Adam
di Alessia
Il sole faceva capolino tra le fitte
nubi, quasi stesse giocando a rincorrersi col forte vento.
Le
grigie nuvole cariche di pioggia sembravano voler trattenere le loro mille
lacrime.
La
tenue luce che illuminava quel luogo di pace e silenzio sembrava esser
quasi violentato da quel vento che non dava tregua.
Era questo il tempo preferito di Adam.
Né
sereno né maltempo.
Perennemente
in bilico, come se la Natura non sapesse scegliere, decidere cosa
preferisse.
Come lui.
Come Adam.
Neanche
lui era mai stato sicuro delle sue scelte, delle sue decisioni.
Sino
all’ultima, ineluttabile, fatale scelta.
Il suicidio.
Ed
ora, nel giorno del suo funerale, Madre Natura sembrava voler fare un
regalo a quel ragazzo sempre indeciso, ma pronto nell’aiutare gli altri.
Tutti piangevano.
Tutti guardavano la bara in cui riposava il suo corpo terreno.
Tutti tranne uno.
Lui guardava il cielo, perché sapeva che era da lì che Adam li
stava guardando cogli occhi pieni di lacrime, invocando il perdono di
quelle persone che stava facendo soffrire, ma che aveva amato sino
all’ultimo respiro.
Continuando a guardare il cielo, pronunciò una promessa a fior di
labbra.
Due anni dopo
Fu svegliato dal profumo della cioccolata calda che il suo angelo
sapeva preparare magnificamente.
Socchiuse
gli occhi e lo vide.
Bellissimo.
Con
la luce dell’alba alle sue spalle sembrava davvero un angelo.
Chiuse gli occhi, studiandolo cogli occhi del cuore e della mente.
Un
corpo statuario, proporzionato e muscoloso.
Soffici
capelli color del grano maturo e occhi blu, quasi viola.
Un’anima
delicata, sensibile e gentile, come si confà ad un artista.
Sentì il materasso piegarsi lievemente sotto il peso del suo
amante.
Allungò
un braccio sulle lenzuola grigio perla e quando sentì le loro mani unite,
le dita intrecciate aprì gli occhi.
Adesso era al sicuro.
La
sua anima era di nuovo vicino a lui.
“Buongiorno” sussurrò l’altro.
“Mmh…” richiuse gli occhi, beandosi della sua vicinanza e di
quel semplice contatto.
Lo sentì allungarsi verso di lui e poi un bacio.
O
meglio, la carezza di un angelo sulle sue labbra
Aprì
di nuovo gli occhi immergendosi in quelli dell’altro, dal colore così
indefinibile.
“Non devi andare a lezione, oggi?”
L’altro
scosse piano il capo, poi rispose: “No, questa giornata la voglio
trascorrere insieme a te Gabriel”
Chiuse
gli occhi, continuando a sorridere dolcemente.
“Cosa vogliamo fare?”
Gabriel
ci pensò un po’.
Avevano
già visitato tutti i musei che avessero minimamente a che fare con
l’arte, e soprattutto con la pittura.
“Potremmo fare i turisti… il traghetto fino a Liberty Island,
il museo di Ellis Island, e… perché no?, anche un giro panoramico in
elicottero. La sera potremmo andare a vedere un musical, che so… Cats o
Hair”
Quando
finì di parlare aprì gli occhi per studiare l’espressione del suo
angelo.
“Ci sto. Nessun problema, nessuna preoccupazione. Solo due
turisti con l’unico obiettivo di divertirsi”
Si
sorrisero a vicenda.
Il loro era un legame unico.
Il loro era l’amore che s’incontra una sola volta nella vita.
Erano
l’uno l’anima dell’altro.
Le
due metà della stessa mela, ma anche questo sarebbe stato un eufemismo.
Il loro era l’amore che ogni uomo ed ogni donna sogna
d’incontrare, ma in cui non hanno il coraggio di credere e sperare.
“Forse sarebbe meglio alzarsi…” disse Gabriel, ma si leggeva
negli occhi che non ne aveva alcuna intenzione.
Angel
gli sorrise.
Dio,
come lo amava!
Amava il suo corpo, piccolo rispetto a lui, ma così perfetto.
Amava
i suoi capelli neri, coi riflessi blu della notte.
Amava
i suoi occhi, così limpidi da potercisi specchiare, due smeraldi che
brillavano di gioia e d’amore.
Amava
il suo carattere dolce, altruista, timido, ma capace di slanci d’enorme
coraggio.
Aveva provato tante volte a dipingere tutto questo in un suo
quadro, ma non ci era mai riuscito.
Solo
quando avesse realizzato un quadro che esprimesse tutto questo si sarebbe
considerato un vero artista.
“Si, dovremmo alzarci” rispose “ma più tardi…”
Si
protese verso Gabriel, baciandolo dolcemente mentre con la mano libera
iniziava nuovamente ad esplorare quel corpo che oramai conosceva a
memoria.
Gabriel rispose al bacio e alle sue carezze come aveva sempre
fatto.
Abbandonandosi
nelle braccia del suo angelo e lasciandosi guidare dall’amore e dalla
curiosità.
Quella
mattina dagli occhi di Gabriel nacquero delle lacrime.
Angel
le asciugò con la sua bocca, come aveva sempre fatto.
Gabriel
piangeva sempre quando facevano l’amore.
Poche
lacrime, ma sufficienti a far sanguinare il cuore di Angel, che si
ripromise, una volta di più, che ne avrebbe scoperto la causa.
L’autunno era arrivato in anticipo quell’anno, e quando Angel e
Gabriel uscirono dal loro appartamento nel Greenwich Village indossavano
delle giacche per proteggersi dal vento sferzante.
Lo stesso tempo di quel giorno...
Il battello, nonostante la fredda pioggia era pieno.
Turisti
e abitanti della città che vivevano quel tragitto con emozioni agli
antipodi.
I
primi eccitati, i secondi indifferenti.
Quando furono a Liberty Island i due preferirono fare prima una
passeggiata all’esterno, ma alla fine, vinti dal freddo e dalla pioggia,
entrarono e cominciarono a salire in cima alla statua.
Gabriel corse avanti per ammirare il più possibile di quel
paesaggio magnifico.
Pensò
che la Francia non potesse fare regalo più bello al suo paese.
Angel sorrise vedendolo così preso.
Amava il suo entusiasmo per qualsiasi cosa, un entusiasmo quasi
infantile.
Il
suo sguardo solitamente freddo si addolcì pensando che in fondo non
c’era nulla che non amasse in Gabriel.
Tranne,
forse, le sue lacrime quando facevano l’amore.
Ricordò che anche dopo il loro primo bacio aveva versato alcune
lacrime, ma quella volta aveva pensato che l’altro fosse confuso e
incredulo.
Scosse la testa, avrebbe scoperto la causa di quelle lacrime.
A qualsiasi costo.
Gabriel fu imprigionato dalle braccia di Angel senza accorgersene,
e quando sentì il respiro dell’altro sul collo si voltò di scatto
guardandolo impaurito”
“Angel… la gente…”
L'altro
gli posò l'indice sulle labbra “Ricorda,
nessun problema, nessuna preoccupazione”
Si
guardarono negli occhi e alla fine Gabriel tornò a concentrarsi sul
panorama.
Quando
sentì il corpo di Angel farsi più vicino si rilassò contro di lui
intrecciando le dita di una mano alle sue.
Il museo di Ellis Island fu per entrambi un’esperienza nuova.
Conoscevano la storia, ma vedendo, attraverso le foto e i
documentari, la disperazione e la speranza che animavano gli occhi di
quelle persone, capirono di non aver mai compreso nulla riguardo quegli
importantissimi momenti che segnarono la storia del loro paese.
La sera decisero di rinunciare al musical e preferirono camminare
fra le strade di Little Italy e China Town.
Per scegliere dove mangiare dovettero tirare a sorte, e vinse Angel
con la cucina cinese.
Era divertente guardare Gabriel tentare, inutilmente, di usare le
bacchette.
Gli
scivolavano sempre e ciò che aveva mangiato sino adesso era pari a zero.
Angel si poggiò il mento sulla mano sinistra e sorridendo gli
chiese: “Perché non usi coltello e forchetta?”
L’altro
lo fulminò con lo sguardo. Angel sapeva della sua incapacità di usare le
bacchette.
“E’ una questione di principio” rispose “Non voglio fare la
figura dell’incapace”
Angel
continuò a sorridere e scosse piano la testa, a volte gli sembrava di
aver a che fare con un bambino.
Insieme al dolce arrivarono anche i biscotti della fortuna.
“Ma che assurdità!” esclamò Gabriel.
L’altro
sollevò un sopracciglio in una muta domanda.
“Presto la donna che amate
vi renderà felice”
Angel
rise.
“Il tuo cosa dice?”
Così
dicendo cercò di togliergli il biscotto dalle mani, ma Angel fu più
veloce di lui.
“Ti spiace se lo leggo da me?”
Gabriel
sbuffò e alzò gli occhi al cielo.
Quando
ruppe il biscotto e lesse il biglietto Angel impallidì.
The
person you love weeps for their love
“Angel, cos’hai?”
Gabriel
lo stava fissando preoccupato. Con un gesto non curante si mise il
biglietto in tasca e cercando di sorridere rispose: “Nulla. Davvero”
aggiunse all’occhiata scettica dell’altro “Mi è solo scoppiato un
mal di testa improvviso” Gabriel annuì piano con sguardo preoccupato
“Vogliamo tornare a casa?”
Gabriel
sorrise e il cuore di Angel perse un battito.
Quella
notte c’era la Luna piena e la tenue luce del satellite illuminava il
viso di Gabriel.
Angel
era semi sdraiato accanto a lui, la testa poggiata su una mano.
La persona che ami piange l’amore che
prova
Quelle
parole gli si ripetevano all’infinito nel cervello.
Di
norma non avrebbe dato peso a quelle parole, ma lui sapeva quanto fosse
stato difficile per Gabriel accettare il fatto che lo amasse.
Si
era rifiutato di vederlo per più di un mese.
Un
mese durante il quale Angel era arrivato vicino alla depressione.
Non
riusciva a stare lontano da Gabriel.
Dopo sei settimane era andato a casa sua, nel New Jersey per
implorarlo di tornare con lui.
Gabriel aveva cercato di resistere, di farlo uscire dalla sua vita,
ma alla fine aveva ceduto e scoppiando in lacrime si era gettato nelle sue
braccia pregandolo di perdonarlo.
Da quel momento erano sempre stati felici, ma in un angolo del suo
cuore Angel temeva sempre che Gabriel potesse lasciarlo di nuovo, e sapeva
che questa volta non avrebbe resistito.
Sdraiandosi dietro di lui, gli cinse la vita con un braccio e
mentre stava per addormentarsi sussurrò: “Io ti amo”
Poco dopo Gabriel aprì gli occhi pieni di lacrime, e mosse le
labbra dicendo: “Perdonami…”
I giorni, le settimane, procedevano tranquillamente.
Angel frequentava la facoltà di Architettura alla New York
University, mentre il pomeriggio insegnava in una scuola elementare nel
Queens.
Gabriel, invece, lavorava da Tiffany e ogni tanto gli piaceva
frequentare corsi di Ikebana.
La Vigilia di Natale.
Angel stava finendo di sistemare i suoi regali per Gabriel sotto
l’albero.
Si
guardò intorno soddisfatto, poi tornò a fissare lo sguardo
sull’albero.
Era il primo Natale che lui e Gabriel avrebbero trascorso insieme e
voleva che fosse perfetto.
Gabriel
aveva deciso di passarlo solamente con lui, ed Angel voleva che ogni
momento, ogni singolo istante di quei giorni fosse speciale.
Se non si fosse sbrigato avrebbe fatto tardi.
Accidenti ai clienti indecisi e dell’ultimo minuto che si
ricordano di Natale solo il giorno stesso!
Sorrise al pensiero che probabilmente quello era stato lo stesso
pensiero del negoziante dove aveva comprato l’ultimo regalo per Angel.
Gli aveva già preso un ciondolo a forma di tavolozza da Tiffany e
una camicia di seta viola da Armani, ma passando davanti la vetrina di
quell’antiquario non aveva saputo resistere.
Una scatola di legno di noce, col coperchio intarsiato da un motivo
floreale, dove Angel avrebbe potuto riporre tutti i suoi pennelli e
colori.
Il tacchino sarebbe stato pronto tra meno di un’ora e lui non era
ancora arrivato.
Angel vagò per le stanze dell’appartamento come un’anima in
pena.
Era
triste, incompleto senza Gabriel.
All’improvviso il campanello squillò ed Angel si precipitò alla
porta spalancandola.
Accidenti!
Angel lo avrebbe spellato vivo.
Era in ritardo di quasi mezz’ora e lui odiava i ritardatari,
avrebbe dovuto essere convincente per essere perdonato.
Quando aprì la porta di casa sentì delle voci provenire dalla
cucina.
Si
immobilizzò pensando a chi potesse essere.
Non la famiglia di Angel.
Quei
bastardi lo avevano buttato fuori di casa, ripudiandolo, quando Angel
aveva detto loro di essere gay.
E non potevano essere neanche i suoi genitori.
Erano
andati a trascorrere il Natale nel ranch di sua sorella e del marito in
Vermont.
Ascoltando attentamente le voci, si rese conto che erano in due.
Uno
era Angel, ma l’altro?
Posando il regalo sul tavolino dell’anticamera si avvicinò
lentamente alla cucina.
Perché nessuno parlava più?
“No…” sussurrò a fior di labbra bloccandosi sulla soglia
della cucina.
Qualcuno stava baciando il suo angelo, la sua anima.
Angel si allontanò bruscamente dall’altro uomo e notò Gabriel
fermo sulla porta.
“Gabriel…”
Per
lui quel sussurro fu come un urlo che lo riscosse da suo stato di torpore.
Fece
un passo indietro e fuggì via correndo.
Come
aveva potuto?
Angel
come hai potuto farmi questo?
“Gabriel…” ripeté
più forte, cercando di seguirlo, ma l’altro lo afferrò per un braccio
attirandolo nuovamente a se.
“Lascialo andare, Angel. Ora ci sono io con te, vedrai che saremo
di nuovo felici. Insieme”
Per
un attimo Angel si beò della vista di quel volto angelico, ma quando notò
la luce fredda nei suoi occhi cerco di divincolarsi.
“Lasciami… lasciami, Misha!”
L’altro
si allontanò abbastanza perché Angel potesse liberarsi dal suo
abbraccio.
“Dove vuoi andare, Angel? Tu sei mio, lo sarai sempre”
Per
la prima volta nella sua vita Angel si sentì sicuro di ciò che stava per
dire a quell’uomo.
“Lo sono stato” disse guardandolo negli occhi “ma non lo sono
adesso e non lo sarò mai più. Io ora appartengo a Gabriel. Come lui
appartiene a me. Gabriel è l’uomo che amo, l’unica persona che potrò
mai amare in tutta la mia vita”
Così dicendo uscì dalla stanza e dall’appartamento, afferrando
il cappotto, per andare alla ricerca di Gabriel.
Non sapeva quanto tempo era passato. Vagava senza meta, senza
preoccuparsi di nulla.
Non voleva pensare a niente, voleva dimenticare tutto.
Il loro bacio.
Lo sguardo colpevole di Angel. Quello indifferente e malvagio
dell’altro uomo.
“Ehi! Dico a te! Non ci senti?”
Gabriel
si voltò di scatto e notò il gruppetto di tre ragazzi alle sue spalle.
“Mi spiace, non l’avevo sentita” si giustificò “Posso
esservi utile?”
“Ehi,
ragazzi, sentito come parla il damerino?”
"Già…"
fece uno avvicinandosi, Gabriel voltò il capo per guardarlo "…è
così carino. Sembra uno dell'alta società. Di un po', dolcezza, che ci
fai nei bassi fondi?"
"Ecco,
io…"
Anche
gli altri due gli si avvicinarono, accerchiandolo.
Ora
cominciava ad avere paura. Come aveva fatto a ficcarsi in quel guaio?
Ricordando la scena che aveva visto non poté impedirsi di piangere
nuove, calde lacrime.
"Oh, Gesù! Guy, guarda…" fece il ragazzo alla destra
di Gabriel "Damerino sta piangendo"
"Cristo! Io non voglio avere a che fare con gente così"
fece quello a sinistra con tono apertamente dispregiativo.
"Damerino…" fece Guy, che era evidentemente il capo
"…scommetto che sei uno di quei frocetti che se lo fanno mettere
nel culo da chiunque, vero?"
A quella frase le lacrime di Gabriel cessarono e lui cercò di fare
un passo indietro per allontanarsi, ma fu bloccato dagli altri due.
"Dove vuoi andare, damerino?"
"Non vorrai andartene proprio quando la festa comincia?"
"E poi…" concluse Guy "l'ospite d'onore sei
tu!"
Quest'ultima
frase fu sancita da un pugno nello stomaco, e Gabriel sarebbe sicuramente
caduto a terra se gli altri due non lo avessero tenuto per le braccia.
"Le
persone come te fanno schifo" riprese Guy con un nuovo destro, questa
volta diretto al volto "femminucce che rovinano la società e la
categoria degli uomini veri. Non siete capaci d'altro che piegarvi a
novanta gradi e farvelo mettere dentro" il discorso fu fatto seguire
da una nuova serie di calci e pugni.
Avrebbe dovuto ribellarsi, cercare di difendersi.
Ma
a quale scopo?
Angel tornò a casa all'alba.
Fu accolto dalle luci intermittenti dell'albero di Natale.
"Natale…"
sussurrò, sedendosi sul divano e prendendosi la testa fra le mani
"Dove sei Gabriel?"
"Qui non è tornato" rispose una voce dietro di lui.
Angel
si alzò di scatto voltandosi "Cosa ci fai ancora qui, Misha?"
L'altro
si strinse nelle spalle "Ho pensato che non avresti negato un po'
d'ospitalità a chi hai giurato amore eterno" rispose con un sorriso
condiscendente.
"Ti ho detto di andartene, Misha. Non voglio vederti mai più!"
L'altro
sbadigliò annoiato.
"Angel, tesoro, possibile che tu non capisca che ti sto
facendo un favore? Ti sto dando la possibilità di tornare da me"
spiegò paziente.
"Dopo che sei stato tu a lasciarmi?"
"Dettagli" rispose l'altro non curante.
"Te
lo dico per l'ultima volta Misha e vedi di ascoltarmi perché non intendo
ripetermi mai più: esci da questa casa e non farti più vedere. E' vero,
ho giurato d'amarti, ma ora ho capito che quello che provavo per te era
niente paragonato a ciò che provo per Gabriel. Lui è la mia vita, il mio
Sole, la mia Luna, è l'aria che respiro" si fermò un secondo per
poi concludere: "Lo amo, e se gli è successo qualcosa giuro che te
la farò pagare"
L'altro
s'irrigidì, sul volto un'espressione divertita: "Ok, come
preferisci. Ma quando il tuo Sole, la tua Luna e l'aria che respiri si sarò
stufato di te non venirmi a cercare"
Così dicendo si voltò, indossò il suo cappotto di pelle nera e
uscì dall'appartamento.
Angel si lasciò cadere sul divano.
Dove poteva essere Gabriel?
Lo
aveva cercato ovunque: il luogo dove si erano conosciuti, il loro
ristorante preferito, il lungo fiume vicino il ponte di Brooklyn, era
persino andato a Central Park!
All'improvviso squillò il telefono.
Angel
si precipitò alla cornetta: "Gabriel?!"
"Ehm… buona sera, parlo col signor Casey?"
"Si… sono io…"
Corridoi infiniti, l'odore dei medicinali e liquido per pulire i
pavimenti, gli ambienti asettici.
Dottori
e infermieri apparentemente non curanti delle tragedie che si compivano
vicino a loro.
"Il signor Davis è stato aggredito questa notte da alcuni
teppisti" aveva detto il dottore "In seguito all'aggressione ha
riportato numerose lesioni, ed una ferita da arma bianca. Purtroppo è
passato diverso tempo prima che qualcuno si accorgesse di lui e chiamasse
un'ambulanza, così ha perso molto sangue"
Angel era esploso dicendo di fargli una trasfusione, ma il dottore
l'aveva interrotto dicendo: "Purtroppo non possiamo, signore Casey.
Il signor Davis ha un sangue rarissimo, caratterizzato dal gene K.
Purtroppo qui in ospedale non ne avevamo e al Centro Nazionale Donatori di
Sangue ne avevano solo una sacca, che stanno provvedendo a mandarci.
Purtroppo però solo quello non sarà sufficiente. Lei non potrebbe
chiamare i parenti del signore Davis?" aveva chiesto il dottore.
"Si trovano in Vermont per il Natale…" aveva risposto
smarrito.
"Li chiami" aveva detto "E' l'unica possibilità per
il signore Davis"
Il suo volto era così pallido.
Gabriel aveva sempre avuto una carnagione estremamente chiara, ma
adesso sembrava un fantasma.
"Gabriel resisti"
Angel
era seduto di fianco al suo letto stringendogli una mano.
"Resisti Gabriel" ripeteva quelle parole come fossero una
formula magica.
Aveva chiamato in Vermont ed ora sia i genitori, che la sorella col
marito e il figlio stavano venendo a New York.
Purtroppo
i voli erano tutti strapieni e così stavano arrivando in treno.
"Mi dispiace Gabriel, perdonami…"
Gli occhi gli si riempirono di lacrime.
Era
stata tutta colpa sua! Se si fosse dimostrato, sin dall'inizio, più
deciso con Misha impedendogli di entrare in casa tutto questo non sarebbe
accaduto.
Scoppiò
in un pianto silenzioso, disperato e pregò come mai aveva fatto prima in
vita sua.
Alle undici di sera del venticinque dicembre arrivarono i
famigliari di Gabriel.
Purtroppo fra tutti loro solo uno aveva lo stesso sangue: Kyle, il
bambino.
Prelevarono quanto più sangue poterono per darlo subito a Gabriel.
La mattina del ventisette dicembre Gabriel Davis fu dichiarato
fuori pericolo, ed una settimana dopo fu dimesso dall'ospedale.
L'identikit
che Gabriel fornì alla polizia portò all'arresto dei tre ragazzi: Guy
Richards, James McCoy e Robert Talbert.
Tutti
fra i 25 e i 28 anni, piccoli criminali che questa volta furono accusati
di tentato omicidio.
Gabriel ed Angel non parlarono mai dell'accaduto.
Angel
provò ad affrontare l'argomento diverse volte, ma costatando la reticenza di
Gabriel, smise.
Era passato un anno.
Quella sera sarebbe stata nuovamente la Vigilia di Natale.
Gabriel
finì di confezionare il pacchetto e porse il sacchetto alla signora.
Per fortuna non aveva perso il suo lavoro da Tiffany.
Pensò ad Angel.
Aveva
sempre evitato l'argomento, non ne aveva mai voluto parlare.
Ma ora, se non voleva rovinare il Natale presente, avrebbe dovuto
affrontare i fantasmi del Natale passato.
Quella
sera Angel trovò Gabriel seduto sul divano, una tazza di tea in mano e
un'espressione assente negli occhi.
Si avvicinò lentamente e si sedette all'altro capo del divano.
Rimasero
in silenzio per diversi minuti.
"Parlami di lui" chiese Gabriel.
Angel
fu sorpreso, poi fece un profondo respiro: "Misha era il mio ragazzo.
Lo conobbi più di tre anni fa ad una festa" al sentire quel nome le
dita di Gabriel si contrassero sulla tazza "All'inizio fu
meraviglioso, ci divertivamo e ci amavamo. O almeno così pensavo. Aveva
dei gusti un po' strani a letto, e all'inizio fu eccitante, poi però…
divenne più crudele, più… sadico" si fermò un minuto per
raccogliere le idee "Mi faceva sempre più male, ma non mi importava,
lo amavo, solo questo contava. Poi un giorno… andai a casa sua per
fargli una sorpresa, ma la sorpresa la ricevetti io: lo trovai a letto con
un altro. Tentai di fuggire, ma lui mi bloccò e dopo avermi legato mi
costrinse ad assistere al loro amplesso. Poi entrambi mi violentarono e
Misha mi torturò come mai aveva fatto prima"
"La cicatrice sulla spalla…" mormorò Gabriel.
Angel
annuì "Si"
Restarono di nuovo in silenzio.
"L'anno scorso…" riprese Angel "…me lo ritrovai
davanti all'improvviso e… non sono riuscito ad impedirgli di entrare.
Diceva che era tornato per me, per darmi la possibilità di scusarmi e di
tornare con lui. Cominciai a dirgli di andarsene, che non volevo più
vederlo. Che ora ero innamorato davvero. Lui… Misha si è arrabbiato e
mi ha dato uno schiaffo, poi mi ha afferrato e mi ha baciato"
s'interruppe di colpo.
"E sono arrivato io…"
"Si" rispose piano, poi si voltò verso l'altro
avvicinandosi un poco "Gabriel, mi dispiace… è tutta colpa mia. Se
non l'avessi fatto entrare, se mi fossi mostrato più deciso sin
dall'inizio…"
Gabriel
lo interruppe "Con i se non
puoi modificare il passato. Anch'io se…" si bloccò rendendosi
contro di ciò che stava per dire.
Angel gli prese delicatamente una mano e gliela strinse.
“Raccontami cos'è successo quella notte…"
Gabriel
rimase a lungo in silenzio, poi iniziò piano "Quando… quando sono
fuggito da qui ho iniziato a vagare senza meta. Camminavo, ma non sapevo
dove mi trovassi. Poi… poi ho incontrato quei tre. Hanno cominciato a
deridermi, poi quando le lacrime hanno iniziato a bagnarmi il viso hanno
iniziato ad insultarmi, a darmi della puttana… Alla fine sono arrivate
le percosse. Sapevo che avrei dovuto ribellarmi, cercare di difendermi, ma
a quale scopo? Dopo ciò che avevo visto volevo solo morire, e
probabilmente è per questo che non reagivo, volevo
che mi uccidessero. Quando mi hanno pugnalato credo che fossi già
svenuto. Mi sono risvegliato in ospedale e la prima cosa che ho visto sei
stato tu" si voltò verso Angel sorridendogli "dormivi, ma
continuavi a stringermi la mano e avevi gli occhi gonfi" si fermò
per guardarlo negli occhi "E' stato allora che ho deciso di
continuare a vivere. Sei stato tu a tenermi qui. Ad impedire che me ne
andassi"
Angel
gli sfiorò una guancia col dorso della mano, gli occhi lucidi.
“Gabriel…"
L'altro
gli sorrise dolcemente.
"Ti amo Angel…"
Il
suo corpo s’irrigidì.
Era
la prima volta che glielo diceva.
Poi
gli sorrise anche lui.
"Anch'io ti amo, Gabriel"
I loro volti si avvicinarono lentamente, quasi temessero di
spezzare l'incanto di quel momento.
Quella notte fu come se facessero l’amore per la prima volta, e
Gabriel non versò alcuna lacrima.
Ogni loro gesto, bacio, carezza aveva in sé una forza in più. La
forza della consapevolezza del loro amore.
Nel momento dell’orgasmo, quando Angel venne dentro Gabriel,
entrambi, per la prima volta nella loro vita, sentirono di appartenere a
qualcuno e di far parte di qualcosa di unico e speciale.
La mattina successiva Angel si svegliò ed era solo nel letto.
Con
un sorriso pensò che Gabriel stesse preparando la colazione, ma non
sentiva alcun rumore, così si alzò.
In cucina trovò un biglietto:
Mi
spiace se non sarò qui al tuo risveglio, ma devo fare una cosa molto importante, e al mio ritorno dovremo parlare. Ti amo.
Gabriel
Il
cimitero era deserto a quell’ora del mattino.
Soprattutto
col freddo della mattina di Natale.
La
neve cadeva fitta rendendo l’ambiente ancora più silenzioso, pacifico,
ovattato, quasi irreale.
“Ora ho capito…” mormorò Gabriel davanti la tomba di suo
cugino.
Adam Kendall.
“Ho capito perché l’hai fatto. Ma hai sbagliato. Avresti
dovuto continuare a lottare e a non farti sopraffare dal senso di colpa.
Non era tua la responsabilità di ciò che era successo” guardò il
cielo, come aveva fatto nel giorno del funerale “Mi dispiace Adam, ma
non posso mantenere la promessa che ti ho fatto. Angel non c’entra, ed
io… non potrei mai fargli del male. Mi spiace, spero che tu possa
capirmi” così dicendo posò un mazzo di lilium bianchi sulla tomba e
voltandosi tornò a casa dal suo angelo.
Non era ancora tornato e lui stava morendo di paura.
Se non fosse tornato entro mezz’ora avrebbe chiamato la polizia.
Doveva raccontargli tutto.
Se voleva davvero passare il resto della sua vita con Angel,
sarebbe dovuto essere sincero con lui sino in fondo.
La porta dell’appartamento si aprì un minuto prima che Angel
chiamasse la polizia.
Quando lo vide entrare si precipitò ad abbracciarlo come se non lo
vedesse da anni.
Gabriel ricambiò l’abbraccio, poggiando la testa sulla sua
spalla.
“Si può sapere dove cavolo sei stato?! Mi hai fatto morire di
preoccupazione”
Gabriel
non riuscì a guardarlo negli occhi.
“Mi spiace Angel, ma dovevo fare una cosa molto importante”
L’altro
annuì.
“Ora facciamo colazione, poi parleremo”
Gabriel
annuì.
Angel era seduto sul divano aspettando che Gabriel tornasse dalla
loro camera da letto.
Dopo
poco tornò sedendosi di fronte a lui con una cornice in mano.
Gliela
porse e chiese: “Ti ricordi di lui?”
Per
un attimo ad Angel parve di tornare indietro nel tempo.
“E’…”
Gabriel
annuì “Il ragazzo con cui ti ha tradito Misha. Mio cugino Adam. Adam
Kendall”
“Cosa significa, Gabriel?” aveva paura di ciò che l’altro
potesse dirgli.
Gabriel
gli si avvicinò, ma Angel si allontanò, alzandosi in piedi.
Con
i pugni in grembo Gabriel chiuse gli occhi.
“Prometti di ascoltarmi senza interrompermi?”
Riaprì
gli occhi e vide Angel annuire.
“Adam
ed Io siamo cresciuti insieme, abbiamo… avevamo la stessa età. Eravamo
cugini, ma prima di questo eravamo migliori amici. Poco più di quattro
anni fa venne ad abitare a New York. Conobbe Misha ed iniziò una
relazione con lui. Da quanto ne so io, tu e Misha non stavate ancora
insieme… In ogni caso, Adam sapeva che Misha lo tradiva, ma non gli
importava, lo amava troppo. Come te” si fermò un momento per vedere la
reazione di Angel, ma lui gli voltava le spalle, così riprese: “Quella
sera… quanto tu andasti da Misha, lui aveva fatto prendere a Adam
dell’ecstasy, ingannandolo. Per questo ha fatto ciò che ha fatto,
normalmente si sarebbe opposto e lo avrebbe impedito anche a Misha. Dopo
quell’esperienza tornò a casa e non uscì dalla sua stanza per due
settimane. Quando riprese ad uscire… era cambiato. Era ancora lui, ma i
suoi occhi erano spenti, senza vita. Due settimane dopo si tolse la vita.
Aveva lasciato delle lettere per la sua famiglia e per me. Nella mia
c’era scritto tutto ciò che ti ho raccontato. In quel momento ho capito
che volevo vendicarlo e che tu eri la causa del suo suicidio. Lo so, è un
ragionamento illogico, ma per me la colpa della sua morte l’avevi tu. Se
tu non ti fossi arreso e ti fossi ribellato Adam non ti avrebbe fatto del
male, e non si sarebbe suicidato” si fermò per riprendere fiato.
“Avevo deciso di vendicarlo facendo a te ciò che tu avevi fatto
a lui: portarlo al suicidio” quella confessione cadde in un silenzio
assordante.
“Volevo
farti innamorare di me e poi abbandonarti, ma… sono io ad essermi
innamorato di te. Ogni volta che facevamo l’amore piangevo perché stavo
tradendo la promessa fatta a Adam. Poi… Misha è tornato, non sapevo che
fosse lui, l’ho scoperto solo quando me l’hai detto tu. Ma oramai…
il mio cuore aveva già scelto, non potevo portare a termine il mio piano.
Non potevo ucciderti!” si fermò un’ultima volta “Questa mattina
sono andato sulla sua tomba. Sono sicuro che Adam è felice per me. Tutto
ciò che lui desiderava era che le persone cui voleva bene fossero
felici”
Cadde il silenzio nella stanza.
Non erano udibili neanche i loro respiri.
“Angel..?”
Aveva paura.
Gabriel
aveva paura che Angel potesse lasciarlo per sempre.
Non
gli avrebbe dato torto, ma come sarebbe sopravvissuto senza di lui?
“Angel..?” provò di nuovo.
“Secondo te ora cosa dovrei fare?” era ancora di spalle,
rigido, guardava fuori della finestra la neve cadere, le mani sprofondate
nelle tasche dei jeans.
“Io… io non lo so…”
Si
voltò e sul suo viso non traspariva alcuna emozione.
“Io esco!”
“Cosa?! Dove vai, Angel?”
“Non lo so” disse mentre s’infilava il cappotto “Devo
riflettere, e devo farlo fuori di qui. Lontano da te”
Aprì
la porta ed uscì.
Gabriel
era sicuro che non sarebbe più tornato.
Si erano conosciuti qui… al Whitney Museum…
Aveva
sempre pensato che il loro fosse un incontro voluto dal destino, ma ora..
Poteva dargli il beneficio del dubbio adesso, nell’ultimo anno
della loro relazione.
Se
Gabriel lo avesse lasciato il Natale scorso adesso non sarebbe stato di
certo qui, ma due metri sotto terra… perché Gabriel era riuscito nel
suo intento, farlo innamorare, in
modo assoluto e totale.
Ma prima?
Quando
ogni gesto, ogni parola era finalizzato alla sua morte?
Adam Kendall.
L’amante
di Misha.
Il
suo carnefice.
Il
cugino di Gabriel.
Senza
Adam probabilmente non avrebbe mai conosciuto Gabriel.
Non
si sarebbe mai innamorato di lui.
Non
avrebbe mai saputo cosa volesse dire appartenere a qualcuno.
Perché nonostante tutto continuava ad amarlo.
La
logica gli diceva che avrebbe dovuto odiarlo per tutto il male che gli
aveva fatto, per averlo ingannato tanto a lungo, ma non ne era capace.
Angel continuava ad amarlo, e a sentire di appartenergli.
Era passata una settimana da quando Angel era uscito da quella
porta.
Forse sarebbe riuscito a trovarlo, se lo avesse cercato, ma Angel
doveva pensare, e… doveva farlo lontano da lui.
Aveva
fatto tutto ciò che poteva.
Tra poco meno di un’ora sarebbe iniziato un nuovo anno e lui lo
avrebbe iniziato col cuore a pezzi.
Incredibilmente rimpiangeva il Capodanno dell’anno passato.
Era
in ospedale e stava male, ma era insieme ai suoi genitori, alla sua
famiglia… ad Angel.
Angel che non lo aveva lasciato un solo istante in quel periodo.
Pensava
di non avere più lacrime da piangere, ma si sbagliava, pensò
asciugandosi gli occhi.
Qualcuno bussò piano alla porta.
Per poco Gabriel rischiò di non sentirlo, tanto era il baccano che
i vicini facevano.
Quando
aprì la porta il suo angelo era di fronte a lui.
Non
gli era mai parso così bello.
“Posso entrare?”
Gabriel
si spostò di lato per farlo passare.
“Come stai?”
Gabriel
abbassò lo sguardo e non rispose, così Angel ripeté la domanda più
dolcemente “Come stai?”
Lo guardò brevemente e rispose con un sussurro: “Male… non
riesco a stare senza di te”
Angel
gli sorrise “Neanch’io posso stare senza di te”
Gli
si avvicinò senza toccarlo, non ancora.
“Questa settimana, lontano da te, è stata un inferno. Non
poterti vedere, ascoltare, parlare, toccare… baciare. Gabriel… ho
capito perché lo hai fatto, ma…” Gabriel s’irrigidì, stava per
lasciarlo!“…non riesco ad odiarti per questo. Non posso odiarti.
Io…non dimenticherò mai quello che mi hai detto, ma piano piano prenderà
un posto sempre più piccolo nel mio cuore, sino a diventare solo un
pallido ricordo. Voglio cominciare di nuovo Gabriel. Lo vuoi?” gli prese
le mani delle sue.
L’altro alzò lo sguardo per fissarlo negli occhi.
Quegli occhi che ora sembravano viola.
“Lo voglio”
Angel
gli sorrise, gli occhi lucidi.
“L’inizio di un nuovo anno” mormorò “L’inizio di una
nuova vita insieme”
Gabriel
annuì, le gote bagnate dalle lacrime. Angel vi avvicinò la bocca e bevve
ciò che per lui era più prezioso dell’Ambrosia.
“Ti amo Gabriel”
“Ti amo Angel”
Vai all'Archivio Fan Fictions |
Vai all'Archivio Original
Fictions |
|