Disclaimers: L’ambientazione è quella di
un futuro cyber-gothic. Il mondo, a seguito di un gigantesco
crollo economico, si è suddiviso in nuovi continenti. Il mondo cibernetico
impregna la società e le caste economiche sono fortemente suddivise tra
corporativi, cittadini e abitanti dello Sprawl. La violenza è all’ordine del
giorno e le perversioni sono quasi naturali.
Acciaio parte I di Amy
La luce che entrava dalla finestra era monotona, grigia e ben si accordava con il continuo ronzio dell’impianto di aerazione vecchio modello della stanzetta. Il bocchettone dell’aria era proprio sopra al letto, ma aveva smesso di funzionare parecchio tempo prima e da ormai alcuni mesi non faceva altro che rigettare aria bollente di giorno e gelida di notte che puzzava di sudore e fumo stantio. Quentin spostò il capo mollemente, sottraendo la frangia al getto d’aria inclinato, strizzando gli occhi arrossati per mettere a fuoco la figura che lo sovrastava con la sua ombra oblunga. Non sorrise, come sarebbe successo in un vecchio film romantico, né disse nulla, ma si limitò a strizzare di nuovo gli occhi nella speranza che smettessero per un attimo di bruciare e prese a seguire i movimenti di quella immagine circonfusa dalla luce del cielo nuvoloso. L’uomo fissava un punto indecifrato sul muro, o forse oltre ad esso, con la tipica distrazione assorta di chi sia perso in un mare di pensieri personali e tutti per nulla felici, mentre le dita pallide aggiustavano l’orlo dei boxer di seta (Quentin si chiese se fossero di seta sintetica ma, in un attimo, si rispose da solo : No.) e armeggiavano con una cintura che brillava in maniera quasi ipnotica. Non c’erano parole, tra loro, ma solo il quieto silenzio dell’abitudine e, nonostante più volte il visitatore avesse aperto la bocca come per dire qualcosa, Quentin sapeva benissimo che non avrebbe spiccicato una sola parola ma avrebbe richiuso pazientemente la mandibola e forse gli avrebbe sorriso, se fosse stato un giorno fortunato, così quel <Senti> lo prese completamente di sorpresa e gli fece aprire gli occhi di scatto, quasi sobbalzando sulle lenzuola arrotolate. L’altro doveva essersi accorto della sua sorpresa poiché incurvò le labbra in un sorriso delicato, che sapeva quasi di scusa, e continuò <Volevo dirti che sparirò dalla circolazione per una settimana> comunicò e Quentin si ritrovò ben presto con una smorfia sulle labbra che non aveva calcolato: quello era il suo miglior cliente e ora non lo avrebbe visto per sette giorni, il che voleva dire stringere la cintura e prepararsi a tempi di magra ed era inutile dire che l’idea non gli piaceva per nulla.
<Ok> si limitò a rispondere, tagliando corto
come faceva sempre, consapevole che quel tipo di uomini odiavano parlare.
Forse perché se li immaginava subissati di chiacchiere in ufficio, dietro
una scrivania ingombra, oppure a casa, vittime di una moglie che raccontava
tutte le novità in fatto di Biofashion oppure perché, semplicemente, si era
abituato al fatto che il silenzio era la cosa migliore che poteva avere da
loro, e quando i suoi clienti indossavano un qualunque capo di abbigliamento
che costava sul mercato almeno quattro volte un suo rene (e, per quanto
fosse malandato, era più che sicuro che i suoi reni fossero ancora in ottime
condizioni per i ****** della BodyBank) lui sapeva che le parole non erano
quelle che gli avrebbero fatto guadagnare un piccolo extra sul servizio
rapido. Si alzò dal letto, con un fruscio pesante di stoffa sintetica umida
e carne sudata e si mise in piedi, distogliendo lo sguardo dal suo
interlocutore per sollevarlo fino al soffitto, dove una grossa macchia di
umido aveva fatto fiorire un pezzo di intonaco, dando l’impressione che
dovesse cedere da un momento all’altro <Figlio di…>esclamò a mezza voce
l’adolescente, a denti stretti, appuntandosi mentalmente di andare a trovare
il suo vicino di casa dopo che avesse concluso questo affare, per
ricordargli di chiudere l’acqua della vasca ogni tanto e rammentargli che
neppure il suo arto reciso, nell’acqua, si sarebbe rigenerato ma avrebbe
reso di più nelle mani di qualsiasi “bisturi” della zona.
<Beh?> domandò Chester, accigliandosi in
maniera visibile, osservandolo con una intensità che lo fece sentire ancora
più nudo, come se l’altro avesse potuto osservare anche sotto la sua pelle
emaciata, attraverso i muscoli e le ossa, fino nel profondo di quell’anima
che non aveva mai creduto di avere. Si limitò a chiudersi nelle spalle, in
risposta, sfumando la risata che ancora gli gorgogliava nel petto.
Per chiunque lo avesse guardato Chester poteva
sembrare un qualsiasi bravo ragazzo figlio di qualche ricco manager delle
grandi corporazioni che avevano sede a NewHound, ingenuo e non pericoloso,
ma Quentin aveva visto il contenuto del sacchetto che portava al collo, un
giorno che lo aveva spiato di nascosto, fingendo di finire di pulirsi dopo
l’ennesima scopata, e aveva visto un distintivo brillare, un lucido, pulito
distintivo con l’aquila di ferro e le due pistole incrociate, bordato di
rosso e con al centro il simbolo che lo identificava come un poliziotto e
uno di quella specie che si vede solamente nei notiziari: un poliziotto
della squadra scientifica della omicidi. Per questo, e solo per questo,
Quentin si sforzò di fare un sorriso di scusa che, per quanto falso, colpì
nel segno, facendo sparire il nervosismo nel poliziotto, ma lasciandogli
quella sorta di quieta malinconia che lo contraddistingueva. <Fumare fa male> rispose lui, infilandosi la sigaretta tra le labbra, ripetendo quella risposta canonica come se fosse una specie di gioco tra di loro fatto d’abitudini.
Passarono alcune ore prima che Quentin
riuscisse ad avere un attimo di tempo libero per sganciarsi dall’ennesimo
clientucolo della mattina e potesse scendere in strada senza dover
sculettare come una cagna in calore. I clienti della mattina lo mettevano
sempre di cattivo umore: erano in genere i piccoli spacciatori e i
rappresentanti di tutta quella marmaglia che viveva la notte sulla pelle
degli altri e che, rincasando, aveva il portafogli abbastanza pieno da
potersi permettere di gettare un po’ di Eurodollari nelle tasche strette
delle prostitute della strada. Dieci minuti prima aveva finito di lavorarsi
Dubpack, un piccolo pesce che smerciava droghe sintetiche dai nomi esotici
all’angolo con la 50esima e che da poche settimane era diventato un suo
cliente quasi fisso. Ogni mattina, verso le dieci, quando la Strada iniziava
a pulsare della pigra vita del giorno, spuntava da uno dei tombini che
mettevano in collegamento la periferia della città, alto e magro, avvolto in
quel trench rinforzato che sembrava quasi ridicolo sul suo corpo esile e con
i capelli sparati in alto in ciocche multicolore che assumevano diverse
gradazioni di intensità in base all’umidità dell’aria, arrivava davanti a
lui e allungandogli le tessere di eurodollari biascicava la sua solita frase
oscena.
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