All I Want

di Kriss

parte II


Aprì gli occhi e la luce dell’esterno lo colpì, accecandolo per un attimo.
Brad si era già alzato e si stava facendo una doccia.
L’acqua stava ancora scorrendo.
Gli faceva male la testa.
Gli faceva male un po’ ovunque.
Si levò a sedere trattenendo un gemito e posò i piedi a terra con delicatezza, cercando di riprendere il controllo del proprio corpo.
Ogni volta che faceva l’amore con Brad, gli sembrava di perdere una parte di se stesso, forse addirittura tutto se stesso, quasi che il proprio corpo non gli appartenesse più.
Quella notte, poi, il compagno era stato più violento del solito, smanioso, come volesse ribadire la propria autorità, il proprio diritto su di lui.
Nat gli apparteneva, e non doveva scordarlo per nessun motivo.
Anche se per mesi Brad si era fatto sentire appena, e vedere ancora meno; anche se Nat sapeva che era stato con altri e con altre, che lo tradiva, che tornava da lui solo per possederlo.
Lo sapeva, ma non riusciva a respingerlo definitivamente.
Ci aveva provato, l’ultima volta, e da allora Brad gli si era avvicinato, era tornato come agli inizi, quando lo aveva conosciuto e ammaliato col suo fascino.
E Nat ci era ricaduto, colpito ancora dalla sua voce profonda e sensuale, dalla sua bellezza virile, da quella sicurezza che sprigionava ad ogni gesto, e incapace di resistere all’intensità del suo sguardo magnetico.
Quella vacanza, poi, il suo invito improvviso, inaspettato, aveva fatto rinascere in lui la speranza che le cose fra loro potessero ristabilirsi.
Ma al momento, niente gli pareva cambiato.
Forse, era ancora presto...
Si alzò, si mise lo yukata e uscì sulla terrazza.
L’aria era soffocante anche quel giorno. Anche il venticello che spirava leggero dalle montagne circostanti sembrava portare solo altro calore, piuttosto che dare sollievo.
Il paesaggio lì intorno, in compenso, era di una bellezza sconvolgente.
Si appoggiò al parapetto e pensò a quello che avrebbe fatto quel giorno.
Voleva vedere il padiglione d’oro, e poi da lì si sarebbe mosso verso sud per visitare alcuni templi.
Aveva guardato la cartina il giorno prima e si era fatto un’idea dei luoghi in cui poteva andare; aveva solo l’imbarazzo della scelta.
E poi, alle cinque e mezza, aveva l’appuntamento con Murakami...
L’appuntamento...
Sì, beh, più o meno.
Non era costretto ad andarci.
L’altro gli aveva detto che lo avrebbe aspettato, ma anche che, se non fosse venuto, non importava.
“ Niente di impegnativo...” 
Nessun obbligo...
Strinse le labbra e ne morse l’interno.
Quella notte aveva pensato a lui.
Prima di addormentarsi, rannicchiato in un angolo del letto, aveva ripensato al suo sorriso gentile, luminoso, al suo entusiasmo coinvolgente, al nero profondo del suo sguardo.
E il suo volto gli era comparso davanti anche mentre Brad lo stava penetrando con violenza, andando a sostituire il ghigno soddisfatto del compagno, facendosi largo fra le lacrime, fra il dolore.
Chiuse gli occhi e scosse il capo per scacciare quei pensieri.
Lo spaventavano, anche se non ne capiva bene il perché.
Doveva smettere.
Avrebbe deciso più tardi, se andare all’appuntamento o meno, senza bisogno di farci su troppe congetture.
Non ce n’era bisogno.
Rientrò nella camera e trovò Brad che si stava vestendo davanti allo specchio.
Completo leggero, di Armani, probabilmente, con cravatta perfettamente in tinta.
Impeccabile.
Nat fece qualche passo verso di lui.
- Stasera rientro tardi. – lo avvertì l’altro, finendo di aggiustarsi la cravatta. – Ho una cena importante.
Tu puoi mangiare in uno dei ristoranti dell’albergo.
Ce ne sono tanti. -
Nat sbatté le palpebre, e quasi senza pensare assunse un’aria triste.
- Oh... - fece solo.
- Ceneremo insieme domani. -
Prese l’orologio, il cellulare, la valigetta.
- Non sai nemmeno verso che ora potresti liberarti, questa sera? – gli chiese Nat, a voce bassa, quasi piagnucolosa.
Gli si era avvicinato e il profumo del suo dopobarba gli riempì le narici.
- Certo che no! – Una piccola ruga gli segnava la fronte, segno che era irritato. – Non mi aspettare neanche. Non si sa mai quando possano finire queste riunioni. -
Nat lo abbracciò da dietro e sospirò.
- Non ci sei mai... - mormorò.
- Non cominciare con la solita lagna, Nat! – Lo staccò da sé, brusco, freddo. – Sono qui per lavorare, non per stare dietro a te. – Si avviò alla porta. – Ci vediamo domattina. – E uscì.
Non si era neanche voltato a guardarlo.
Nat lasciò andare il respiro e si stiracchiò con sollievo, stupendo anche se stesso.
Qualcosa stava cambiando, invece.
Non Brad, o il suo comportamento, o il rapporto fra di loro, bensì lui, Nat, qualcosa che aveva dentro.
Perché aveva fatto apposta, a mostrarsi dispiaciuto che l’altro non rientrasse, a fargli credere che gli facesse male rimanere da solo.
Gli era venuto naturale, istintivo; sapeva perfettamente, e da molto tempo, ormai, che più lui si lamentava della sua lontananza, più l’altro tendeva a stargli lontano. E Nat aveva imparato a trattenersi, per non irritarlo, per non dargli l’impressione di essere troppo asfissiante.
Stavolta, invece, aveva fatto proprio in modo che Brad si allontanasse da lui con il desiderio di farsi aspettare per ferirlo.
Così non sarebbe rientrato se non tardissimo, forse addirittura la mattina dopo.
Così lui avrebbe avuto la serata libera.
Andò in bagno sentendosi strano.
Non aveva mai fatto una cosa del genere.
Non aveva mai provato ad ingannare Bradley.
Si chiese cosa gli avesse dato tanto coraggio, cosa lo avesse spinto a comportarsi a quel modo.
Non lo sapeva. O forse, meglio, aveva paura a darsi una risposta sincera.
Aprì l’acqua della doccia, si spogliò; poi alzò gli occhi allo specchio e si scoprì a sorridere contento.
Cosa gli stava succedendo?!


Si accese la terza sigaretta e ostentò un’aria
noncurante, smentita dal movimento nervoso che faceva con la gamba.
Fumava troppo. Doveva smettere.
Soffiò fuori il fumo e si passò una mano fra i capelli.
Avrebbe cominciato un’altra volta.
In quel momento era troppo nervoso.
Aveva cominciato a pensare a quella sera già dal primo pomeriggio, cercando di convincersi a non farsi troppe illusioni, e magari a non andare nemmeno all’appuntamento. Era più che probabile che l’altro non si sarebbe presentato, quindi era anche inutile perdere tempo.
Ma alla fine non ce l’aveva fatta, e con la scusa che non gli sarebbe costato niente passare di là e che, nel caso assurdo che l’altro fosse venuto, sarebbe stato scortese non farsi vedere, era andato. Era uscito dall’ufficio salutando frettolosamente e aveva fatto tutto di corsa, col terrore inconscio di arrivare in ritardo, così che si era ritrovato seduto ad un tavolino con dieci minuti di anticipo, a fumare una sigaretta dietro l’altra.
E tutto, forse, per niente.
Guardò l’orologio.
Dieci minuti.
Se i suoi amici lo avessero visto, non ci avrebbero creduto.
Hiro che si faceva prendere dal panico per un ragazzo!
che faceva dipendere il proprio umore da lui!
Già immaginava di sentirli. E di sentire le frecciatine di Ryoichi, i suoi commenti pungenti, le sue risatine leggere.
“ Questa tua passione per i gaijin ti porterà alla rovina! “
Era vero che aveva un debole per gli occidentali, ma che questo fatto dovesse portarlo alla rovina……
Era stupido.
Così come quel termine, gaijin, pronunciato spesso con disprezzo, quasi con la convinzione che gli stranieri occidentali dovessero portare alla rovina il Giappone, o fossero tutti dei pazzi senza cervello.
Lo detestava.
L’unica volta che era stato in Europa si era trovato tanto bene, che non avrebbe più voluto tornare in Giappone, e aveva fatto una fatica terribile a riabituarsi ai ritmi e ad alcuni usi del proprio Paese. Oltre che ad alcune persone e alle loro fissazioni.
E comunque, avrebbe sfidato i vari amici a trovare qualcosa che non andava, in quell’occidentale in particolare.
Finì la birra.
Un quarto d’ora.
Non sarebbe venuto.
Beh, gli aveva dato mezz’ora.
Poteva aspettare ancora un po’.
Il bar stava cominciando a riempirsi.
Ragazzini in gruppo, coppiette, due signore in yukata, tre turisti accaldati che continuavano a sventolare i ventagli di plastica nonostante l’aria condizionata.
I camerieri davano il benvenuto automaticamente e si muovevano zelanti fra i tavoli.
Venti minuti.
C’era ancora un po’ di tempo.
Poco, ma c’era.
Sbuffò e spense la sigaretta.
Non ci aveva mai fatto veramente affidamento, quindi era anche inutile rimanerci male.
Sarebbe stato solo un incontro occasionale, il ricordo di un attimo, l’illusione di…
- Irasshiaimaseee! -
Un nuovo benvenuto, un nuovo saluto.
Hiro si voltò meccanicamente, e il cuore gli saltò in gola, rischiando di soffocarlo.
Era arrivato.
Appena dentro il locale, si guardava attorno con aria stanca e smarrita.
Indossava una maglietta aderente nera, pantaloni larghi verde militare, una camicia legata in vita, la borsa a tracolla che gli pendeva lungo il fianco. 
Sembrava giovanissimo.
Hiro si alzò subito in piedi, sentendosi invadere il cuore da una gioia spropositata, mentre Nat finalmente lo scorgeva e si dirigeva verso di lui.
- Scu... Scusa... Sono in ritardo... Mi... mi dispiace... -
Teneva gli occhi bassi e aveva le guance arrossate.
“ Non importa. Basta che tu sia qui. “
- Non sei affatto in ritardo. – gli disse,
accogliendolo con un sorriso. – Avevi ancora dieci minuti! -
Nat alzò lo sguardo su di lui e ricambiò il sorriso.
- Già... - mormorò. – Ma questo vuol dire che te ne ho fatti aspettare venti. Mi dispiace. -
Hiro si strinse nelle spalle.
- Avevo detto mezz’ora, no? – e l’altro annuì con un nuovo sorriso, che gli fece scintillare il verde degli occhi.
- Ero anche in orario, ma poi ho sbagliato fermata e sono entrato in un’altra galleria. – Scosse il capo e si toccò il lobo e il piccolo orecchino che vi portava. – Sono una frana, con queste cose. -
“ Ma delizioso in tutto il resto. “
- Non è facile, per uno straniero, te l’ho detto. -
- Oh, ma io riesco ancora a perdermi a Londra! – esclamò.
Hiro lo fissò, poi scoppiò a ridere.
La tensione che aveva avvertito per tutto il giorno era sparita, sostituita da un senso di appagamento mai provato.
- E’ vero! Mi perdo anche nei posti in cui sono già stato! -
- Allora sono stato fortunato, visto che sei riuscito ad arrivare fino a qua senza troppi problemi! -
Ridacchiò anche Nathan, allegro, anche se forse un po’ imbarazzato.
- Già... -
Aveva una bella bocca, con le labbra né troppo carnose né troppo sottili, che spesso martoriava coi denti in un gesto involontariamente sensuale.
Le avrebbe assaggiate più che volentieri.
Si schiarì la voce, cercando di distogliere la mente da quei pensieri e tornando a concentrarsi.
- Allora... Ti va di andare da qualche parte? oppure di bere qualcosa? Oppure, qualcos’ altro. Dipende da quanto tempo hai, se hai altri impegni, se... -
- Ho la serata libera. – lo interruppe. – Cioè, non ho impegni di nessun tipo, ecco... -
- Perfetto! – Non riuscì a trattenersi. – Allora possiamo andare a cena da qualche parte, e poi in un locale, o a fare una passeggiata per Gion. Non ha importanza, decideremo al momento. Va bene? -
Stava esagerando, lo sapeva.
Immaginava il proprio sguardo euforico, la voce troppo squillante, il sorriso raggiante; e come dovesse apparire al proprio interlocutore. Ma non riusciva a fare altrimenti.
In quel momento non era in grado di soffocare la propria esultanza.
Di fronte a lui, Nat annuì e distolse lo sguardo.
- Va bene... Ma solo... solo se non hai altro da fare, se non ti disturba... -
Hiro aggrottò le sopracciglia e storse la bocca.
- Non mi disturbi affatto. E da adesso in avanti non voglio più sentirti pronunciare questa parola, né scuse o cose simili. Ok? -
Nathan sbatté le palpebre, tornando ad affondare i denti nel labbro inferiore.
- Ok? – insistette Hiro.
E l’altro reclinò lievemente la testa di lato e gli sorrise, un sorriso dolcissimo, delicato, incantevole, che gli arrivò dritto al cuore, gli perforò l’anima.
- Ok. – mormorò.
Hiro rimase a fissarlo imbambolato, incapace, al momento, di fare altro. Doveva anche essere arrossito, si sentiva il volto accaldato.
Faceva indubbiamente un caldo terribile.
Nonostante l’aria condizionata.
Era colpa di quel sorriso?
Aprì e chiuse la bocca un paio di volte, poi deglutì a vuoto.
- Aaaah... eeeh... - Ridacchiò, passandosi una mano sulla nuca. Dio, che imbecille! – Ti porto… ti porto a bere qualcosa. Qui c’è troppa gente. – Raccolse la propria roba e si avviò a pagare, cercando di riprendere il controllo di se stesso. – E poi, a cena. Che tipo di cucina ti andrebbe? Giapponese, cinese, italiana, francese... -
Accanto a lui, Nat lo guardò sorridente e un po’ stupito.
- Beh... Giapponese, direi. Sono in Giappone... -
- Benissimo! Conosco un posticino non lontano da qui che prepara un piatto speciale. E se arriviamo presto, possiamo trovare posto sulla veranda che guarda il fiume. Avrai fame, mh? -
- Sì, un po’... -
- Bene! -
Sembrava diventata la sua esclamazione preferita! 
Uscirono dal locale e Hiro non smise di chiacchierare per tutto il tragitto che dovevano percorrere.
Non riusciva a contenere il proprio entusiasmo.



Era stata una serata magnifica.
La cena, il ristorante, la passeggiata…
Non si era mai sentito tanto rilassato e tranquillo insieme ad una persona.
Aveva parlato di tante cose, riso, scherzato.
Si era divertito senza fare nulla di speciale.
Solo stando con Hiro.
Gli aveva detto lui di chiamarlo con il nome proprio, anzi, col diminutivo.
Hiro- kun, dicevano i giapponesi.
Si stiracchiò nel letto e si scoprì a sorridere.
Non riusciva a dormire.
Non era successo nulla, avevano solamente cenato e passeggiato per la zona delle Geishe.
Eppure Nat non riusciva a togliersi dalla mente, e dalle ossa, l’appagamento e il piacere che gli avevano lasciato quelle semplici azioni. E adesso aspettava con ansia il momento in cui si sarebbero rivisti.
Un amico... Finalmente un amico con cui poter condividere istanti e racconti, con cui potersi aprire senza paure, una persona con cui trascorrere il tempo, con cui sentirsi a proprio agio.
Non lo conosceva, non poteva dire di sapere veramente chi fosse, ma in quel poco tempo era già riuscito a stabilire con lui un legame che non avrebbe mai creduto di poter stabilire con nessuno.
Di solito, era così timido che a fatica faceva sentire la propria voce!
Si voltò su un fianco e posò gli occhi sul lieve chiarore che proveniva dalla porta finestra della stanza.
Stava ancora sorridendo.
Felice.
Come uno stupido, ma felice.
Brad non era ancora rientrato, e a lui non importava minimamente.
Era la prima volta.
Era strano.
Solitamente, si sentiva tanto triste da mettersi anche a piangere...
Perché non sentiva la mancanza di Brad?
Perché in un angolo del proprio cuore nutriva la speranza che l’altro lo lasciasse solo per il fine settimana?
Era assurdo.
Chiuse gli occhi e li strinse forte, quasi a voler scacciare quei pensieri.
Brad era il suo ragazzo, il suo amante.
Era con lui che voleva stare.
L’altro era uno sconosciuto, un semplice incontro, un ragazzo che forse non avrebbe più rivisto.
Cosa gli stava succedendo?
Sembrava non riuscire a chiedersi altro.
Fece un lungo respiro e provò a dormire.
Ma l’immagine di Hiro, che sembrava esserglisi stampata nella memoria, non ne voleva sapere di svanire. Anzi...
Si svegliò la mattina dopo che ne era ancora pieno.
Doveva cancellarla, doveva pensare ad altro.
Sentì dei rumori provenire dalla stanza da bagno e si alzò dirigendovisi.
Brad stava finendo di radersi Indossava solo un paio di boxer, neri, aderenti, e il suo corpo muscoloso pareva scintillare, alla luce dei neon.
Era sempre bellissimo.
... ed era il suo ragazzo, il suo ragazzo, il suo ragazzo...
Forte, sicuro, deciso.
Si avvicinò a lui e gli fece passare le braccia attorno alla vita, insinuandosi fra lui e lo specchio.
- Nat... -
Era già accigliato.
- Buongiorno. – lo salutò, senza desistere. – A che ora sei rientrato? -
- Tardi. Lasciami, devo vestirmi. -
Nat lo baciò sulle labbra e si strinse di più a lui.
... era lui che voleva, con lui che desiderava rimanere...
Incapace di resistere, Brad prese subito il sopravvento e gli ficcò la lingua in bocca.
Doveva sempre essere lui ad attaccare, lui a prendere l’iniziativa. E detestava le smancerie, le coccole, le carezze.
Gli afferrò i glutei e lo attirò con forza contro di sé, facendogli sentire, prepotente, la propria erezione, mentre continuava ad esplorare la sua bocca con decisione.
Era lui che guidava il gioco.
Come sempre.
... solo lui... nessun altro...
Nat mugugnò, già senza fiato, stordito, incapace di reagire, di pensare.
La sua durezza, la sua foga, gli facevano sempre quell’effetto.
Si accorse a malapena che l’altro lo aveva voltato, facendolo appoggiare al ripiano del lavabo e stringendolo da dietro. Una mano si era già infilata negli slip e si era impadronita del suo membro, muovendosi sicura, impaziente, stimolandolo.
... nessun altro...
Nat gemette, mordendosi le labbra.
Lo specchio rifletteva il suo volto eccitato, lo sguardo perso, e lui chiuse gli occhi, mentre sentiva le lacrime pizzicarglieli.
- E’ questo che vuoi, vero troietta? – gli sibilò Brad in un orecchio, tornando poi a mordergli il collo.
Le lacrime scesero a rigargli le gote.
Brad lo stava schiacciando contro il ripiano di marmo, la sua erezione che premeva contro di lui, il movimento della mano sempre più veloce.
Nat si inarcò all’indietro e venne con un urlo roco che non riuscì a trattenere, schizzando il marmo, i cassetti, le piastrelle.
... nient’altro, da desiderare...
Brad si staccò subito da lui, bruscamente, lasciandolo ansimante, riverso sul ripiano.
- Ora va’. Devo finire di prepararmi. -
Freddo. Incurante.
Come sempre.
Nat si mosse lentamente, e lentamente raggiunse la porta.
Poi si voltò a guardare il compagno.
Le lacrime, ormai, gli inondavano il volto, le immagini come dietro ad un velo.
Era davvero quello, che voleva?
Tornò in camera.
Stava singhiozzando.




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