Questa fic si colloca dopo l'approdo del Garden al Fisherman Horizon, più precisamente poco dopo il concerto che Irvine, Zell, Quistis e Selphie dedicano a Squall. NELL'ACQUA By Unmei Squall si levò il giubbotto, liberandosi poi anche delle cinghie che portava in vita e dei guanti di pelle, e si lasciò cadere sul letto con un sospiro, fissando il soffitto. La giornata era stata densa di avvenimenti…come tutte quelle che aveva trascorso da quando era diventato SeeD. SeeD... da quel giorno, poi, il comandante dei SeeD. La cosa non gli faceva piacere più di tanto, a dir la verità; non gli era mai interessato molto dare ordini, e ancora meno prendersi la responsabilità delle azioni degli altri... la ciliegina sulla torta era stata la brillante idea dei suoi amici di organizzare quel concerto con tanto di appuntamento romantico tra lui e Rinoa. Perché quella ragazza dimostrava così tanto attaccamento verso di lui? Perché doveva essere così entusiasta di ogni piccola cosa? Perché non smetteva di prendere tutto come un gioco? Le voleva bene e non voleva ferire i suoi sentimenti dicendole che non la ricambiava... ma così lei continuava a farsi delle illusioni e lui si sentiva sempre terribilmente a disagio in sua compagnia. Una doccia e andare a dormire, ecco quello che desiderava. Prese un accappatoio pulito dall’armadio e fece per dirigersi verso il bagno, ma il campanello della stanza suonò energicamente.
Rimanendo immobile, per un attimo accarezzò l’idea di fare finta di non esserci; se non avesse fatto alcun rumore per un paio di minuti, il visitatore sicuramente se ne sarebbe andato. Un’altra insistente scampanellata e una serie di colpi battuti sulla porta. "Avanti, Leonhart! Lo so che ci sei! Posso continuare a suonare per ore, tanto non ho nulla da fare, quindi ti conviene aprire subito, comandante!" Grugnendo, Squall si diresse a lunghi passi verso la porta e la spalancò. Dall’altra parte di essa, già con il pugno alzato per bussare ancora, stava Irvine Kinneas. "Che c’è?" "Sempre socievole, vero?" Senza essere invitato, il cow boy spinse da una parte Squall, entrò nella stanza e si guardò intorno. "Credevo che insieme alla promozione ti avessero dato anche un appartamento più grande." "Invece no." "Maahh... quattro parole in due frasi... stai straparlando, vecchio mio." Squall si buttò l’accappatoio sopra una spalla e incrociò le braccia sul petto. "Irvine, se hai qualcosa da dirmi, fallo subito." Il giovane si buttò a sedere sul letto e si fece rimbalzare per un paio di volte, con aria divertita. "Volevo chiederti se ti è piaciuto il giornale che ti ho lasciato come segnale sul luogo dell’appuntamento." "Non l’ho nemmeno aperto, il tuo giornale. L’ho lasciato lì." Un’espressione di stupore si diffuse rapidamente sul viso di Kinneas. "Perché? Era anche uno dei miei numeri preferiti!" "A differenza di te, io non leggo riviste porno!" "Oh. Penso che dovresti, il tuo umore ne trarrebbe giovamento... e se non hai voglia di leggerle, puoi sempre guardare le figure." "Senti" - Squall chiuse gli occhi e si massaggiò le tempie - "ti restituisco i soldi. Quanto costava?" Irvine balzò in piedi con aria mortalmente offesa. "Non crederai mica che mi attacchi ad una questione di pochi spiccioli? Accidenti, io ero venuto qua per fare due chiacchiere... ultimamente mi sei sembrato molto stressato. Voglio dire... tutte le cose che sono successe... l’attacco fallito alla Strega... che è stato colpa mia... " "Irvine, la tua mira era perfetta, lo sai; è stato -" "Io ho esitato, Squall... e non avrei dovuto, ma... lasciamo perdere... la tua cattura, e la prigionia, sono state conseguenza della mia esitazione. Non ti ho ancora chiesto scusa di tutto questo. Mi sembra di aver creato più problemi che altro, da quando mi sono unito al vostro gruppo." La sua voce, abbandonando il tono scherzoso, si era fatta improvvisamente molto seria. Squall guardava senza parole il giovane che aveva di fronte. Senza il suo lungo soprabito di pelle, senza cappello, e con i lunghi cappelli ramati sciolti, sembrava quasi un altro, sembrava... fragile. Irvine, sempre così strafottente, così apparentemente superficiale... non si era mai aspettato quelle parole da lui. Anche perché non gli era mai passato per la testa di incolparlo per il suo imprigionamento. "Senti... io mi ricordo solo delle battaglie che abbiamo vinto assieme. Okay?" "... Okay." Sorrise, gettandosi indietro i capelli. Si avvicinò a Squall e toccò l’accappatoio candido sulla sua spalla. "Se non hai di meglio da fare, ho scoperto un bel posto in paese, molto più piacevole delle docce del Garden." Squall inarcò un sopracciglio. "Che cosa?’" "Una specie di hamam... oltre alla sauna ci sono delle belle vasche di acqua marina calda... viene incanalata da una corrente che passa proprio sotto il Fisherman Horizon e perfettamente purificata. Che ne dici, ci andiamo?" Ponderò l’idea. Sembrava molto più allettante del fare una doccia in una stretta cabina, dove per di più l’acqua ci metteva una vita a scaldarsi. Poi gli sorse un dubbio. "Non sarà mica pure un posto dove graziose e discinte fanciulle... " "Ehi! Che tu ci creda o no, i bordelli non li frequento!" "Allora d’accordo. Andiamo."
Squall infilò in una piccola sacca l’accappatoio, un asciugamano e dei vestiti puliti, attendendo il ritorno di Irvine, che era andato a prendere la sua roba. Uno scampanellio gli annunciò che anche il suo amico era pronto. "Bello, eh, cosa ti dicevo?" Kinneas entrò per primo nella saletta che era stata loro assegnata. Piastrellata in toni di azzurro e blu, l’aria piena di vapore, il silenzio assoluto. "Sì, non è male." "Non è male?- rise il ragazzo più alto - Leonhart, cerca di moderare il tuo entusiasmo!" Irvine slacciò il proprio accappatoio, lasciandolo scivolare silenziosamente a terra. Squall si ritrovò per un attimo a fissare quel corpo nudo, snello, la pelle abbronzata, capelli sparsi in onde ribelli sulla schiena. I movimenti di Irvine erano così incredibilmente leggeri ed aggraziati... lo aveva già notato, ma la cosa risultava maggiormente ora che non indossava nulla... Si sentì deglutire rumorosamente, una cosa di cui sperò che il suo compagno non si fosse accorto. "Ehi, comandante, ti muovi?" Si sentì chiamare allegramente. Riscuotendosi dai propri pensieri, Squall si spogliò. La vasca poteva contenere comodamente cinque persone, come quasi tutte le altre di quel locale. I proprietari volevano assicurare il massimo della privacy e del relax ai propri clienti, così ogni sala era stata progettata per singoli o per piccoli gruppi di persone, in maniera che nessuno si trovasse controvoglia a fare il bagno in compagnia di uno sconosciuto, o insieme a decine di persone, come spesso accadeva agli stabilimenti termali o ai bagni pubblici. Irvine scivolò lentamente nell’acqua, lasciando che sul suo viso si disegnasse un’espressione di soddisfazione.
"Aahh... il paradiso... dovrai trascinarmi via di qui con la forza, vecchio mio." Si beò a occhi chiusi. Squall entrò sentendosi stranamente goffo, ma l’acqua gli sciolse immediatamente i muscoli, e sedette appoggiando la schiena al bordo, sentendo che anche le piastrelle erano calde. L’acqua gli arrivava all’altezza delle spalle, vi abbassò gli occhi, osservando l’intricato mosaico disegnato sul fondo della vasca, che raffigurava creature marine leggendarie, sirene e tritoni, serpenti giganteschi... Accanto a lui Irvine affondò completamente nell’acqua per alcuni secondi, e poi tornò in superficie, scuotendo la testa e coprendolo di schizzi. Squall gli lanciò un’occhiataccia, e Irvine rise dell’espressione seccata del suo amico. "Stiamo facendo un bagno, di solito ci si bagna, sai? Lo dice anche il nome." E afferrandolo inaspettatamente lo spinse sott’acqua per qualche istante, giusto il tempo di inzupparlo completamente. "Bastardo!" Boccheggiò Squall non appena risalì, divertendo ancora di più Irvine. "Non dirmi queste cose dopo che ti ho portato in un così bel posto!" Lo rimproverò, allungandogli un calcio sott’acqua. Senza motivo quel contatto scivoloso con la pelle nuda di Irvine gli diede un brivido. Fissò senza parlare il volto arrossato del cow boy, bagnato da goccioline d’acqua e sudore, sentendo una disturbante miscela di imbarazzo e di qualcos’altro difficile da definire agitarglisi nello stomaco. Ma cosa diavolo gli stava succedendo? Non riusciva a capire se era lo sguardo di Irvine sulla sua nudità a renderlo nervoso, oppure viceversa. Una cosa simile non gli era mai capitata... di solito non aveva quel genere di pudori: gli era già successo spesso di dividere le docce con i compagni, dopo gli allenamenti, senza aver nessun pudore o vergogna. In ogni caso, Squall si ritrovò a cercare di evitare di guardare l’amico più giù del suo viso. Un leggero bussare alla porta lo distrasse. Chiedendo permesso, il proprietario del bagno entrò, portando con sé un vassoio, sul quale stavano una piccola bottiglia e due bicchierini di porcellana bianca decorata. "Ecco quanto aveva chiesto, signore." Disse, appoggiando il tutto vicino al bordo della vasca. Irvine ringraziò e lo congedo, poi versò da bere e porse uno dei bicchieri a Squall. "Che cos’è?" Domandò, annusando il tiepido liquido incolore. "Sakè, della mia ‘riserva personale’. Avevo la bottiglia nella sacca e avevo chiesto di prepararlo e portarcelo... bevi subito, non lasciarlo raffreddare. Salute!" Annuendo, Squall chiuse gli occhi e bevve il distillato di riso. "Ancora? È leggero, non fa che dieci gradi." Domandò Irvine, tendendo la bottiglia. "Per il momento basta." "Come vuoi."
Rimisero i loro bicchieri vuoti sul vassoio e tornarono a rilassarsi. Nessuno dei due aveva mai udito un silenzio così profondo. Fu Squall a spezzarlo, dopo alcuni minuti. "Se non vuoi parlarne non farlo, Irvine, però... quel crollo al momento di sparare alla Strega... Perché? Hai sempre una buona padronanza di te in certe situazioni... e sei considerato il miglior tiratore del Garden... quel nervosismo non era da te. " Irvine rimase in silenzio. Si era aspettato, prima o poi, quella domanda, ma non sapeva ancora se fosse il caso di dare una risposta. Squall, come tutti gli altri della loro squadra, sembrava non ricordare nulla della loro infanzia insieme. Di come da bambini avevano vissuto all’orfanotrofio vicino alla scogliera: loro due, Quistis e Selphie, Zell e anche Seifer... e che Edea, la Strega Edea, colei che era il nemico, si era amorevolmente presa cura di tutti loro. Lo addolorava, gli sembrava quasi un tradimento che Squall avesse scordato il loro vecchio legame; lui, al contrario, aveva sempre pensato a Squall... prima solo come ad un amico d’infanzia; ma poi, da quando lo aveva rincontrato, i suoi sentimenti avevano preso una piega differente, shockandolo, all’inizio: il playboy del Garden era capitolato per un altro ragazzo. E proprio per il più irraggiungibile.
Non sapeva esattamente perché lui ricordasse e gli altri no, ma erano stati proprio quelle memorie lontane a mandare in fumo la sua professionalità. Gli stavano chiedendo di uccidere... sua madre... e se lo avesse detto a Squall... e se anche lui poi avesse a sua volta esitato... no, non era ancora il momento di rivelargli tutto: che tanti anni prima Edea era stata la loro madre, Cid il loro padre, e che loro... loro erano stati fratelli. Decise di rispondere con solo una parte della verità. "Perché... perché ho sentito sulle mie spalle un peso così grande che me le ha quasi spezzate. Tutta la tensione del momento, e la fiducia riposta in me, e l’enorme responsabilità... non sono una macchina, anche se sono un cecchino. Avevo paura di deludervi, di deludere te, e ci sono riuscito." Istintivamente Squall fece per allungare un braccio, per appoggiare una mano sulla spalla del suo amico e rassicurarlo che non lo aveva deluso, né che mai lo avrebbe fatto, ma non ci riuscì. Provò ancora, e assunse un’espressione di panico: tutto inutile, non era più capace di muoversi Irvine si accorse dei suoi tentativi, e all’unisono le sue sopracciglia guizzarono verso l’alto. "Accidenti, non credevo che facesse effetto così in fretta." "Effetto cosa?" Domandò strozzatamente Squall. "La droga che avevo messo nella bottiglia di sakè... se tu avessi guardato bene, avresti visto che il mio bicchiere era vuoto, ho fatto solo finta di bere." Confessò con naturalezza Irvine, avvicinandosi lentamente a lui. "Questo non è divertente, Kinneas!" "Ci penserò io a renderlo tale."
Qualcosa nel tono di quella risposta lo fece rabbrividire; Squall voleva schizzare via dalla vasca, ma il suo corpo non rispondeva a nessuno dei suoi ordini, rimaneva seduto immobile, tutti i muscoli erano rilassati, le membra abbandonate nell’acqua. "E’ una cosa che ho rubato dall’infermeria della dottoressa Kadowaki... paralizza tutti i muscoli volontari al di sotto della testa... ma li lascia completamente sensibili. Quindi è inutile che tu cerchi di muoverti, per un po’ di tempo." Se fino a quel momento aveva considerato tutto uno scherzo di cattivo gusto, smise immediatamente di farlo quando sentì la bocca calda di Irvine baciarlo alla base del collo, e scendere lungo le spalle, fino al pelo dell’acqua. "No... " Irvine non gli diede retta; continuando nella sua scia di baci si spostò verso l’alto e gli passò una mano leggera tra i capelli. Gli morse il lobo dell’orecchio, lo succhiò e lo morse ancora; Squall sentiva perfettamente il respiro affannato sulla propria pelle bagnata, come sentiva le mani che gli accarezzavano le spalle e il petto, la schiena, danzando ansiose, irrequiete. "Lasciami... .dannazione... " Irvine sussurrò direttamente nel suo orecchio. "Non rinuncerò alla mia occasione, forse l’unica che io abbia." Premendosi di nuovo contro di lui, baciò il suo orecchio come avrebbe baciato la sua bocca, esplorando languidamente con la lingua ogni centimetro di pelle, in ogni piega. "Perché mi stai facendo questo?" La voce di Squall era soffocata dal nodo che gli si era stretto in gola. "Perché tu sei così dannatamente distaccato e solitario che questo è l’unico modo per averti. Ma prima di tutto perché ti amo, e ti desidero per me, Squall Leonhart. Almeno una volta." "No!" "Non vuoi?" "NO!"
Irvine passò a dedicare per un po’ la propria attenzione all’altro orecchio di Squall, poi sussurrò la propria risposta. "Eppure non credo che questi si siano così induriti a causa del freddo, visto che siamo in una sauna. Forse non sai quello che vuoi veramente." Irvine accarezzò sott’acqua il petto del suo prigioniero, fermandosi a giocare con i capezzoli inturgiditi, girandoci intorno, lentamente, e poi accarezzandoli e strofinandoli dolcemente tra le dita Quel trattamento lo fece ansimare, e Irvine se ne accorse. Con una mano continuò a stimolarlo, compiaciuto dell’espressione tormentata che otteneva in risposta, e con l’altra voltò verso di sé il viso accaldato del suo compagno: riempì di baci la cicatrice sulla sua fronte, come se volesse così cancellare quello sfregio da un viso altrimenti perfetto. "Tu non hai idea dell’effetto che hai su di me... dell’effetto che hai sulla gente. Quistis era innamorata di te, e Rinoa lo è tuttora ... Ma tu neanche te ne rendi conto, e questo ti rende ancora più seducente." Il cecchino premette la propria bocca contro quella dell’immobile Squall, usando la lingua per separare le labbra serrate, ma incontrò una fiera resistenza. Non era il tipo che si scoraggiava così facilmente; repentinamente fece scendere la mano che era sul petto tra le gambe di Squall, afferrandogli il sesso; il comandante dei SeeD trasalì, schiudendo la bocca, ed Irvine approfittò di quell’istante per entrarvi. Lo baciò avidamente, infilando profondamente la lingua in quel calore umido che non si voleva concedere, lottando contro quella di Squall, inseguendola e catturandola. Intanto dentro di sé sapeva di stare commettendo uno sbaglio, ma in quel momento non gliene importava assolutamente nulla. La mente di Squall era un turbine. L’altra mano di Irvine, che ancora lo teneva strettamente per la nuca, gli impediva di girare la testa, di sottrarsi in qualsiasi modo... e la cosa peggiore era che il suo corpo stava rispondendo a quella stimolazione... rispondendo in modo molto evidente. Si stava facendo eccitare contro il proprio volere, mentre veniva violentato dentro una vasca da bagno... Nella sua mente, in un flash, rivide il corpo nudo ed armonioso di Irvine, e ricordò il fremito strano che gli aveva dato quel primo contatto subacqueo con la sua gamba. Ma non aveva mai desiderato quel tipo di attenzioni, non aveva mai nemmeno lontanamente pensato a una cosa simile... invece adesso nelle orecchie sentiva il battito impazzito del proprio cuore, e un’innegabile, turbante tensione nel basso ventre. Strizzò gli occhi, che bruciavano di lacrime trattenute, odiando se stesso ed odiando Irvine, odiando tutto il mondo. Seifer, nonostante fosse un nemico, aveva avuto abbastanza rispetto ed onore da non fargli una cosa simile, quando era incatenato ad un muro in quella squallida prigione (1)... mentre Irvine... un compagno, un amico, qualcuno di cui si fidava... maledizione! Irvine si staccò e si mise di fronte a lui, guardandolo negli occhi. Forse era finita lì. Forse ora lo lasciava andare... forse anche Kinneas aveva preso qualche tipo di droga quella sera. "Squall... dopo stanotte le cose tra noi non saranno più le stesse... io voglio che tu capisca che sto facendo questo per sincero amore. Sognarti non mi bastava più, ed al punto a cui sono arrivato non posso più fermarmi. Non ci riuscirei." Abbassando lo sguardo, Squall vide l’erezione completa e fremente di Irvine, che sembrava puntare quasi minacciosa verso di lui. No... non era finita, doveva ancora iniziare...
"Irvine, smettila... ritorna in te, per favore." La voce di Squall aveva un tono disperato; il ragazzo con i capelli lunghi tacque e scosse la testa, scivolò dietro di lui, facendolo sedere tra le sue gambe, puntandogli contro la propria durezza. Gli baciò la nuca, e scese, tra i capelli sottili, vagando verso il collo e assaggiando il sapore della sua pelle bollente, salato di sudore e acqua marina.
"Sono perfettamente in me. Di solito corteggio in maniera più galante, ma tu riesci a farmi perdere completamente il controllo. Mmhhh... sei la persona di cui più mi importa al mondo." "E tu violenti sempre le persone di cui ti importa?" Sentì il corpo di Irvine muoversi, stringersi ancora più vicino alla sua schiena, il suo mento appoggiarglisi sulla spalla. "Io non ti sto violentando." "Ah, no? Mi deve essere solo sembrato." Riuscì a mettere dell’ironia in quella risposta. "Se la pensi così perché non hai ancora chiamato aiuto?" Ogni altra parola morì sulle labbra di Squall. Già, perché non aveva chiesto aiuto? Era perfettamente in grado di parlare, e di gridare, se avesse voluto, ed invece era rimasto in silenzio a farsi baciare, mordere, leccare e toccare... Le braccia di Irvine gli circondarono la vita, le mani si infilarono fra le sue gambe divaricate; un gemito sconfitto volò via dalla sua bocca. Le mani sottili di Irvine iniziarono a lavorare esperte su di lui, accarezzandolo, stuzzicandolo, torturandolo, mentre l’acqua accarezzava sinuosamente ogni altra parte del suo corpo. Squall, abbandonato come una marionetta a cui avessero tagliato i fili, osservava quei movimenti completamente rapito e terrorizzato. "Mi vuoi far credere che questo non ti piace?" Gli bisbigliò, stringendolo più forte e pompando più velocemente, strofinandosi contro di lui. Il cambiamento nel ritmo gli mozzò il fiato in gola. Gettò la testa all’indietro, appoggiandola contro il compagno dietro di lui, con respiri brevi e ansanti. Volente o nolente, stava godendo violentemente; il suo istinto, a dispetto della ragione, gli comandava di muoversi, di spingere in avanti le pelvi e assecondare quel che il suo tormentatore gli stava facendo, ma i suoi muscoli continuavano a non rispondere, e gemette di frustrazione. "Irvine... " Mormorò raucamente. Irvine si sentiva vicino al suo scopo; gli mancava poco, ormai, per spezzare ogni resistenza. Doveva fare solo una mossa, per capire se aveva vinto o meno. E la fece. Cominciò a ritrarre lentamente le mani, con un sorriso di aspettativa dipinto sulla bocca. "Non osare... fermarti... ora!" Ringhiò Squall, inspirando rumorosamente. La pressione dentro di lui era intollerabile, il bisogno di sfogarla annichilente, e lui da solo non poteva darsi sollievo.
"Mi stai chiedendo di andare avanti?" "CONTINUA!!"
Irvine considerò quelle parole come il suo trionfo, e riprese il suo lavoro con un vigore quasi feroce; bastò poco, alcune scrollate, ed una nuvola biancastra si diffuse nell’acqua, lasciando Squall a bocca spalancata in un grido muto, gli occhi serrati e due brucianti lacrime gemelle che gli solcavano le guance. L’orgasmo stordì la sua mente per qualche istante, ma si accorse comunque di stare venendo spostato. Si ritrovò schiacciato contro la parete della vasca, e Irvine, alle sue spalle, lo sollevò, piegandolo oltre il bordo. "E’ il momento che mi prenda la mia parte, amore." Quella voce era inebriata, innamorata, gentile... ma Squall la detestò comunque. Irvine usò prima due dita, generosamente bagnate di saliva, entrando lentamente dentro di lui, per massaggiarlo e prepararlo; le allargò, muovendole avanti e indietro, accarezzando l’interno delicato del suo corpo, sfiorando ogni volta la sua zona erogena; i gemiti di Squall stavano portandosi via quel poco di autocontrollo che si stava imponendo... voleva che provasse il maggior piacere possibile, voleva che fosse felice, che fosse soddisfatto, ma non riusciva a trattenersi oltre; il suo corpo urlava per l’impazienza di possedere l’oggetto di tutti i suoi desideri e batticuori. Estrasse le dita e lo penetrò dolcemente, sentendo i muscoli completamente rilassati allentarsi e poi stringersi intorno a lui senza nessuna difficoltà o resistenza; forse era effetto della droga, quello di avergli rilassato i muscoli a tal punto. Rimase immobile dentro di lui per qualche secondo; aveva sognato e immaginato quel momento, ma la realtà era migliore; avrebbe voluto che durasse per sempre... si mosse, la prima volta quasi timidamente, provando persino più piacere di quello che si era aspettato. Dovevano essere i suoi sentimenti verso Squall a rendere tutto così vivido, intenso. Il suo ritmo crebbe presto, dimenticando la cautela che aveva usato per entrare: aveva qualcosa di antico, selvaggio e animalesco, quello dello sfogo di un desiderio da lungo tempo vagheggiato. I suoi colpi sbattevano una volta dopo l’altra Squall contro la parete della vasca, che, senza più riuscire a distinguere la rabbia dal piacere, boccheggiò, accorgendosi di essere già di nuovo duro. Era umiliante che qualcuno riuscisse ad avere tutto quel potere su di lui... era umiliante non poter reagire, non poter fare nulla, non essere padrone della situazione. Dopo tutto quello che era successo, che stava accadendo, come avrebbe fatto a guardare di nuovo in faccia Irvine, o chiunque altro? ... Irvine... aveva rovinato tutto, maledetto egoista... lo detestava, lo odiava più di chiunque altro avesse mai odiato al mondo. Non aveva mai sentito tanto furore bruciargli dentro... giurò che si sarebbe vendicato, che quello schifoso cow boy avrebbe pagato, che avrebbe rimpianto ogni singola carezza, ogni bacio, ogni parola... e che non lo avrebbe mai perdonato. Artigliò il pavimento con tanta forza da spezzarsi quasi le unghie contro i bordi delle piastrelle... e nel farlo si accorse di essere riuscito a muoversi. Tentativamente strinse e aprì le mani... l’effetto della droga a quanto pareva era finito. Aveva sì agito in fretta, ma era durato meno di quanto credesse... forse perché aveva bevuto ben poco sakè, e la quantità di droga ingerita doveva essere minima. Istintivamente mosse il bacino, e un’ulteriore scossa di piacere percosse i suoi sensi... Irvine non sembrava essersi accorto di nulla, mentre allacciato a lui gli ansimava sul collo, mormorando il suo nome come una roca litania. Capì che era vicino all’orgasmo quanto lui... e che non poteva dargli quella soddisfazione: né quella di godere, né quella di vedere lui godere una seconda volta. Doveva guadagnare il dominio della situazione, e con un solo movimento ruotò su se stesso, agilmente, spingendo energicamente via da sé Irvine. L’espressione sul viso del cecchino fu a dir poco shockata; il suo sguardo era appannato; non si rese immediatamente conto di quello che era accaduto. Scosse la testa, cercando di liberare la mente dalla cortina di lascivia che la annebbiava, ma non fece in tempo a dire nulla che un pugno terribile si abbatté sulla sua mascella, facendogli morsicare a sangue la lingua. La violenza del colpo gli schiarì immediatamente le idee. Come poteva Squall mantenere tanto autocontrollo anche in un momento come quello? Riuscì solo a sbattere gli occhi che, colui che fino a poco prima era stato una bambola inerme, lo afferrò per i capelli trascinandolo a viva forza verso l’altro bordo della vasca. Irvine si dibatté, ma Squall lo colpì ancora, usando un’energia inaspettata, come se i suoi muscoli non fossero stati infiacchiti dal sesso che avevano consumato fino a mezzo minuto prima. Gli buttò all’indietro la testa e lo forzò ad aprire la bocca; poi, afferrando la bottiglia del sakè quasi piena, lo costrinse ad ingoiarne il contenuto. Anche quando una parte del liquido gli andò di traverso non smise di farglielo trangugiare, ma anzi gli ficcò più profondamente in bocca il collo della bottiglia, fino a quando essa non fu vuota. Se la buttò alle spalle lasciandola a galleggiare in acqua, e compiaciuto rimase a guardare per qualche secondo Irvine tossire con le lacrime agli occhi e prendere fiato. Poi lo spinse contro la parete della vasca, afferrandolo per i polsi e tenendovelo puntato con un ginocchio. "Pensavi di riuscire ad arrivare fino in fondo, Kinneas?" Squall si accorse con divertimento che mentre l’erezione dell’altro si era completamente smontata, la sua era più turgida che mai. Adesso sì che si sentiva eccitato, l’idea della rivalsa gli stava accelerando il cuore... fu tentato di cambiare il piano che aveva in mente, e semplicemente di violentare lì e subito il compagno, ma cambiò idea: non si può parlare di stupro se la persona su cui si ha intenzione di praticarlo è consenziente. E poi era una vendetta troppo grezza, non certo un’azione degna di lui. Continuò a tenerlo fermo sino a quando i muscoli non gli si bloccarono esattamente come erano stati immobilizzati i suoi. Allora lo lasciò andare ed uscì dalla vasca, andandogli alle spalle e trascinandolo fuori, distendendolo a pancia in su sul pavimento. "Che cosa vuoi fare?" Mormorò Irvine, con un filo di angoscia, provando sulla propria pelle l’effetto della droga che aveva somministrato a tradimento. "Davvero non riesci a immaginarlo?" Squall si chinò su di lui con un ghigno minaccioso, e gli prese il labbro inferiore tra i denti, succhiandolo e mordicchiandolo fino a farlo gonfiare. "Pensavi di poter fare tutto quello che volevi? Che te lo avrei permesso? Ricorda che sono io che comando, e non solo quando siamo sul campo di battaglia." La bocca di Squall scese, accarezzandolo, fermandosi a stringere un capezzolo tra i denti e giocando con esso fino a che non fu tanto sensibile e teso da fare male; Irvine annaspò. "Sì... Squall... ancora... toccami." "Rivolgiti a me come di si addice al mio grado, SeeD." "Comandante!" Ansò. Compiaciuto di sé, Squall contemplò il nuovo eccitamento che gli aveva causato. Gli separò le gambe, piazzandosi tra esse, e risalì lentamente verso la sua testa, lasciando che la punta umida del pene di Irvine strusciasse lungo il suo corpo. Il suo prigioniero serrò le mascelle, contraendo i muscoli del collo, rimanendo a fissare il soffitto, fino a quando non si trovò davanti agli occhi il viso arrossato di Squall. La mano del suo superiore scese, infilando le dita tra i riccioli morbidi del suo pube. "Vuoi che vada avanti?" Annuì, inumidendosi le labbra. "Non credo di aver sentito." "Sì!" "Sì cosa? Ti ho detto di rivolgerti a me con il grado che mi compete, SeeD!" "Sì, comandante!" Con un sorriso perverso Squall tornò giù lungo il suo corpo, tra le sue gambe; gli morse lievemente l’interno delle cosce, accarezzandogli sinuosamente i fianchi con la punta delle dita, in un solletico provocatorio e sensuale; la sua lingua giocò tra le gambe di Irvine, concentrandosi prima sui testicoli, succhiandoli lentamente, esasperantemente, e poi scendendo sotto di essi, sulla pelle sottile e delicata. Gli tenne allargate le gambe e guardandolo dritto in viso chiuse la bocca sulla sua erezione. Irvine soffocò un grido di sorpresa, alzando la testa per contemplare Squall, incontrando il suo sguardo azzurro e scintillante; le labbra socchiuse gli tremavano e gli occhi verdi erano lucidi di aspettativa: aveva sperato, aveva voluto, aveva desiderato e sognato che potesse accadere una cosa simile, che Squall facesse l’amore con lui... Ed ora aveva la sua bocca, il suo calore addosso; la sua lingua accarezzava ogni vena, e intanto lo succhiava, si muoveva, lo portava sull’orlo dell’estasi... Per lì lasciarlo, insoddisfatto: senza concludere, Squall si fermò, si alzò in piedi, e con movimenti deliberatamente pigri, prese il suo accappatoio, lo infilò e annodò la cintura. "... Squall... perché?" La risposta che ottenne fu una breve, sommessa, risata. "Squall, non farmi questo... " La voce di Irvine era rauca, mentre giaceva sul pavimento, nudo, eccitato, ed ora anche spaventato.
Aveva capito cosa aveva in mente l’altro, ma sperava che non fosse vero; che non volesse prendersi quel tipo di vendetta... che non gli avesse fatto tutto solo per ripicca. Squall lo fissò soddisfatto, e si chinò a sussurrargli nell’orecchio. "Credevi forse che dopo quello che mi hai fatto ti avrei dato ulteriore soddisfazione? - gli attanagliò il viso con una mano, stringendolo con anche troppa forza - Chissà se finirà prima l’effetto della droga o il tuo arrapamento... quasi mi spiace che non sarò qui a vedere." Raddrizzandosi, Squall si accorse di non poter nascondere in alcun modo la propria erezione sotto l’accappatoio. Non era il caso di andarsene in giro così... ma la cosa gli diede un’idea su come poteva continuare ancora un po’ la sua tortura, stupendosi per primo di quanto sapesse essere sadico, se lo desiderava. Riaprì l’accappatoio e si masturbò, ripensando a tutto quello che era accaduto un quella stanza. Anche lui aveva addosso tanto eccitazione da sfogare da farlo impazzire, e le sue gambe cedettero per la potenza di quella sensazione; si ritrovò in ginocchio, accanto al ragazzo disteso sul pavimento, toccandosi sempre più freneticamente, spingendo ritmicamente le pelvi verso di lui, immaginando di essere dentro di lui, e a quel pensiero venne con un grido strangolato, schizzando il proprio seme davvero molto vicino ad Irvine, raggiungendo il suo viso. Rimase qualche istante a prendere fiato, con gli occhi semichiusi, poi rivolse lo sguardo a Irvine, che lo fissava, passandosi la lingua sulle labbra aride, mentre gocce di sperma gli colavano sulla guancia: ormai sentiva un dolore pulsante, intollerabile, inappagato. Gemette ancora il nome di Squall, come un’implorazione. Il giovane Leonhart era sicuro di non aver mai visto nessuno avere così disperatamente bisogno di venire scopato. Ricomponendosi, si alzò, si pulì la mano sull’accappatoio, gli voltò le spalle e si diresse verso la porta. "Fermo!... non riesco a... Ti prego!" La frase finì in un singulto frustrato. Quel respiro spezzato era delizioso per Squall... e sentirsi pregare ancora meglio, ma non aveva nessuna intenzione di accontentarlo. "Dovevi pensarci prima di provocarmi." Posò una mano sulla maniglia, godendosi ancora per un momento i lamenti del ragazzo che stava lasciando in quella avvilente e umiliante situazione... sai che scena se il proprietario del bagno lo avesse trovato così... anche uno come Irvine avrebbe provato imbarazzo. Soddisfacente. Davvero soddisfacente. Si fermò per un attimo, dandogli le spalle, e chinò il capo. "In ogni caso... considera conclusa la nostra amicizia. " Disse con voce di vetro, prima di uscire e andarsene. E dall’altra parte di quella porta, Irvine sentì la propria vita crollargli addosso.
TEARS (IRVINE pov)
Solo il tempo di riprendersi dall’intorpidimento che segue l’orgasmo, e si alza, lasciandomi da solo nel suo letto. Si dirige nel bagno e dopo pochi istanti sento lo scroscio dell’acqua nella doccia. Anche oggi, come ogni sera, dopo quanto è accaduto all’hamam. A questo punto, di solito, mi rivesto e me ne vado, in silenzio. Ma stasera... stasera proprio non ce la faccio. Idiota. Stupido. Idiota idiota idiota che non sono altro. Ho rovinato tutto, con le mie mani. Mi era sembrata una magnifica idea, ed ora vorrei pestarmi a sangue, se potessi. La cosa peggiore è che non ho nemmeno agito d’impulso... ci ho ragionato sopra: ho rubato la droga alla Kadowaki, ho aspettato l’occasione propizia... per averlo per me. Dalla prima volta che l’ho rivisto, dopo la nostra infanzia, non ho potuto pensare ad altro: conquistarlo. E cosa ho ottenuto? Il suo corpo, non il suo cuore. Io stesso per lui non sono nient’altro che un corpo. Un corpo senza importanza. Qualcosa su cui scaricare lo stress. Mi chiese... se sono solito violentare le persone che amo... ma io volevo solo... volevo solo che lui si accorgesse di me, finalmente, non soltanto come un commilitone. Volevo fargli capire che non c’è nulla che desiderassi quanto lui... lui, che è così bello, dentro e fuori, ed io sono riuscito a farmi disprezzare da una persona così meravigliosa. Come ho potuto illudermi di vincere il suo affetto ingannandolo? Da quel giorno, per lui esisto solo la notte, come uno strumento attraverso il quale raggiungere il proprio piacere. Ogni volta che mi tocca so che lo fa per insultarmi, che farmi godere è per lui solo un altro modo di umiliarmi, il più bruciante. Prima almeno avevo la sua amicizia, adesso non più. Non mi parla quasi, quando siamo da soli, poco più che monosillabi, freddi e taglienti come lame di coltelli... giusto se ci sono gli altri mi rivolge la parola, per salvare un’apparenza di normalità. Se mi odia ha tutta le ragioni per farlo. Ma... io... Sto male. Dio quanto sto male, non credevo di poter soffrire tanto. Ed è tutta colpa mia, solo mia. Se mi fossi fatto avanti come una persona civile, e non comportandomi come un’animale in calore... forse avrei anche potuto sperare... forse almeno avrei conservato il suo rispetto. Ma così... così... poco ci manca che mi getti una manciata di denaro, dopo, come si fa con le puttane. Se gli dicessi che continuo ad amarlo comunque, mi riderebbe in faccia. O mi guarderebbe con disprezzo, senza nemmeno darmi una risposta... con quei suoi occhi chiari, magnetici, ma che sanno essere così freddi e vuoti. Squall, lo so, ho sbagliato... ma tu sei crudele. Ti ho chiesto perdono, e te lo chiedo ogni giorno... con ogni mio gesto io non faccio che chiederti scusa. Se tu me lo chiedessi, morirei per te anche in questo stesso momento. Farei tutto, tutto, per te. Non mi hai fatto scontare abbastanza il mio errore? Ho sbagliato per amore, questo non mi giustifica almeno un po’? Non puoi ridarmi un brandello della tua amicizia, un po’ del rispetto che avevi per me? È come se una mano rinsecchita mi stritolasse il cuore e la gola... tutta la mia angoscia disperata mi è montata dentro, vorrei sprofondare, vorrei che questo materasso si aprisse e mi ingoiasse, per sempre. Tanto a lui non importerebbe nulla. Sento l’acqua smettere di scorrere, tra poco sarà qui... so che dovrei affrettarmi ad andarmene, ma non ci riesco... è come se il mio corpo fosse già nel sonno, e solo la mia mente sveglia. Sto per addormentarmi e non riesco a muovermi, non potrei alzare un dito, nemmeno pronunciare una parola, neanche se ne andasse della mia vita. Che strana sensazione... mi sento così incredibilmente pesante... anche la mia anima è pesante, come un macigno. La mia mente è talmente indifesa, ora, che sento la sofferenza e la solitudine acute come non mai; sono come un baratro che mi si spalanca davanti e che proclama la mia vita, i miei sentimenti. Contro ogni mia volontà, le lacrime iniziano a sgorgare dai miei occhi chiusi, mentre sono raggomitolato su un fianco, come un bambino spaventato dai fantasmi che si nascondono nel buio...un buio che è tutto dentro di me. Non voglio vivere in questo modo, venendo disprezzato da te... non voglio che tu mi odi. Per favore Squall, non odiarmi più... non odiarmi più. Cigolando, la porta del bagno si apre. Sento i suoi passi nudi e leggeri che si dirigono verso il letto, e che poi si fermano per un momento. Sarà stupito di vedermi ancora qui, si chiederà con che diritto ho osato addormentarmi qui, nel suo letto, come se tra noi ci fosse qualcosa di importante. Ancora non sto dormendo, no... ma lo vorrei, vorrei essermi già perso in quella piccola morte, per avere qualche ora di sollievo, di dimenticanza; il sonno, mio unico nepente. I passi riprendono, sento il materasso cedere sotto il suo peso. Non un suono. Non una parola. Stai per scuotermi bruscamente ordinandomi di levarmi dai piedi, vero? ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... Cosa?! Una mano gentile e fresca asciuga le mie lacrime... mi accarezza i capelli. Squall, sei davvero tu? Il suo bacio sulla mia fronte... lungo e dolce, il più dolce che possa esistere, così diverso dagli altri... come se... come se... Irvine, Irvine, non addormentarti ora... non lasciare che questo momento vada perduto! Digli ancora quello che provi, adesso! Forse non è vero che per lui sei solo un corpo... Diglielo! Ma non ci riesco... il mio ultimo barlume di coscienza scivola via proprio nell’istante in cui mi attira a sé; mentre mi stringe fra le braccia mi addormento... e il mio ultimo pensiero, prima di cadere nel sonno, come sempre, è per lui.
Continua... con "Squall".
WORDS (Squall pov)
Irvine... sei ancora qui... Le altre volte sei sempre scappato come un ladro dal mio letto... Ogni notte, dopo averti avuto, devo andare a rifugiarmi sotto l’acqua tiepida della doccia... lo faccio solo perché se rimanessi al tuo fianco potrei lasciarmi sfuggire una confessione che non sono pronto a fare... e quando torno, tu non ci sei più. Con mio sollievo. Con mio dolore. Ma oggi sei rimasto... e vedendoti qui questa stanza mi sembra addirittura bella. Sono felice che tu non sia andato via. Stai già dormendo? Pare di sì... ... Che cosa?... lacrime? Le asciugo, non voglio che tu pianga. Mai. Perdonami. Ora che dormi, e che non sai... solo in un momento come questo posso aprire il mio cuore. Posso lasciare in un solo, sincero, bacio tutte le cose che vorrei dirti. La tua fronte è calda, quasi come se tu avessi la febbre. Che buon profumo hanno i tuoi capelli, e quanto sono morbidi, sembrano fili di seta; sapessi quante volte ho voglia di accarezzarli, e mi trattengo a forza del farlo. Voglio stringerti, tutta la notte, come non ho mai fatto, addormentarmi con te fra le braccia. Così, in questo modo. Spengo la luce e rimaniamo nell’oscurità, e mi sembra che al mondo non ci siamo che tu ed io. È mia la colpa della tua tristezza, lo so. Non potrò mai chiederti scusa abbastanza se sono la causa del tuo pianto... così non faccio che tacere, ma che altro potrei fare? Non dovresti darmi tanta importanza, non vale la pena di soffrire per me. Lo so che mi ami ancora; non me l’hai più ripetuto, Ma posso leggerlo nei tuoi occhi. Sai, non riesco mai a guardarli troppo a lungo... so che mi ci perderei, so che se lo facessi non troverei più la strada per tornare indietro. E so che capiresti tutto anche tu, se i nostri occhi potessero specchiarsi gli uni negli altri anche solo per qualche secondo più del dovuto... Sono un vigliacco che non ha il coraggio di lasciarsi andare ai propri sentimenti, e che per questa paura ha sempre scelto di essere solo, apatico, distante da tutto e da tutti. Tu invece sei così... vivo, così entusiasta, ma io sto spegnendo la tua fiamma. E tu non provi neanche a difenderti. Quella sera passasti a viva forza attraverso tutte le mie difese, con l’inganno... ed io, nel mio orgoglio ferito, ti ho detestato, mi sono sentito umiliato, tradito, insultato. Avrei voluto ucciderti. E poi ho subito preso la mia vendetta, mortificando te nella maniera peggiore... perché se tu mi prendesti per amore, io ti toccai con odio, e per odio. Ma il tuo sguardo, così pentito, così triste e sofferente, quando tornasti da me, quella stessa notte, sciolse il mio ghiaccio, completamente, inaspettatamente, in un solo momento. Il dolore scritto con le lacrime sul tuo viso fece inaspettatamente evaporare all’istante la mia rabbia. Però non sono riuscito a dire una sola parola per farti sentire meglio. Non sono riuscito a dirti nulla di gentile. Eri nella ragione: io non mi sarei mai accorto dei tuoi sentimenti, e se me li avessi confessati ti avrei rifiutato, allontanato, persino evitato, così come mando via tutti quelli che vogliono avvicinarmisi troppo. Quello era l’unico modo che avevi per costringermi a venir fuori dalla mia armatura. Un’armatura che tu hai demolito. Ho eretto a mia nuova difesa un muro di spine, ma non basta, e non funziona: ferisce te ogni volta che cerchi di toccare la mia anima... ma fa più male a me, mi scortica il cuore e non mi protegge affatto. Perché allora continuo a tenerlo in piedi? Perché temo così tanto il sentimento che provi per me? Perché devo essere così atterrito dall’idea di ammettere che ti amo? Non so come sia stato... ma l’amicizia che era annegata nell’odio è risorta, splendente, accecante, come amore... il Destino ha una mente contorta, vero? Se solo riuscissi a dirtelo, se potessi confessare che ti ho già perdonato da tempo... Se potessimo comportarci come dei giovani qualsiasi... Ma non lo siamo. Siamo SeeD, i migliori mercenari che esistano, e l’ostacolo è proprio questa cosa maledetta per cui abbiamo faticato per anni... e poi la guerra. Per dei soldati i sentimenti sono un intralcio, una distrazione pericolosa... una sorgente di dolore, perché... Perché potremmo morire domani stesso, lo sai bene anche tu. E se ti perdessi... il sangue nelle mie vene diverrebbe solo acqua. Smarrirei me stesso. Impazzirei all’istante. Niente più avrebbe senso senza di te. Non avrei senso io. E se io morissi, che ne sarebbe di te? Non voglio che tu sprechi sulla mia tomba una sola lacrima, un rimpianto, un sospiro... non voglio che tu soffra, se io dovessi morire. Ed è così probabile da essere quasi una certezza, che io presto incroci il cammino di un nemico più forte di me. Per questo cerco come posso di costringerti a cancellare l’amore che provi; ma tu, testardo ed imperterrito, continui a guardarmi con quegli occhi agonizzanti, che mi chiedono un perché che non riesco a confessare. Irvine, ti prego, torna ad essere quello di sempre, non farti fare del male da uno come me. Reagisci. Non badare ai miei silenzi, alla mia freddezza... è solo una maschera, e temo che possa scivolarmi da un momento all’altro, permettendoti di vedere il mio volto. In ogni momento ti vorrei stringere, ogni notte vorrei restare qui insieme a te, abbracciandoti, come adesso. Ma ho così paura. Dell’amore, della vita, di me stesso e della mia fragilità... Per questa paura sto costringendo entrambi a un’inutile dolore. Ti prego, amore, aiutami. Perdonami. Consolami.
FINAL LOVE
Il sonno ormai era quasi svanito, ma lo avvolgeva ancora, leggero, rassicurante... era come un tepore scuro e ovattato, a cui non si può far altro che abbandonarsi fiduciosi. "Irvine... " Qualcuno lo stava chiamando; era una voce importante, ma lui voleva ancora cinque minuti, solo cinque minuti prima di permettere alla coscienza di rimpossessarsi di lui e al giorno di ricominciare. "Irvine... " La voce aveva un tono più pressante, e lui si voltò su un fianco, mugugnando qualcosa di incomprensibile. "IRVINE!" Questa volta l’intonazione più alta e decisamente spazientita. Irvine Kinneas spalancò gli occhi e li strinse immediatamente, disturbato dalla luce che inondava la camera. Si tirò su appoggiandosi al gomito, sbadigliando leggermente. Per un momento si sentì confuso: quello non era il suo letto. Squall, già quasi perfettamente vestito, gli tirò i suoi abiti senza troppe cerimonie, bruscamente, facendolo sussultare. "Vedi di fare alla svelta." Irvine strinse fra le mani la propria camicia, spiegazzandola e non curandosene minimamente. Ricordava, ora. Si era addormentato nella camera di Squall. Ricordava anche il suo bacio... l’abbraccio nel quale lo aveva stretto gentilmente mentre lui s’addormentava. Un solletico piacevole gli percorse lo stomaco a quel pensiero, e sentì un calore dolce diffonderglisi sulle guance e nel petto. Ma... Osservò il compagno che si allacciava le fibbie della cintura, e poi, davanti allo specchio, mentre riavviava distrattamente i suoi capelli castani con le dita, senza rivolgergli nemmeno una parola. Il gesto d’affetto di Squall doveva averlo sognato... . Il suo contegno era distaccato come sempre. Non lo aveva nemmeno salutato... a meno che "vedi di fare alla svelta" in qualche parte del mondo non significasse ciao o buongiorno. Quel viso riflesso nello specchio era così bello, quasi perfetto ... ma impenetrabile, quasi sempre privo d’emozione; era come l’esercizio di stile di un artista abile, che però non riesce a infondere anima alla sua opera... L’abbraccio di quella notte era stato solo un sogno... quel momento perfetto... soltanto un sogno.
"Sei ancora lì?" Dalla porta, il giovane Leonhart lo guardava con disapprovazione, sprizzando rigore marziale da tutti i pori. Eccolo, il comandante dei SeeD. Il miglior studente del Garden. Con gli occhi della mente, Irvine rivide anche un piccolo bambino spaventato, che domandava dove era sua sorella. Quel bambino era cresciuto, era cambiato. Era perso per sempre. "Mi alzo, mi alzo." Rispose con rassegnazione, abbandonando le lenzuola. "Mn. Io sarò in sala comando con gli altri, raggiungici lì quando sarai pronto."
Squall uscì dalla camera e percorse un tratto di corridoio a lunghi passi, poi rallentò l’andatura fino a fermarsi e si voltò a guardare indietro. Sospirò. Era riuscito a ferirlo ancora. In parte involontariamente, in parte con intenzione. Se almeno lo sguardo di Irvine non fosse stato così trasparente, le sue emozioni così perfettamente leggibili, cristalline... Prima o poi lo avrebbe perso, sarebbe stato mandato al diavolo, e sapeva di meritarlo... Ora che aveva dormito una volta accanto a Irvine come sarebbe riuscito a farne a meno? Ignorare i proprio sentimenti sarebbe diventato ancora più difficile... se fosse tornato indietro, da lui, e lo avesse soffocato di baci, e gli avesse detto ti amo, stiamo qui ora, niente altro è importante, facciamo l’amore, perché in realtà non lo abbiamo mai fatto, facciamolo per ore e lasciamo che gli altri se la cavino da soli, anzi, abbandoniamo i SeeD, andiamocene, io e te, vivremo in un bel posto, vicino al mare, o dovunque tu voglia andare, e staremo insieme finché saremo vecchi, fino alla morte e poi in un’altra vita, perché noi ci ritroveremo sempre... Fece per tornare su suoi passi, ma si fermò, cambiando idea. Un giorno avrebbe trovato il coraggio. Alla fine della guerra, se fossero stati ancora vivi... e se Irvine non l’avesse odiato troppo, allora gli avrebbe detto tutto, gli avrebbe dimostrato tutto. E avrebbe chiesto perdono. Alla fine della guerra. Non un giorno prima. Irvine aprì l’acqua e rimase a fissarsi nello specchio. Era una sua impressione o la sua pelle stava acquisendo un’aria spenta? Il suo bel colorito ambrato stava innegabilmente impallidendo. Se continuava così avrebbe perso la sua aria da irresistibile latin-lover. Era il caso di fare qualcosa per tornare ad essere il solito, affascinante cow boy... magari prendere un po’ di sole... [Sciocco Irvine, più vanitoso di una donna.] Pensò con un sorriso disperato, e appoggiò la fronte contro la superficie fredda dello specchio, chiudendo gli occhi. Perché non lo lasciava perdere? Perché non si buttava alle spalle quella storia... quell’inferno... con Squall e non cercava di riprendere la sua vita quale era prima? Magari cercandosi qualcuno che facesse almeno finta di volergli un po’ di bene, qualcuno che fosse diametralmente l’opposto di quel taciturno lupo solitario ... magari una ragazza, ciarliera, sempre allegra e anche troppo espansiva, con almeno la quinta di reggiseno.
Sorrise. Quella ragazza, quinta taglia a parte, la conosceva già. Era Selphie, e lui l’adorava, era un’amica meravigliosa, ma niente di più. Avrebbero potuto essere perfetti assieme, lo pensavano tutti, ma non era innamorato di lei. Cosa fa scoccare la scintilla dell’amore? Possibile che fosse davvero solamente una questione di ormoni? Altrimenti, con tante persone che lo apprezzavano davvero, e che lui trovava piacevoli, perché aveva deciso di immolarsi quotidianamente sull’altare di qualcuno che non provava nulla per lui ... se non un certo fastidio, quando erano al di fuori di un letto? Perché non la piantava di presentarsi con il cuore gonfio di tristezza a quei segreti appuntamenti notturni? Tanto, anche se lui non fosse andato, a Squall non ne sarebbe importato niente. Non lo avrebbe cercato, non gli avrebbe mai chiesto "Irvine, c’è qualcosa che non va?". Si chinò a gettarsi sul viso acqua gelida, per ricacciare indietro l’amarezza, per ingoiare le lacrime prima che potessero sgorgare un’altra volta. In tutta la sua vita, prima d’allora, non era mai stato infelice. Nonostante tutte le difficoltà e le avversità che aveva dovuto affrontare, era sempre riuscito ad essere ottimista, fiducioso, sicuro di sé; in quel modo era sempre riuscito e tenere sotto controllo la propria fragilità, le proprie paure e insicurezze. Ma quello era una vita fa... Ora voleva solo rifugiarsi in un posto dove nessuno lo potesse raggiungere, crogiolarsi nel dolore e non fare nulla, dimenticare tutto, dormire per sempre.
Tuttavia, l’Irvine che varcò la soglia del ponte di pilotaggio del Garden aveva un’aria rilassata, quasi allegra, salvo che qualcuno non si fosse soffermato a guardarlo negli occhi. "Allora gente, dove andiamo, uhm?" "Hai mai sentito parlare delle rovine di Centra?" Chiese Zell. "Ah, io detesto quando sento rispondere ad una domanda con una domanda. In ogni caso, sì, vagamente." "Bene, perché siamo diretti là." "Che c’è da vedere in un cumulo di macerie?" Quistis si tolse gli occhiali e cominciò a pulire le lenti con un lembo del vestito, assumendo un’aria molto "da insegnante", quale era stata, del resto. "Pare che in quelle rovine si trovino delle Guardian Force. Odin, per esempio. E noi abbiamo intenzione di trovarlo e riuscire a conquistarlo." "Ecco, ci siamo quasi. Quella è Centra." Annunciò il pilota. Il gruppo guardò le imponenti vestigia, spettacolari in mezzo al deserto. "Bene. La squadra di sbarco sarà formata da me, Zell e Quistis. Pronti a scendere." Decise Squall, saggiando la lama del gunblade.
"Senti, comandante - si intromise Irvine - questo è il sesto sbarco consecutivo da cui mi tieni fuori. Hai portato con te persino Rinoa, che come combattente vale meno del mio cappello, ma continui a tenere me a girarmi i pollici qua dentro. Si può sapere il perché?" Quella era un’altra delle cose nel comportamento di Squall che lo stava esasperando. Lui era un tiratore scelto, era agile e resistente, abile, ed il suo posto non era certo quello dello spettatore. "Perché ho deciso così. Non sono tenuto a dare spiegazioni ai sottoposti." Squall si avviò all’uscita, ma Irvine lo afferrò per un braccio, obbligandolo a voltarsi. "Non te lo sto chiedendo come soldato, ma come persona. Sempre ammesso che per te io lo sia." Quelle parole lo colpirono come una pugnalata, gli risucchiarono tutto il fiato dai polmoni. Avrebbe voluto dare un manrovescio ad Irvine, per aver pensato una cosa simile, ma poi si rese conto che, ultimamente, non gli aveva dato occasione di poter credere il contrario. "Sta a me pianificare l’azione nel migliore dei modi, scegliendo gli elementi con le doti che potranno tornare più utili nel combattimento o nell’esplorazione. - recitò con voce monocorde - Si chiama strategia militare." "Stronzate!" "Finiscila, Irvine." "No. Sono stufo! Mi stai tagliando fuori da tutte le azioni. Perché?" "Ti ho già detto che... " "Voglio il vero motivo, non una scusa ipocrita! Dì la verità. Non ti fidi di me?" Urlò quasi. Il comandante non rispose. "Non ti fidi di me?" Chiese di nuovo Irvine, a voce più bassa, stringendo i pugni. "No." Mentì Squall, sentendo qualcosa dentro sé andare in migliaia di pezzi; ignorando lo sguardo addolorato dell’altro, rincarò la dose. "Guarda la tua reazione a tutto questo: sei diventato emotivo, Irvine. Un cecchino emotivo, dove si è mai visto? Come posso fidarmi di te? Se perdi il controllo durante una manovra le cose potrebbero precipitare... E ti ricordo che è già successo."
Ogni singola parola stava facendo sanguinare Irvine, ma non meno Squall. Non avrebbe mai voluto rinfacciargli la sua esitazione nello sparare ad Edea... perché non era giusto, e perché non era stata colpa sua se l’attacco era fallito. Gli altri presenti assistevano allibiti ed increduli alla scena, scambiandosi sguardi imbarazzati e interrogativi. Irvine deglutì e mosse la testa con uno strano scatto nervoso, poi fece un sorriso tremante. "Grazie. Almeno ora me l’hai detto, così non ci penso più." Con un cenno di saluto si allontanò e sparì nell’ascensore, abbandonando il ponte. Squall sospirò profondamente, ma una potente gomitata nelle costole gli mozzò il respiro. "Bravo, complimenti. Nemmeno Seifer sarebbe riuscito ad essere così detestabile!" Lo aggredì Selphie, e poi corse dietro ad Irvine. "Squall, che cosa ti è p-" Tentò Zell. "Silenzio! Preparatevi a scendere e basta!" Dincht guardò Quistis, che si strinse nelle spalle.
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"Irvine, hey, aspettami!"
Selphie corse fino ad affiancarglisi, poi prese il suo passo, seguendolo lungo il corridoio. "Accidenti, cammini veloce!" Il ragazzo non rispose, si limitò ad annuire senza guardarla, con le mani sprofondate in tasca. "Irvy... - lo prese a braccetto, cercando di rallentare la sua andatura - senti, non prendertela troppo. Lui può dire quello che vuole, ma qui nessuno pensa che tu sia di intralcio. Anzi... " "Va tutto bene. Vorrà dire che avrò tempo da passare in biblioteca, è un bel po’ che non leggo un libro." "Finché affermi che è tutto ok con quell’aria distrutta, nessuno ci crederà, sai? Hai voglia di parlarne? A volta sfogarsi fa sentire meglio." "Grazie ma... so che non funzionerebbe." Si era già inutilmente sfogato tante di quelle volte, da solo, nella sua stanza, pieno di collera e d’afflizione, prendendo a calci i mobili, o scoppiandosi in palestra fino a quando ogni singolo muscolo del suo corpo non urlava di dolore... in coro con la sua anima. Selphie alzò verso di lui uno sguardo pensieroso. "Che cosa è successo fra di voi?" "Nulla... evidentemente non gli vado a genio. Non si può essere simpatici a tutti, giusto?" "Ma se fino a qualche tempo fa andavate d’accordo! Vi parlavate tranquillamente e combattevate assieme. Insomma, eravate fianco a fianco anche quando siamo entrati nella Tomba del Re Senza Nome, e tu e lui avete sconfitto Seclet e Minotaur con un affiatamento e un coordinamento tali che pensavo steste pensando con lo stesso cervello. Io non ho dovuto fare praticamente nulla! Adesso invece tra voi c’è una tensione continua, Squall ti tiene a distanza, ti tratta duramente e tu, invece di prenderlo a pugni come dovresti, lo lasci fare. Conosco pochi motivi per i quali i rapporti tra due persone possano precipitare in questo modo." - una breve pausa - C’è di mezzo del sesso?" Irvine quasi inciampò nei suoi stessi piedi. Si fermò di colpo e si voltò a guardare Selphie con occhi spalancati all’inverosimile. Lei continuò con tono schietto. "Perché sai, una cosa simile è capitata ad una mia amica, a Trabia. Andava molto d’accordo con un nostro compagno di corsi, uscivano spesso insieme e sembravano divertirsi un sacco... poi, da un giorno all’altro, hanno cominciato a trattarsi freddamente, addirittura ad evitarsi. C’era stata una mezza storia tra loro, ed era finita male, non so per colpa di chi. Lei me ne ha parlato solo tempo dopo, credendo di rivelarmi chissà cosa, ma io avevo già capito tutto dal loro comportamento... e non solo io, ma anche tutti gli amici della nostra compagnia. E questa situazione mi ricorda un po’ quella. Così mi sembra d’aver intuito che... tra di voi... beh... " Irvine ricominciò a camminare, sempre affiancato dalla ragazza.
"E secondo te lo hanno intuito anche gli altri?" "Bah, non credo, non ancora. Questo era un sì, Irvy?" "In parte. Se lo chiedessi a Squall ti direbbe che c’è di mezzo solo del sesso; ma se lo chiedi a me... non soltanto quello." "Vorresti dire che... insomma... che sei innamorato di lui?" "Già. Patetico, vero? " "E lui lo sa?" "Sì, gliel’ho già... detto." "Lo sa, viene a letto con te e poi ti maltratta in quel modo? Ma che razza di verme! Oh, scusa, non intendevo offendere il tuo... no, anzi, intendo offenderlo eccome! Non è il modo di comportarsi! Se hai intenzione di lasciarlo fare ci penso io a strigliarlo a dovere. Ora lo raggiungo a Centra e mi sentirà!" Selphie si era già voltata ed era pronta ad andarsene, ma Irvine le afferrò una mano, fermandola. "Non fare niente del genere, per favore." "Ma perché? Irvine, lui ti sta calpestando!" "Questa è una cosa che deve rimanere tra me e Squall. Devo risolverla da solo... e poi, se tu andassi a prenderlo per il collo, penserebbe che ho cominciato a farmi difendere dalle ragazze, e sarebbe ancora peggio." C’era dell’altro... se lei avesse saputo come erano andate veramente le cose, sin dall’inizio... che era stato lui a cominciare... tutta la simpatia che aveva per lui sarebbe sicuramente svanita. Lo avrebbe guardato anche lei con disprezzo, e avrebbe dato ragione a Squall... negandogli qualsiasi conforto. E la sua colpa sarebbe diventata ancora più difficile da espiare. Chi avrebbe mai voluto consolarlo, sapendo come si era comportato? "Ma forse... " "Lascia stare. Fai finta che non sia successo niente, ok? Adesso... adesso che ne dici di una partita a Triple Triad? Non mi hai ancora spiegato le regole che usate dalle tue parti." Selphie acconsentì, ma a malincuore. Riusciva benissimo a vedere quanto Irvine fosse triste, già da tempo, anche se lui si ostinava a fingere la solita spavalderia. Con che cuore Squall poteva fargli così tanto male? Squall Leonhart guidava risolutamente i suoi due compagni, camminando loro davanti di alcuni passi, ma la sua concentrazione non era certo al massimo. Non riusciva a levarsi dalla testa il diverbio con Irvine. Non avrebbe dovuto dirgli che non si fidava di lui: non era vero... lo aveva sminuito, umiliato davanti ai suoi compagni. Quel testardo di un cow boy...perché non poteva accettare e basta quelli che erano i suoi ordini, invece di discutere?
Tenerlo lontano dai campi di battaglia era il suo modo di proteggerlo, di metterlo al sicuro, l’unico che avesse. Forse non ne aveva bisogno, magari si sarebbe anche offeso se glielo avesse detto; ma tanto, comunque, non voleva rivelargli la vera ragione. Non poteva certo dirgli ‘perché ho paura che ti accada qualcosa’... Ricordò di quando Kinneas era stato dato per morto nell’esplosione della base missilistica... quella volta Squall aveva provato davvero dolore, paura... senso di colpa per averlo mandato laggiù... e un vuoto enorme là dove avrebbe dovuto esserci il suo cuore. Quando, qualche giorno dopo, lo aveva visto saltare fuori vivo e vegeto da quella specie di carro armato mezzo distrutto si era sentito invece così felice... Aveva preso quella sensazione per la gioia di sapere salvo un amico e compagno d’armi, ma ora si chiedeva se non fosse un altro sentimento, ancora allo stato embrionale, sepolto tra le pieghe del suo inconscio. Forse era così... perché, insieme a lui, erano state date per morte anche Quistis e Selphie, ma tutto ciò che era riuscito pensare, quando si erano ritrovati, era stato ‘Irvine è vivo! Irvine è vivo!’. Erano via dalle sette del mattino... si erano fatte le sedici passate ed ancora niente... neanche una comunicazione. Che situazione snervante... Inutile negarlo, era angosciato da morire. Conquistare una Guardian Force non era facile... e chissà quali altri pericoli si nascondevano tra quelle rovine. Forse era successo qualcosa di grave... All’inferno gli ordini. Squall avrebbe potuto urlargli in faccia quanto voleva, dopo, ma lui sarebbe sceso per cercarli. Varcando di corsa la soglia dell’hangar si scontrò con Zell.
"Ragazzi, finalmente!" Esclamò, sentendosi molto più leggero. Zell e Quistis sembravano in forma perfetta, Squall invece aveva una brutta ferita coperta di sangue secco vicino al sopracciglio destro, che scendeva costeggiando l’occhio. "Stai bene?" Chiese preoccupato, avvicinandoglisi per esaminare il taglio; Squall lo spinse da una parte e con faccia buia marciò fuori dalla stanza, senza dire una parola. "Non farci caso - commentò Quistis - pensa che il suo umore è già notevolmente migliorato rispetto a poco fa." "Che è successo?" "Non tutto è andato esattamente come da lui preventivato." "Non ce l’avete fatta con Odin?" "Con lui sì... è stato meno peggio di quel che pensassi. Ma c’era un’altra Guardian Force, e non siamo riusciti a impadronircene." "Una specie di ridicolo tartarugone bipede." Spiegò Zell, scrocchiandosi le nocche. "Ridicolo solo a vedersi... era molto forte, e noi eravamo già esausti per il combattimento contro Odin... e contro qualche altra decina di mostriciattoli spaventosamente resistenti. Squall si era proprio intestardito... lo conosco da sempre, ma non lo avevo mai visto in uno stato simile... con così tanta rabbia in corpo." "Io preferisco portare a casa la pelle, piuttosto che avere una Guardian Force in più... alla fine mi sono rotto e me ne sono andato per conto mio, mentre lui mi minacciava di corte marziale... secondo me quel ragazzo è troppo stressato. Comunque Quistis dopo un po’ lo ha convinto a lasciar perdere; non so proprio cosa gli abbia detto per riuscirci." "Non parliamone - sospirò lei - è stata la discussione più estenuante della mia vita." Irvine annuì e si guardò alle spalle, in direzione della porta da cui Squall era uscito. "Ehy, amico... " "Sì?" Chiese in tono distratto, prima di tornare a guardare gli altri due. "Non stare a roderti per ciò che Squall ha detto stamattina. Con quello che sta succedendo siamo tutti sotto pressione... lui particolarmente. Dire cose che non si pensano veramente è facile, in certi frangenti." "Grazie, ragazzi. Lo so." Sorrise lui. Ma non badarci, fare finta di niente, era inutile; solo una persona poteva farlo stare meglio, ed era da quella che sarebbe andato.
****
Tre colpi battuti alla porta. "Chiunque tu sia, vattene." Un attimo di silenzio. "Squall... " [Irvine?!] "A maggior ragione se sei tu." Seduto sul letto, appoggiato al muro, strinse più forte gambe al petto, chinando la testa sulle ginocchia. Non si sentiva di parlargli... aveva bisogno di qualche ora per calmarsi... per stare solo, per decidere. Aveva davvero, davvero esagerato quella mattina. Se non fosse sceso a patti con se stesso, se non avesse trovato la capacità di passare oltre i suoi blocchi e le sue paure, oltre alla sua confusione, avrebbe perso tutto. Irvine. Ed anche i suoi amici. Aveva bistrattato Zell e Quistis per tutto il giorno, si era comportato come un isterico... si era sfogato su chi non aveva nessuna colpa, niente a che fare con quella situazione assurda, ed era anche stato troppo imprudente e impulsivo durante i combattimenti; solo per un miracolo non ci aveva rimesso un occhio. Aveva lasciato che i suoi problemi personali interferissero con quelle che erano le sue responsabilità; tutto per colpa della sua indecisione, del suo turbamento. Quella situazione non poteva continuare: o essere del tutto sincero con Irvine o mandarlo via per sempre, liberandolo da quel gioco assurdo. Liberando entrambi. "Squall, per favore, ti devo parlare." "Torna nell’orario che ti compete!" Strillò, pentendosi immediatamente. Si morse violentemente le labbra e trattenne il respiro... sperando di sentire un insulto in rimando, piuttosto che il solito silenzio rassegnato. Ma non ci fu nessuna risposta. Squall attese ancora qualche istante. "Irvine? Sei lì?" Chiamò a mezza voce. Si alzò ed aprì la porta, affacciandosi su un corridoio completamente vuoto. Tornò sul letto, e si buttò giù schiacciandosi il cuscino sulla faccia con un gemito. La testa gli pulsava impietosamente... se fosse riuscito a dormire qualche ora, per schiarirsi le idee... poi, quella sera, avrebbe preso la decisione finale.
***
Irvine rientrò nella propria stanza con una voglia devastante di urlare, di prendersela con chiunque, di sfasciare tutto. Adesso sapeva esattamente quanto valore Squall gli dava. Nessuno. Niente. Zero. Il nulla più assoluto. ‘Torna nell’orario che ti compete’... significativo. Si rese conto che erano due giorni che non mandava giù un boccone; forse avrebbe fatto meglio a mangiare qualcosa, ma un nodo gli chiudeva la gola e lo stomaco... la sola idea di ingerire del cibo gli dava conati di vomito. Però forse... qualcosa poteva bere... Aprì l’ultimo cassetto dell’armadio e scostò gli indumenti, tirando fuori una bottiglia di vodka ancora intatta. Seduto a terra, tracannò un paio di lunghe sorsate, sentendo il liquore bruciargli la gola e spandersi come un fuoco maligno nel suo corpo. Si alzò e lasciò la bottiglia sul comodino; si sciolse i capelli e cominciò a spazzolarli, con violenza, senza curarsi di quanti, strappati, rimanevano nella spazzola. Lui si era messo in quella situazione... Colpo di spazzola. Ed ora ne pagava le conseguenze... Colpo di spazzola. Squall lo detestava, e allora? Colpo di spazzola. Anche lui lo detestava. Colpo di spazzola, troppo forte... si impigliò nel suo orecchino, strappandoglielo. Irvine si fermò, guardando il cerchietto d’argento caduto a terra. No, quello non era vero... mentire a se stessi non serviva. Diede un’occhiata al suo riflesso nello specchio, a quel ragazzo dai capelli lunghi e gli occhi spenti che non riusciva più a riconoscere. Irvine Kinneas era ancora lì dentro, da qualche parte? Andò in bagno ed aprì l’acqua della doccia, si spogliò, lasciando cadere a terra i vestiti uno dopo l’altro, scalciandoli poi in un angolo della stanza. Entrò nella cabina piena di vapore e rimase a lungo immobile sotto il getto d’acqua ... poi prese dal piccolo scaffale laccato il guanto di crine, e riservò alla sua pelle lo stesso trattamento inflitto poco prima alla chioma. Quando uscì dalla cabina si accorse di non avere neanche un asciugamano pulito a portata di mano. Rabbrividendo per il freddo andò in camera, e lanciò di traverso un’altra occhiata nello specchio. Sentiva un bisogno quasi morboso di guardarsi, negli ultimi giorni... e quello che vedeva non gli piaceva. Se possibile il suo aspetto era peggiorato ulteriormente: la sua pelle era arrossata e irritata quasi a sangue, a causa dell’acqua troppo calda e dello strofinio spietato. Si scordò completamente dell’asciugamano e si accucciò vicino al letto, prendendo dal comodino la vodka, e bevve ancora, mentre le gocce d’acqua scorrevano su di lui, formando piccole pozzanghere sul pavimento. Aveva voglia di pensare a qualcosa di allegro... qualcosa di positivo, per rincuorarsi e sentirsi in pace con se stesso. Ma per quanto ci provasse... e riprovasse... non riusciva. Tutto ciò che gli veniva alla mente erano solo i suoi fallimenti, le delusioni che aveva subito, quelle che aveva dato e quelle che avrebbe continuato a dare. Nessun bel ricordo, solo i momenti dolorosi, quei periodi bui che era riuscito a superare, ma che ora si mostravano di nuovo, spaventosi, più neri di quanto non fossero stati realmente. Gli errori e le paure... gli sbagli... tutti gli sbagli commessi, irreparabili. Quello sbaglio fatale, soprattutto, martellava la sua mente con sadica violenza. I dubbi e le incertezze che lo tormentavano, i desideri che sapeva non si sarebbero mai avverati. Le persone che aveva smarrito per sempre... i suoi genitori che aveva appena fatto in tempo a conoscere, prima che morissero... gli amici persi per strada... Il futuro era spaventoso, era difficile, e ne aveva paura. Paura del giorno che sarebbe venuto domani, e di quello dopo ancora, e ancora. Nessuno a cui appoggiarsi: terrore di non farcela, di dover affrontare tutto da solo. Perché lui era solo. E nessuno poteva capire. E poi, a chi sarebbe importato? [Non ce la faccio più... non ce la faccio più... non ce la faccio più... ] Irvine singhiozzava e bestemmiava, bevendo, e poi malediceva ancora tutti e se stesso. Era un debole, era inutile, cosa avrebbero pensato gli altri se lo avessero visto in quelle condizioni? Cominciò a intonare sottovoce una canzone che aveva imparato quando era bambino e tutto era ancora tutto così facile, e non c’era nessun problema... aveva insegnato la canzone ai suoi compagni d’orfanotrofio... anche al piccolo Squall; ma lui doveva averla dimenticata, come aveva scordato tutto il resto. Squall... Le parole persero significato, uscivano dalla sua bocca senza che riuscisse più a capire cosa volessero dire. La sua voce alfine si spezzò, e si ritrovò a singhiozzare e basta, con la testa fra le mani. L’alcol, come uno specchio distorto, aveva riflettuto impietosamente la sua vita dandole un aspetto grottesco, spaventoso, falso; nella sua mente rimase solo oscurità, ed era come una tetra prigione dalla quale non riusciva più ad uscire. Non sapeva dire per quanto tempo fosse rimasto in quello stato, ma quando ne uscì si sentiva gelido, intirizzito. Dovevano essere passate diverse ore... ormai era buio. Ancora un po’ di tempo e sarebbe andato a farsi torturare dal suo amato carnefice. Si alzò, su gambe che lo reggevano a mala pena, e andò alla scrivania, dove aveva lasciato il suo shotgun. Lo soppesò, accarezzando il metallo freddo e lucido. Ecco, tiratore scelto del Garden, ridotto a una misera apparizione, un ragazzo nudo e infreddolito che non si sentiva più in grado di affrontare se stesso e il domani. Tanto sarebbe valso... spararsi... era una facile via di fuga... BANG!... tanto non sarebbe mancato a nessuno. Forse solo a Selphie, un po’. Poi anche lei si sarebbe dimenticata di lui. Con un grido di rabbia, scagliò la pistola contro la vetrina dei suoi trofei, infrangendola. La coppa più bella, di cristallo azzurro, cadde per terra, finendo in pezzi. A Irvine sembrò quasi che fossero il suo passato ed il suo futuro ad andare in frantumi. Si avvicinò ai cocci e ne raccolse uno, tagliandosi un dito sul bordo. Guardò il rivolo scarlatto cominciare a scorrere lentamente e decise che, fino all’ultimo, lui restava un SeeD.
***
Squall si svegliò. Era riuscito a dormire qualche ora, ma malissimo. Doveva essersi appoggiato male sul braccio sinistro, perché gli faceva male, ed aveva la bocca amara ed impastata. Doveva anche aver sognato, ma niente di piacevole... gli restavano in testa solo fugaci immagini, bizzarre, quasi angoscianti, come quel tipo di incubi confusi che si fanno quando si ha la febbre alta. Si girò sulla schiena e rimase a guardare il soffitto. Restò come ogni volta ad aspettare il sommesso bussare, ma con più impazienza del solito. Perché dopo quella sera, in una maniera o nell’altra, le cose sarebbero cambiate per sempre. Aveva preso la sua decisione.
Irvine si lisciò sul petto la stoffa scura dell’alta uniforme. Non era passato poi molto dal giorno in cui l’aveva indossata per il conferimento del diploma. Per l’ultima volta guardò il suo riflesso; era praticamente perfetto, impeccabile... a parte l’espressione stravolta del suo viso. Si guardò in giro e riprese la bottiglia, dove erano rimaste solo due dita di vodka; non si era reso conto di avere bevuto così tanto. Forse per quello le ginocchia gli si piegavano, e la testa gli faceva tanto male, e girava, oh, come girava, ma era anche così leggera che aveva quasi voglia di ridere... ridere di dolore. Ora era pronto. Non c’era altro da fare, quella era l’unica cosa rimastagli per risolvere la situazione. Aveva provato e riprovato, ma Squall non lo aveva mai voluto ascoltare. Chissà se ora gli avrebbe prestato un po’ d’attenzione. Uscì dalla sua camera. Per andare a risolvere per sempre i suoi problemi.
[Il tempo sembra non passare, oggi.] Pensò Squall, continuando ad attendere, cercando di trovare le parole.
Attraversò i corridoi senza incontrare nessuno... sembrava che fossero tutti spariti, quella sera. Meglio così. Però, era bello il Garden, così quieto e silenzioso... sembrava tutto per lui. Raggiunse il centro di addestramento ed entrò.
Squall guardò l’orologio: le ventitré. Irvine arrivava sempre a quell’ora, minuto più minuto meno. Fissò la porta con aspettativa, provando stranamente agitazione e serenità allo stesso tempo.
Quando cerchi qualcosa non la trovi mai, pensò Irvine, avanzando vacillante. Durante un normale training non si potevano compiere più di dieci passi nel centro di addestramento senza essere attaccati da qualche mostro, ed invece lo aveva attraversato quasi tutto senza imbattersi in niente di niente. Le stelle congiuravano contro di lui; persino quello gli stava andando male. Un ruggito orribile, odore fetido, e si ritrovò davanti un Archeosaurus. [Finalmente.]
[Perché non arriva?... diavolo Squall, è solo un po’ in ritardo, un quarto d’ora! Ma... se non venisse più? No! Non può decidere questo, non proprio oggi che... ] Squall scattò in piedi e corse fuori, verso l’alloggio di Irvine.
Non reagì agli attacchi del mostro. Lasciò che lo aggredisse, lo colpisse, lo ferisse, lo sbattesse a terra. Voleva morire, ma non voleva che si dicesse che si era suicidato. Era troppo stanco, troppo stanco, sfiduciato, per continuare... voleva morire e voleva farlo con quell’uniforme addosso, l’unica cosa che gli fosse rimasta. Pochi minuti e sarebbe finito tutto... qualsiasi cosa ci fosse stata dopo sarebbe stata meglio di quello che stava vivendo.
Bussò, suonò e chiamò, ma non ottenne risposta. "Irvine, se ci sei, apri... ti prego." La porta continuò a restare chiusa. Se non era là, dove poteva essere? Lo avrebbe cercato... forse era in mensa, anche se l’ora era un po’ tarda per mangiare...
Cadde in ginocchio e chinò la testa, ansimante e pronto alla fine. Aveva ancora voglia di piangere: quanto è triste dover morire, anche se lo si desidera. Forse perché è triste desiderare di morire... sentirsi già così sconfitti da ritirarsi quando la partita è appena iniziata e le strade sono ancora tutte aperte... La sua bella uniforme era lacera e strappata, e sentiva il sapore metallico del sangue in bocca... respirare gli costava dolore e fatica... chissà quante costole spezzate aveva. Ancora poco... solo poco e tutto sarebbe finito...
"Dannazione!" Irvine guardò verso la persona che aveva parlato con l’unico occhio che riusciva ancora a tenere aperto. Zell... che ci faceva Zell con Quistis a quell’ora nel centro d’addestramento? Ma non era dalla direzione dell’Area Segreta che provenivano? Oh! Zell e Quistis insieme... chi l’avrebbe mai detto... peccato solo non poter esser vivo il giorno dopo per spettegolarne con tutto il Garden. Però... guardandoli... non erano una brutta coppia. "Shiva!" Era la voce di Quistis. "Quetzal!" Invocò Zell. La potenza unita delle due Guardian Force spazzò via l’Archeosaurus senza nessuna difficoltà. "Quistis, corri a chiamare la dottoressa!" Irvine sentì i passi veloci di lei che si allontanava di corsa, e poi Zell lo fece stendere con cautela. "Ma si può sapere che t’è preso, amico? Perché sei venuto qui disarmato? Perché non ti stavi difendendo?" Fece per rispondergli, ma la voce se ne era completamente andata, dalla sua bocca uscì solo un singulto.
"Dio, che puzza d’alcol - disse Zell con una smorfia, e notò la bottiglia a terra, poco distante - Sei ubriaco! Non dovrebbero esserci super alcolici nel Garden! Oh Irvine, testa di cazzo, ti sei messo in un grosso guaio... Ma ora cerca di resistere, avanti."
Era già passato dalla mensa e non c’era... e nemmeno lì in biblioteca... Squall riallineò soprappensiero un paio di libri che sporgevano dallo scaffale. Ma dove era andato?
Quando i soccorsi arrivarono, Irvine era clinicamente morto da quasi un minuto. Zell si era fatto prendere dal panico nel momento in cui lo aveva visto smettere di respirare; aveva tentato il massaggio cardiaco, ma alla pressione delle mani sentì il crac di una costola incrinata che si rompeva del tutto, e quello spazzò via il resto del suo autocontrollo. Quistis lo allontanò, lasciando che il medico facesse il proprio dovere. Il tempo passato era così poco che la Kadowaki sarebbe sicuramente riuscita a riprenderlo senza che patisse danni cerebrali... o almeno così speravano. E la dottoressa ce la fece. Irvine riprese a respirare da solo, anche se debolmente.
Poteva controllare ancora nel Centro d’addestramento... magari era andato a spezzare le ossa a qualche mostro immaginandosi che fosse lui... ma non avrebbe potuto scegliere un’altra sera? La porta gli si spalancò davanti quando era ancora troppo lontano perché la fotocellula registrasse la sua presenza, e quasi venne investito da una barella spinta a tutta velocità dalla dottoressa e da un infermiere. Dietro, pallidi, c’erano Zell e Quistis che si tenevano per mano. Ma quell’informazione venne a mala pena registrata dal suo cervello. Tutta la sua mente era rivolta solo alla figura che era stesa sulla barella, ferita, sanguinante, e al suo volto, nascosto dietro una maschera ad ossigeno.
"COSA È SUCCESSO?" Gridò, afferrando l’infermiere per un braccio. "Lo saprai dopo, ora non abbiamo tempo da perdere." "COSA È SUCCESSO?" Ripeté, senza mollare la presa. I suoi amici biondi lo presero gentilmente per le spalle, tirandolo indietro, costringendolo a lasciare l’uomo. "Devo andare anch’io con loro... cosa... cosa è successo al mio Irvine?" Chiese sotto shock, tentando di divincolarsi. "Non puoi andare, Squall. Ora solo il dottore lo può aiutare, è ferito gravemente. Dopo andremo a trovarlo, quando sarà fuori pericolo." Spiegò con calma Quistis, ignorando, o fingendo di ignorare, l’aggettivo ‘mio’ che Squall aveva usato. "Ma come... " " È sbronzo marcio. - riprese Zell - Si è addentrato nel Centro disarmato e non ha reagito all’attacco di un Archeosaurus... deve essere venuto qui in stato confusionale, o non avrebbe commesso una simile sciocchezza, farsi quasi ammazzare in quella maniera... . Ho fatto sparire la bottiglia di vodka... almeno per evitargli ripercussioni disciplinari." "Se è ubriaco risulterà immediatamente dagli esami del sangue - commentò Quistis - sbarazzarsi della bottiglia non serve... Ed ora avvisiamo anche Selphie?" "Oggi era molto stanca, è andata a dormire presto... - Zell si accarezzò pensosamente il tatuaggio - aspettiamo ancora un po’, lasciamo che riposi... "
Squall sentiva un brusio... voci... che non avevano significato né importanza. C’era solo una cosa che contava. Contava solo Irvine. Cosa stava avvenendo dietro a quella porta? Ogni minuto sembrava durare un’eternità... perché non usciva almeno un infermiere, per informarli, rassicurarli, per dire che tutto stava andando bene... E se niente stesse andando bene? E se Irvine stesse morendo? Un brivido violento scosse Squall da capo a piedi. No no no no no no... .. Se qualche ora prima lo avesse fatto entrare nella sua stanza, invece di mandarlo via, tutto quello non sarebbe accaduto. Se gli avesse aperto la porta e gli avesse detto la verità. Se almeno gli fosse subito corso dietro. Se fosse stato meno vigliacco, meno stupido. Se solo...
"E tu che ci fai qui? Sei tu che lo stavi facendo soffrire, sei tu che gli hai fatto questo, non hai nessun diritto di rimanere!" La voce di Selphie, appena comparsa sulla soglia della sala d’attesa, era acuta e arrabbiata, sull’orlo delle lacrime. Quistis era andata a svegliarla e le aveva spiegato quanto era capitato; lei conosceva un capitolo particolare della storia, e non ci aveva messo molto a mettere insieme tutti i pezzi e a trovarsi di fronte al mosaico completo, e quasi esatto, della situazione. Era colpa di Squall se Irvine era infelice, era colpa sua se si era ubriacato, era colpa sua se aveva tentato di uccidersi, o comunque se aveva commesso un atto così stupido, mentre era preda dall’ebbrezza... era colpa sua e non gliene importava nulla. Ma se non gliene importava nulla, perché le sue spalle sembravano quasi schiacciate da un peso enorme, e i suoi occhi erano così gonfi e rossi?
"Squall, tu... hai pianto?" Chiese, incredula. Lui ghignò amaro, voltando il viso dall’altra parte. "Già. Che sorpresa, vero? Persino io sono capace di piangere." "Non volevo dire questo!" O forse sì... tutto si aspettava tranne che quello, da una persona che aveva sempre un atteggiamento tanto insensibile. "Selphie, tu sai?" "So qualcosa, ma ora credo d’aver giudicato male." Gli si sedette accanto, posandogli una mano sul braccio. Squall tremò ancora. "Se lui muore... io cosa faccio?"
Strinse le mani sulle ginocchia, serrando gli occhi e sentendo di nuovo lacrime come punture di spilli. Diverse ore dopo, la Kadowaki, dava la sua diagnosi.
"Cinque costole rotte, trauma cranico, emorragie interne, lesioni... ed è coperto di contusioni ed abrasioni. Se l’è vista davvero molto brutta, ma è fuori pericolo. Naturalmente dovrà starsene e riposo per un bel po’. Non voglio discutere del risultato delle analisi del sangue, - Quistis e Zell si lanciarono un’occhiata - ma ne parlerò direttamente con lui quando starà meglio; se ha bisogno di un certo genere d’aiuto, provvederò. Solo se sarà inutile riterrò opportuno prendere provvedimenti più seri. La febbre si è abbassata e adesso sta dormendo tranquillo, respira normalmente, senza bisogno di ausili meccanici, ed è buon segno." "Posso rimanere con lui?" "Squall... per dargli assistenza ci sono gli infermieri. Perché non vai a riposare anche tu? Hai un’aria stanchissima, ragazzo." Lui scosse la testa. "Per favore, mi faccia restare in infermeria. Io comunque non riuscirei a dormire." "Ah, e va bene. Puoi rimanere, ma solo tu. Gli altri a letto; potrete venire a trovarlo domani, ma non fatelo affaticare, d’accordo?"
Gli faceva male vederlo così, pallido ed assolutamente inerme. Il suo viso, ripulito dal sangue, era pieno di graffi, aveva un occhio completamente gonfio e pesto ed un taglio appena rimarginato sul labbro. Quasi perso in un letto che sembrava enorme, tra lenzuola troppo fredde e troppo bianche, con la testa reclinata sul materasso rialzato... Guardarlo in quelle condizioni era dolore... senso di colpa, rimorso, paura. Squall lasciò da parte la sedia e si inginocchiò accanto al letto, appoggiandosi al materasso. "D’ora in poi sarà tutto diverso; tutto, te lo giuro. Irvine... se tu fossi morto, sarei morto anche io. Dentro. Credevo che allontanarti da me fosse meglio per entrambi, e invece ti ho quasi distrutto." Gli prese una mano, stringendogliela e aspettò così, in ginocchio come per penitenza, che Irvine si risvegliasse.
Aprì lentamente gli occhi, o meglio, l’occhio. La stanza era nella penombra, e nell’aria c’era odore di disinfettante. Si sentiva intorpidito, rigido e debole. Un dolore sordo, ma sopportabile, invadeva ogni suo muscolo. Il suo cervello era un calderone di ricordi indefiniti... era stato male, molto male, quello lo rammentava benissimo. E poi? Poi era morto. Il nulla, il freddo... l’angoscia. No... Era vivo. I ricordi si fecero più distinti. Ricordò tutto, la sbronza, il black out che gli aveva causato... e quel che era venuto dopo... Che umiliazione! Chissà quali e quante domande gli avrebbero fatto... "Irvine!" Quella voce lo fece trasalire. Squall! Che gli avrebbe detto ora? Gli avrebbe rinfacciato di essere un idiota, lo avrebbe deplorato, rimproverato, gli avrebbe detto -
"Perdonami, ti prego."
Nel vedere Irvine svegliarsi la sua anima aveva iniziato letteralmente a fare piroette e capriole; avrebbe voluto ridere e lanciargli le braccia al collo, ma ancora non sapeva se... se l’altro avrebbe gradito ancora averlo vicino. Il cuore quasi gli si fermò, e in quel momento si accorse delle mani che stringevano la sua destra, con forza e delicatezza assieme, come a dirgli ‘sono qui con te, e non ti lascio’. Voltò il viso, e incontrò lo sguardo intenso di Squall, pieno di anima, per una volta; fece per chiamarlo per nome, ma dalla gola riarsa non uscì nessun suono. L’altro sembrò leggergli nel pensiero, perché immediatamente versò un po’ d’acqua in un bicchiere e glielo accostò alle labbra. Dopo averlo aiutato a bere, Squall si decise a parlare... a dire tutto, tremando, nervoso, imbarazzato, pasticciando la mano di Irvine nelle sue. "Irvine, per me è difficile trovare le parole, non sono bravo nei discorsi e tu lo sai. Penso di fare schifo in qualsiasi cosa implichi lasciarsi andare un po’, ho sempre... ho sempre il timore di sembrare ridicolo, di sbagliare, di...oh, non lo so! Io ti ho trattato male, ti ho scaricato addosso tutto il peso delle mie paure, della mia incertezze. Ti ho fatto soffrire. Paradossalmente l’ho fatto perché credevo di poterti evitare così dei dolori maggiori, per evitarli anche a me, e invece... scusami. Per tutto questo tempo ho forzato me stesso a non mostrarti mai i miei veri sentimenti... "
La voce di Squall era lenta, dolce, era come un balsamo sulle sue ferite, e lo stava incantando. Irvine era incredulo, confuso, il cuore gli rimbalzava nel petto come un pallone impazzito; se continuava così gli sarebbe saltato fuori dal torace e avrebbe dovuto cercare di riacchiapparlo mentre saltellava sanguinolento da una parte all’altra della stanza.
"Ho sbagliato tutto, dall’inizio alla fine. Ho sbagliato nel non parlarti, nell’assistere muto alla tua tristezza, nel non dirti che per me sei importantissimo. Stavo male anche io, ma non riuscivo ad aprirmi... e ti ho lasciato solo. Quante volte ho desiderato che tu reagissi ai miei sgarbi, alle mie offese... se tu mi avessi rotto il naso con un pugno, l’altro giorno, sarei stato l’uomo più felice del mondo. Lo vedi quanto sono stupido? Mi merito tutto il tuo rancore, se ora tu mi detesti, e se non vuoi più vedermi posso capire il perché... "
No, no, no, come poteva pensare quelle cose? Con quelle parole lo stava facendo rinascere, stava sanando ogni cicatrice dalla sua anima!
"Siamo partiti con il piede sbagliato nella nostra relazione; tu hai commesso solo il primo errore, ma io ho fatto tutti gli altri, peggiorando le cose ogni giorno di più... quella sera io... dopo... quando sei venuto da me, e mi hai chiesto scusa... non te l’ho detto ma... avrei voluto... ma non potevo, non ci riuscivo... ecco... e poi in quello stesso momento... io mi sono inn... ohmiodio... " - Squall aveva l’impressione che gli avessero passato il cervello in un frullatore, sentiva le orecchie bollenti e sapeva benissimo di essere paonazzo, in quel momento, ma non gliene importava assolutamente niente - "Mi vuoi ancora? Voglio ricominciare tutto... io ti amo, Irvine, e farei qualsiasi cosa per te." Irvine ingoiò il mostruoso nodo che gli si era formato in gola, e mentre uno sciame di farfalle impazzite svolazzava da una parte all’altra del suo stomaco tentò di ricordarsi come si faceva a respirare. "Qualsiasi cosa?" Mormorò, e Squall annuì, e si alzò, mentre le sue gambe, costrette per ore a stare piegate sotto il suo peso, urlarono proteste che vennero stoicamente ignorate. Sedette sul bordo del letto, sporgendosi verso il suo viso. "Qualsiasi cosa ed in qualsiasi momento." "Anche... .abbracciarmi?" Squall piegò la testa, quasi perplesso. Poi si chinò su di lui, prendendolo tra le braccia e stringendolo a sé, baciandogli una tempia, all’attaccatura dei capelli. Chiuse gli occhi sorridendo, lasciando che Squall lo cullasse. Quell’abbraccio era caldo, sicuro, infinito. E soprattutto era sincero. Era come... come il ‘momento perfetto’, quello che lui aveva creduto solo un sogno, un’illusione sull’orlo del sonno. Ed invece era stata la realtà. Non aveva mai provato una felicità così totale, stordente, euforizzante. Circondò con le braccia la schiena di Squall, per assicurarsi che fosse proprio lì con lui, in carne ed ossa.
[Comunque, quando starò abbastanza bene per farlo, prenderò a calci il tuo bel fondoschiena, amore mio.]
Era una liberazione poterlo abbracciare. La felicità era così facile, così a portata di mano che mentalmente si diede mille volte dell’imbecille per aver temuto ed evitato quel momento; eppure lo aveva letto, una volta: a questo mondo l’unica sofferenza che possiamo evitare è quella di cercare di evitare altra sofferenza. Strano, ma verissimo. Se non altro potevano entrambi fare tesoro di tutto ciò che avevano passato e ricordarlo sempre come una preziosa lezione sui sentimenti e su loro stessi... anche se era una lezione di cui avrebbe fatto volentieri a meno. E qualsiasi cosa fosse successa, qualsiasi piega avesse preso la guerra, l’avrebbero affrontata insieme. Irvine... quando l’aveva visto per la prima volta aveva subito provato una sensazione di familiarità... aveva avuto l’impulso di abbracciarlo, e non era riuscito a capire il perché. Quegli occhi, verdi e sinceri... quegli occhi gli scaldavano il cuore. Ci aveva messo un po’ a capire quanto erano fondamentalmente simili loro due. Entrambi soli, smarriti; Irvine si difendeva mostrandosi frivolo ed estroverso, lui, invece, isolandosi da tutti, ostentando una distaccata indifferenza. Però, quando due solitudini si congiungono, possono creare una felicità. Lo strinse più forte. "Ahi!" Il lamento di Irvine lo scosse. Si staccò appena da lui per guardarlo in viso. "Adoro che mi abbracci, ma mi stai facendo male ... " [Le costole rotte!] Il pensiero balenò alla mente di Squall; come aveva potuto scordarsene? Irvine doveva ancora essere sotto l’effetto degli analgesici, altrimenti nel suo abbraccio stritolante non avrebbe esclamato solo un blando "ahi", ma avrebbe urlato di dolore. Allentò la stretta, sentendosi un po’ stupido per quella dimenticanza. "Scusa, io... " "Squall, vuoi essere il mio infermiere?" Leonhart sorrise, vedendo di nuovo scintille di vivacità accendersi nello sguardo di Irvine. "Certo. Non è il mio mestiere, ma nessuno potrebbe accudirti meglio di me." "E ho ancora una richiesta... " Fece cenno di continuare. "... Mi hai abbracciato. Adesso baciami." Squall acconsentì con entusiasmo.
Una settimana dopo...
"Avanti, Irvine, devi finirlo." Il pistolero scostò la testa evitando il cucchiaio. "Basta! Non ne posso più di budini-brodini-pollo bollito-frutta cotta e poi di nuovo budini... " "Ordine del medico, lo sai. Devi mangiare leggero." "Squall, se mi ami, portami una bistecca alta due dita... al sangue, con tante patate. E senape, molta senape. Uno stratega come te non dovrebbe aver difficoltà a introdurre clandestinamente del cibo. " "Irvine..." "Devo mangiare sostanzioso se voglio rimettermi in forze!" "Forse posso farti ottenere del riso in bianco... " "Bleah." Squall tentò di nuovo col cucchiaio, ma Irvine lo schivò ancora. Alla faccia del rimettersi in forze, stava migliorando di ora in ora, non solo di giorno in giorno, lo diceva anche la Kadowaki. Ma Irvine si atteggiava a vittima per avere tutte le sue attenzioni; per esempio, era benissimo in grado di mangiare da solo, nonostante si facesse imboccare da lui; la cosa lo divertiva molto... E lo riempiva di felicità. "Okay - si arrese, mettendo da parte la scodella di frutta passata - basta così. Per il pranzo hai già fatto abbastanza capricci." "Squall... " "Mh?" "Potresti lavarmi?" "Irvine, l’ho fatto stamattina... poche ore fa!" "E con questo? A me piace farmi lavare da te." Forse, pensandoci meglio, migliorava di minuto in minuto. "Catino e spugna sono dove li avevo lasciati?" "Ah-a. Squall, ti assicuro che se ne fossi in grado mi alzerei e mi farei una doccia, ma proprio... - indossò la sua migliore espressione da povero, fragile, indifeso malatino - proprio non ce la faccio. Sono ancora così debole!" Finì la frase con un sospiro esausto. Squall si sedette sul bordo del letto, prendendogli una mano. "Non ti preoccupare. Non è nessun disturbo per me, anzi, sono felice di poterti aiutare..." "Grazie." "... non me lo perdonerei mai se tu dovessi stare male, avere una ricaduta, perché io, egoisticamente, ti ho forzato ad alzarti... " "So che non faresti una cosa simile." "... e farò tutto quello che mi è possibile per rendere la tua convalescenza il più leggera possibile... " "E’ quello che già stai facendo, zucchero." "... E non mi occuperò di te solo fino a che sarai qui: mi accerterò che tu non faccia sforzi e che non ti affatichi per un bel pezzo, anche dopo che sarai dimesso... per essere certo che ti riprenda al meglio." "Squall, sai essere così premuroso... " "... per cui sarà mio compito personale farti riposare ed evitarti per qualche mese le missioni troppo stressanti, i combattimenti troppo pericolosi e l’attività fisica." "Quanto sei dolce." Un sorriso malizioso si stampò sulla faccia di Squall, mentre si chinava su Irvine fino a sfiorargli il viso con il suo. "Qualsiasi tipo di attività fisica." Sussurrò, gli diede un bacio sulle labbra sorridenti e poi si alzò, per andare in bagno a riempire d’acqua tiepida la piccola bacinella. Per qualche secondo ci fu il totale silenzio, poi... "Squall... mi sento improvvisamente molto meglio, sai? Guarda, riesco a sedermi senza nessun prob-Ahia!... tempo un paio di giorni e potrò anche fare le flessioni... Squall, rispondimi... davvero, sto benissimo... Squall! Smetti di ridere!!!"
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