After Life Chronicles

Prologo parte seconda "oh, merda"

di Rikku19

 

<<Le mie ultime parole sono state "oh, merda".
E le ultime parole che ho potuto ascoltare prima della mia morte sono state "ma chi ti ha dato la patente!"
Ero lì, in mezzo alla strada.
Il camion non sembrava intezionato a frenare.
E ho potuto solo sussurrare "oh, merda" quando mi ha messo sotto.
"oh, merda"
merda.
merda!
MERDA!!!!!!!!
Cosa ho fatto di male per meritarmi un morte simile?
i miei folti capelli rossi non saranno apprezzati nemmeno dal povero sfigato che dovrà fare l'autopsia al mio corpo. E nemmeno i miei occhioni verdi come il mare, o i muscoli scattanti che tanto fanno (facevano?) impazzire le ragazze.
qualcuno mi spiega che senso ha avuto andare ogni stramaledetto pomeriggio in palestra?
a saperlo prima mi potevo fare di eroina!
Se dovevo proprio morire a sedici anni tanto valeva farlo divertendomi.
sono morte, eccome.
non ho ancora capito dove mi trovo esattamente.
cioè, dove si trova cosa?
il mio spirito?
la mia anima?
il mio corpo è sull'ambulanza.
avvolto da un tremendo telo di plastica nero.
il nero non si intona con la mia carnagione.
sono troppo pallido, per il nero.
un telo blu di prussia sarebbe andato decisamente meglio.


il mio corpo è...
irriconoscibile è un eufemismo.
diciamo che non è proprio.
non invidio chi dovrà fare il riconoscimento del cadavere.
mia madre, suppongo.
con il suo nuovo, stupido marito.
lui magari inscenerà due lacrimucce, facendo pat pat sulla spalla di mia madre, forse troppo ubriaca per rendersi conto che suo figlio è schiattato sotto un camion.
e farà pat pat facendo tintinnare i braccialetti Cartier, quelli che andavano di moda negli anni Ottanta.
Capito?>>

Gabriele Tazzetti si trovava in ascensore, schiacciato dalla moltitudine.
Il suo corpo stava sudando.
Pensò che quello non poteva essere il suo corpo, quindi era la sua anima a sudare.
Ma l'anima suda?
Poteva vedere solo le sue mani, ancora grondanti di sangue.
Si guardò intorno, aspettando che quell'ascensore terminasse la sua estenuante ascesa.
Un vecchietto sulla sedia a rotelle.
Un paio di persone che piangevano.
Un tizio in giacca e cravatta con la camicia sporca di sangue.
Una donna, con un coltello da cucina infilato nell'addome.
Alcune ragazze giapponesi, in divisa scolastica, e apparentemente in perfetta salute che lo guardavano disgustate.
Oh, se mi aveste visto prima, ragazze, altro che occhiatacce! Sareste impazzite pur di uscire con me. Sareste morte per un misero bacio...
oh, beh, morte lo siete ugualmente, pensava, Ben vi sta!

Dlin Dlon!
Le porte dell'ascensore scattarono.
la folla si riversò al di fuori dell'abitacolo, come una massa di impiegati che si precipitano fuori dall'ufficio dopo otto ore di lavoro.
ed era proprio un ufficio a cui si trovò davanti, quando si decise a scendere dall'ascensore.
Una donna con un'impeccabile chignon sulla nuca in un impeccabile tailleur nero indicò al gruppo di seguirla.

<<ci aveva portato in una stanza lunga e stretta, e dovevamo passare attraverso quello che sembrava un metal detector, come quelli che si vedono all'areoporto.
Solo che aveva uno specchio all'uscita.
Ci passai attraverso.
E tornai esattamente come ero prima dell'incidente.
Dopo di me, uscì una ragazza del gruppo di giapponesi.
Mi guardò, sbalordita.
E le alzai il dito medio.

Poi ci smistarono: età, struttura fisica, professioni passate e aspirazioni professionali.
"a cosa serve?" chiesi
"già, perchè questa noia mortale?" chiese una delle ragazze in divisa, una con i capelli tinti, e il trucco pesante sbavato.
Miracolosamente capivo la sua lingua.
La donna in tailleur ci guardò come se fossimo dei poveri imbecilli.
non sembrava tenere in considerazione che eravamo appena morti.
Si limitò a indicare un insegna al neon, rosso fiamma che cappeggiava sull'intera sala in cui ci trovavamo in quel momento.
UFFICIO DI COLLOCAMENTO.
E sulle pareti cappeggiavano scritte che, apparentemente, incitavano a dare il meglio di sè, ma non mi sarei meravigliato se avessero nascosto un messaggio di impronta stakanovista.
"Ehm Ehm"
La donna si schiarì la voce.
"questo, come potete vedere" e mi fulminò con lo guardo "è l'ufficio di collocamento. qui vi saranno assegnati i lavori che dovrete eseguire per i prissimi cinquant'anni. Dopo questo periodo potrete fare richieste di trasferimeno, o, se preferite, di reincarnazione.
maggiori informazioni vi saranno date a tempo debito. arrivederci"
Improvvisamente capii.
Niente inferno.
Niente purgatorio.
Un solo maledettissimo ufficio di collocamento.
Lavoro.
Lavoro.
Lavoro.
Mi avvicinai a una scrivania.
Una ragazzina, forse di dodici, tredici anni, mi sorrideva agitando tra le mani una cornice che conteneva una banalissima scritta a computer: "SCEGLI OGGI, E LAVORA FELICE DOMANI!"
"oh, merda..."


Fine prologo