I personaggi non sono miei, tutti i diritti riservati al maestro Inoue



 


 

 

Ali

 

parte V

 

di Ichigo

 


Mi crogiolo sotto il getto caldo dell’acqua, cercando di far scivolare la stanchezza che appesantisce i muscoli del mio corpo e scacciare via la tristezza che attanaglia il mio cuore.

Oggi agli allenamenti c’era un’atmosfera quasi surreale, forse un pomeriggio così silenzioso non sarebbe piaciuto neanche al gorilla.

La presenza di quella ragazza, Aerie, mi pare fosse questo il suo nome, ha alienato tutti, o meglio, ha provocato una reazione a catena di malumori.

In primis, Rukawa che ha assunto un atteggiamento di distacco assoluto verso la squadra, cosa che non aveva mai fatto, barricandosi dietro ad un muro invalicabile di totale mutismo. In seguito a questo suo cambiamento, io me ne sono dovuto stare buono e tranquillo, per quanto mi facesse innervosire vederlo così, privo di reazioni, anche la più piccola che fosse e più volte sono tentato di andare da lui e scuoterlo con una bella rissa.

Alla fine mi sono trattenuto e l’ho lasciato in pace; non sono così insensibile da non capire da me che quella situazione pesasse a lui più che a chiunque altro.

Morale della favola: l’assenza dei nostri litigi ha impedito alla squadra di essere se stessa e ‘divertirsi’ alle nostre spalle, perfino il Rukawa Shinetai era assente, o, meglio, fisicamente erano sempre sugli spalti ad assistere all’allenamento del loro idolo, però se ne stavano zitte e mute; talvolta confabulavano tra loro, ma senza inneggiare alla bellezza della volpe né alle sue doti di giocatore e non, come sono solite fare. E se perfino loro tre si sono astenute dal fare il più piccolo commento, anche il più casto del loro repertorio, per la sola presenza di quella ragazza, la cosa mi dà da pensare e mi piace ancora meno.

Getto indietro la testa in modo che la pioggia d’acqua mi sbatta violentemente sul viso, dandomi così una carica maggiore e aiutandomi a riprendere le forze. Dopotutto, questo pensare è snervante e alla fine non mi porta a nulla, se giocassi un’intera partita con tanto di tempi supplementari, forse non mi sentirei così privo di energie.

“Ehi Hanamichi noi andiamo” la voce di Miyagi mi riscuote e mi decido ad uscire, sono stato qui fermo al freddo anche troppo, ci manca solo che mi ammali in un momento del genere.

Chiudo la manopola dell’acqua e mi accorgo che sono rimasto solo io nelle docce, mi lego un asciugamano attorno ai fianchi e vado verso il mio armadietto, notando che anche negli spogliatoi non c’è nessuno. Conviene che mi dia una mossa o arriverò tardi al lavoro oggi.

Indosso i pantaloni e mi tampono i capelli, lasciando che il leggero venticello che entra dalla finestra aperta mi sfiori la pelle ancora umida della schiena e questo mi provoca un brivido strano che percepisco fin dentro le ossa.

Mi giro di scatto sentendo il rumore di una porta che viene sbattuta con violenza e vedo la kitsune entrare; deduco che sia rimasto in palestra ad allenarsi ancora, in modo da scaricare la tensione accumulata in queste due ore. Conosco fin troppo bene il mio compagno e anche se, ne sono più che certo, lui non lo ammetterebbe mai neanche con se stesso, so che gli sono mancate le nostre risse, così come sono mancate a me.

Questo è il nostro modo di comunicare, un po’ fuori dagli schemi magari, ma è una cosa solo nostra.

La sua pazienza oggi è stata messa a dura prova. Nonostante non abbia sbagliato un’azione, mi sono accorto che il suo gioco non era il solito, infatti mi è parso alquanto nervoso, come se Rukawa fosse in conflitto con la palla stessa.

Mi fermo a guardarlo e finalmente si accorge di me, vedo allora un’espressione seccata attraversargli lo sguardo, quando si rende conto di non essere solo.

Ancora una volta torno alle mie faccende impedendomi di rivolgergli la parola, se pronunciassi anche una sola sillaba sconveniente so che finirebbe tutto in rissa e stavolta ce le suoneremmo per davvero.

In silenzio finisco di vestirmi infilandomi la camicia, abbottonandola lentamente, mentre in sottofondo si sentono solo il frusciare della stoffa leggera sulla mia pelle e lo scrosciare dell’acqua della doccia sul suo corpo.

***

“Kaede lieto di rivederti così presto” il signor Nakata strinse la mano bianca che Rukawa educatamente gli tendeva “mi spiace averti fatto venir fine qui, immagino sarai stanco dopo un allenamento così intensivo, ma mia figlia era così entusiasta di aver assistito che ci teneva proprio ad averti stasera con noi a cena”

Kaede si limitò ad un cenno del capo, mentre la ragazza gli si appoggiava al braccio, proprio come era solita fare sua madre quando partecipavano insieme a quegli inviti. Purtroppo però, quella sera lei non si sarebbe presentata.

Era stato incastrato di nuovo e a dirla in tutta sincerità, abilmente fregato da quei tre.

Non solo era costretto a quelle stupide cene una volta alla settimana, non solo si prendevano la libertà di entrare nel suo mondo, nella sua vita privata senza permesso, in virtù della scala sociale alla quale appartenevano, ma pretendevano di cominciare a decidere per lui, manipolando il limitato tempo che gli restava ancora da vivere, vivere come lui desiderava.

Era successo tutto a fine allenamento, mentre i compagni già si dirigevano  in spogliatoio per andare a casa, lui come solitamente faceva, era rimasto a svolgere dei tiri supplementari, per scaricare la tensione accumulata. Dopo neanche mezz’ora, lei era rientrata in palestra , sicuramente dopo aver parlato con il padre e l’aveva ‘invitato’ a cena.

E lui non era stato in grado di rifiutare. Non capiva per quale motivo, proprio a loro, persone che per lui valevano meno di zero, attribuiva tanta importanza da non riuscire ad opporglisi e dire due semplici lettere: NO. Ed era anche vero, come spesso gli ripeteva la madre, che neppure la sua proverbiale indifferenza sortiva alcun effetto, al contrario, più si ostinava e meno era tenuto in considerazione, anzi veniva trattato come un bambino viziato, passando paradossalmente lui dalla parte del torto. Ed ogni volta doveva fare buon viso a cattivo gioco. E così fece anche quella sera, una volta ancora recitò una parte, mentre parlavano di basket e discutevano di affari, delle lezioni a scuola e delle azioni in salita dell’azienda; finché non arrivarono anche a quell’argomento, quello che più di tutti lo faceva ribollire e dal quale ogni volta si sentiva schiacciare.

“Allora Kaede ormai è passato del tempo, da quando stabilimmo a voce che sarete stati promessi, ormai io sto cominciando ad invecchiare…”

“Papà” lo interruppe la ragazza con un sorriso, posando una mano sulla sua come per dire che era fin troppo modesto, nonostante nei suoi occhi si poteva leggere chiaramente quanto quel discorso le facesse piacere, lasciando comunque che il genitore continuasse “…e tu hai già 17 anni, penso che dovremmo parlare di qualcosa di più concreto come una data” disse, guardando intensamente Rukawa il quale ricambiò con uno sguardo tra lo sconcertato, l’incredulo e lo spaventato.

Non poteva essere, stavano correndo un po’ troppo, lui era convinto che si sarebbe affrontato l’argomento solo dopo la fine del liceo e poi quella sera con loro non c’era neanche sua madre. Come potevano parlare di matrimonio senza che lei sapesse?

Sentì una mano poggiarsi sulla spalla e senza cambiare espressione spostò la sua attenzione sul viso sereno e sorridente della sua promessa sposa e, solo allora, un pensiero illogico, ma prepotentemente vero, si fece strada in lui rendendolo per la prima volta veramente consapevole.

Gli venne da sorridere, anzi a dire il vero c’era proprio il tanto per mettersi a ridere e lo fece, fece qualcosa di assolutamente  fuori dal comune per lui: si mise stancamente una mano sugli occhi e cominciò a ridacchiare sommessamente, in modo nervoso ed isterico.

Come aveva fatto a non pensarci prima, si ripeté, era così ovvio! Dopotutto l’aveva sempre sospettato, non voleva crederci, è vero, ma in fondo sapeva fin dall’inizio che sarebbe rimasto fregato: dal padre, che aveva abbandonato la carriera, lasciando cadere su di lui la responsabilità di tutto quello che egli stesso aveva costruito; dalla madre, che alle sue spalle aveva deciso del suo futuro e della sua vita, lasciandolo totalmente solo quella sera ad affrontare la situazione, dopo essersene elegantemente lavata le mani. Ormai avevano già pianificato tutto, cosa si aspettavano che facesse?

Intanto continuava a ridere, sempre più forte adesso, quasi come un pazzo, sotto gli sguardi allibiti dei suoi due commensali che, prima guardavano lui e poi si guardavano tra loro senza capire.

E quando ormai dalle risa stava pericolosamente per passare alle lacrime, si impose che no, anche quello non poteva permetterlo, non avrebbe dato loro la soddisfazione di vederlo crollare ed annientarlo completamente; se fosse successo non se lo sarebbe potuto perdonare. Così si alzò e senza una parola corse fuori dalla stanza.

 

Fine capitolo V