eh? – commentò,
ricambiando il sorriso. – Ti ho fatto affaticare, non
visitare la città. -
- Oh, no. E’ stato tutto bellissimo, e poi ci sono
così tante cose, da vedere, qui. È solo un po’ il
caldo, che mi fa stancare di più. – Piegò lievemente
la testa di lato. – Non ci sono abituato. -
Hiro ridacchiò, senza smettere di guardarlo.
Inconsciamente, stava cercando di mandare a memoria
qualsiasi cosa di lui.
- Ci credo! E quando mai fa caldo, a Londra?! -
- D’estate! – ribatté l’altro, convinto.
Hiro sporse le labbra in avanti, fingendosi
pensieroso.
- Estate... Estate... Sai che non me la ricordo? -
- Ma che dici? È... Come qua. Estate! -
Cercava di fargli capire, quasi che lui non avesse
compreso bene la parola, e Hiro strinse le labbra per
non ridere.
- Ah, intendi quei due o tre giorni all’anno in cui si
riesce ad uscire solo con una camicia? – continuò. –
E’ un periodo di tempo così breve che l’avevo
dimenticato, scusa. -
Nat aprì la bocca per prendere fiato, poi la richiuse
e si accigliò, fissando il suo volto e leggendogli
negli occhi il divertimento.
- Mi stai prendendo in giro... - borbottò, e Hiro
scoppiò a ridere.
- Stavo scherzando, sì. -
Nat aveva ancora il broncio, ma non sembrava veramente
arrabbiato.
Anche così era delizioso.
- Scherzavo, Nat. Scusa. – ma ridacchiava ancora.
- Mh... -
Nat non pareva molto convinto; poi si morse un labbro
e sorrise anche lui.
- Però, non è vero che fa sempre freddo... -
insistette.
- No, non sempre... - Lo fissò negli occhi. – Quasi
sempre! -
Rise anche Nathan, scuotendo la testa rassegnato.
- Si fanno sempre tutti un’idea sbagliata. -
- Io ci sono stato. La mia idea si basa su realtà
fondate! -
- E’ solo che non siete abituati, non capite. -
- Può darsi... Io so solo che a metà Agosto portavo
già il giubbotto! -
- Sei tu che sei esagerato! -
- L’ho fatto solo per non morire congelato! Istinto di
sopravvivenza. -
- Beh, meglio il freddo che questo caldo soffocante! -
Hiro rise ancora e gli diede ragione.
Si stava divertendo.
E quel breve battibecco, quello scambio un po’
infantile di opinioni, gli dava la misura della
confidenza che si stava instaurando fra loro. Nat si
stava lasciando andare. Aveva smesso l’aria impacciata
e vergognosa dell’inizio, pareva sentirsi sempre più a
proprio agio, più tranquillo; e questo faceva un
piacere immenso a Hiro, che cominciava a sentirlo
sempre più vicino.
Non si soffermò sul fatto che, in quel modo, il
distacco, poi, sarebbe stato più difficile. Al
momento, pensava solo alla gioia che la sua vicinanza
gli dava.
Lo portò a cena presto, con l’intenzione di
riaccompagnarlo in albergo non troppo tardi.
Invece, l’atmosfera accogliente di Mishima–tei,
l’intimità delle stanzette private, la vista sui
giardini interni, il cibo squisito, il sakè,
sembrarono sciogliere quasi del tutto ogni loro
riserbo, aiutandoli ad aprirsi ulteriormente e
trattenendoli fino all’ora di chiusura.
Parlarono di tante cose, dell’infanzia,
dell’adolescenza, della famiglia, di quello che
avevano fatto e di quello che volevano fare, dei sogni
ormai perduti e di quelli che ancora rimanevano vivi.
E continuarono per il resto della serata, fin’ dopo la
mezzanotte, fermandosi a bere altro sakè e godendo
della compagnia l’uno dell’altro.
- E’ buono, il sakè. Mi piace. – sentenziò Nat,
muovendosi con cautela al suo fianco.
Era brillo, e il suo tono di voce suonava incerto
quasi quanto lo erano i suoi passi.
- L’ho notato. – ribatté divertito Hiro, mentre si
avvicinava alla macchina.
- Davvero? -
Nat ruotò su se stesso per guardarlo in faccia e
barcollò pericolosamente in avanti.
- Attento. -
Hiro lo afferrò subito per le braccia, e l’altro si
appoggiò a lui, quasi non riuscisse a stare in piedi.
Il suo corpo, morbido, leggero, così vicino, gli diede
una scossa che gli scivolò lungo la spina dorsale,
facendolo addirittura rabbrividire.
- Ops... - mormorò il compagno. Sorrideva, un sorriso
raggiante e quasi stupito, gli occhi lucidi fissi sul
suo volto. – Devo aver bevuto troppo... -
Hiro si passò la lingua sulle labbra, d’improvviso
secche, e tentò un ghigno di rimando.
- Credo proprio di sì. – riuscì a replicare.
Il suo volto, vicinissimo, era di una bellezza
sorprendente. Pareva illuminare la notte.
Con un nuovo risolino, Nat lo affondò nella sua
spalla, e Hiro trattenne il respiro, sorreggendo
quella figura esile con delicatezza, quasi fosse di
porcellana.
- Mi gira un po’ la testa. – sussurrò Nathan. – Scusa.
-
- Stai... stai male? – gli chiese con voce roca,
mentre cercava di far diminuire il battito del proprio
cuore.
Nat scosse il capo, solleticandogli la guancia coi
capelli, poi si staccò da lui, i denti che affondavano
nel labbro inferiore e il volto arrossato.
- No... E’ solo... solo la testa. E un po’ le gambe. –
Scoppiò a ridere e si tappò subito la bocca con una
mano. – Scusa. Non so perché rido. -
Lo fece di nuovo e di nuovo provò a fermarsi,
ottenendo l’effetto opposto.
Sembrava un bimbo che continua a divertirsi nonostante
i rimproveri di un adulto.
Hiro ricambiò con un sorriso, e con un gesto lieve
della mano, che fece senza pensare, gli scostò un
ciuffo di capelli dagli occhi.
- Non dovresti mai smettere di ridere. – mormorò
piano, quasi soprappensiero.
Gli occhi di Nathan si spalancarono e il ragazzo
ridacchiò ancora.
- Nemmeno se faccio la figura del cretino, come
adesso? -
Hiro lo guardò, fingendo di studiarlo attentamente.
- A me non sembri affatto cretino. – ribatté, lo
sguardo fisso nel suo.
Ora Nat era serio; lo guardò per qualche secondo, poi
abbassò gli occhi, arrossendo.
Hiro immaginò le sue labbra martoriate dai denti, e si
diede mentalmente dello stupido.
Stava esagerando davvero, stava approfittando
dell’amicizia che stava nascendo fra di loro per
avvicinarglisi ulteriormente, e magari provare a far
nascere qualcos’altro.
Non era giusto, lo sapeva, e probabilmente era anche
inutile, ma non riusciva neppure a tornare indietro.
Non poteva più, ormai.
E il giorno seguente, nella sua mente, non era più un
altro giorno insieme a lui, ma SOLO un altro giorno,
forse l’ultimo, prima del distacco, del vuoto.
Pensiero che cominciava già a lacerargli l’anima, e a
spaventarlo.
- Ti riporto in albergo. – disse, per rompere il
silenzio. – Fatti una bella dormita e domani sarà
passato tutto. -
Fosse bastato dormire anche a lui.
Con una sbronza era decisamente più facile!
Nat tornò a sorridergli e annuì, affiancandoglisi.
- Dove alloggi, fra l’altro? – gli chiese Hiro.
- Al Prince Hotel... mh… Takara…… -
- Takaragaike? Al Takaragaike Prince Hotel? -
- Sì! quello. -
Hiro fischiò sommessamente.
Super lusso.
- E’ lontanissimo... Non importa che mi accompagni
fino a là. Prendo... prendo un taxi. -
Hiro gli aprì la portiera e gli fece cenno di salire.
- Non ti preoccupare. -
Ogni secondo in più insieme a lui era un secondo in
meno di buio.
- Certo che il tuo amico si tratta bene. – commentò
immettendosi sulla strada.
Al suo fianco, Nat aveva appoggiato la testa
all’idietro e aveva chiuso gli occhi.
- Mh... Credo che paghi tutto la ditta per cui lavora.
Anch’io ho una carta di credito che posso usare per
quello che voglio. -
- Comodo! -
L’altro si strinse nelle spalle, come non gli
importasse, oppure come non ne volesse parlare.
Brad, e il legame che c’era fra loro, qualunque esso
fosse, era l’unica cosa di cui Nat non aveva parlato.
Rimasero in silenzio per un po’.
Ogni tanto, Hiro voltava il capo alla propria
sinistra, per vedere se il compagno si era
addormentato, e per osservare il suo profilo
rilassato, illuminato a sprazzi dalle luci esterne.
Aveva qualcosa di magico; luci e ombre, così
improvvisi, sembravano immergerlo in un’atmosfera
particolare, donandogli una luminosità ultraterrena.
Hiro doveva stare attento a non soffermarsi troppo a
fissarlo o sarebbe finito fuori strada!
Arrivarono a destinazione prima del previsto, l’enorme
struttura circolare ad accoglierli come un moderno
castello circondato dalle sagome scure delle montagne.
Nat si passò una mano sugli occhi, poi uscì dall’auto,
appoggiandosi subito al tetto.
- Accidenti... Non mi pareva di aver bevuto tanto. –
commentò con aria allegra.
- Neanche a me. – ridacchiò Hiro, avvicinandolo. – Io
ho bevuto di più, però sono lucidissimo. -
L’altro lo guardò di sbieco, le labbra tirate in una
smorfia buffa.
- E’ vero... Ma io non sono mai stato un gran
bevitore. Mi basta poco per darmi alla testa. -
Toccò a Hiro guardarlo di sbieco.
- Sei proprio sicuro di essere inglese?! -
E Nat scoppiò a ridere, una risata limpida,
cristallina, che risuonò nel silenzio della notte come
il canto di un uccello.
- Sicurissimo! -
Si avviarono verso l’entrata uno di fianco all’altro,
continuando a ridere, più sommessamente.
- Domani vorrei portarti al Ryoanji. Però sarebbe
bello vedere il giardino la mattina presto, senza la
solita folla, e non so se ti va di alzarti a
un’ora...... -
Nat si fermò e gli si mise di fronte, interrompendolo.
- A che ora? -
Lo fissava convinto, deciso; sembrava addirittura
impettito.
La sbronza gli donava. Lo rendeva più sicuro, più
ardito.
- Passo a prenderti alle otto meno un quarto. -
- Oh... Non importa che vieni fino a qua di nuovo.
Basta che... -
- Va bene così. Tanto devo fare la strada ugualmente.
Allora? -
Nat si umettò le labbra e gli sorrise.
- Otto meno un quarto. Domani. Qua davanti. – rispose,
e Hiro annuì.
- Ok. -
Non riusciva a togliergli gli occhi di dosso, non
riusciva ad allontanarsi.
Doveva solo salutarlo.
“Buonanotte.” “Arrivederci a domani.”
Tutto lì.
Non era un addio.
... non ancora...
- Grazie ancora per la bella giornata. – Nat stava
parlando e lui quasi sussultò. – Mi sono divertito.
Grazie davvero. E se... se domani hai da fare... -
- Non ho niente da fare. -
Nat distolse lo sguardo.
Era tornato ad arrossire, imbarazzato, le mani che
stropicciavano la camicia.
- Beh... Non voglio che... Non voglio asfissiarti per
un altro giorno intero. Cioè... dimmi se... se a una
certa ora vuoi andartene per conto tuo, ecco. Lo so
che hai detto di non scusarmi e... – Fece un risolino
leggero. - Sarai anche stanco di perdere il tuo tempo
dietro a me. -
“No, stupido... Vorrei che questo tempo non finisse
mai.”
Prese fiato, ma lo lasciò andare subito, senza dirgli
quello che pensava veramente.
- Mi pareva di averti già detto di non fare più
discorsi simili, vero? – ribatté in tono scherzoso.
Nat strinse le labbra e crollò il capo. – Perfetto.
Allora, ci vediamo domani, mh? -
Di fronte a lui, Nat alzò gli occhi nei suoi.
- Domani. – mormorò a voce bassa.
Poi fece mezzo passo indietro, incerto.
- Grazie ancora. Per tutto. Anche per il sakè. -
Rise piano.
Alzò una mano.
- Buonanotte... -
Hiro continuava a fissarlo.
Gli pareva di specchiarsi nei suoi occhi, e di non
riuscire a staccarvisi.
Lo attiravano.
Lo avvicinò, quasi senza pensare; poi gli appoggiò una
mano su una guancia e lo baciò sulla bocca.
Un tocco lieve, ma stranamente intenso, che gli diede
la scossa, brividi elettrici per tutto il corpo, la
pelle, i capelli.
- Buonanotte... - sussurrò a propria volta, ancora
sulle sue labbra.
Poi si allontanò, senza guardarlo, tornò alla
macchina, mise in moto.
Riprese a respirare regolarmente che era già in città.
Lo seguì con lo sguardo finché non fu sparito nella
notte, immobile in mezzo al selciato, incapace, al
momento, di muoversi, addirittura di pensare.
Non era neanche ben sicuro di cosa fosse successo.
Non del tutto, almeno.
Eppure...
Alzò lentamente una mano e si sfiorò le labbra con le
dita.
Il suo sapore era ancora lì, il tocco morbido,
delicato, la carezza gentile...
Sensazioni che non sparivano, che, anzi, parevano
bruciare, come un marchio indelebile.
Nat sbatté le palpebre, cercando di tornare lucido, di
tornare alla realtà.
Forse, era solo troppo ubriaco.
Anche se la testa, ora, gli girava di meno, e le gambe
parevano più stabili.
Hiro non lo avrebbe mai baciato.
Era assurdo, una sciocchezza.
Erano solo amici, appena conoscenti.
E avevano bevuto.
Sì, era solo quello.
Solo quello.
Fece un lungo respiro e si mosse per entrare in
albergo.
Salutò l’usciere, si fece dare la tessera magnetica,
salì alla stanza.
La sensazione non era ancora svanita.
Restava aggrappata a lui con forza, come l’edera ad un
muro.
Il suo primo pensiero fu che doveva assolutamente
cancellarla, ma nel proprio subconscio sapeva di non
volerlo veramente.
Le sue labbra, ora, avevano un gusto diverso.
Più dolce.
Più buono.
Come mai era stato.
Quasi non aveva dormito.
Non c’era riuscito.
Perso a guardare la notte che scivolava via davanti
alla grande finestra del proprio appartamento, non
aveva fatto altro che darsi dello stupido,
dell’incosciente, a pensare e a ripensare a quello che
aveva fatto, e a quali sarebbero potute essere le
conseguenze del proprio gesto.
Aveva baciato un ragazzo che conosceva appena! Senza
neppure sincerarsi di quali fossero le sue tendenze!
Non lo aveva neppure preparato, non era mai entrato in
argomento!
Un impulso improvviso, che senza pensare aveva
assecondato...
E adesso, non aveva idea di come l’avesse presa Nat,
di come avrebbe reagito.
Lo avrebbe saputo solo la mattina seguente...
Probabilmente, il ragazzo se ne sarebbe rimasto in
camera, senza nessuna voglia di vederlo. Dato il tipo,
sicuramente si sarebbe sentito in imbarazzo, a
trascorrere un’altra giornata insieme a lui, e quindi
avrebbe preferito evitarlo.
E lui avrebbe perso l’ultima occasione, forse, che
aveva avuto per stare ancora con l’altro.
Che cretino!
Perché aveva agito in quel modo?
Non era da lui.
Era assurdo, stupido.
Accidenti!
Aveva continuato con simili pensieri per buona parte
della notte, e non era riuscito a cancellarli neppure
la mattina seguente, mentre, teso come mai gli era
successo, si dirigeva verso l’albergo a prendere Nathan.
Perché, nonostante tutti i propri propositi, e la
paura della delusione che lo aspettava, la speranza di
poterlo rivedere era ancora più forte, e lui non
riusciva a farla spegnere.
Così, era arrivato al Takarashige agitatissimo, il
cuore un miscuglio di sensazioni, e il petto che quasi
gli faceva male per la tensione.
Si era acceso una sigaretta e si era accinto ad
aspettare, convinto, e timoroso, di doverlo fare per
molto.
Aveva fatto solo un paio di tirate, poi visto una
figura correre verso di lui, il braccio levato in
segno di saluto e un sorriso radioso che gli
illuminava gli occhi e il volto stesso.
Aveva sentito il proprio cuore cambiare i battiti; non
più veloci, solo più forti, violenti, come un pugno
che, da dentro, cercasse di sfondargli la cassa
toracica.
- Buongiorno, Hiro. – lo aveva salutato l’altro. – Sei
arrivato da molto? –
Amichevole, sereno, raggiante.
Stupendo.
Quasi non fosse successo nulla, o non se ne
ricordasse.
Quasi come se fosse felicissimo di vederlo...
Hiro aveva sbattuto le palpebre, stupito, accecato,
sconvolto, e si era schiarito la voce rumorosamente,
cercando di controllarsi.
- Io... No... Sei in perfetto orario. –
E gli aveva sorriso, così frastornato da riuscire a
malapena a parlare.
Si era ripreso pian piano mentre viaggiavano verso la
loro meta, ascoltando il compagno, le sue scuse per
averlo fatto alzare presto in un giorno di ferie, le
sue esclamazioni di meraviglia ogni volta che
passavano davanti a qualche costruzione particolare,
le sue domande.
Era tornato tutto come il giorno precedente, anzi,
forse anche meglio, e Hiro si sentì rinascere.
Rimase a fissarlo mentre l’altro, seduto sugli scalini
del tempio con l’album appoggiato alle ginocchia,
faceva uno schizzo del giardino zen. Ogni tanto si
alzava e cambiava posto, per avere una nuova visuale,
per studiare il mutare delle forme, l’armonia
dell’insieme che variava a seconda della diversa
angolazione. Mentre Hiro osservava lui, i suoi
lineamenti, i cambiamenti di espressione, i piccoli
gesti.
Li mandava a memoria, li disegnava nella propria
mente.
- E’ bellissimo... - mormorò Nat, a voce bassa,
tornando vicino a lui. – Suggestivo... -
Hiro gli sorrise e si alzò in piedi.
- Questa è l’ora migliore, per vederlo. Fra poco si
riempirà di turisti, e si perde tutto il silenzio e la
pace che lo circonda. -
- Mh... Sembra davvero fatto apposta per meditare... -
Nat gli si mise a fianco e lentamente s’incamminarono
verso l’uscita. - E’ proprio vero che se ti sposti
vedi sempre quattordici pietre, sai? una si nasconde e
un’altra compare! -
- Certo che è vero! – Hiro ridacchiò, osservandolo di
traverso. – E’ fatto apposta, studiato fin’ nei minimi
particolari, e segue un ordine preciso. Che io non so
spiegarti, ma che ha un significato. Anche la ghiaia,
disposta in quel modo... -
Nat voltò il capo verso di lui e gli fece un sorriso
lieve, quasi malizioso.
- Siete persone strane... -
- Chi?! -
- Voi giapponesi. -
Hiro aggrottò le sopracciglia, mentre si perdeva in
quello sguardo del colore del mare.
- Strani in che senso? -
Nat strinse le labbra, trattenendo il sorriso più
ampio che gli stava sfuggendo, e allungò leggermente
il passo.
- Strani... - ribadì, e Hiro si sentì arrossire.
Si riferiva al suo comportamento della sera
precedente? al suo modo di fare?
Lasciò andare il fiato e raggiunse il compagno,
desideroso di capire quello che intendeva e allo
stesso tempo di lasciar cadere il discorso.
- Avete una cultura particolare, e usanze particolari.
– continuò il compagno, evitandogli di decidere cosa
preferisse fra le due soluzioni. – Sono così lontane
dalle nostre da sembrare di un altro mondo, a volte addirittura assurde, altre affascinanti,
incredibili... Non lo so, non so spiegarmi. La
religione, i templi, anche la semplice disposizione
delle cose, e del cibo sui piatti, e le mode... Tante
cose. – Scosse piano il capo con un sorriso lieve. –
E’ interessante. Forse più delle visite ai luoghi più
famosi. Cioè... conoscere le usanze e il modo di
vivere delle persone di un Paese straniero è la cosa
che più mi attrae di un viaggio all’estero. - Sospirò,
poi voltò il capo verso di lui. Erano già seduti in
macchina. - Peccato che non ci si possa mai stare
tanto tempo... -
Peccato...
Hiro rimase a fissarlo.
Avrebbe avuto voglia di baciarlo di nuovo.
Invece si sforzò di sorridergli e si accinse ad
accendere l’automobile.
- Allora, ti va di continuare il tuo viaggio in questo
strano Paese, e conoscere nuovi posti, nuove usanze, e
nuovi piatti? – chiese con aria allegra.
Nathan ridacchiò e annuì, contento.
Bastava quello per dare un senso alla giornata.
- Bene. Prossima fermata: Arashiyama! -
Nat rise ancora e Hiro si chiese come avrebbe fatto a
vivere ancora senza quel suono.
La giornata era più calda del solito, anche se pareva
impossibile, ma a parte quello Nat si sentiva
benissimo.
Si era svegliato fresco e riposato, solo un lieve mal
di testa a ricordargli le bevute della serata
precedente, mentre l’eccitazione per la giornata
imminente aveva subito cominciato a fargli pizzicare
la pelle.
Un altro giorno...
Un giorno intero...
Non pensava al fatto che probabilmente sarebbe stato
anche l’ultimo.
Non voleva pensarci.
Ogni volta che il pensiero gli si affacciava alla
mente, avvertiva un senso di sgomento, di sconforto,
che non sapeva spiegare, che si rifiutava di
analizzare.
Lo accantonava, come qualcosa di cui non avesse
bisogno.
O di cui avesse paura.
Era troppo felice per farsi sopraffare dalla paura.
Era sceso nell’atrio sorridendo e salutando tutti, e
quando aveva visto Hiro si era sentito invadere da una
gioia così profonda che avrebbe avuto voglia di
ridere, e magari di urlare. Di urlarla al mondo
intero.
Forse si sentiva un po’ stupido, ma per la prima volta
in vita sua non gli importava.
Avevano visitato il tempio Ryoanji, con quel giardino
meraviglioso, senza verde, senza piante, solo ghiaia
bianchissima e rocce, e il suo animo si era
ulteriormente rinfrancato.
Anche perché Hiro, che all’inizio era stato
stranamente silenzioso, si era ripreso ed era tornato
gioviale e allegro come al solito.
Nat aveva temuto che fosse stanco, annoiato, magari
indispettito dal fatto di perdere i suoi giorni liberi
dietro a lui; invece pian piano il suo entusiasmo e la
sua vitalità erano tornati prorompenti, e la giornata
ancor più luminosa.
Ad Arashiyama, passeggiarono per la via costeggiata di
negozi, lungo il fiume, attraverso la foresta di
bambù. C’era molta gente, che si godeva il fresco e la
pace della natura o si bagnava nell’acqua, mentre
alcuni ragazzi offrivano passaggi sui loro risciò. Una
domenica qualunque, un giorno di festa da trascorrere
in tranquillità.
Nathan osservava tutto e tutti sorridendo, sentendosi
felice senza un motivo apparente, colpito solo dalla
semplicità del luogo e delle persone. Gli sarebbe
piaciuto fermarsi a studiarli, a ritrarre quei
momenti, ma non era sicuro di riuscire a riprodurre le
sensazioni che suscitavano, di cogliere l’essenza di
ciò che stava osservando, e vivendo.
Non si trattava solo di quello che stava vedendo, ma
anche di quello che sentiva dentro di sé quel giorno,
emozioni che non riusciva ad afferrare, a spiegare
neppure a se stesso, che condizionavano anche la sua
visuale delle cose, di ciò che lo circondava, e che
gli riempivano il cuore, e lo mandavano in confusione.
Non sarebbe stato in grado di immortalarle su un
foglio, di fermarle, di dar loro una connotazione
precisa.
Troppo vaghe, troppo astratte, al momento.
Si stirò con un sospiro soddisfatto.
Se non ci fosse stato quel caldo soffocante, sarebbe
stato tutto perfetto.
- Vuoi fermarti a disegnare? – gli chiese Hiro, come
leggendogli nel pensiero.
- Mh... Mi piacerebbe... - mormorò lui di rimando. –
Però non so... Non ora. – Voltò il capo e gli sorrise.
– Non credo che combinerei qualcosa di decente, in
questo momento. -
Emozionato. Eccitato. Confuso.
Era così che si sentiva.
Un miscuglio di sensazioni che lo faceva fremere,
agitare.
E ancora non riusciva a capire da dove scaturisse.
Il compagno sorrise a propria volta, fissandolo con
quello sguardo profondo, nerissimo, e lui si sentì
arrossire senza motivo.
... O forse un motivo c’era? ...
- Hai fame? – domandò ancora l’altro, e lui annuì,
accentuando il sorriso. – Allora ti porto in un altro
bel localino poco lontano da qui. Ti piacerà, vedrai.
-
Nat annuì ancora, mettendosi al suo fianco entusiasta.
Hiro aveva un modo di fare così spontaneo, e
simpatico, coinvolgente, che affascinava. Nat non
dubitava che, qualunque fosse il posto in cui lo
avrebbe portato, gli sarebbe piaciuto.
- Però stavolta offro io. – disse, mentre si
inoltravano nella foresta.
Non gli avrebbe permesso di pagare ancora una volta
per lui.
- Non ti preoccupare: sei mio ospite e... -
- Offro io! -
Hiro scosse la testa.
- Ti ho detto che... -
- Allora non vengo. -
Nat s’impuntò, lo sguardo fermo e deciso fisso in
quello stupito del compagno. Sapeva che la propria
espressione non era propriamente seria, che gli occhi
gli stavano ancora brillando, ma era deciso a non
mollare.
Di fronte a lui, Hiro sbatté le palpebre.
- Ma... -
- Non è giusto che offri sempre tu. Non... non voglio,
ecco... Tu portami in questo favoloso localino, ma il
pranzo lo pago io. – Si morse un labbro, poi sorrise.
Non voleva offenderlo, né farlo arrabbiare. –
D’accordo? -
Hiro lo guardava.
Ci mise un po’ a rispondergli, come se si fosse perso
a pensare a qualcosa.
Scosse il capo e si passò la lingua sulle labbra; poi
fece un sorrisino e levò le mani davanti a sé.
- D’accordo. – capitolò, e Nathan quasi sospirò di
sollievo.
Non era abituato a reagire così, ad imporre il proprio
volere in quel modo (in nessun modo, per la verità), e
aveva davvero avuto paura di offendere il compagno.
Eppure, gli era venuto naturale, non aveva tentennato
neanche un attimo. Non si ricordava di averlo mai
fatto con qualcuno...
Si morse ancora il labbro e guardò il compagno di
sbieco, mentre camminavano all’ombra umida dei bambù.
- Scusa... - mormorò.
- Mh? -
Hiro voltò il capo verso di lui con lo sguardo
interrogativo.
- Ah... Non... Non volevo offenderti... o insistere
così. Cioè, è solo che non mi sembrava giusto che
tu... Sì, hai capito. E’... Questa volta lascia che
sia io a... a fare qualcosa. Altrimenti mi sento in
imbarazzo. E... e non voglio che sia così; non fra di
noi. Vorrei che facessimo le cose insieme e... Cioè...
Sì... –
Abbassò il capo, sentendosi nuovamente arrossire,
mentre il cuore cominciava a battergli improvvisamente
più veloce.
Perché aveva detto quelle cose?
Perché se ne sentiva tanto turbato?
Non riuscì ad alzare lo sguardo finché non udì la voce
del compagno.
- Ho capito. – Era bassa, e in qualche modo dolce.
Appena Nat incontrò i suoi occhi, l’altro sorrise, un
sorriso caldo, comprensivo. – Non hai bisogno di
scusarti. Hai ragione tu. Forse. – Ridacchiò. – E’
nostra abitudine comportarci così: un ospite è un
ospite, non possiamo certo permettergli di pagare,
offrire, disturbarsi in qualunque modo. Un ospite non
deve occuparsi di nulla. -
Sorrise anche Nat, di rimando.
Erano davvero strani, i giapponesi.
- Allora, fai conto che io sia un amico. – Un amico...
– Sì... nel senso... Uno con cui non senti di dover
avere obblighi di alcun tipo, ecco. – Gli sarebbe
piaciuto avere un amico come Hiro... – Come se fossimo
due amici che stanno facendo una scampagnata
domenicale, e... e questa volta sono io che ti invito
a pranzo. -
Ora il cuore gli batteva veramente forte.
Stava esagerando. Stava cambiando.
Si stava lasciando andare come non aveva mai fatto,
guidato da ciò che sentiva dentro di sé, dal proprio
cuore. D’istinto, praticamente senza incertezze.
Cosa avrebbe pensato l’altro, di lui? Come avrebbe
preso la sua invadenza?
Si conoscevano appena.
Cosa gli era saltato in testa di imporsi a quel modo?
... Beh, Hiro la sera prima lo aveva......
Sussultò come colpito all’improvviso e tornò in sé.
- Ok? – riuscì a dire.
... Era ubriaco. Hiro era ubriaco, la sera prima...
Ora lo guardava. Sembrava stupito, perplesso, come se
stesse valutando e cercando di capire quello che lui
aveva detto.
Probabilmente, stava pensando che era uno stupido, o
un maleducato.
Per un attimo distolse lo sguardo, poi tornò a
sorridergli.
- Ok. – accettò alla fine.
A Nat parve che fosse anche lievemente arrossito.
Gli si mise a fianco e ripresero il cammino
all’interno della foresta.
- Dov’è, questo posto? – chiese.
- Non manca molto. Voglio farti assaggiare l’aburage
che preparano loro, e anche il tempura. Sono sicuro
che ti piaceranno. -
Sorrideva ancora, e Nat avrebbe avuto voglia di
ridere.
Hiro non era arrabbiato con lui.
Non era arrabbiato con lui.
Sembrava contento.
E voleva che fossero amici.
Hiro guidò il compagno fin’ da Sagano, con il sorriso
che non riusciva a soffocare, la risata trattenuta a
stento, sempre pronta a scoppiare; e come sempre
quando si sentiva euforico, parlando senza quasi mai
interrompersi.
Era contento. E allo stesso tempo agitato.
Sapeva che non gli rimaneva ormai molto tempo per
stare con Nat, e sapeva che non sarebbe riuscito ad
accettarlo del tutto, che non ce l’avrebbe fatta a
dimenticarlo, a toglierselo dalla testa, a pensare a
lui solo come ad un incontro occasionale.
Era perfettamente conscio del dolore che il distacco
gli avrebbe procurato, specie in quei momenti, durante
i quali, e sempre di più, lo sentiva molto più vicino.
Ma al contempo non poteva neppure fare a meno di
essere felice di stare con lui, di godere fino in
fondo della sua presenza, di approfittare di ogni
attimo il destino gli avesse concesso per gioire di
quella conoscenza.
Non avrebbe potuto trattenerlo contro la sua volontà,
né imporsi o forzare le cose.
Lo sapeva.
Quindi voleva trascorrere quegli attimi insieme a lui
al meglio.
Una voce, dentro di lui, cercava di farsi largo fra le
sue elucubrazioni, fra le sue fantasie; la voce della
ragione, che gli bisbigliava che stava diventando
troppo tardi, che le cose si stavano facendo troppo
serie, e che lui avrebbe dovuto smetterla, cercare di
allontanarsi, di non farsi coinvolgere troppo. Una
voce che lui evitava di ascoltare attentamente.
- Allora? – gli chiese appena tornarono all’aperto.
- Mmh... Tutto buonissimo! -
I suoi occhi scintillavano più del cielo accecante del
primo pomeriggio, i capelli più dei raggi del sole.
Sembrava incarnare la bellezza in tutta la sua
semplicità.
Hiro si sarebbe perso ore anche solo a guardarlo.
- Aah... Allora, ti va il tempio del Drago dei Cieli,
qua vicino, o qualcos’altro che ti ispira
particolarmente? -
Doveva tornare coi piedi per terra, o avrebbe
combinato un nuovo disastro.
- Il Tempio... Va bene. Ha anche un bel nome... -
- Il Tenryuji. C’è anche una leggenda, legata ad esso.
-
- Qualche fantasma? – scherzò Nat.
- Fantasma? – Hiro lo guardò sconcertato, poi rise. –
No! non esattamente, almeno. Solo che è stato fatto
costruire in onore dell’imperatore Godaigo da colui
che lo aveva detronizzato, che aveva fatto un sogno e
voleva dare riposo allo spirito inquieto di Godaigo
stesso. -
- Affinché non girasse per il suo palazzo in cerca di
vendetta. – concluse Nat, scherzoso, alzando una mano
a coprirsi gli occhi dal sole. – E’ quasi una storia
di fantasmi. Un po’ come da noi. Ogni castello
dell’Inghilterra ha la sua leggenda e il suo... -
Hiro lo vide sbattere le palpebre e barcollare
leggermente.
- ... fantasma... -
In un attimo gli fu vicino e lo sostenne, prima che
cadesse a terra di schianto.
- Nat! -
Era pallidissimo e respirava con affanno, lo sguardo
vacuo che non si posava su nulla di preciso, gli occhi
quasi rivoltati all'indietro.
Hiro lo fece stendere, usando la propria camicia come
cuscino, e gli sollevò le gambe appoggiandole alle
proprie spalle.
- Nat! Mi senti? Nathan... -
Avrebbe avuto bisogno di un po' d'acqua, magari di un
aiuto, di un dottore.
Perché non passava un accidente di nessuno?!
- Nat, ti prego... Nat! -
Sotto di lui, il ragazzo sbatté ancora le palpebre un
paio di volte, poi parve mettere nuovamente a fuoco.
- Cosa...? - farfugliò incerto, e Hiro si lasciò
scappare un piccolo gemito.
- Nathan!! -
Gli lasciò andare le gambe e gli si inginocchiò a
fianco, passandogli il palmo della mano sulle guance,
gelate nonostante il caldo soffocante. Era sudato
fradicio, e tremava leggermente.
- Come ti senti? -
- Bene... - mormorò con un lieve sorriso. - Scusa.
Non... non so cosa sia successo... Io non... Ora sto
bene. Scusami tanto... -
Fece per alzarsi, ma Hiro glielo impedì.
- Resta ancora sdraiato. Respiri bene? Hai mal di
stomaco? Fra poco vado a cercare un po' d'acqua, ma
per adesso rimani tranquillo. -
L'altro annuì, piano, e lui gli sorrise.
Aveva le labbra secche e il volto ancora pallido, con
gli occhi verdissimi che risaltavano come smeraldi su
un panno chiaro. Si stava riprendendo, ma Hiro non
voleva rischiare.
- Scusa... Non... Che stupido, che sono. Mi dispiace,
davvero. Non so proprio come... Forse il caldo. Ma
ora... ora va molto meglio, e posso alzarmi.
Davvero... Non è niente. -
Continuava a parlare, imbarazzato, dispiaciuto.
Hiro gli scostò i capelli madidi dalla fronte, in un
tocco lieve, delicato.
Avrebbe voluto abbracciarlo, per farlo sentire più
sicuro, per farlo smettere di tremare.
- Sei svenuto: non è "niente". Hai bisogno di stare
tranquillo, di non agitarti. Vuoi che chiamiamo un
dottore? oppure... -
- No, no! Non c'è bisogno di dottori. - Sorrise,
contrito, ancora imbarazzato. - Non è necessario. E'
solo... è solo un lieve malessere. Non so perché sia
successo. E'... E' assurdo. Forse è davvero per il
caldo... -
- O forse sei un po' stanco. Allora... Te la senti di
alzarti? -
- Sì, certo. -
Stava per farlo di scatto, ma Hiro gli mise una mano
sulla spalla, tenendolo sdraiato.
- Con calma... - mormorò, e intanto gli sorrise
ancora.
Era teso, rigido, e probabilmente ancora un po'
intontito.
Lo aiutò a mettersi in piedi e fece in modo che si
appoggiasse a lui, mentre lentamente si dirigevano
alla macchina.
- Mi... mi dispiace. - Nathan non fece che ripeterlo.
- Ti ho rovinato la giornata... Dopo che mi hai... mi
hai accompagnato in giro... annoiandoti... E adesso...
adesso anche questo... E... Scusami... Non... non
volevo... Io... -
- Mi sembrava di aver detto di non voler più udire
parole di scusa uscire dalla tua bocca. - lo
interruppe Hiro. - O sbaglio? -
Nat si morse il labbro, evitando di guardarlo.
- Mi pare di averlo ripetuto anche più di una volta. -
Fece un risolino, poi piegò il capo in avanti per
cercare di guardare il compagno in volto. - Ehi... Non
devi scusarti. Sei stato male, non è certo colpa tua.
- Si fermò, aspettando che l'altro levasse gli occhi
su di lui, enormi, lucidi. - Non mi hai rovinato
niente... Sono solo preoccupato per te, per come stai. Ok? -
Nathan rimase a fissarlo, prima di annuire piano, le
labbra ancora martoriate dai denti e lo sguardo
mortificato.
Anche quel pallore non certo naturale riusciva a
donargli.
- Senti... Pensavo di portarti a casa mia: non è
lontana da qui; potrai fare un bagno e riposarti un
po'. - Lo vide spalancare gli occhi e la bocca, pronto
a ribattere e protestare, ma Hiro non gliene diede il
tempo. - Non mi è di nessun disturbo, te lo assicuro. E' solo più comodo. E tu potrai stare tranquillo senza
problemi, prima che ti riaccompagni in albergo. Mh? -
Nat non disse niente; lo guardava e basta, con gli
occhi enormi puntati su di lui. Sembrava sul punto di
mettersi a piangere. - Non ti devi preoccupare di
nulla... -
Gli accarezzò le guance, di nuovo senza pensare,
sorridendogli per cercare di metterlo a proprio agio,
avvicinando il viso al suo.
... troppo vicino...
Sentiva il suo respiro sfiorargli la pelle.
Deglutì a vuoto e si tirò indietro, quasi di scatto,
notando di sfuggita le guance arrossate dell'altro.
- Ah... mh... Allora, andiamo. -
Il cuore gli stava battendo troppo in fretta.
Raggiunsero l'auto, e Hiro mise in moto con la mente
in subbuglio.
Vai all'Archivio Fan Fictions |
Vai all'Archivio Original
Fictions |
|