Disclaimer: i pg che appaiono nella storia (a parte parenti inventate da me…-.-) sono tutti quanti di proprietà della grandissima Kaori Yuki, donna che amo e venero con tutto il cuore!


Acqua e Fuoco

di Kieran


Per la prima volta dopo tre lunghi ed ombrosi giorni, un timido sole cercava di ferire con i suoi raggi smunti le pesanti nuvole che erano riuscite a conquistare il cielo; la pioggia che solo poche ore prima aveva scosso l’aria, era già un ricordo lontano, una sensazione che si manteneva in vita solo grazie alle minuscole goccioline che, infinite e giocose, si aggrappavano con forza sui fili d’erba rigogliosa. L’aria era già calda, piccoli rivoli di vapore scaturivano dai terreni coltivati accuratamente, graziosi animali uscivano dalle loro tane nelle quali erano stati rinchiusi per giorni, per godersi il tepore primaverile e lasciare che il pelo si scaldasse all’amato sole. L’atmosfera di campagna era idilliaca, le due bambine affacciate alla finestra non aspettavano altro che poter uscire all’aperto, dopo giorni di segregazione in quella grande villa. Erano due ragazzine allegre, ciarliere, con gli animi impossibili da imbrigliare, e si volevano bene nonostante si conoscessero da così poco tempo. La più grande aveva dodici anni, si chiamava Elisabeth ed era la figlia dei signori della villa. Non era molto alta, aveva lunghi e fluidi capelli castani perfettamente acconciati da mani esperte, il suo visino era costellato di lentiggini che incorniciavano i suoi lucenti occhi verdi ed era perennemente illuminato da un sorriso amichevole e contagioso. Vestiva un pomposo abito rosso, poco adatto ai giochi che era solita fare con la sua amica, ma ormai era abituata alla rigida etichetta di famiglia, e sapeva bene che quando una persona importante come un conte era loro ospite, non poteva esimersi dai propri doveri, quindi non si lamentava. L’altra ragazzina, invece, aveva dieci anni e si chiamava Maryweather: i suoi lunghi capelli biondi ricadevano lisci sulla schiena, ma avevano un fine intreccio sulla sommità che li rendeva assai svariati. Aveva pelle d’alabastro e splendenti occhi azzurri; sorridente e giocosa, aveva però un visino scaltro ed era merito suo se ora le due ragazzine potevano trascorrere un po’ di tempo insieme. Indossava un abito più semplice rispetto a quello della cugina Elisabeth, ma creato appositamente per farla sembrare una graziosa bambola di porcellana. Maryweather era ospite dell’amica da ormai tre giorni, durante i quali però era sempre piovuto; le due bambine erano state costrette a rimanere in casa, riuscendo comunque a trovare di che svagarsi, ma non erano certamente le più angustiate da quella situazione. In angolo del grande salone, infatti, su una comoda sedia dal legno finemente intagliato, sedeva un ragazzo di diciassette anni, con il viso alquanto annoiato; se ne stava scomposto, mezzo sdraiato sullo scranno, con una gamba appoggiata ad uno degli alti braccioli, il primo bottone della camicia bianca lasciato aperto sul collo ed un libro abbandonato sulle ginocchia. Aveva smesso di leggere da almeno una mezz’ora e distrattamente guardava anch’egli dalla finestra, osservando il paesaggio rurale attraverso le mille goccioline che imperlavano i vetri. Maryweather smise per un attimo di chiacchierare con la cugina, voltandosi verso il ragazzo, e gli si avvicinò con piccoli passi guardinghi, sospettando che in quel momento il suo umore non fosse dei migliori; il moro la vide con la coda dell’occhio, ma ugualmente non distolse lo sguardo dalle nubi che veloci cedevano posto al sole.
- Fratello… - disse dubbiosa la bambina, augurandosi in cuor suo che il ragazzo non cominciasse ad arrabbiarsi con lei; Cain la guardò senza dire nulla, fingendo ancora di provare un certo fastidio per essersi lasciato ingannare da due ragazzine di dieci anni. Mary raccolse un po’ di coraggio e gli rivolse un sorriso cercando di farlo sembrare spensierato.
- Non piove più, questo pomeriggio possiamo uscire! Andiamo a fare una passeggiata?
Il ragazzo la guardò per un attimo senza dire nulla, poi chiuse il tomo dimenticandosi d’inserire un segnalibro.
- Sai quanto mi annoia la campagna! – esclamò finalmente, con voce ancora più tediata della sua espressione; la sorellina si tormentò le dita per un secondo, però rispose come suo solito, dicendo esattamente quello che pensava.
- Lo so… ed è per questo che mi sono inventata quella bugia…
Cain inarcò le sopracciglia, sorpreso come sempre da tanta sincerità, però poi le rivolse un sorriso, incapace di fingersi ancora arrabbiato con quel piccolo angelo.
- Sei riuscita ad imbrogliarmi e meriti la mia ammirazione, Mary! – esclamò mettendosi a sedere composto – Però vedi di non farlo più! – terminò con tono vagamente burbero; la sorellina annuì, felice di aver ottenuto il perdono del ragazzo, e si appoggiò al bracciolo della sedia, alzandosi in punta di piedi, per riuscire a baciarlo su una guancia liscia. Elisabeth, che fino a quel momento se n’era stata in disparte, si avvicinò cautamente ai due fratelli: Cain non le dispiaceva, lo conosceva da quando era piccola e sapeva che era sempre gentile, però un po’ la inquietava. Era a conoscenza di quello che la gente diceva di lui, sapeva che possedeva una collezione immensa di veleni rari e che si divertiva un mondo quando aveva a che fare con storie strane. Però era proprio grazie a quest’ultima sua caratteristica, che lei e Mary erano riuscite ad incontrarsi: poco distante dalla proprietà dei genitori, si ergeva una vecchia villa diroccata, abbandonata ormai da quasi un secolo. Si diceva che un tempo vi abitassero due sorelle che praticavano riti satanici volti a risvegliare i morti, riuscendo ad assumere il controllo di queste creature dell’oltretomba e scagliandole contro le donne del villaggio limitrofo, ree di non accettarle. Ovviamente era solo una leggenda, però su uno dei pilastri della villa, di recente, era stata rinvenuta un’effigie indecifrabile, sotto la quale c’era parte di una strana filastrocca. Tramite le missive che le due cugine si scambiavano settimanalmente, Elisabeth aveva raccontato questa storia a Mary, che aveva subito pensato ad un modo per convincere Cain ad andare dagli zii. Aveva quindi convinto la cugina a mandare una lettera anonima al fratello, scritta da un adulto, con quella filastrocca; il ragazzo, ovviamente attirato dal mistero, aveva rintracciato il luogo dal quale proveniva la lettera, ed aveva chiesto ospitalità agli zii per qualche giorno, proprio come Mary aveva architettato. Appena arrivati, nonostante la pioggia Cain aveva insistito perché Riff lo accompagnasse alla villa diroccata, tanto per farsi un’idea della situazione, ma a quel punto Mary non era più riuscita a mentire e gli aveva raccontato ogni cosa. Elisabeth si era aspettata una sfuriata da parte del cugino, che però si era limitato a guardare in tralice la sorellina e ad abbozzare un sorriso sarcastico, prima di togliersi il cappotto e mettersi a sedere sulla sedia che ormai occupava da tre giorni. La madre di Elisabeth, la duchessa Filthorn, aveva così insistito con il nipote, che infine era anche riuscita a convincerlo a fermarsi per un’intera settimana a casa sua; però era chiaro che il ragazzo non vedesse l’ora di ripartire e non nascondeva in nessun modo il proprio stato d’animo. Ma la duchessa era una donna dall’animo gentile, e non sembrava offendersi per i modi non proprio garbati del nipote, cercando di coinvolgerlo nelle varie iniziative che organizzava il suo piccolo gruppo di amiche. Proprio mentre Elisabeth era persa in tutte quelle riflessioni, sua madre entrò nel salotto con il solito sorriso gentile ad illuminarle il volto; le due bambine la guardarono con occhi brillanti, aspettando il tanto sospirato permesso di poter finalmente uscire all’aria aperta, e la donna sembrò intuire i loro pensieri, perché annuì gentilmente con il capo.
- Ora fa caldo, potete indossare gli stivaletti ed uscire in giardino; se volete, possiamo anche fare una passeggiata nei prati.
- Evviva! – esclamò Mary afferrando le mani di Elisabeth e costringendola a saltellare con lei, poi si staccò ed uscì dalla stanza chiamando a gran voce Riff, il maggiordomo, perché l’aiutasse ad indossare le calzature adatte. Anche la cugina uscì di fretta dal salone, impaziente quanto l’amica di poter respirare aria fresca di campagna; la duchessa si avvicinò sorridendo al nipote, che nel frattempo si era alzato con un sospiro.
- Vieni anche tu con noi, Cain? – chiese con il solito tono cortese; il ragazzo le rivolse un sorriso di circostanza, scuotendo il capo.
- No, grazie, lo sai che non mi piace la campagna.
La donna non si offese per quelle parole e non smise di sorridere al nipote.
- Allora… che ne dici di prendere un cavallo ed andare alla villa? È vero che non c’è niente di strano, che tua sorella e la mia piccola Beth si sono inventate le strane apparizioni delle streghe, però penso che sia un posto che potrebbe piacerti lo stesso.
Cain sembrò riflettere su quella proposta, però poi stiracchiò la schiena trattenendo uno sbadiglio ed annuì.
- Perché no? Mi distrarrò per un po’. Prestami due cavalli, porto Riff con me.
La donna annuì, felice di aver trovato un modo per svagare un po’ quel nipote troppo cittadino, ed uscì dalla stanza per predisporre ogni cosa.

Accompagnate dalla duchessa, Mary ed Elisabeth attraversarono il grande cancello che delimitava le proprietà dei Filthorn, per intraprendere la loro tanto agognata passeggiata; la contessina salutò il fratello con un gesto della mano, mentre lo guardava allontanarsi lentamente a cavallo, accompagnato dal fido maggiordomo. Cain le rivolse a sua volta un cenno di saluto, felice di vederla tanto allegra: era vero che si era lasciato imbrogliare da lei, ma vederla così felice e spensierata, gli aveva fatto dimenticare immediatamente che odiava la campagna. Si annoiava da morire, però aveva deciso di sacrificarsi per quel piccolo angelo che aveva dimostrato una furbizia davvero notevole; e poi mancavano ormai due giorni prima di tornare a casa, poteva compiere ancora un piccolo sforzo. I cavalli avanzavano lentamente, affiancati, ed una leggera brezza tiepida accarezzava il viso del conte, scompigliandogli i capelli di nuovo un po’ troppo lunghi; v’infilò le dita scostandoseli dal volto, guardando poi il maggiordomo che cavalcava al suo fianco.
- Quando torniamo a casa, devi tagliarmi di nuovo i capelli, Riff! – esclamò mentre una ciocca gli ricadeva sulla fronte; il biondo maggiordomo sembrò esaminarlo per un attimo, però poi annuì.
- Certo, signor Cain.
- A te piace la campagna, Riff? – chiese a quel punto il ragazzo, deciso a chiacchierare un po’ per rompere la monotonia del paesaggio che lo circondava; l’altro annuì di nuovo con il capo.
- Sì, molto.
- A me no… non succede mai niente e c’è un silenzio snervante. È tutto troppo tranquillo per i miei gusti! – esclamò osservando distrattamente un passero che costruiva un nido; Riff sorrise al suo fianco, ma non commentò quelle parole. Senza fermare il cavallo, che continuava a mantenere un’andatura piuttosto lenta, il conte cominciò a sbottonarsi il leggero cappotto che aveva indossato, sfilandoselo poi dalle spalle. Anche se pallido e sbucato da poco, il sole riusciva a riscaldare il paesaggio e cominciava ad avere piuttosto caldo; fissò l’indumento alla sella, poi sorrise, sentendosi un poco più libero di muoversi.
- Riff, vediamo di sbrigarci! – esclamò allegro, battendo i talloni sul fianco del proprio purosangue e spronandolo con le briglie; l’animale si mise immediatamente al galoppo e si lasciò condurre verso la stretta strada che portava alla villa abbandonata. Pur con il vento che gli rombava nelle orecchie, Cain percepì il rumore degli zoccoli del cavallo di Riff, poco dietro di lui, e come sempre sentì che tutto stava procedendo per il meglio. La strada che stavano percorrendo, in realtà era un sentiero in disuso ormai da moltissimi anni ed era completamente coperto dall’erba liscia, ancora carica di pioggia dimenticata; sulla sinistra c’erano degli alberi dalle grandi foglie color smeraldo, che allungavano i rami fin sopra le teste dei due cavalieri e lasciavano cadere la propria pioggia personale e luccicante. Alla destra del sentiero, invece, il terreno scendeva di qualche metro, fino ad incontrare un enorme campo fiorito. Cain spronò il proprio cavallo per buona parte del viottolo e solo quando finalmente si accorse che la villa era vicina, decise di rallentare la corsa dell’animale; in quel momento, però, il purosangue scartò all’improvviso, per evitare un grosso ramo nascosto nell’erba alta. Gli zoccoli slittarono sul terreno umido ed in un attimo cavallo e cavaliere scivolarono verso destra, finendo per precipitare lungo la superficie scoscesa; Riff fermò bruscamente il cavallo, costringendolo ad impennare per la troppa impetuosità. Scese a terra quando ancora l’animale stava scalciando, dimenticandosi immediatamente di lui: in quel momento nella sua mente c’era posto unicamente per la paura, mentre dalle sue labbra usciva un solo suono.
- Signor Cain! – urlò con forza, fermandosi prima di scivolare a sua volta lungo il terreno ripido; pochi metri più sotto, vide il conte a terra, con il cavallo che scalciava pericolosamente vicino al suo corpo. Non aveva perso i sensi, però appariva piuttosto spaventato per l’accaduto improvviso, e cercava con poco successo di liberare il piede destro, ancora infilato nella staffa. Riff non si permise neppure di pensare: continuò a scivolare lungo l’erba bagnata, sporcandosi abiti e mani pur di arrivare dal suo padrone; il cavallo sembrò spaventarsi ancora di più e cominciò a correre, torcendo il piede di Cain in modo innaturale, ma liberandolo dalla staffa. Il conte strinse i denti cercando di non urlare per il dolore ed in quel momento Riff gli piombò accanto afferrandolo per le spalle.
- Sta bene conte? – chiese agitato ed il ragazzo alzò i suoi occhi aurei verso di lui.
- Sì… sì, sto bene! – esclamò cercando di non mostrare dolore ed agitazione; il maggiordomo non si permise di rilassarsi e si chinò immediatamente verso il piede ferito dell’altro. Tastò la caviglia per trovare un’eventuale frattura, ma Cain gemette cercando di sottrarsi al contatto.
- Devo vedere se è rotta, pazienti un attimo! – esclamò il biondo imponendosi su di lui; Cain lasciò che gli tastasse la gamba dal ginocchio fino alla caviglia, cercando di non lamentarsi. Strinse le dita attorno a ciuffi d’erba ancora bagnata, per sopportare meglio il dolore che si faceva sempre più pulsante man mano le dita del suo abile maggiordomo salivano verso il ginocchio; Riff aveva un viso greve ed era concentrato sulle reazioni del conte. Non riusciva a capire se la gamba era rotta o meno, poiché costretta all’immobilità dal pesante cuoio delle sue calzature.
- Signor Cain, devo sfilarle lo stivale. – annunciò con tono vagamente autoritario; il ragazzo sorrise fra sé, come sempre quando l’altro dimostrava la vera risolutezza del suo carattere, però annuì con un gesto del capo. Riff gli sollevò il pantalone fino al ginocchio, con delicatezza, ma quando cominciò a sfilare la calzatura, Cain sentì un’improvvisa nausea impossessarsi del suo corpo, e si aggrappò al braccio dell’altro per fermarlo.
- Signor conte? – chiese il maggiordomo cercando di vedere il suo viso abbassato e nascosto dalla lunga frangia, ma Cain continuò a tenerglielo celato, per non mostrarsi troppo debole; Riff lasciò la sua gamba appoggiandola gentilmente sull’erba, però poi mise una mano sotto il mento del ragazzo e gli fece risollevare il viso.
- E’ molto pallido. – mormorò – Forse è meglio se la riporto a casa per farla visitare da un vero medico.
Cain, ripresosi dal mancamento di poco prima, abbozzò un sorriso sarcastico.
- Beh, Riff… come vuoi portarmi a casa? I cavalli sono scappati!
Il ragazzo biondo alzò il capo con uno scatto, sgranando gli occhi: si era talmente preoccupato per il suo padrone, che non si era neppure accorto di aver lasciato che i due animali scappassero.
- Mi dispiace… - mormorò senza quasi rendersene conto, ma il conte inarcò le sopracciglia.
- E di cosa?! Non è certo colpa tua!
Riff lo guardò con aria preoccupata.
- La porterò in spalle io, signore. – annunciò deciso, ma di nuovo Cain abbozzò un sorrisino scuotendo il capo.
- Siamo troppo lontani dalla casa della zia, non voglio che ti stanchi tanto! Torna indietro da solo e poi vieni a prendermi con un calesse.
Riff sembrò valutare quell’ipotesi, però poi scosse il capo.
- No! – disse risoluto, sorprendendo il ragazzo – Non posso lasciarla qui da solo!
- Ed io ti ripeto che non mi porterai fino a casa in spalle! – obiettò deciso il conte, con aria di chi non ammetteva repliche; il maggiordomo sospirò, poi guardò in alto, lungo il vialetto dal quale erano precipitati.
- Allora mi permetta di portarla almeno fino alla villa diroccata; lì sarà al riparo e non correrà il rischio di incontrare qualche malintenzionato o un animale randagio.
Cain gli sorrise indulgente, ben sapendo che se non gli avesse permesso di proteggerlo almeno in quel modo, Riff non si sarebbe dato pace; gli avrebbe obbedito, certo, ma si sarebbe preoccupato per tutto il tempo. E non gli piaceva essere la causa delle ansie di quello che in fondo era il suo migliore amico.
- D’accordo, portami fino a lì! – esclamò allora; Riff annuì e si tolse il cappotto umido, appoggiandolo sulle spalle del padrone, poi si caricò agilmente il ragazzo più magro sulla schiena. Cain strinse i denti per il dolore al ginocchio destro, cercando però di non farsi notare, e cinse con forza il collo dell’altro, che cercava di non toccarlo in punti doloranti; entrambi guardarono il terreno scosceso, cercando un luogo dal quale poter risalire, poi Riff s’incamminò lentamente riuscendo, poco per volta, a tornare sul sentiero. Quando finalmente mise piede sul terreno piano, si fermò un attimo per ritrovare il respiro perduto, senza però lamentarsi; Cain si mordicchiò il labbro inferiore, chiedendosi come riuscire a convincere quel testardo a lasciarlo dov’era e non sforzarsi oltre, ma in quel momento il suo biondo maggiordomo riprese l’avanzata verso la villa abbandonata. Il ragazzo più giovane si accomodò sulla schiena del più vecchio, socchiudendo gli occhi mentre con la testa si appoggiava alla sua nuca; inspirò piano sentendosi completamente avvolgere dal profumo di Riff, famigliare e gradito. Anche se si era appena preso un bello spavento, anche se aveva un dolore pulsante ad un ginocchio, il solo essere con lui riusciva a mantenerlo tranquillo; non era una persona che si agitava facilmente, ma anche nei rari casi in cui succedeva, il suo fidato amico riusciva sempre a calmarlo anche con la sua sola presenza. Un pigro sorriso si disegnò sul suo volto spesso impudente, mentre si lasciava cullare da quel lento dondolio.
- Non lasciarmi, Riff… - mormorò con un soffio d’alito, ma l’altro lo sentì e rinsaldò la presa, equivocando chiaramente le sue parole.
- Non si preoccupi, non la lascio cadere.
Trascorsero una decina di minuti, durante i quali l’aria si era fatta un po’ più frizzante e le minacciose nubi cercavano di riprendere il posto che fino a poche ore prima avevano occupato in cielo; un tuono brontolò in lontananza e Cain si risvegliò dal torpore nel quale era caduto. Sollevò il capo proprio mentre Riff si fermava all’esterno del maniero che un tempo doveva essere un’abitazione sfarzosa. La cancellata che ne delimitava la proprietà, era ormai inesistente: pezzi d’inferriata arrugginita giacevano inerti fra l’erba incolta, mescolandosi a grosse pietre consumate dal tempo; i due pilastri che sostenevano il cancello d’ingresso erano ormai monconi sgranocchiati dalle intemperie, anneriti e pendenti da un lato. C’era però un punto in cui sembravano essere stati appena ripuliti, e Cain si sporse inducendo Riff ad avvicinarsi; il conte vide un’immagine sbiadita e non riconoscibile, poi abbozzò un sorriso, sfiorando con un dito le parole che vi erano incise sotto.

“S’infiamma il sogno
La morte appare
Nel buio giorno del mio funerale.”
*

Erano le parole sopravvissute di un’antica e tetra filastrocca, le stesse che aveva letto nella missiva che Elisabeth gli aveva spedito anonimamente; Riff voltò il capo riuscendo a guardare il padrone, che cercava ancora di capire come potesse essersi lasciato imbrogliare da due ragazzine. Però poi sospirò e rise di sé, stringendosi di nuovo al collo dell’altro.
- Forza, entriamo! Il tempo sta peggiorando!
Il maggiordomo annuì ed attraversò il lugubre giardino, salendo poi un paio di gradini divelti ed entrando nella buia casa delle streghe; sotto i suoi piedi le assi scricchiolavano, intorno a lui i muri amplificavano i lamenti del vento. I due ragazzi si guardarono intorno sorpresi di riuscire a vedere perfettamente gli oggetti che li circondavano, ma presto si accorsero che non c’erano più ante alle finestre, e che nel tetto vi erano dei buchi così larghi da permettere anche ad un volatile di discrete dimensioni, di entrare nell’abitazione fatiscente. Un brivido freddo attraversò la schiena del conte, quando un rivolo d’aria ghiacciata s’insinuò sotto il cappotto che Riff gli aveva appoggiato sulle spalle.
- Sta bene signor Cain? – chiese apprensivo il maggiordomo, accortosi immediatamente del tremore dell’altro; il ragazzo annuì.
- Sì! Mettiamoci in un posto dove, mentre ti aspetto, anche se comincia a piovere non rischio di bagnarmi. – disse con aria pratica; il biondo annuì e cominciò a girovagare per la casa, risvegliando antichi rumori ormai dimenticati. Entrarono in un ampio salone ormai distrutto dalle intemperie, nel quale le due finestre erano diventate un’unica, enorme apertura nel muro; lo attraversarono sbucando in quella che pareva essere un’antica cucina, dalla quale, non appena fecero il loro ingresso i due esseri umani, fuggirono una decina di animaletti non identificati. Uscirono da un’altra porta, continuando a guardarsi intorno senza parlare o commentare, e sbucarono in un piccolo salotto dall’aspetto intimo; sembrava la stanza in migliori condizioni dell’intera villa, essendo all’interno e quindi riparata. In terra era steso un enorme tappeto carminio ormai ricoperto da uno spesso strato di polvere, un tavolino traballante se ne stava desolato in un angolo, di fronte ad una libreria in discrete condizioni i cui libri però erano sparsi scompostamente sul pavimento, mentre appoggiato ad una parete c’era un grazioso caminetto ingrigito dal tempo. Riff voltò il capo verso il padrone, che intuì la sua muta domanda ed annuì; il maggiordomo mise un ginocchio a terra permettendo al conte di appoggiare il piede sano, poi si voltò velocemente, prima che Cain perdesse l’equilibrio, e gli infilò le braccia sotto il corpo, sollevandolo facilmente. Il ragazzo arrossì lievemente, rendendosi conto di quella strana, nuova posizione.
- Riff! Non tenermi in braccio così, non sono una ragazza! – si lamentò battendogli una manata sulla spalla, ma il maggiordomo lo guardò con aria genuinamente sorpresa, come se quell’idea non gli fosse mai passata per la testa.
- Le dà fastidio? – chiese rispettoso e Cain sbuffò, pensando che era irrecuperabile; scosse il capo cercando di non pensare a quanto si sentiva protetto fra quelle braccia, poi indicò il tavolo sgangherato.
- Appoggiami lì. – ordinò, ma di nuovo il maggiordomo non eseguì una sua disposizione.
- Non reggerebbe il peso. – giustificò, poi si avvicinò al tappeto e con un piede riuscì a ripiegarlo su se stesso; il pavimento al di sotto sembrava relativamente pulito, anche se la sporcizia era riuscita ad infilarsi anche lì, però era sempre meglio della polvere che ora si levava dalle maglie intrecciate del drappo. Chinandosi e muovendosi agilmente, come se non avesse fra le braccia il giovane conte, Riff riuscì a stendere il proprio cappotto a terra, di fronte al caminetto, e successivamente vi depose anche il padrone. Rimase inginocchiato al suo fianco, sollevandogli il pantalone destro, con delicatezza.
- Cosa fai? – chiese Cain piegandosi in avanti fino ad appoggiare il gomito sull’altro ginocchio; Riff tastò gentilmente l’arto ferito.
- Mi permetta di capire se è rotto oppure no. – mormorò con aria concentrata; gli tolse prima la calzatura sinistra ed il ragazzo rimase a guardarlo senza protestare, stringendo però i pugni quando il maggiordomo cercò di sfilargli l’altro stivale. Di nuovo si sentì assalire dalla nausea, ma questa volta Riff si mosse velocemente e riuscì a liberare il suo piede; lasciò lo stivale occupandosi del padrone, che sentiva lo stomaco in subbuglio per il dolore provato. Gli cinse le spalle magre con le braccia, appoggiando la fronte ai capelli scuri di Cain, cercando di rassicurarlo; il giovane conte trasse un respiro profondo, per inalare il solito, piacevole profumo del suo maggiordomo. Quando sollevò il viso senza allontanarsi, i suoi occhi dai riflessi d’oro si persero per un attimo in quelli blu dell’altro, che però si ritrasse chinandosi sulla sua caviglia; Cain lo guardò in silenzio, accorgendosi di un sentimento strano che gli si agitava nel petto: nostalgia. Aveva appena perso il calore di quelle braccia salde, e già ne sentiva la mancanza; quegli occhi profondi avevano abbandonato i suoi da un solo minuto, e già bramava di poterli osservare ancora da vicino.
- Ouch! – esclamò all’improvviso, riportato alla realtà da una fitta al ginocchio; Riff continuò il suo esame dell’arto per un altro minuto, poi sospirò.
- Non è rotto. Però ha una distorsione piuttosto grave; potrei ridurre i rischi di peggioramento, se riuscissi a farle una fasciatura stretta. – terminò guardandosi intorno; Cain, incurante come suo solito, mosse la mano ad assicurare che non doveva preoccuparsi.
- Ti ho detto che sto bene! – esclamò con fare allegro, ma si accorse dell’improvviso sguardo deciso di Riff che, senza dire nulla, si sfilò la camicia dai pantaloni e ne strappò un lembo.
- Aahh!! Riff, che stai facendo?! – sbottò il ragazzo sgranando gli occhi; il maggiordomo gli sorrise gentilmente.
- Le faccio la fasciatura, signor Cain!
- Hai distrutto una camicia! – obiettò il conte scuotendo il capo con rassegnazione, ma l’altro sembrò non preoccuparsene e gli mise una mano sul petto per indurlo a mettersi semi disteso; Cain obbedì, pur chiedendo cos’avesse intenzione di fare.
- Le tolgo i pantaloni, così posso fasciarla! – spiegò il maggiordomo tranquillamente; il conte, abituato a farsi vestire e svestire da lui, appoggiò i gomiti sul pavimento di legno coperto dal cappotto scuro dell’altro. Riff slacciò familiarmente i bottoni dei calzoni, calandoglieli poi con delicatezza lungo le gambe; il ragazzo moro strinse i denti irrigidendosi, più per timore di una fitta improvvisa che per dolore effettivo, e si rilassò solo quando l’altro ripiegò abilmente l’indumento appoggiandolo accanto a lui. Tolta anche la calza, Riff si occupò per prima cosa della sua caviglia, fasciandola con decisione e forse con un po’ troppa forza; Cain abbozzò un lamento, però l’altro sorrise con benevolenza, senza allentare il bendaggio. Il maggiordomo esitò per un attimo, poi afferrò con decisione la manica sinistra della propria camicia e la tirò con forza, riuscendo a lacerarla; il ragazzo più giovane sgranò gli occhi, allungando istintivamente una mano.
- Riff! Smettila di strapparti la camicia! – esclamò contrariato, ma l’altro gli rivolse un sorriso gentile ed un poco divertito.
- Era comunque da buttare! – obiettò saggiamente; Cain sbuffò, fingendosi adirato quando invece aveva solo voglia di mettersi a ridere, però poi si ritrovò a stringere i denti per trattenere le lacrime, quando il maggiordomo gli applicò una fasciatura intorno al ginocchio. In quel momento lievi ticchettii riecheggiarono all’interno della grande villa, ed i due unici ospitanti si guardarono intorno con aria sorpresa e forse intimorita; era suoni irregolari, deboli ed indefiniti, piccoli martellamenti di minuscoli esseri senza forza. Riff si alzò lentamente e, senza fare rumore, si avvicinò all’uscita della stanza; Cain si mise a sedere con uno scatto, richiamandolo indietro.
- Riff! Dove stai andando? – chiese con voce piuttosto bassa; l’altro rispose senza guardarlo e fermarsi.
- Voglio vedere da cosa sono provocati questi rumori.
- Non andare da solo! – esclamò il conte cercando di fargli capire che non era una richiesta ma un comando, ma Riff gli rivolse un sorriso tranquillo.
- Non si preoccupi, siamo soli in questa casa.
Innervosito, Cain non rispose, chiedendosi il perché di quella strana sensazione che aveva nel petto: quante volte si era trovato al cospetto di assassini, membri di sette crudeli, vampiri o morti resuscitati? Non aveva mai temuto nessuno di loro, e non aveva mai temuto neppure per la propria vita… ma vedere Riff che si allontanava da lui, che da solo si avvicinava a qualcosa di sconosciuto, che poteva essere pericoloso… quello lo rendeva oltremodo inquieto! Il maggiordomo, ormai sulla porta, si bloccò improvvisamente ed alzò il viso verso l’alto, con espressione sorpresa; Cain seguì la direzione del suo sguardo, scorgendo solo una piccola apertura nel soffitto che lasciava intravedere il cielo grigio.
- Riff? – chiese domandandosi cosa stesse succedendo, ma l’altro si voltò e gli rivolse un sorriso veramente divertito, mentre con un dito indicava sopra la sua testa.
- Sta ricominciando a piovere! – esclamò – I rumori che sentiamo sono gocce di pioggia!
Cain si concentrò sui lievi ticchettii, intuendo immediatamente che Riff aveva ragione: si erano lasciati inquietare da ridicole gocce d’acqua che rimbalzavano sul legno marcio di quella casa diroccata! Abbozzò un sorriso di scherno verso se stesso, pensando che forse stava diventando un po’ troppo apprensivo, se temeva che Riff corresse dei rischi solo per alcune gocce d’acqua, però si ritrovò ad essere scavalcato dalle gambe del suo maggiordomo, che poi s’infilò sotto il camino, guardando verso l’alto. Inarcò un sopracciglio, aspettando che il biondo gli spiegasse la situazione, e Riff si piegò per uscire senza battere la testa, prima di ricominciare a guardarsi intorno nella stanza.
- La canna fumaria sembra libera, posso provare ad accendere un fuoco, così resterà al caldo mentre aspetta. – spiegò finalmente; Cain annuì con il capo, apprezzando il senso pratico di quel ragazzo che a soli ventotto anni era uno dei maggiordomi più in gamba che mai avesse incontrato, e questa volta non cercò di trattenerlo quando sparì nella stanza limitrofa il piccolo salottino. Ascoltò in silenzio i suoi passi, i rumori di legni spezzati o trascinati, il tutto mescolato con il gocciolio sempre più insistente della pioggia; guardò verso la porta riuscendo finalmente a scorgere le sottili linee d’acqua che scendevano verticalmente dall’apertura sul tetto, chiedendosi quanto sarebbe dovuto rimanere da solo in loro compagnia.
- Se trovo qualcosa con cui accenderlo, dovrei riuscire a fare un bel fuoco! – esclamò Riff rientrando nella stanza con le braccia piene di assi asciutte ed una vecchia bottiglia sporca; buttò la legna nel camino sollevando parecchia polvere, che fece tossire entrambi, ruppe il collo della bottiglia cospargendolo poi le assi con il suo contenuto, che dall’odore doveva essere alcool, e poi si chinò accanto al conte frugando in una delle tasche del proprio cappotto, riuscendo a trovare un cerino. Cain sorrise divertito, togliendogli lo zolfanello dalle dita e lanciandogli una veloce occhiata.
- Faccio io. – mormorò con aria furba – Tirati indietro. – aggiunse poi; Riff obbedì rimanendo a guardare mentre il conte strofinava la testa del cerino contro la fredda pietra del caminetto, per poi buttarla sulla legna. All’interno del camino ci fu un’esplosione di fiamme che fecero ricadere all’indietro il maggiordomo; Cain sorrise guardando le lingue di fuoco che abbracciavano i ceppi rinsecchiti, per poi voltarsi e ritrovarsi ad osservare strani giochi di luci sul viso di Riff, scoprendo di non riuscire a distogliere lo sguardo dalle fiamme che, guizzanti, sembravano nascere direttamente nei suoi occhi blu. Il biondo maggiordomo interruppe immediatamente quel gioco di sguardi, alzandosi in piedi e spolverandosi la camicia ormai logora e sporca, a causa della legna trasportata.
- M’incammino verso la villa di sua zia; - annunciò quindi – cercherò di fare più in fretta possibile.
Cain distolse lo sguardo per un attimo, sentendo un piccolo pizzicore al cuore: non voleva che Riff se ne andasse! Non aveva paura di restare solo, in fondo avrebbe avuto la compagnia di acqua e fuoco… ma ugualmente, desiderava poter rimanere in quello strano posto con lui, di poter godere di quell’atmosfera in fondo romantica, con la persona più importante della sua vita, l’unica che era riuscita ad incatenarlo dolcemente a sé.
- Si sente bene?
Il conte sobbalzò, quando la voce pacata e velata di preoccupazione di Riff, gli accarezzò l’orecchio; voltò il viso con uno scatto, chiedendosi come fosse possibile che non si fosse accorto che l’altro gli si era nuovamente inginocchiato di fianco e gli fosse così vicino.
- Signor conte, crede di poter restare da solo per un po’? – chiese ancora il maggiordomo, apprensivo come suo solito; la risposta affiorò alle labbra di Cain prima ancora che il ragazzo avesse avuto il tempo di elaborarla.
- No… - soffiò con un filo di voce; Riff sembrò sorprendersi di quella risposta, in fondo solitamente il conte sminuiva sempre ogni malore e sentirlo ammettere di avere un problema, era alquanto insolito.
- Le fa molto male la gamba? – chiese andando a sfiorare con le dita la fasciatura sul ginocchio, ma il ragazzo moro non lo ascoltò: in quel momento voleva solo una cosa. Che Riff gli restasse al fianco. Così sollevò una mano andando a sfiorare con la punta di un dito il muscolo appena accennato sul braccio rilassato dell’altro, dove la manica era stata strappata; il maggiordomo fu attraversato da un brivido, e guardò il padrone con occhi confusi.
- Non mi ero mai accorto che fossi così muscoloso. – mormorò il ragazzo più giovane seguendo la linea immaginaria che stava tracciando sulla pelle dell’altro; Riff esitò un attimo, prima di rispondere.
- Facevo boxe… lo sapeva, no?
- Ah, sì… - sussurrò Cain alzando lo sguardo ed insinuandolo in quello dell’altro; sul viso dell’amico leggeva disorientamento e questo gli provocò un piccolo sorriso divertito. La sua mente, per mascherare il reale desiderio che si nascondeva in fondo al suo cuore, formulò un pensiero provocatorio: quegli occhi così confusi, come sarebbero diventati, se lui l’avesse baciato? I loro visi erano vicini, molto vicini, non doveva fare altro che sporgersi di poco… così posò la mano sul bicipite esposto dell’altro, e senza dire nulla appoggiò le labbra sulle sue, chiudendo gli occhi. Avvertì chiaramente il sussulto di Riff, che però rimase un secondo immobile, prima di tirarsi indietro con uno scatto e finire seduto sul pavimento, con la schiena rivolta al camino gorgogliante. Cain lo guardò con un mezzo sorriso, il cui vero scopo, però, era nascondere l’incredibile turbinio di emozioni che gli squassavano il petto: perché quel semplice gioco, lo stava turbando tanto?
- Si…Signor Cain? – balbettò Riff con occhi resi enormi dalla sorpresa; il conte non disse nulla, abbassando lo sguardo mentre cercava una risposta per la domanda che si era posto poco prima. Poi diverse immagini gli attraversarono la mente: lacrime versate fra le sue braccia, singhiozzi placati dal suo calore, occhi tanto gentili quanto colmi di affetto da farlo sentire a casa in qualunque posto, purché ci fosse anche lui… e quella consapevolezza, il giorno della morte di Gilford, di non appartenere più a se stesso ma di essere legato con dolci e dorate catene ad un’altra persona… a Riff. Tutti questi pensieri si mescolavano in lui, riscaldando il suo cuore, creando un alone di calore argentato, che si poteva tradurre con un’unica parola. Amore. Si era sforzato di amare un padre che invece lo odiava, adorava una sorellina che era sbucata dal nulla predicendo la sua morte… ma quei sentimenti erano ben diversi da quello che provava stando con Riff, fra le sue braccia.
- Lei non sta bene! – esclamò a quel punto il maggiordomo, facendo il gesto di alzarsi, ma Cain gli afferrò con forza entrambe le braccia, cercando di non badare al dolore al ginocchio, mosso istintivamente.
- Io sto benissimo! – sbottò con quanta più passione avesse voluto – Non andare Riff, resta qui!
- Ma… lei ha bisogno di un medico!
- Non sto morendo! – replicò cocciuto l’altro – Posso sopportare un po’ di dolore… ma non posso sopportare di rimanere qui da solo!
Il biondo lo guardò con faccia sorpresa e pensierosa, poi sembrò intuire la situazione.
- Ha paura di rimanere solo? – chiese cercando di mostrarsi gentile; una goccia di sudore attraversò la fronte di Cain, che si rese conto di quanto a volte Riff fosse lento a comprendere le situazioni.
- Non ho paura di restare solo! Mi piace quest’atmosfera, con le calde fiamme del camino e la pioggia battente che riempie l’aria di suoni e limpidezza! Ma… voglio restare qui a godermi tutto questo con te!
- Non capisco…
- Riff! – sbottò Cain con una vena pulsante sulla testa – Ti ho baciato, almeno di questo ti sei accorto, spero!
L’altro annuì con il capo, senza però rispondere a voce.
- Beh… e quando due persone si baciano? – continuò il conte, ormai deciso; a quel punto il maggiordomo distolse lo sguardo, rilasciando un profondo respiro.
- Signor Cain… - mormorò continuando a fissare il pavimento – Non sono stupido, so cosa significa quello che ha fatto, ma… non credo che sia il caso…
Il moro si sorprese delle parole dell’altro, ma, invece di arrabbiarsi o rifletterci sopra, gli porse una semplice domanda.
- Perché?
Riff risollevò lo sguardo, sorpreso dalla pura curiosità di quella richiesta, e per un attimo sembrò non riuscire a trovare una risposta adeguata; infine sospirò e trovò le parole.
- Lei è un conte ed è l’erede della famiglia Hargreaves; il suo dovere è trovare una moglie adeguata con la quale assicurare una progenie alla casata.
- Uff! – sbuffò annoiato il conte, interrompendolo – Non parlare anche tu come quel vecchio di mio zio! Lo sai che questi discorsi non m’interessano!
- Ma signor Cain! – sbottò Riff accalorandosi un poco – Non dovrebbe parlare in questo modo! È ancora giovane, ha solo diciassette anni ed ancora non capisce quale sia l’importanza del suo ruolo, ma…
- Aspetta un attimo! – sbottò il conte abbozzando un sorrisetto – Se ho capito… tu non accetti il mio bacio solo perché io, per obblighi famigliari, dovrei sposare una donna?
- …
- Quindi non lo fai perché non ti piace?
- Signore… la prego, dimentichiamo quello che è successo! – esclamò il maggiordomo distogliendo nuovamente lo sguardo e puntando le mani a terra per rialzarsi; Cain, però, decise di non lasciarlo andare e di non perdere quell’occasione. Per la prima volta in vita sua, sentiva qualcosa d’incredibile farsi strada nel suo petto: la consapevolezza di essere finalmente giunto alla conclusione di una lunga e tormentata ricerca, la certezza di aver trovato il giusto collocamento per il suo cuore. Era sempre stato lì al suo fianco e lui, come uno stupido, aveva errato cercando fra le persone che incontrava, in tutte quelle donne dall’aspetto meraviglioso, ma dal cuore sconosciuto. Così si mosse con uno scatto, sentendo mille scintille dolorose infiammare il suo ginocchio, ignorandole mentre si gettava sul petto di Riff e lo costringeva a cadere con la schiena a terra.
- Ho diciassette anni, è vero, ma sai che sono un uomo ormai da molto tempo! Quello che provo per te, non è un capriccio momentaneo, ma è un sentimento che è cresciuto insieme a noi due! Ti ho voluto bene sin dalla prima volta che ci siamo parlati, mi sei diventato indispensabile fin da quel primo abbraccio che mi donasti; tu sei l’unica persona in grado di potermi stare accanto, l’unica cui permetto di avvicinarmi! Sei quanto di più importante io abbia nella vita, me ne sono reso conto ormai da tempo… e se questo non è amore, Riff, allora spiegami cos’è!
Il maggiordomo non rispose e si limitò a lasciare lo sguardo nel suo; era semi disteso sul pavimento impolverato, puntellato sui gomiti, con il ragazzo più giovane sdraiato sul suo petto. I suoi occhi erano liquidi, turbati, non riuscivano a nascondere il tormento del suo animo, mentre quelli di Cain erano limpidi e decisi, sicuri d’ogni parola che il conte aveva pronunciato; non si mossero per alcuni istanti, lasciarono all’acqua ed al fuoco l’incombenza di riempire il silenzio. Però poi Riff voltò il viso di lato, con espressione triste.
- Signor Cain… sono lusingato dalle sue parole, sul serio… Ma questo non cambia che il rapporto che lei mi chiede, va contro natura ed è illegale.
- Non voglio sentire questi discorsi! – sbottò il ragazzo stringendo con rabbia i pugni sulla camicia dell’altro – A me non importa quello che la legge degli uomini impone, non m’interessa se gli altri pensano che la natura vieti questo rapporto! Io so solo che se il mio cuore mi supplica di amarti, non posso fare altro che ascoltarlo! E se seguo il mio cuore, sono certo di non potermi sbagliare! Io ti amo, stupido zuccone di un maggiordomo, qualsiasi cosa tu mi dirai, non riuscirai a cambiare questo fatto!
Riff sospirò pesantemente, fissando il tappeto arrotolato al loro fianco, e Cain allentò la stretta sulla sua camicia.
- Guardami negli occhi, Riff. – ordinò quasi – Guardami e dimmi che non mi ami… ed io ti lascerò in pace.
Il maggiordomo esitò per un solo attimo, poi alzò lo sguardo verso il suo giovane padrone, scontrandosi con l’oro delle sue iridi; non parlò per parecchi secondi, poi sembrò finalmente decidersi ed aprì le labbra senza però emettere alcun suono. Riprovò una seconda ed una terza volta, poi chiuse gli occhi e scosse lentamente il capo, con aria sconfitta.
- Non posso… - mormorò con un filo di voce; Cain, pur avendo bramato quelle parole, sgranò gli occhi sentendo una gioia incredibile esplodergli nel petto. Non si era sbagliato, il legame che li univa era amore vero, puro ed inviolabile, un sentimento tanto grande quanto magnifico, che si era radicato in loro durante tutti quegli anni che avevano trascorso insieme; ed ora che anche Riff lo aveva ammesso, sembrava finalmente che tutto fosse andato al posto giusto. Quando risollevò lo sguardo, il biondo maggiordomo sorrise dell’espressione puramente felice dell’altro; Cain appoggiò le dita sulle sue guance, avvicinando il viso al suo.
- Riff… permettimi di baciarti ancora… - chiese gentilmente, ma con la voce sicura di quando impartiva un ordine; l’altro ragazzo esitò, poi il sorriso si cancellò dal suo volto.
- Signor Cain… anche se quello che ci lega non è semplice affetto, questo non cambia che non possiamo… - non gli fu permesso di terminare la frase: Cain prese saldamente il suo viso fra le mani e premette con forza le labbra contro le sue, facendogli sbattere la nuca contro il pavimento. Cominciò a baciarlo con ardore, con tocchi sempre più umidi e prolungati, mentre le mani di Riff si aggrappavano alle sue braccia, come a volerlo sollevare; rimasero però inerti sulla stoffa della camicia, mentre le sue labbra cominciavano a cedere alle provocazioni del giovane conte. Ed infine rispose ad un suo bacio… e poi ad un secondo… fino a quando non riuscì più a trattenersi e socchiuse le labbra, andando a sfiorare con la lingua quelle dell’altro; Cain gemette, sorpreso, però poi gli consentì l’accesso alla sua bocca andando immediatamente ad incontrare la sua lingua con la propria. Le mani del maggiordomo scivolarono dalle braccia del moro, andando a cingere la sua schiena, e nelle loro bocche cominciò una sorta di danza umida e passionale, un incontro di sentimenti inespressi e soffocati, che finalmente potevano sfogarsi liberamente. Si separarono solo quando fu loro necessario, ma i loro occhi s’incatenarono senza possibilità di potersi sfuggire; con il cuore che batteva all’impazzata, Cain rivolse un sorriso di pura gioia all’altro, che esitò un attimo, prima di sospirare e spingere il capo all’indietro, andando a fissare le fiamme che danzavano alle sue spalle.
- Ormai non posso più farci niente… - mormorò con voce a metà fra il rassegnato ed il sollevato, ed il giovane conte abbozzò un sorriso, prima di abbassarsi a sfiorare il suo collo con lievi tocchi di labbra.
- E perché dovresti fare qualcosa? – mormorò slacciando il primo bottone della sua camicia; Riff lo lasciò fare limitandosi ad accarezzargli la schiena con le dita, mentre il ragazzo scendeva con le labbra lungo il petto che veniva lentamente a scoprirsi, ad ogni bottone che riusciva a sfilare dall’asola. Dopo il terzo, però, il maggiordomo prese le braccia dell’altro, sollevandolo dal proprio corpo e guardandolo con aria divertita.
- Signor Cain… non credo che questo sia il luogo adatto… - mormorò senza imbarazzo ma il giovane conte annuì con il capo, spiazzandolo.
- Lo penso anche io… ma la tua camicia è sporca, ed io non posso stendermi sul tuo petto. – argomentò poi, con un sorriso sfrontato; Riff inarcò le sopracciglia, però annuì. Si alzò aiutando il moro a spostarsi senza dover piegare la gamba e mettendolo nuovamente seduto sul suo cappotto, poi si tirò in piedi senza dire nulla e Cain sgranò gli occhi, afferrandogli i pantaloni con uno scatto improvviso.
- Dove… dove vai?! – sbottò credendosi raggirato, ma il maggiordomo alzò le mani verso di lui, volgendogli i palmi.
- Non voglio abbracciarla con le mani in queste condizioni. – spiegò; il ragazzo lo lasciò andare, ancora lievemente titubante, però rimase a guardarlo mentre si avvicinava all’uscita della stanza, guardando verso il soffitto diroccato. Allungò le mani, rivolte verso l’alto, fino ad infilarle sotto le ormai copiose gocce d’acqua che attraversavano lo squarcio nel soffitto; il conte si sentì un poco più rilassato, non potendo comunque evitare di chiedersi se Riff sarebbe tornato per distendersi accanto a lui. Il biondo si lavò le mani in quel modo, strofinandole fra loro sotto la pioggia poi, quando si sentì soddisfatto, le ritrasse e tornò sorridendo verso il proprio signore; non si sedette però sul pavimento, bensì avvicinò le dita al fuoco caldo, per asciugarle. Cain rimase a guardarlo in silenzio, godendo del calore che abbracciava l’altro, sentendosi finalmente risollevato e sicuro delle sue intenzioni; dopo pochi istanti Riff si voltò verso di lui e gli sedette di fianco sorridendogli gentile, infilando le dita di una mano fra i suoi capelli puliti, provocandogli una cascata di brividi che dalla nuca scese a raggiungere la base della schiena. Cain abbozzò un sorriso divertito, mentre a quel punto poteva riprendere a sbottonare la camicia dell’altro.
- Le parti sembrano invertite. – sussurrò con aria allegra, mentre con gli occhi non abbandonava un istante il petto chiaro dell’altro; finalmente poté infilare le mani calde sotto la stoffa leggera, badando a strusciare le dita sulla pelle di Riff mentre gli faceva scivolare la camicia dalle spalle. Solo in quel momento, fissandolo con interesse, si accorse di un particolare.
- Riff… tu mi hai visto spesso svestito… ma questa è la prima volta che io vedo te a torso nudo.
Il maggiordomo annuì arrossendo lievemente per l’attento esame del suo padrone, che però gli cinse il collo infilando il viso nell’incavo della sua spalla; immediatamente le braccia del biondo gli circondarono il corpo magro, stringendolo a sé, e per alcuni minuti rimasero in completo silenzio, a fissare le fiamme nel camino. I loro respiri erano impercettibili, coperti dal crepitio del fuoco, che allegro sembrava voler sfidare le gocce di pioggia a sopprimerlo; accoccolato in quella posizione, come sempre Cain si sentì al riparo da ogni cosa. Niente lo poteva scalfire, lo stesso dolore pulsante al ginocchio sembrava scomparso; sospirò per inalare il suo profumo, però poi non riuscì più a trattenersi. Con la lingua assaggiò la sua pelle pulita, mentre con le dita massaggiò leggero la base della sua nuca; Riff chiuse gli occhi, sospirando di piacere, e Cain cominciò a mordicchiargli il collo. Notando che l’altro lo lasciava fare, scese con le labbra lungo la linea delle clavicole, alternando baci, lappate e morsi; un debole gemito sfuggì dalle labbra del biondo, eccitando incredibilmente il giovane conte. Risalì con una mano lungo la sua spalla, per poi ridiscendere sul petto ancora allenato e soffermarsi a sfiorare un capezzolo rilassato; le dita di Riff si persero nei suoi capelli un po’ troppo lunghi, nel momento esatto in cui lui cominciava a stuzzicare quell’invitante bottoncino rosa.
- Signor conte… - spasimò il maggiordomo cercando di allontanarlo, ma Cain lo spinse all’indietro, facendolo distendere con la schiena sul suo cappotto, e continuò quel gioco che tanto gli piaceva.
- Riff… - mormorò mentre la lingua scendeva sullo sterno.
- Voglio… - ordinò mentre le dita pizzicavano il capezzolo ormai sporgente.
- Che tu… - sospirò mentre si spostava a mordicchiare l’altra aureola rosata.
- Mi chiami… - continuò mentre succhiava avidamente quel nettare appena inturgidito.
- Solo con il mio nome! – terminò mordendo con forza; Riff s’inarcò sotto di lui, lasciandosi sfuggire un gemito sorpreso, per niente addolorato da quell’improvviso attacco. Cain sollevò il viso sorridendogli con aria sfrontata, conscio di avergli fatto un po’ male, ma lo sguardo dell’altro era tutt’altro che accusatorio, mentre sembrava valutare le parole che gli erano state rivolte.
- Non so se riuscirò a farlo… - mormorò serio; il conte scosse il capo con fare rassegnato, poi si tirò indietro e, senza preavviso, si fiondò sul suo ombelico, infilandovi la lingua. Riff ritrasse lo stomaco per istinto, sorpreso ed eccitato, però non allontanò il capo del suo amante e padrone, limitandosi a godere di quel contatto senza produrre alcun suono; Cain approfittò di quel muto assenso per portare le dita sulla cintura dei suoi pantaloni, aprendola facilmente, e solo in quel momento Riff sembrò capire le sue reali intenzioni.
- Ma… conte! – esclamò sollevandolo dal proprio corpo e guardandolo negli occhi con aria lievemente accusatoria – Non aveva detto che non aveva intenzione di farlo in questo posto?
- Ho mentito! – ammise allegro il moro; il biondo scosse il capo.
- Dovevo immaginarlo! Però signore, è meglio se ora io torno alla villa per…
- Non credo proprio! – sbottò Cain senza perdere la sua aria vivace – Piove a dirotto, non ti lascio uscire da qui con questo tempo! Penseremo dopo a tornare indietro! Per ora… - aggiunse fissandolo provocante – Cerchiamo di divertirci.
Si sporse e lo baciò, socchiudendo le labbra ed invitandolo a penetrarle con la lingua, cosa che Riff fece senza la minima esitazione; di nuovo scese con le mani sui suoi pantaloni e riuscì ad aprirli, seppure con un po’ di fatica, e questa volta l’altro non gli impedì di farlo. Anzi, quando Cain cercò di sfilarglieli, lasciò le sue labbra per agevolargli il compito e sollevarsi dal pavimento; il giovane conte sorrise con sguardo lievemente avido, sentendo il sangue rincorrersi impetuoso nelle vene, fino a raggiungere il centro del suo piacere, che cominciava a reclamare attenzioni. Rimasto con la sola biancheria, finalmente Riff decise di cominciare a comandare il gioco: fece scivolare il giovane sotto di sé, distendendolo dove poco prima era lui, poi gli si sdraiò sopra prestando attenzione a non urtare accidentalmente il suo ginocchio slogato. Affiancò il viso a quello dell’altro, insinuando il respiro nel suo padiglione auricolare mentre con gentilezza gli mordicchiava il lobo tenero; sopraffatto dal piacere, Cain si sentì costretto a chiudere gli occhi, per non impazzire totalmente. Le mani di Riff scesero sul suo petto, slacciando la camicia che il conte ancora indossava, infilandosi poi sotto il tessuto sottile per tastare la consistenza di quella pelle serica che tante volte aveva ammirato, che spesso aveva sfiorato, ma che mai aveva potuto toccare come se fosse un suo diritto; i suoi baci scesero lungo il collo del moro, che non sapeva se impazzire per il lavoro delle labbra sulla gola, delle dita sui capezzoli, o per la combinazione dei due movimenti. Spinse indietro la testa inarcando la schiena e sollevandola dal pavimento, per invitare Riff a scendere con la lingua lungo il suo petto, ma così facendo liberò anche la strada alle mani del biondo, che scivolarono lungo i suoi fianchi infilandosi sotto il suo corpo. Senza neppure accorgersene, Cain s’irrigidì smettendo di respirare; il maggiordomo sembrò esitare per un secondo, però poi risalì verso le labbra dell’altro, violandole con dolce prepotenza mentre le sue dita tracciavano le cicatrici rimaste a testimonianza dell’infelice passato del suo signore. Cain si rilassò lentamente, accettando che le dita di Riff creassero delle sensazioni completamente diverse legate a quei segni, che sopprimessero i suoi ricordi dolorosi, plasmandone di nuovi; rispose con ardore al suo bacio, stringendoselo contro il petto, infilando la gamba sana fra le sue ginocchia, scontrandosi con il suo membro che scoprì essere eretto. Lo ringraziò con il corpo per quell’opportunità che gli stava offrendo, senza utilizzare inutili parole, e Riff sembrò capirlo; il suo bacio diventò quasi violento, tanto passionale da stordire entrambi, da lasciarli senza respiro e senza facoltà di connettere i pensieri. Un ciocco scoppiettò, riportandoli alla realtà quasi improvvisamente: si separarono traendo profondi respiri, gli occhi sorpresi ed incatenati; il primo a riprendersi fu Cain, che allungò il pollice a sfiorare le labbra umide dell’altro, sorridendogli con aria gentile e felice. Riff baciò il suo polpastrello liscio, apparendo sollevato: aveva rischiato con quelle carezze, ma da sempre il suo unico desiderio era cancellare quello che le cicatrici ricordavano al giovane conte. E sembrava che Cain avesse compreso le sue intenzioni. Scese nuovamente sul suo corpo, passando lingua e labbra sul petto ancora ansimante, scendendo con le dita fino alla sua biancheria; Cain fu attraversato da un brivido improvviso, che il maggiordomo non riuscì ad interpretare, così decise di fermarsi ed alzò il viso incontrando gli occhi socchiusi dell’altro. Non gli disse o chiese nulla, ma Cain rispose con sicurezza alla sua muta domanda.
- Sì.
Così infilò le dita in quello che ormai era diventato solo un fastidioso pezzo di stoffa, calandoglielo lentamente lungo le gambe, sempre prestando molta attenzione al ginocchio contuso; nonostante la sicurezza in quello che stava facendo, nonostante non si fosse mai vergognato prima in vita sua, in quel momento Cain si sentì andare a fuoco per l’imbarazzo. Stare nudo al cospetto di Riff, lo metteva in soggezione! Aveva corteggiato parecchie ragazze, nonostante la sua giovane età, e sempre si era sentito cacciatore e dominatore della circostanza… ma in quel momento avvertiva di essere più simile alla preda, di essersi lasciato conquistare e di non avere il pieno controllo della situazione. Si sentiva eccitato da tutto questo, sapeva che con Riff era al sicuro e che non si sarebbe pentito di nulla, ma… ugualmente avvertire lo sguardo profondo dell’altro sul proprio corpo, gli infondeva una certa timidezza. Ad occhi chiusi, con il respiro ormai accelerato, rimase semplicemente ad attendere; ed il compagno non lo fece aspettare molto. Scese con le labbra sul suo ombelico giocando con quella piccola apertura mentre le mani accarezzavano gentili le cosce del ragazzo; mordicchiò il suo ventre piatto, tracciando una breve corsa verso la sua meta definitiva, poi si fermò proprio prima di raggiungerla. Cain strinse i pugni, mordendosi il labbro inferiore, e finalmente riaprì gli occhi fissandoli ardenti nelle iridi marine di Riff, che lo guardava aspettando il suo consenso.
- Non fermarti! – ordinò con voce resa tremante dall’eccitazione; il biondo annuì rivolgendogli un sorriso diverso da tutti quelli che il conte aveva mai visto prima. In questo c’era malizia, forse compiacimento per il ruolo che aveva assunto; ed era oltremodo seducente, tanto che Cain sentì le guance andare a fuoco. Riff si chinò finalmente sul suo membro teso, sfiorandone la punta con soffi di bacio, scendendo lungo la sua lunghezza con carezze della lingua calda. Una pioggia di brividi s’impadronì dell’intero corpo del giovane conte, che serrò con forza le palpebre, gemendo senza neppure accorgersene; le labbra del biondo maggiordomo cominciarono a pizzicare con gentilezza la pelle ardente all’altezza dei testicoli, mentre una sua mano s’impadroniva del sesso eretto dell’altro e cominciava un lento e tormentoso movimento verticale. Cain strinse con uno spasmo le dita intorno al cappotto sul quale era disteso, cercando inutilmente di chiedere di più con voce spezzata, ottenendo ugualmente quello che bramava, quando Riff tolse le dita e salì con la lingua lungo il suo sesso, circondandone poi la punta con le labbra.
- Riff! – urlò il conte colto alla sprovvista, ma il compagno non gli lasciò il tempo per formulare un solo pensiero e gli avvolse completamente il membro eretto con la bocca umida, cominciando una lenta opera di suzione. Cain allungò le mani sul suo capo, per supplicarlo di aumentare la velocità dei movimenti, ma lo avvertì sorridere intorno a sé, mentre con dita ferme gli afferrava i polsi e li premeva contro il pavimento; cominciò ad ansimare cercando di spingere il bacino verso di lui, trovandosi impedito dal movimento per il dolore al ginocchio, così si vide costretto ad utilizzare la voce che sembrava ormai imprigionata nel fondo della sua gola.
- Riff… ti… ti pr… - ma gli fu impedito di continuare: il compagno aumentò il ritmo dei movimenti, costringendolo ad inarcare la schiena e ad urlare il proprio piacere; si ritrovò vicino all’orgasmo in pochi secondi ma Riff si bloccò all’improvviso, sollevandosi da lui. Cain sgranò gli occhi, sentendosi come un uomo che, dopo un’infinita caduta, si ritrova a sbattere contro un pavimento cosparso da punte acuminate; senza respiro, con la bocca spalancata a voler incamerare quanta più aria disponibile, si ritrovò con gli occhi di Riff a pochi centimetri dai suoi.
- Permettimi di entrare dentro di te, Cain… - mormorò il biondo con voce arrochita; Cain dovette deglutire un paio di volte, per riuscire a riprendersi dallo shock provocato dalle ultime parole del biondo e dal modo in cui erano state pronunciate, poi cercò di recuperare almeno una parvenza di autocontrollo.
- Non c’è alcun bisogno che tu lo chieda, Riff! – borbottò sperando di sembrare sarcastico; il maggiordomo lo guardò per un attimo, poi accarezzò una guancia del ragazzo con due dita, tracciando una breve corsa che si concluse fra le sue labbra. Cain non esitò nemmeno per un attimo, cominciò a succhiarle giocandovi con la lingua, cospargendole di saliva e fissando con occhi ardenti il volto arrossato del compagno. Riff sembrò incantarsi per un attimo ad osservarlo, poi tolse velocemente le dita dalla sua bocca e lo baciò con passione; Cain allungò le mani riuscendo a calare la biancheria che il maggiordomo ancora indossava, aiutato da Riff stesso, poi gli cinse la schiena tirandoselo contro il petto, accorgendosi del membro caldo ed eretto dell’altro che gli sfiorava una coscia. Un primo dito del ragazzo più grande si appoggiò sulla sua apertura, forzandola delicatamente; Cain si mosse aprendo di più le gambe, cercando di agevolare le intenzioni dell’altro, ed immediatamente avvertì un’intrusione fastidiosa. La lingua di Riff diventò bruciante, totalmente coinvolgente, tanto da fargli dimenticare quel dito nel suo corpo; ma presto l’indice cercò di aggiungersi al medio, e Cain si ritrasse per stringere i denti senza mordere il compagno. Il maggiordomo si spostò per mordicchiargli l’orecchio e sussurrargli parole gentili.
- Se devo fermarmi, basta un cenno.
- Se lo fai ti licenzio! – protestò il ragazzo con voce rotta; ormai dentro di lui completamente, le dita di Riff cominciarono a muoversi cercando di compiacere l’altro, che vi si abituò velocemente. Cain voltò il capo reclamando un nuovo bacio del compagno, che lo accontentò con trasporto, continuando quel gioco fino a quando il giovane conte non cominciò a gemere; in quel momento uscì da lui sia con le dita sia con la lingua, fissandolo con intensità negli occhi. Si posizionò fra le sue gambe, sollevando solo la sinistra, chiedendo assenso con lo sguardo; Cain rispose passandosi la lingua sulle labbra, per catturare quello strano sapore che Riff gli aveva fatto gustare, un misto fra il maggiordomo e se stesso. Ma quel semplice ed erotico gesto, incendiò di più il biondo, che cominciò a premere per entrare nel corpo del giovane padrone; Cain chiuse gli occhi con forza, sentendo un dolore improvviso e lacerante, senza però alcuna intenzione di lamentarsi. Le dita gentili di Riff salirono al suo volto, sfiorandogli le labbra serrate, salendo lungo le sue gote e posandosi delicate sulle sue ciglia umide; continuò a spingere lentamente, penetrandolo con gentilezza e decisione, fermandosi solo una volta entrato completamente. A quel punto Cain aprì gli occhi, cercando di restare immobile per non soffrire oltre, ma vide che il compagno se ne stava con il capo chino ed il petto ansante.
- Riff… - mormorò cercando di comprendere la situazione; il maggiordomo rialzò il capo lentamente, mostrandogli il suo viso. E questo bastò a Cain per rilassarsi completamente ed affidarsi sicuro nelle mani dell’altro: gli occhi di Riff erano appannati e coperti di puro piacere. Erano occhi di chi sta morendo cercando di trattenersi, occhi della persona che restava immobile nel suo corpo per non procurargli altro dolore, ma che stava compiendo un sacrificio al limite dell’umano per riuscire nell’impresa. Così abbozzò un sorriso e si ritrasse di poco per poi spingersi nuovamente contro di lui, sentendo scariche dolorose dipanarsi per il proprio corpo; Riff gemette e Cain ripeté la stessa mossa, stavolta uscendo un poco di più. Ancora dolore, ma meno intenso… così si mosse ancora, ed ancora. E finalmente il biondo si chinò verso di lui appoggiando le labbra sulle sue, uscendo e poi rientrando con calma dal suo corpo, ogni volta un poco di più, ogni volta facendogli meno male. Fino a quando qualcosa esplose nel petto di Cain, che non avvertì più alcun dolore ma fu sopraffatto da una sensazione d’incredibile appagamento; cominciò a gemere, lasciando che Riff penetrasse ogni parte del suo corpo, succhiando con avidità la lingua nella sua bocca, eccitandolo ancora di più senza rendersene conto. Ed infine esplose. Venne urlando, piegando indietro il capo ed inarcando la schiena, tremando da capo a piedi, conficcando le unghie nella carne dell’altro; e Riff lo seguì un secondo più tardi, spingendosi dentro di lui come a voler suggellare quell’unione per sempre, liberando il suo seme nel corpo dell’unica persona al mondo che mai avesse amato più della sua stessa vita. Si lasciò cadere sui gomiti per non schiacciare il ragazzo, uscendo da lui per distendersi sulla parte sinistra del suo corpo, con il viso nell’incavo del suo collo ed il respiro accelerato che si mescolava con il lieve sudore sulla pelle del conte; Cain lo abbracciò tenendolo stretto, aspettando che il cuore riprendesse un ritmo accettabile. Rimasero immobili per alcuni minuti, ascoltando il crepitio del fuoco ed il ticchettio dell’acqua, sbirciando le ombre che rincorrevano le luci sulle pareti, godendo del calore intossicante del compagno stretto contro il corpo; poi, finalmente, Cain trasse un profondo respiro, sentendo di aver di nuovo il controllo delle proprie emozioni.
- Non era difficile… - mormorò pacato, senza aria di derisione nella voce; Riff sollevò il viso sfiorandogli il lobo tenero con il respiro caldo.
- Che cosa?
- Usare il mio nome. – spiegò il ragazzo voltando il viso e sfiorandogli la fronte con la guancia; il maggiordomo non disse nulla per un attimo, poi parlò piano.
- Non me ne sono reso conto… - mormorò, ma Cain lo interruppe prima che continuasse.
- Ne sono davvero felice, sai? Mi hai quasi sconvolto!
Riff sollevò il capo e si fissarono negli occhi per un attimo, leggendovi i sentimenti dell’altro; il giovane conte sporse le labbra sfiorando quelle del biondo, che si risollevò sui gomiti e si mise nuovamente disteso sul corpo del suo signore. Lo baciò con gentilezza, pigramente, a lungo, insinuando le dita fra i suoi capelli, rabbrividendo per il tocco appena accennato di Cain sulla sua schiena; quando si separarono, entrambi avevano un lieve sorriso.
- Ti amo, Riff. – mormorò il conte con un filo di voce e l’altro scrutò per un attimo in fondo alle sue iridi dorate; poi il suo sorriso diventò dolce ed i suoi occhi confermarono le sue parole.
- Ti amo anch’io, Cain.

Il fuoco era ormai quasi spento nel camino, quando Riff fu svegliato da una voce lontana e nota; aprì gli occhi cercando di ricordare dove fosse, stringendo inconsciamente a sé il corpo che gravava leggero sulla sua spalla. Con la testa dolorante per essersi assopito sul duro pavimento di legno, cercò di concentrarsi sul richiamo che lentamente si stava avvicinando; sembrava la voce di una bambina… no, di due bambine. E chiamavano sia lui sia il conte, profondamente addormentato sul suo petto; finalmente riuscì a ricordare ogni cosa, a partire dalla caduta del suo padrone, per poi rivivere quello che era successo fra loro in quella casa abbandonata. Sospirò con il respiro tremante, chiedendosi come avesse potuto permettere che succedesse una cosa del genere: era innamorato del conte Cain da molti anni, ma era sempre riuscito a nasconderlo, più o meno. La signorina Mary, lo zio del conte e chi li incontrava, credeva ci fosse un semplice legame fraterno fra loro due… e pure lui aveva sempre creduto di essere considerato in quel modo dal ragazzo che ora giaceva fra le sue braccia. Ed invece… quella dichiarazione improvvisa… lo aveva fatto crollare! Come rifiutare la felicità, quando ti si getta fra le braccia? Ma ora? Cosa sarebbe successo?
- Cain! Riff!
La voce di Mary riecheggiò per la casa tetra e Riff capì che li avrebbero trovati presto, così scosse gentilmente il proprio padrone, che mugugnò qualcosa nascondendo il viso contro il suo collo.
- Signor Cain… si svegli, sono venuti a prenderci. – mormorò soffiando nel suo orecchio; il corpo del giovane conte fu scosso da un tremito e finalmente il ragazzo aprì i suoi occhi dorati e confusi, guardando fisso di fronte a sé per alcuni istanti. Infine li sollevò incastrandoli alla perfezione nei suoi, prima di rivolgergli un dolcissimo sorriso.
- Riff… perché mi hai svegliato? – chiese con una specie di miagolio; Riff lo guardò trattenendosi a stento dal carezzargli i capelli morbidi.
- E’ arrivata la signorina Maryweather.
- Uhm… - mormorò il ragazzo sfregando il viso contro il suo collo – E’ ora di andare…
Si mise a sedere stirando le braccia e la schiena, mentre nella casa, ora, riecheggiavano i richiami di tre persone, tutte di sesso femminile; Riff si alzò assicurandosi che sia lui che il conte si fossero rivestiti completamente prima di addormentarsi, poi scavalcò il ragazzo per andare dalla signorina Mary. Cain gli afferrò il lembo dei pantaloni guardandolo serio, e questo indusse il maggiordomo a fermarsi, sentendo che il suo cuore faceva lo stesso.
- Riff… - mormorò il ragazzo con aria greve – Tu… non ti sei pentito di quello che è successo, vero?
Il biondo rimase a fissarlo per un attimo, sentendosi immensamente sollevato e felice, poi posò un ginocchio accanto al padrone e gli sorrise passandogli una mano sulla guancia.
- No. – sussurrò chinandosi su di lui e sfiorandogli le labbra con un bacio; Cain ne approfittò per afferrargli con forza le braccia e coinvolgerlo in una nuova danza delle loro lingue, prima di separarsi con un breve sospiro ed incatenare gli occhi ai suoi.
- Ti amo. – mormorò assaporando ogni lettera di quelle parole; Riff passò il pollice sulle sue labbra, annuendo.
- Anch’io la amo.
- Uff! – sbuffò il conte con faccia contrariata – Mi sa che dovrò impegnarmi di più per costringerti a darmi del tu anche quando non stiamo…
- Cain! Riff! – urlò Maryweather entrando come un ciclone nella stanza – Perché non rispondevate?! – sbottò poi con aria così preoccupata da avere le lacrime agli occhi; corse in contro ai due, pronta a buttarsi fra le braccia del fratello, però si ritrovò con le mani di Riff sulle spalle, impossibilitata a muoversi. Lo guardò sgranando gli occhi, sorpresa di quell’improvviso contatto, mai avvenuto prima, ma il maggiordomo le sorrise e le indicò la gamba del fratello.
- Il signore è caduto da cavallo e si è slogato un ginocchio. – spiegò gentile; Mary sgranò gli occhi e si lasciò cadere sul pavimento accanto a Cain, indifferente al fatto che si sarebbe sciupata il bel vestito.
- E’ molto grave? – chiese apprensiva, ma il fratello scosse il capo e le appoggiò una mano sui capelli morbidi.
- Niente che non guarisca in fretta! – esclamò allegro; Elisabeth e la madre entrarono in quel momento nella stanza, con aria guardinga ed un po’ preoccupata. Riff si alzò rispettosamente in piedi, facendosi da parte mentre le due signore si avvicinavano con espressione sollevata ai parenti.
- Cain, stai bene? – chiese la signora Filthorn guardando il nipote ancora seduto a terra, con una gamba distesa; il ragazzo le sorrise annuendo.
- Ho preso una distorsione, ma Riff si è occupato di me.
- Mi dispiace non essere venuta prima, ma ci siamo preoccupate solo quando i cavalli sono tornati alla villa senza di voi. – spiegò ancora la donna con aria colpevole, ma Cain scosse il capo.
- Non preoccuparti, siamo stati bene e poi eravamo al riparo! Non ci siamo neppure bagnati!
- Appena tornati a casa, chiamerò un medico. – continuò la zia sempre più preoccupata; il conte le sorrise senza dire nulla, conscio che la donna non si sarebbe data pace finché uno specialista non le avesse assicurato che il suo altolocato nipote non era in pericolo di vita, così si limitò ad annuire.
- Qui fuori c’è la carrozza! – esclamò Mary indicando l’uscita – Puoi camminare?
- No… ma ci penserà Riff, vero? – disse allegro il fratello, lanciando uno sguardo un po’ troppo intenso verso il proprio maggiordomo; il ragazzo biondo annuì senza guardarlo e si chinò di fronte a lui, invitandolo a salirgli in spalle. Aiutato dalla sorella e dalle parenti, Cain si issò sulla sua schiena, circondandogli il collo con un braccio, poi si sporse raccogliendo il cappotto ormai logoro di Riff e buttandolo nel camino. Mary osservò sorpresa quel gesto, senza però chiedere nulla al fratello, poi li seguì all’esterno della vecchia casa diroccata, osservandoli. C’era qualcosa di strano in quei due, un atteggiamento diverso… avvertiva qualcosa, che però non riusciva a decifrare. Era stata una sensitiva, in passato, ma ormai da un po’ di tempo non riusciva più a predire il futuro di chi la circondava… però… guardandoli, gli parevano tanto… una coppia di innamorati!
- Cosa sto pensando?! – ridacchiò fra sé, attirandosi l’occhiata sorpresa della cugina; in quel momento Cain mormorò qualcosa all’orecchio di Riff, arrivando a sfiorargli il lobo con le labbra, ed il maggiordomo gli rivolse un sorriso dolcissimo, che lei non gli aveva mai visto sul viso. Si bloccò sgranando gli occhi, ricordandosi improvvisamente di una frase che tempo prima lo stesso Riff le aveva detto: lui sarebbe rimasto per tutta la vita con Cain. Ma non era la stessa promessa che si scambiavano due giovani sposi dinnanzi all’altare?
- Mary… va tutto bene? – chiese piano Elisabeth, ansiosa di uscire da quella casa; la cugina la guardò per un attimo, senza accorgersi della sua domanda, però poi il suo viso s’illuminò con un sorriso raggiante.
- Sì, adesso va benissimo! Sono felice!
- Ma… per cosa? – chiese ancora l’altra ragazzina che non aveva ovviamente capito molto del suo comportamento; Mary seguì correndo suo fratello e Riff, sollevandosi la gonna per non inciampare. Si affiancò ai due senza dire nulla fino a quando non si furono finalmente messi in viaggio per tornare alla villa dei parenti, e solo in quel momento, fingendo un tono casuale e dispiaciuto, guardò Cain direttamente negli occhi parlandogli con una vocetta triste.
- Ora che hai avuto questo incidente, odierai ancora di più la campagna!
Il fratello la guardò sorridendo, prima di scuotere piano il capo e perdersi ad osservare con aria stranamente assorta il panorama al di fuori del finestrino della carrozza.
- No, la campagna non mi dispiace più molto… anzi, credo che cominci a piacermi parecchio. – mormorò con aria lieta; Mary cercò di trattenere un sorriso di pura felicità, sbirciando la reazione di Riff che però era più bravo del fratello a fingere indifferenza. Guardò nuovamente Cain, ancora perso a fissare un punto preciso oltre il finestrino e, prestando attenzione a non urtargli il ginocchio, gli si gettò fra le braccia appoggiando il viso contro il suo petto; il ragazzo l’abbracciò sorridendo e la bambina voltò il capo fissando lo sguardo nello stesso punto che il fratello continuava ad osservare, sorridendo lievemente. Oltre il filare di alberi c’era l’orizzonte macchiato di scuro, campi arati intrisi d’acqua e tetti di abitazioni nere che si stagliavano contro il panorama… ma riflesso nel vetro, c’era il viso di un ragazzo biondo dall’espressione gentile, che aveva votato la sua vita per la loro felicità.

(fine)

* Filastrocca tratta dal videogioco “Gosthunter” per PS2.


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