I personaggi di Slam Dunk non sono miei. La storia è scritta senza alcuno scopo di lucro.

 

 

Ichigo



 


 

 

Ali

 

parte VII

 

di Ichigo

 


“Wayawn!”

Osservo Yohei che cammina di fianco a me con passo lento, mentre ancora morto di sonno si stiracchia i muscoli allungando le braccia davanti a sé ed incrociando le mani: unisce le dita, portandole verso l’alto, muovendo la testa da una parte all’altra per stirare anche i muscoli del collo.

Sorrido e mi sale alle labbra una battuta non molto adatta, ma che non gli risparmio, lui con me non l’avrebbe fatto: “dì Yo, mi stai nascondendo qualcosa, ti vedo stanco! Cosa hai fatto la notte scorsa? Eh eh”. Ma lui mi guarda tornando a camminare con le braccia molli lungo i fianchi e ricambia la mia occhiata senza scomporsi, anzi: “ahah sei divertente, ma non m’imbarazzi sai, io non sono mica come te! Tu piuttosto, hai certe occhiaie e non rifilarmi che è il lavoro perché non ci credo” e nel dirlo punta l’indice verso il viso con fare accusatorio. Io m’irrigidisco come se fossi stato colto in flagrante a commettere il peggiore dei reati, ma non posso impedirmelo.

In effetti la notte passata non ho chiuso occhio, per quanto fossi stanco per la giornata pesante: sei ore di scuola, due di basket intensivo ed infine lo scontro con Rukawa…non sono riuscito a smettere di pensare. Pensare a lui, a tutta la sua rabbia, alla sua indifferenza, al suo odio per me.

“Non sei niente per me!”

Questa frase ha continuato a rimbombarmi nella mente, non riuscivo a fuggirle, era come se ogni volta che tentavo di farlo quelle parole sbattessero contro le pareti della mia testa, rimbalzando ed andando a finire sempre là, in quel punto del cervello indissolubilmente collegato al cuore e questo mi faceva male e mi fa male ancora adesso.

Purtroppo, non sono così bravo da impedire a questi miei sentimenti di manifestarsi sul mio viso, non sono mai riuscito a nascondere quello che pensavo veramente, a Yohei meno che mai, visto e considerato che mi conosce fina da quando ero piccolo. Riesce sempre a leggere dentro di me, forse a volte anche meglio del sottoscritto; è grazie a lui infatti se ho capito di provare un sentimento così forte per Rukawa, sentimento che io mi ostinavo a definire odio, mentre invece era esattamente il suo opposto. E c’è voluta una perla di saggezza del mio amico a farmelo ammettere: “e tu che dici sempre che la letteratura straniera non serve a niente, non è forse quel poeta latino colui che scrisse il famoso ‘Odi et Amo’, svelando così una delle più antiche verità del mondo?” mi disse quella volta, l’ennesima in cui mi lamentavo con lui sul mio rapporto con la volpe. 

“Altro che odio, tu sei innamorato perso” concluse ed ora che ci ripenso, lo fece usando un tono anche piuttosto saccente.

Sorrido tristemente a questo ricordo, oh Yohei, se solo non mi avessi aperto gli occhi, forse ora non avrei capito e non starei soffrendo così tanto. O forse non è neanche giusto dare a te tutte le colpe, perché in fondo, dentro di me, sapevo già quale fosse la verità. Doaho sì, ma non tardo fino a questo punto, sia ben chiaro, molto probabilmente avevo solo paura di scoprire ed accettare la realtà.

“Hanamichi, ma cosa ti è successo?” mi chiede infine, dopo minuti interminabili in cui siamo rimasti qui, fermi l’uno di fronte all’altro, senza che nessuno dei due pronunciasse parola. Ma con tutti i pensieri che mi sono passati per la testa, ci scommetto qualsiasi cosa, è riuscito a leggere sulla mia faccia, come fosse un libro aperto.

Lo guardo tristemente, sospiro ed incurvo un po’ le spalle, sento che se parlassi ora potrei anche lasciarmi andare nuovamente alle emozioni e non mi sembra questo il luogo, inoltre non so se sono pronto a parlare con lui. Nonostante tutto, anche se non ne conosco bene il motivo, so che devo fare tutto da solo stavolta e trovare in me la forza di capire e liberarmi di tutte queste sensazioni.

“Yo…ecco…io…” esordisco, anche se non so neanche io per dire cosa, quando vengo interrotto.

“Waaah Rukawa!! È arrivato Rukawaaaa!” l’urlo isterico di un membro del trio del fan club della volpe annuncia il suo arrivo.

Mi irrigidisco subito, non ne posso fare a meno, è una cosa che non posso controllare e mai mi sono ritrovato a reagire in questo modo. Istintivamente mi viene voglia di voltarmi per vederlo, per accertarmi personalmente che stia bene, che non è cambiato niente tra noi, ma quelle parole mi tornano in mente di prepotenza.

“Non mi rappresenti niente…non sei niente per me”.

E mi rendo conto che non posso voltarmi, se lo facessi e per caso, per sbaglio, lui incontrasse il mio sguardo, cosa potrebbe pensare? Cosa leggerei nei suoi occhi oggi? Ho paura di trovarvi la conferma a quanto ci siamo detti ieri, perciò stringo gli occhi cercando di calmarmi: ‘non è questo il momento’ mi ripeto. Così, facendo uno sforzo enorme, ordino al mio cervello di comandare alle mie gambe di muoversi, ritrovandomi a camminare verso l’ingresso della scuola, seguito dal mio migliore amico che mi guarda senza capire.

***

Non aveva dormito per tutta la notte e proprio quando, finalmente, era riuscito a prendere sonno, la sveglia aveva cominciato a suonare insistentemente.

Avrebbe volentieri saltato la scuola, ma, primo, la madre non gliel’avrebbe permesso, specie dopo il modo in cui si era comportato con i Nakata la sera precedente e, secondo, lui a scuola ci voleva andare e voleva farlo per vedere lui.

Faceva ancora quei pensieri assurdi, perché? Se lo chiese per l’ennesima volta, non trovando una risposta plausibile.

Aveva già i suoi grattacapi per la propria situazione che andava via via complicandosi ogni giorno di più e, adesso, ci si metteva anche Sakuragi. Perché doveva preoccuparsi per lui? D’altronde era solo colpa sua, se l’era cercata. Quello che gli aveva detto  se lo meritava tutto, cercava di convincersi, eppure dopo essersi lasciato sfuggire quelle parole, quell’ultima frase in particolare, si era pentito. Si era sentito proprio come dice quel famoso detto: “fa più male a me che a te”. E per di più non ne capiva il motivo, quando si trovava ad avere a che fare con Sakuragi perdeva tutta la sua calma e la sua impassibilità.

In fondo era solo Sakuragi, solo il doaho, non era forse lui che diceva sempre di odiarlo? E allora perché gli girava sempre attorno?

Era anche vero però che, in effetti, da un po’ di tempo a quella parte il rapporto tra loro era mutato, dopo il campionato avevano raggiunto una certa intesa e l’idea di collaborare con lui non lo infastidiva poi così tanto come avrebbe pensato, anzi, si era reso conto che insieme potevano fare un gioco di squadra, compensandosi a vicenda. Ovviamente le risse e le prese in giro c’erano sempre, ma per Kaede, apatico come pochi, quel loro continuo battibeccare e scontrarsi era stimolante e divertente e per il moro il rapporto che aveva con Sakuragi era quello che più si avvicinava al concetto di amicizia.

Da quando aveva accettato questo fatto, lui per primo, non si stupiva più di pensare che anche uno con il suo carattere potesse avere degli amici, però da questo a preoccuparsi così tanto di ferirlo o meno ce ne passava, ma soprattutto Sakuragi non aveva il diritto di impicciarsi dei fatti suoi.

L’aveva visto piangere accidenti! L’aveva abbracciato e lui per primo aveva ricercato quel contatto, voleva sentirsi stringere da quelle braccia e perdersi nel suo calore. Si era sentito bene racchiuso in quel modo. Lui, che rifiutava qualsiasi gesto di ipocrisia perché lo riteneva falso e fatto solo per compiacerlo, si era lasciato abbracciare dall’ultima persona al mondo che si fosse mai rivelata, se non gentile, almeno cordiale nei suoi confronti.

Ripensando a quella sensazione, si era reso conto che ne aveva bisogno in quel momento, in quel posto pieno di gente estranea aveva bisogno di Hanamichi. Non ne capiva il motivo, ma sapeva che era così…era convinto che lui e lui solo avrebbe potuto capirlo. Solo che, quando aveva sentito il proprio nome uscire dalle labbra del rosso, quel qualcosa che l’aveva portato a gettarglisi tra le braccia si era spezzato e tutta la rabbia ed il rancore tenuto dentro per tutto quel tempo erano esplosi, inondando e spazzando via come uno tsunami l’unica persona che non avrebbe mai dovuto coinvolgere.

Si passò stancamente una mano sugli occhi, mentre entrava in classe dove sperava di riuscire a pisolare almeno un po’ sul banco. In questo modo almeno avrebbe smesso di pensare, o meglio lo sperava.

 

 

Quando i componenti del club di basket arrivarono in palestra, la trovarono già occupata dal numero undici che, da solo, aveva cominciato il  riscaldamento facendo qualche tiro a canestro, in una metà campo. Nulla di strano a prima vista, spesso, infatti, Rukawa era il primo ad arrivare per poter cominciare a giocare come piaceva a lui, allenandosi nelle sue schiacciate.

Quel pomeriggio però aveva qualcosa di anomalo, perché l’altra metà campo libera in realtà era occupata da un altro giocatore che solitamente era uno degli ultimi ad arrivare: Sakuragi, il ragazzo dai capelli rossi, svolgeva in perfetto silenzio e concentratissimo sulla palla i fondamentali: proprio gli esercizi che diceva sempre di non aver bisogno! Per un genio del basket come lui era quindi pura follia che adesso li svolgesse di sua spontanea volontà.

A questo pensavano appunto le matricole che, giunte in palestra insieme ai senpai , passavano lo sguardo, confuso, dai due ragazzi al resto dei titolari. Questi ultimi però, erano anche loro esterrefatti: un comportamento del genere da parte di Rukawa e Hanamichi non si era mai visto, ci doveva essere sicuramente sotto qualcosa.

Scambiandosi un’occhiata d’intesa, il neo capitano Ryota Miyagi e la guardia, Hisashi Mitsui, ancora presente in squadra perché costretto a ripetere l’anno, decisero di non dar troppo peso alla cosa, lasciando che se la sbrigassero da soli senza stressarli ulteriormente; erano infatti convinti che un qualsiasi intervento da parte loro sarebbe stato alquanto sconveniente e, anzi, avrebbe potuto addirittura complicare le cose.

E così, anche quel pomeriggio, le attività del club sportivo più famoso dello Shohoku poterono cominciare.

Durante le due ore di gioco, tutti quanti i giocatori cercarono di comportarsi come al solito, cercando di non intralciare troppo  il moretto  ed attorniando come al solito Hanamichi  con scherzi e chiacchiere. Lo stesso numero dieci  si divertiva e faceva il buffone come ai primi tempi, rispolverando addirittura la vecchia, svenevole, scenetta dell’Harukina cara  che ormai non si sentiva echeggiare da un po’ tra quelle mura, il che era strano a sua volta. Così, anche quando arrivò il momento di giocare una partita, formata da squadre miste di titolari e matricole, si evitò di far marcare a Rukawa Sakuragi e viceversa.

Infine, al termine degli allenamenti, tutti i ragazzi, stanchi per l’attività fisica e la situazione non certo allegra, andarono a cambiarsi nello spogliatoio dove regnava il silenzio assoluto: nessuno aveva più voglia di scherzare e fingere che fosse tutto apposto.

***

 

Oggi sono proprio stanco. È solo il primo pomeriggio che passo con lui, che lo rivedo dopo la scenata al bagno e non ne posso già più di questa cosa, senza contare che ne risente anche la squadra e il nostro  gioco anziché migliorare finirà per andare a farsi friggere… dopo tutto l’impegno che ci abbiamo messo per creare un minimo di collaborazione! Cosa posso fare?

Non posso certo andare da Rukawa come se niente fosse e ricominciare ad insultarlo, non dopo quello che mi ha detto: le sue parole mi hanno ferito nel profondo e non le posso cancellare, neanche per il bene della squadra. Siamo entrambi molto orgogliosi, pertanto non mi aspetto neppure che sia lui a venire da me e propormi un patto di non belligeranza. Sicuramente starà ancora maledicendo se stesso per essersi fatto cogliere debole da me, ci scommetto il mio posto in squadra.

Sto finendo di sistemare le ultime cose nella sacca, prima di andarmene finalmente di qui, quando sento la voce di Ayako che grida e man mano si avvicina, ma che diavolo sta succedendo?

“Ferma…ho detto che non puoi entrare, lì ci sono gli…”

La porta si spalanca di colpo e proprio sull’uscio, si staglia la figura esile di Aerie.

“…spogliatoi” conclude Ayako in un soffio, con un tono di voce insofferente, battendosi poi una mano sulla fronte. Per un attimo nella stanza rimaniamo tutti immobili, come in un fermo immagine, perché questa proprio non ce l’aspettavamo e nessuno parla, fino a che Miyagi si rende conto della situazione e: “waaaah Ayakuccia” grida coprendosi il petto con un asciugamano.

‘Ma che fa?’ lo guardo e mi accorgo di stare facendo un’espressione molto simile a quella che assume Rukawa quando sta per darmi dell’idiota, ma questa volta l’insulto che si sente è detto da Ayako al nostro playmaker, la quale senza aggiungere altro se ne va, mentre invece l’assurda ragazza rimane, passando lo sguardo su ognuno di noi, squadrandoci uno per uno.

Mitsui fa un passo verso di lei e domanda: “ti serve qualcosa bellezza?” ma se in questo modo crede di intimorirla o spaventarla, mettendola in imbarazzo si sbaglia, perché lei infatti si prende un boccolo scuro dei capelli tra le dita ed attorcigliandolo come fosse una bambina, risponde con un disarmante ed allo stesso tempo un inquietante sorriso: “mmh si, cercavo…Kaede!” grida rivolta verso Rukawa che, appena uscito dalla doccia, nel vederla si ferma a pochi passi da me. Indossa solamente un piccolo asciugamano legato attorno ai fianchi ed uno sulla testa che stava usando per asciugarsi i capelli. 

Rendendomi conto che ci troviamo così vicini, per la prima volta in tutto il giorno mi irrigidisco, ma non mi muovo, resto fermo a guardare lei che si avvicina lentamente verso di noi e posso avvertire la tensione che proviene dal corpo di Kaede e la sua voce bassa forzatamente calma e controllata che domanda: “cosa ci fai tu qui?”

Ed io, come ogni volta che lo vedo in questo stato, ho paura, ma non è un sentimento che posso spiegare, non il classico tipo di  incertezza che ti prende ed attanaglia il cuore facendoti tremare per la tua incolumità: è qualcosa che ha la stessa intensità, ma è un qualcosa che provo verso Rukawa. Sì, ho paura per lui, perché ho visto gli effetti che lei ha su Kaede e non mi piace per niente.

Io ho paura di perderlo, perderlo per davvero.

Ma lei non si cura affatto di noi, perché si avvicina ancora di più, mentre gli parla con quel tono di voce che odio: “scusa l’intrusione, ma ero così ansiosa di dirti che anche oggi papà ti ha invitato a cena da noi. Ah ci sarà anche tua madre” sorride facendo un pausa “ ma dice che ci raggiungerà appena possibile”.

Altro momento di silenzio che lei usa per guardare intensamente la volpe: “ti aspetto in macchina” conclude infine, lanciandomi un’occhiata di sfuggita che non so come interpretare e se ne va uscendo elegantemente dallo spogliatoio.

 

“Hanamichi tesoro, ma stai bene?”

L’ho fatto di nuovo, sto facendo preoccupare mia madre; ci troviamo nello stanzino dei dipendenti e ci stiamo cambiando con le nostre divise da lavoro. Lo facciamo spesso, così, anche se per poco passiamo del tempo insieme. Di solito le racconto la mia giornata e lei fa lo stesso, ma oggi, oggi non dico una parola, sono distratto e penso ancora a Rukawa.

Anche stasera sarà qui? Lo vedrò, o riusciremo a non incontrarci? Starà ancora male?

Perso nuovamente nei miei pensieri non rispondo a mia madre, la quale mal interpreta il mio stato, perché mi dice: “se sei stanco Hana, puoi smettere, io apprezzo quello che fai però…”

“Stai tranquilla mamma” le dico sorridendo, dandole un bacio sulla guancia come faccio sin da piccolo: è il mio personalissimo modo per tranquillizzarla “è tutto ok, il Tensai oggi ha fatto faville agli allenamenti e quindi sono un po’ stanco, ma sai mamma…sono anche il Tensai dell’ascensore, quindi : forza al lavoro!! Whawhawha!”.

Assumo la posa e lei mi sorride divertita, mentre esce dalla stanza prima di me. Essendomi perso in chiacchiere ho tardato a prepararmi. Finisco di vestirmi e come tocco finale sistemo sulla testa il cappellino guardandomi allo specchio; guardo intensamente il mio riflesso che mi sorride in modo professionale e m’incoraggio: “Ore wa Tensai” *

***

Le porte dell’ascensore stavano per chiudersi nuovamente, quando Hanamichi si accorse di qualcuno che lo chiamava per prendere l’ascensore. Pose una mano ambrata tra le due ante automatiche e queste si aprirono di nuovo separandosi giusto in tempo.

Il ragazzo aprì nuovamente il cancelletto esterno e non poté impedirsi di pensare che avesse avuto, invece, un pessimo tempismo: la ritardataria altri non era che Aerie, la misteriosa ragazza che metteva in agitazione la volpe.

“Grazie sono in ritardo…scusate” disse la nuova arrivata ai precedenti occupanti e sorrise in modo, forse, un po’ troppo cordiale ad Hanamichi.

Per volere del Destino o per semplice sfortuna, alla prima fermata del cubicolo scesero tutti i passeggeri, lasciando così Hanamichi solo con Aerie a percorrere i dieci piani rimasti. Dopo un brevissimo attimo di silenzio, in cui solo il rumore del motore della cabina faceva da sottofondo, la ragazza attirò l’attenzione del rosso voltandosi verso di lui: “scusami, tu sei un compagno di squadra di Kaede, vero?”

Hanamichi annuì con la testa.

“Ecco dove ti avevo già visto, ma non ero sicura. Immagino che a scuola nessuno sappia che tu lavori, dico bene?” altro cenno di assenso con la testa e Hanamichi si chiese dove volesse andare a parare con quella specie di interrogatorio.

“Allora, dimmi…ehm…”

Per la prima volta il ragazzo parlò: “Sakuragi”.

“Oh…” gli sorrise “Sakuragi, com’è Kaede a scuola? Sai, con noi è sempre così serio e silenzioso” domandò incuriosita, ma Hanamichi si trovò spiazzato, perché veramente non sapeva cosa rispondere. Lui non sapeva niente del compagno ed anche se quella ragazza non gli faceva proprio una buona impressione, decise di rispondere e di dirle la verità: “io…non lo so, mi dispiace…con Rukawa, non…non siamo amici, noi…” e ancora una volta, il suono metallico della campanella dell’ascensore si era rivelata la sua salvezza.

Il ragazzo rilasciò un leggero sospiro sbloccando velocemente la cancellata interna per far uscire la ragazza, la quale con un leggero saltello scese al piano ed effettuando un mezzo giro su se stessa tornò a rivolgersi al rosso: “oh bè, grazie lo stesso vorrà dire che lo scoprirò da sola perché sai, tra poco, io e Kaede ci sposeremo” gli disse con noncuranza, sorridendogli felice.

Sakuragi sussultò e spalancò gli occhi, mentre il suo cuore perdeva un battito e, successivamente, cominciava a battere all’impazzata bussando forte nella cassa toracica, quasi chiedesse di venire liberato per correre via da quella verità, via da quell’incubo.

Senza rispondere Hanamichi chinò un poco il capo, incassando il colpo chiudendosi nuovamente dentro la spaziosa cabina. Premette il pulsante per scendere e, mentre le porte automatiche si chiudevano, l’ultima cosa che il rosso vide fu Rukawa che faceva capolino dalle scale bloccandosi sull’ultimo gradino. Lo osservò passare velocemente lo sguardo confuso dall’una, che malignamente compiaciuta sorrideva, all’altro, il quale con sguardo triste scompariva dietro le porte automatiche.

 

Anche  durante quella cena Rukawa era assente mentalmente, lontano con lo spirito si sentiva nuovamente oppresso e stavolta per due motivi: per se stesso e per Sakuragi.

Cosa era successo in quell’ascensore? Lui aveva preferito usare le scale di proposito, perché non voleva incontrare il compagno, però qualcuno l’aveva fatto al posto suo.

Voleva saper di cosa avevano parlato, perché qualcosa dovevano essersela detti, il sorrisetto cattivo ancora dipinto sul grazioso volto di Aerie glielo suggeriva e glielo confermavano gli occhi di Hanamichi: quello sguardo che lui era riuscito ad intravvedere anche se solo per un attimo. Così, senza pensare oltre parlò, interrompendo la conversazione dei tre commensali: “scusate, ti potrei parlare in privato?” disse rivolto verso la ragazza, guardandola intensamente, mentre si alzava da tavola.

Lei gli sorrise gentilmente come sempre faceva quando si trovava davanti al padre e, la signora Rukawa, soddisfatta per il nuovo comportamento del figlio, gli posava gentilmente una mano sul braccio: era la prima volta, infatti, che Rukawa di sua iniziativa cominciava una conversazione con la ragazza; se le voleva parlare da soli poi, era un notevole passo avanti.

Rukawa precedette la ragazza uscendo sul terrazzo che dava sul giardino interno dell’albergo, in attesa che lei lo raggiungesse.

“Kaede” cominciò la ragazza “sono contenta che tu mi…”

Ma il moro non la lasciò finire: “che cosa gli hai detto?”

“Come?” si stupì Aerie, sentendolo rivolgersi a lei in quel modo.

“Quando hai preso l’ascensore, hai parlato con quel ragazzo”.

“Oh, il rosso…sì, Sakuragi mi pare” fece pensierosa, ma venne ancora una volta interrotta da Rukawa che riformulò con tono stranamente posato: “cosa volevi da lui?”

Aerie cominciò allora a stare sulla difensiva, sentendosi messa con le spalle al muro da quegli occhi di ghiaccio che la guardavano intensamente, quindi rispose alzando un po’ il tono di voce: “è un tuo compagno di classe, gli ho chiesto di te, ma non sapeva nulla. Io non so niente di come sei, praticamente non ti conosco Kaede, ero curiosa di sapere come fossi a scuola e volevo solo…” cominciò in tono ferito per il comportamento del suo futuro sposo.

“Io e lui non siamo amici, come ti è venuto in mente…” ma nonostante questa verità doveva sapere, quindi chiese nuovamente “voglio sapere, adesso che cosa gli hai detto”.

Rukawa era impaziente e parlava tanto, se ne rendeva perfettamente conto, ma non gliene importava niente.

“Come mai tanto interesse? Cosa ti importa di quel ragazzo, se non siete amici…” e con questo Aerie era passata al contrattacco, aveva notato come l’argomento mettesse il ragazzo in agitazione e non voleva essere la prima a cedere.

“Niente, ma devi avergli detto qualcosa, avanti cosa…” e stavolta fu Kaede a venire interrotto, la ragazza sapeva perfettamente di essere stata scoperta e forse di essere anche leggermente in torto, ma non le andava giù che le parlasse in quel modo.

“Come fai ad essere sicuro che non ti ho già raccontato tutto!!” ribatté.

“No, non tutto”.

Era ormai un botta e risposta che sembrava non voler avere fine, perché nessuno dei due voleva essere surclassato dall’avversario: come in una partita, non bisognava lasciare scoperta nessun’ area.

“E come puoi esserne certo?”

“Perché lui era…” si fermò appena in tempo. Cosa stava per dire? Lui era…Hanamichi era triste. Sì, era questo il sentimento che Kaede aveva intravisto chiaramente nel suo sguardo.

Aerie lo guardò e visto il suo tentennamento diede il colpo finale: “non so perché te la prendi tanto, ma se proprio ci tieni, ho fatto la cosa più semplice di questo mondo: visto che tu non ti sei ancora deciso a quanto pare, gli ho detto la verità su di noi, su quello che siamo e presto diventeremo”.

Kaede non seppe cosa ribattere, perché per lui quello fu, non solo un colpo basso, la classica secchiata d’acqua gelida, ma era di più: era uno slam dunk valido, assegnato in seguito ad un evidente fallo di sfondamento.

 

Fine capitolo VII

 

 

 

* ‘Sono un Tensai’ . Di solito non è mia abitudine utilizzare, nel testo, termini o frasi giapponesi, (eccezion fatta per i classici ‘doaho, baka kitsune e tensai’) ma stavolta, ho preferito rifarmi all’originale giapponese anziché tradurlo, perché mi sembrava rendesse più l’idea ^_____^