I personaggi non sono miei appartengono al loro creatore T. Inoue.

La storia è scritta senza alcuno scopo di lucro.

 

 

Ichigo


 


 

 

Ali

 

parte IV

 

di Ichigo

 


“Hanamichi…ehi, aspetta! Tensaaaii!!” Mito urlava a gran voce cercando di attirare l’attenzione del compagno che camminava poco avanti a lui, diretto verso la scuola.

Sentendo che qualcuno lo chiamava con il suo appellativo preferito si voltò, anche se con poca convinzione. Poteva essere che si fosse sbagliato, in fondo non aveva dormito molto e nessuno lo chiamava mai come gli si conveniva.

Invece aveva sentito proprio bene, riconobbe subito il suo amico di sempre corrergli incontro e fermarsi a pochi passi da lui, posandogli una mano sul braccio per reggersi mentre riprendeva fiato.

“Meno male che ti sei fermato, ma sai da quanto ti sto chiamando?” gli disse non appena riuscì a parlare.

“Scusa è che…ho dormito poco e pensavo ad altro” rispose il rosso riprendendo a camminare, affiancato subito dal ragazzo più basso.

“Come mai? È per via del lavoro, com’è andata?”

***

 

“Come mai? È per via del lavoro, com’è andata?”

Sorrido al mio migliore amico. Meglio che lo rassicuri, era così in pensiero viste tutte le mie sfortune precedenti.

“Bene Yo, molto bene. Il direttore mi ha preso subito, è una brava persona. Devo solo abituarmi a questi orari strani, eheheh” cerco di essere il più naturale possibile e poi è anche un po’ la verità.

Certo, tutto non gli posso dire. E cosa dirgli poi in finale, che non ho dormito perché pensavo a Rukawa? So che non si scandalizzerebbe, questo no, anzi. È solo che anche io devo fare un po’ di chiarezza e venire a capo di tutti questi interrogativi che mi si agitano dentro.

Cosa ci faceva lì?

So che non sono affari miei, ma non ce lo vedo proprio Rukawa nei panni del ragazzo ricco.

Nonostante gli dia sempre addosso e gli rinfacci di credersi superiore a tutto e tutti non lo penso davvero, anche perché io non so niente di lui.

E, sinceramente, avrei preferito continuare a non sapere, piuttosto che arrovellarmi il cervello alla ricerca di una possibile spiegazione a quell’unica frase che ho sentito ed alla quale ancora, dopo due giorni, cerco di dare un significato diverso da quello che è.

“…ormai sei un uomo, comincio ad essere geloso di lasciarti mia figlia”.

Questa frase spiegherebbe il perché la volpe non degna di uno sguardo nessuna delle ragazze  che gli corrono dietro, dando anche una spiegazione più logica e ‘normale’ di quella che mi sono dato io finora, sperando inconsciamente di poter avere io una possibilità.

E questo mi fa male dannazione, perché nonostante abbia ripetuto a me stesso, più volte, che non era una cosa possibile, ci avevo creduto, ci ho sperato per davvero.

Eppure, se ripenso a quelle parole pochi istanti prima che ci fermassimo: “Kaede per favore, stasera cerca di essere più cordiale e dire qualche parola in più. Sai bene che se ti ostini non otterrai niente”.

Questa frase mi fa tornare a sperare e a congetturare che, nonostante il bell’abito elegante, nonostante il posto lussuoso e di gran classe nel quale il Destino ci ha fatti incontrare, lui sia rimasto quello di sempre, freddo e scostante anche con lei, così come lo è…con me.

E questo non va bene, perché in questo modo continuo ad illudermi e mi farà ancora più male.

Senza contare che anche lui mi ha riconosciuto e, quando mi ha visto lì, cosa avrà pensato di me?

Mi dirà qualcosa per negare, per chiarire magari o penserà che io lo voglia deridere? Non mi ha rivolto alcuna parola nell’ascensore, non ha avuto neanche la più piccola espressione, il suo viso è rimasto bellissimo ed illeggibile, come sempre.

Il suono della campanella della scuola mi riscuote dai miei pensieri, facendomi capire che siamo già arrivati e mi rendo conto che non ho ascoltato neanche mezza parola di quello che ha detto Mito.

Gli sorrido leggermente e mi guarda stranito: “Hana qualcosa non va?” domanda.

Ci penso un attimo e decido che, per adesso, è meglio smettere di pensare e tornare il Tensai di sempre.

“Nulla” scuoto la testa, gli faccio passare un braccio intorno al collo e lo attiro a me: “solo…non ho fatto in tempo a fare gli esercizi di matematica, andiamo in classe così mi fai copiare i tuoi” e termino il tutto con la mia solita risata sguaiata, mi ci voleva proprio.

 

***

 

Si stava dirigendo in palestra con la solita aria stanca, ma era felice, felice di tutta quella quotidianità e monotonia classica delle giornate scolastiche, scandite sempre dallo stesso ritmo.

Anche se gli altri non potevano accorgersene esternamente, Kaede Rukawa sorrideva.

Una risata sgraziata e conosciuta lo investì non appena aprì la porta dello spogliatoio.

Rukawa vide Sakuragi con solo i boxer indosso, a gambe larghe e mani sui fianchi si era lanciato in un’altra delle sue sparate megalomani e stranamente la cosa non lo disturbava affatto. Per lo meno non più come agli inizi, anzi, quando lo vedeva impegnarsi gli faceva quasi impressione.

Era assurdo ed ingiusto, tante volte, lui per primo, l’aveva sempre ripreso per il poco impegno che metteva nel basket, eppure quando lo vedeva dare il meglio di sé era come se non fosse lui, non era il doaho Sakuragi.

E solo adesso che lo rivedeva si pose seriamente quell’unica domanda alla quale, preso da altri pensieri, non aveva trovato risposta quella sera. Era stata una sorpresa per lui trovarlo lì, su quell’ascensore, vestito come un collaboratore dell’albergo. Come aveva trovato quel lavoro e perché?

Si fermò a pensare che in fondo non conosceva nulla del compagno ed incontrarlo in quella circostanza gli aveva fatto uno strano effetto. Forse perché per lui quell’ambiente era sempre stato così falso e finto, che non voleva che Hanamichi ne venisse intaccato. Aveva sempre visto il compagno come un ragazzo puro e semplice, sbruffone sì, pasticcione anche, strafottente a volte, ma mai bugiardo ed ipocrita. Con quella faccia che si ritrovava non poteva mentire, non ne sarebbe stato in grado.

Così adesso che erano di nuovo uno davanti all’altro e che i loro sguardi, come in quell’ascensore, si erano incrociati, si chiese cosa Sakuragi avesse pensato di lui nel vederlo in quei panni. Come avrebbe reagito adesso? Cosa avrebbe fatto?

Ma ancora una volta rimase stupito dal suo modo di fare così spontaneo: il compagno si comportò infatti come al solito, ignorando quel loro strano incontro, come se non fosse mai avvenuto.

Rukawa aprì l’armadietto cominciando a cambiarsi e lo vide avvicinarsi mentre gli parlava: “ah, guardate un po’ chi si degna di venire agli allenamenti. Ti sei addormentato di nuovo da qualche parte, eh Rukawa?”

Come da copione, a quella provocazione Rukawa non disse niente, continuando a sistemare la divisa nell’armadietto, ignorando il compagno.

“Andiamo ragazzi, tanto quei due ne avranno ancora per un po’” i senpai ormai abituati a quello strano rapporto che legava i giocatori, sapevano benissimo a cosa avrebbe portato quel loro ‘dialogo’.

Puntualmente, infatti, Sakuragi se la prese; lo indisponeva che la volpe non gli desse importanza fosse anche per la più piccola cosa: “e non ignorarmi quando ti parlo volpaccia”.

Rukawa chiuse il suo armadietto sbrigandosi a raggiungere gli altri, accontentando il compagno, anche se non nel modo che sicuramente Sakuragi avrebbe voluto, perché gli rispose con il solito: “doaho”, nascondendo un mezzo sorriso divertito. Gli voltò poi le spalle nel precederlo e spinse la porta dello spogliatoio che dava sulla palestra.

Hanamichi dietro di lui, con le mani dentro i pantaloncini e l’espressione contrariata, stava ribattendo come al solito: “come osi baka ki…”

“Kaede!” una voce femminile si levò alta all’interno della palestra, quando il moro fece la sua comparsa sulla soglia.

Entrambi i giocatori sussultarono riconoscendola; a bordo campo, accanto ad Anzai, la ragazza  di quella sera. Incredulo Kaede rimase fermo sul posto, mentre lei gli andava incontro: “come promesso sono venuta a vederti giocare, alla fine papà si è convinto a lasciarmi venire da sola. Pensa che mi voleva accompagnare con la macchina dell’azienda. Ahahah” terminò con una risatina leggera.

Kaede però non aveva sentito neanche una parola, mentre la vedeva avvicinarsi gli pareva che il tempo si fosse fermato o, peggio, avesse rallentato il suo ritmo rendendo quel momento ancora più pesante ed assurdo. Hanamichi si accorse immediatamente dell’irrigidimento del volpino e senza pensare vide la propria mano muoversi autonomamente e sfiorare il braccio niveo in una carezza, mentre le sue labbra si muovevano da sole e la sua voce bassa lo chiamava: “kitsune”. Il tono con il quale aveva pronunciato il suo nomignolo gli era sembrato così dolce e allo stesso tempo spaventato, come se qualsiasi azione da parte sua avrebbe potuto fargli del male. E questo perché Hanamichi aveva visto quegli occhi mutare, il colore blu farsi più intenso e per un impercettibile secondo li vide sgranarsi e successivamente indurirsi.

Uno sguardo così affilato che non gli piacque per niente.

Allora aveva dovuto fare qualcosa per fargli sentire in qualche modo la sua presenza, anche se sapeva essere un ragionamento assurdo, voleva fargli sentire che c’era, che non doveva avere paura, perché era lì, con lui.

Ma la reazione di Kaede lo mise in soggezione come mai gli era capitato di sentirsi, neanche in tutti quegli anni di ‘onorata carriera’ come teppista. Rukawa, infatti, sentendo quel tocco gentile ed appena accennato sulla pelle aveva strattonato il braccio in malo modo, allontanandolo di scatto e, voltandosi, aveva rivolto ad Hanamichi quello sguardo di ghiaccio. Il rosso si ritrovò a specchiarsi in un oceano in tempesta e proprio di quello sguardo ebbe paura perché così non l’aveva mai visto.  Eppure altre volte, Rukawa l’aveva guardato con freddezza per una stupidata fatta, per un banale errore in campo, ma, mai, mai in quello sguardo vi aveva letto disprezzo, magari sufficienza o stanca rassegnazione, perché a volte parlare con Sakuragi era davvero come rivolgersi ad un muro, mentre adesso nei suoi bellissimi occhi vi poteva leggere chiaramente tutto il rancore che il giocatore provava verso quella ragazza e sicuramente per quello che lei rappresentava.

Cosa stavano facendo alla sua kitsune?

Non ebbe però il tempo per pensarci oltre che venne richiamato da Ayako per cominciare il riscaldamento e seppur di mala voglia, dovette allontanarsi dai due. Non voleva lasciarli soli, perché nonostante quello sguardo voleva restare accanto alla volpe. Lasciarlo in balia di quella ragazza, che già odiava con tutte le sue forze, non lo rendeva tranquillo.

Seguì la manager silenziosamente, lanciando un ultimo sguardo ai due. Doveva assicurarsi che tutto andasse bene anche se lo sguardo di Kaede e la sua espressione dura e più impassibile del solito non gli facevano presagire nulla di buono.

 

Fine capitolo IV