I personaggi di Dragon Ball, Slam Dunk e Tenku No Escaflowne sono © dei loro rispettivi autori. Nessun scopo di lucro.

 


A Brother's Love

di Folken


Basta.

Tutto quello doveva avere fine.

Tutte quelle parole cattive, quei silenzi opprimenti, quell’odio senza un perché ...

Sarebbero presto scomparsi.

Camminava sotto la pioggia battente, che colpiva con violenza il suo corpo semi nudo e fradicio, e attraversava il vento freddo che lo frustava con indolenza.

Quel temporale invernale sembrava non avere fine.

Quasi sfocatamente vedeva i contorni degli oggetti cancellati dall’acqua piovana.

Intravide l’entrata del parco poco lontano da casa sua, e ascoltò lo scrosciare dell’acqua, il brusio dei ruscelli che si formavano nella terra e nelle grondaie, il fruscio delle foglie dei sempre verdi che venivano schiacciati, il profumo dei pini e dell’acqua.

Il suo pigiama a righe bianco e azzurro ormai era diventato inservibile, quasi trasparente, e appiccicoso.

Era troppo grande per lui, le maniche gli coprivano quasi le mani ...

Quel pigiama lo aveva preso distrattamente dall’armadio dove v’era il bucato pulito.

E senza accorgersene, si era appropriato della veste notturna di suo fratello maggiore ...

Suo fratello.

Ogni volta che sentiva quella parola, non poteva che abbandonarsi al ricordo della sua immagine impressa nella mente, e tormentarsi fino a sfinirsi, a chiedersi il perché di quella insofferenza verso di lui ...

Ormai, erano anni, anni che questa storia si volgeva senza alcun cambiamento.

Forse, un allontanamento inesorabile che sembrava non fermarsi.

Così ogni momento della giornata, a casa, durante le lezioni, per vivere davvero senza rimorsi, per fuggire da quella sudicia realtà entrava nel suo eden che aveva costruito con la fantasia, dove ripercorreva passo per passo ogni piccolo istante vissuto della sua infanzia.

Quando, insieme al suo più grande amico giocava a fare castelli di sabbia sulla battigia, da bambino.

Oppure, quando ascoltava la sua mamma suonare il pianoforte le composizioni da lei create ... oppure Chopin, Verdi ...

Quando osservava fuori dalla finestra della sua bella cameretta la neve che si accumulava nel suo giardino, euforico ed impaziente di uscire per fare i tanti sospirati pupazzi candidi ...

O quando, finalmente arrivava il giorno del suo compleanno ...

E tutta la famiglia raggiungeva tra le montagne, i suoi nonni materni, per la festa del paese ... quando scoppiavano i fuochi artificiali nel cielo stellato, colorandolo di giallo, rosa, verde ... e quando vedeva i petali di ciliegio cadergli sui capelli, volargli davanti ai suoi occhi mentre si gustava una bacchetta di roseo zucchero filato ... e passeggiava tra la gente, mentre osservava ammirato le ragazze che indossavano il kimono, in quella festa del paese ... guardava le bancarelle che vendevano dolci, esponevano piccoli animali, tartarughe, criceti, furetti, paperine, pesciolini rossi ...

Ma il più bel ricordo in assoluto ... era quando, a quella festa, passeggiava con la mano in quella di suo fratello maggiore.

Quando gli sorrideva per la sua infantile ingenuità, le sue risate gaie, le sue scorribande ...

Dove era finito tutto quello?

Quella dolcezza che lo aveva sempre avvolto, quella premura, quelle parole?

Camminò sulla stradina sterrata inzuppata d’acqua che ristagnava nel terreno e nell’erba.

Passò accanto alle panchine bagnate, delle quali vedeva solo il contorno dello schienale e delle gambe ferrate.

Non sapeva nemmeno dove stava andando, vestito a quel modo, con il freddo e l’umidità che stava penetrando nelle sue giovani ossa.

Solo, doveva andarsene lontano, via da quella casa che era da sempre come una gabbia, una prigione per lui ...

Ricolma di indifferenza e solitudine.

Si strinse nelle braccia per darsi un po’ di calore, immaginandosi che fosse suo fratello al suo fianco ad abbracciarlo.

“Ho freddo ...” mugolò tirando su col naso, come un bambino piccolo.

Ma almeno, di una cosa era certo: ora, in quel parco deserto, poteva piangere senza preoccupazioni, perché le sue lacrime si sarebbero mescolate al pianto del cielo scuro ...

Aveva sempre avuto una grandissima paura che suo fratello potesse sentire i suoi singhiozzi che risuonavano nella stanza, e non voleva vedere la sua pena per lui.

Perché era certo, ciò che passava nei suoi occhi freddi era solo quello, mischiato alla pietà e al cinismo nei suoi confronti.

Eppure, quando era piccolo era tutto così diverso ...

Perché era così difficile crescere?

Si acquisiva una mentalità diversa, si acquistavano responsabilità che avevano interessato solo i grandi, si cambiava nell’aspetto e nei sentimenti.

Forse, era proprio per questo che suo fratello l’aveva abbandonato ...

Era davvero una tortura fare ritorno nel suo appartamento ogni sera, dopo gli allenamenti di basket.

Che tra l’altro, sentiva di non amarlo più come prima, e già da diverso tempo non aveva scartato l’ipotesi di lasciare il club.

Ci aveva messo così tanto per entrarvi a far parte ...

Ma adesso non ce la faceva più. Le difficoltà sembravano sempre aumentare, le sue crisi di rabbia e pianto che esponeva solo con Yohei, che purtroppo era costretto a stare a sentirlo, senza riuscire a capire il perché di tale di comportamento, i voti scolastici che non riuscivano ad oltrepassare nemmeno l’insufficienza, lo stavano portando all’auto distruzione ...

Oppure, un’altra ipotesi per tutti questi guai poteva essere il divorzio dei suoi genitori, e la loro morte prematura ...

Si erano divisi quando lui aveva solo nove anni ...

La mamma si era preso suo fratello che aveva già quindici anni, ed inoltre era sempre stato il figlio prediletto, mentre lui era andato ad abitare in quella casa insieme a suo padre, che amava il suo lavoro e il bere persino più di suo figlio ...

Quanti lividi ed escoriazioni sul suo corpo?! Quante lacrime ... ancora ...

Finalmente giunse al centro di quell’immenso parco, trovandosi davanti a una quercia enorme, spoglia, bruna.

Un rombo di un tuono, nelle vicinanze lo fece sussultare dallo spavento.

Aveva sempre odiato i tuoni ...

Raggiunse velocemente quel maestoso albero, e si rannicchiò alla base, stringendo le ginocchia al petto.

Era davvero stanco ... ormai era una buona ora che stava camminando sotto l’acqua, e i suoi lunghi capelli erano così pesanti da dargli un immenso fastidio.

Afferrò tra le dita affusolate una ciocca di capelli e la portò davanti agli occhi.

Da quando aveva fatto quel taglio colossale, li aveva lasciati crescere liberamente ...

E tutto quello lo aveva fatto ... semplicemente perché aveva visto suo fratello sorridere ad una ragazza, tempo prima, che aveva lunghi capelli castano scuro che gli arrivavano al sedere ... sembrava proprio attratto dalla sua chioma.

Per quello che li aveva fatti allungare ...

Ma a cosa era servita quell’idea? Ad assolutamente niente ...

Guardando il terreno fangoso, notò un ramo duro e scuro, dalla base seghettata.

Lo prese, ed afferrò i proprio capelli, e con un taglio netto, strappandoseli, li lasciò cadere sul terreno in un bagno di sangue.

Ora, corti e di misura varia, non gli davano più fastidio come prima ...

Passò una mano sulla sua testa fradicia, scuotendosi dall’acqua in eccesso, ripensò al perché si trovava lì.

Quella sera era così sconvolto, che quasi non sapeva dove stava andando.

A casa sua era scoppiato un litigio furioso.

Non aveva mai litigato con suo fratello, e quell’unica volta gli sarebbe bastata per tutta la vita.

Non si ricordava nemmeno il motivo del battibecco ...

Solo quell’unica frase, alla fine, che lo aveva trapassato da parte a parte come una stilettata.

Quasi sussurrato, detto in faccia, era stato peggio di una pallottola.

“Non avrei mai voluto che tu fossi mio fratello. Io ... avrei dovuto ucciderti tempo fa ...”

Era assolutamente impossibile, ma in quell’istante, in quel maledetto istante ...

Il suo cuore aveva smesso di battere.

Gli era venuto un dolore così atroce da lasciarlo senza fiato, e incapace di pensare, di riflettere sulle sue parole.

Era scappato.

Aveva spalancato la porta di casa, e con indosso solo il pigiama e la sua disperazione, era corso via, in ciabatte, senza fermarsi un attimo.

In quel momento aveva pensato solo a correre via, e le lacrime sembravano dimenticate.

Solo quando aveva acquistato lucidità, si era lasciato andare ad un pianto liberatorio.

E ora, aveva solo sonno.

Non sapeva più dove andare.

Non poteva nascondersi da Yohei, no.

Gliene aveva fatte passare tante, al suo amico, con che coraggio poteva andare lì?

E poi, lui di questa storia non sapeva niente ... solo che stava male, da tanto tempo ...

Adesso aveva solo bisogno di un buon riposo ...

Non sentiva nemmeno più il freddo che gli screpolava le mani, non sentiva più la pioggia che lo infradiciava.

Adesso, rannicchiato e sdraiato sul terreno infangato, con il pigiama sporco che aveva ancora l’odore del fratello, voleva solo dormire ...

Eppure, lui lo adorava ... quando lo guardava, i suoi occhi tradivano un’aspettativa e una abbandono che da lui nessuno si sarebbe mai potuto aspettare, così forte e orgoglioso ...

Si lasciava andare a quel modo ...

Sentì finalmente la sua coscienza scivolare lontano dal suo corpo, finché sprofondò nel sogno del sogno che si era creato, dove tutto quello non era mai accaduto ...

Dove poteva finalmente tornare a vivere la sua infanzia perduta quel giorno di otto anni fa ...

 

Erano ore che ormai girovagava sotto quell’acquazzone che portava l’odore di terra bagnata.

Quella notte aveva commesso un atto imperdonabile, andando a dire a suo fratello ciò che pensava.

Ma le parole erano nate dalle sue labbra senza che lui potesse fermarle.

E quando aveva capito ciò che aveva distrutto nell’animo del suo fratellino che amava più della sua stessa vita ... era ormai troppo tardi.

Non l’aveva fermato, non ne aveva avuto il coraggio.

Perché, quelle parole ... dette con quella calma così crudele, erano rivolte soprattutto a sé stesso ...

Non avrei mai voluto che tu fossi mio fratello ...

Non l’aveva mai desiderato ... anche se avevano il cognome diverso per la separazione dei loro genitori, erano comunque legati dallo stesso sangue che li aveva resi della stessa famiglia il giorno della loro nascita.

Come avrebbe voluto essere un estraneo ...

io ... avrei dovuto ucciderti tempo fa ...

Ucciderlo, sarebbe stata la soluzione migliore.

No, aveva detto una cosa assolutamente sbagliata.

L’unica versa soluzione al problema, che era lui, era il suicidio.

Avrebbe dovuto lasciarsi andare quando aveva capito che ciò che lo legava al fratello minore, non era l’amore fraterno.

Ma un amore sbagliato, maledetto e impuro, che veniva assolutamente vietato come incesto, soprattutto perché erano due ragazzi.

Un amore eterno, che legava una donna e un uomo.

LUI era il problema.

LUI era lo sbaglio.

LUI era l’errore.

LUI sarebbe dovuto morire, nonostante fosse il figlio prediletto, nonostante fosse il preferito ... avrebbe dovuto farla finita anni addietro.

Quando aveva capito di essere diverso, di non essere attratto dalle ragazze, ma dalle persone del suo stesso sesso.

E cosa più scandalosa, più terribile, era che provava una forte attrazione carnale verso il fratello minore.

Cosa avrebbe pensato quel ragazzino, così innocente e di quella dolcezza che riservava soltanto per lui, sapendo i pensieri erotici che faceva su di lui, sul suo splendido corpo?!

Non poteva permetterlo ...

Soltanto il capogiro lo prendeva alla sprovvista a stargli vicino ...

Non poteva permetterlo ...

Il rossore diffondersi sulle sue guance quando lui gli sorrideva radioso ...

Non doveva permetterlo ...

Doveva cancellare ogni sentimento di amore e affetto tra di loro, l’avrebbe indotto ad odiarlo, a detestarlo, a rifiutare persino la sua esistenza, pur di non farlo venire a conoscenza del suo terribile segreto ...

Ma in tutti quegli anni, non ci era mai riuscito ... e lo amava sempre di più, e gli si stringeva il cuore nel trattarlo con indifferenza, nel vedere i suoi occhi nocciola così caldi rattristarsi, perché colmi di quel sentimento che lo rendevano così vulnerabile.

Quell’amore che da parte sua era assolutamente errato, ma che per suo fratello era giusto ...

E adesso lo stava cercando disperatamente, mentre pregava che non gli fosse accaduto nulla.

Era andato via così, soltanto con indosso il suo pigiama che lo rendevano così infantile e vulnerabile ... quasi come un bambino, i capelli lunghi che gli coprivano il viso maturo dalla pelle calda ...

Aveva persino dimenticato l’ombrello nella fretta di cercarlo ...

Se gli fosse accaduto qualcosa, si sarebbe ucciso, perché era la giusta punizione per un essere abominevole come lui, perché era giusto cancellare una persona come lui ...

Ormai era notte fonda.

Già le due di notte, e il diluvio stava diminuendo la sua violenza.

Si ritrovò davanti all’entrata del parco principale di Kanagawa, e decise di entrare al suo interno, con il cuore in mano.

Percorse con la speranza che si dibatteva violentemente in lui quei sentieri acquosi, guardandosi attorno cercando il fratello minore ...

E poi, accartocciato contro un albero, una sagoma a lui familiare.

Percorse i passi che l’avrebbero portato davanti al ragazzino con impazienza, e lo spettacolo che si trovò davanti ...

Immobile osservava, quel corpo dibattuto dal freddo rannicchiato su se stesso, il pigiama completamente fradicio, gli occhi rossi, i capelli strappati.

Tutto il suo egoismo, tutti i suoi pensieri, le sue idee sbagliate ...

Avevano portato a tutto quello ...

Si sfilò la lunga giacca di pelle, e la stese sopra il corpo gelato e sporco del fratellino.

Poi, lo sollevò tra le braccia, e si mosse ad uscire dal parco per tornare a casa.

 

Un prato ridente, circondato dai bellissimi ciliegi rosei.

Il bastoncino di zucchero filato, il suo sapore squisitamente dolce in bocca.

Il profumo dell’erba che gli solleticava il naso, e i tiepidi raggi solari che lo riscaldavano debolmente.

Pace.

Si sentiva così, in quel sogno strano e offuscato, come se una sottile nebbia era calata davanti ai suoi occhi.

Sentiva il proprio corpo accaldato, ma tutto quello era piacevole.

Percepiva come un filo che lo tendeva da una parte, e dall’altra.

Era attratto verso la ragione che stava riaffiorando lentamente, anche se la sua volontà ferrea lo imponeva a rimanere in quel mare d’oblio.

Ma c’era quella goccia, quell’unica goccia in quell’immenso mare che lo infastidiva, lo punzecchiava ...

Eppure, in quel prato, con tutti i suoi ricordi infantili stava così bene, senza alcun problema, senza nessuno a cancellare false speranze ...

E finalmente, decise di tendere quel filo che lo portò verso la luce pallida a fondovalle.

La prima cosa che i suoi occhi videro era un’indistinta macchia di azzurro dissolta davanti a sé.

E poi, la morbidezza di un piumino setoso che lo copriva, ed il profumo di pulito, e le mura spoglie e familiari di casa sua.

Sentì la propria pelle nuda e fresca strusciare contro le lenzuola, e solo in quel momento si accorse di essere sudato, in preda ad un attacco di febbre.

La sua testa non riusciva a tornare nel mondo reale, galleggiava semplicemente in aria senza riuscire a toccare suolo.

Scostò le coperte e si alzò in piedi, traballando e cadendo contro l’armadio che si scosse a quella botta improvvisa.

Tutto, tutto ma non quello.

Perché si trovava ancora in quel mondo schifoso?

Quella notte ci aveva pensato, e aveva deciso.

Sdraiato lì, sarebbe congelato di freddo, e finalmente ... sarebbe passato a miglior vita.

Miglior vita, un modo gentile e educato di dire che qualcuno era morto, ma davvero si poteva vivere una vita migliore?

No, non era possibile, lui lo sapeva.

Se sarebbe morto, avrebbe sempre avuto il rimpianto, il pentimento di non essere riuscito a salutare suo fratello un’ultima volta, di vederlo solo una volta, anche se lui l’avrebbe evitato, come sempre.

Solo rivederlo, gli sarebbe bastato.

E incontrare la sua pietà, sarebbe stato l’ennesimo colpo al cuore.

Quasi dal capogiro feroce non riusciva a tenersi in piedi.

Con solo i boxer addosso e gli occhi lucidi e stanchi, attraversò il corridoio che lo portava verso la sala.

Non c’era alcun rumore nella casa.

Solo il ronzio incessante degli elettrodomestici accesi.

Stava morendo di freddo, nonostante grondasse di sudore ...

Tentò di raggiungere la cucina, dove si sarebbe rinfrescato con un buon bicchiere di acqua fresca, ma l’improvviso chiudersi della bocca dello stomaco, e la risalita dei suoi amari e acidi succhi gastrici in bocca lo fecero desistere dal suo intento, facendogli cambiare direzione per fargli raggiungere in fretta e furia il bagno.

Vomitò tutti i rimasugli della cena di ieri sera, e qualche filo di sangue, ma non ci diede peso. Stava troppo male, in quel momento voleva solo tornarsene a letto.

Tornarsene a letto, per fare cosa? Per passare un inutile giornata in solitudine, subendo la cattiveria di essere ancora vivo?

No ...

Controllò l’orologio che stava appoggiato alla credenza, erano già le undici e trentacinque.

Almeno, avrebbe fatto in tempo ad arrivare per l’inizio degli allenamenti, che quel giorno sarebbero cominciati a mezzogiorno e mezzo, per via dell’amichevole con il Ryonan.

Diavolo, in quelle condizioni come avrebbe potuto battere Sendoh?! Rukawa lo avrebbe fatto al posto suo!

Si lavò velocemente, nonostante i suoi movimenti fossero lenti e pacati per l’indolenzimento delle ossa, e dopo aver indossato la sua divisa, uscì di casa, avendo ancora dentro di sé quel senso di nausea che non lo mollava un secondo ...

Complice, la febbre e il suo cervello che stava ballando il rock ‘n roll acrobatico, facendogli dondolare figure e oggetti davanti ai suoi occhi disorientati.

Fortunatamente, preso un mezzo pubblico, arrivò a scuola con dieci minuti d’anticipo.

Quando entrò in palestra notò che c’erano già tutti, compresi i temuti avversari.

E immancabilmente, vide il suo ex- capitano, che era sempre presente ad ogni incontro, venire verso di lui con un espressione furibonda, il pugno già alzato pronto a tramortirlo.

“Sakuragi!”

Chiuse gli occhi aspettandosi la <manna> dal cielo, che non arrivò.

Quando li riaprì vide lo sguardo del gorilla confuso e preoccupato, la sua mano che si era poggiata sulla sua spalla.

“Sakuragi, ma stai bene?” gli chiese, decisamente in pensiero, vedendo la sua faccia cadaverica e il tremore incontrollato degli arti.

“Certo che sto bene, che razza di domanda! Io sto ... sempre bene ...” lo sorpassò, raggiungendo velocemente lo spogliatoio vuoto pronto a sentir passare per la sua gola un altro carico di virus e malattia, riverso sul water.

Diversi minuti dopo, era fuori, con indosso la sua divisa rossa e nera, tremante di freddo, nonostante fosse caldo come il fuoco.

“Bene, le due squadre in campo!” decretò l’arbitro, che per quella giornata speciale era Hikoichi, la matricola più famosa della scuola ospite.

Si guardò attorno, e notò che il suo allenatore non era lì con le matricole ad osservare la partita.

Notò all’istante lo scambio di parole tra il suo ex capitano e Ayako, che con la coda dell’occhio osservava i suoi movimenti.

<Maledizione ... si vede così tanto che sto male?!> si chiese rabbioso, e terrorizzato del fatto che lo avrebbero fatto uscire dalla panchina.

Non poteva sopportare un altro secondo posto nella sua vita, non poteva permettersi di guardare da fuori una situazione in cui lui voleva esserci dentro per forza ...

Sentì i suoi compagni che lo chiamavano a centro campo, per scegliere il controllo di palla, e avrebbe dovuto vedersela proprio con Sendoh.

Furono faccia a faccia, e i suoi occhi sembravano ardere di passione e sfida, nonostante fossero liquidi e sonnolenti.

Sendoh se ne accorse del suo stato di saluto, e facendo un sorrisino, gli sussurrò a fior di pelle:

“Vedi di non strafare, scimmia ...”

Il rosso digrignò i denti, scuotendo le ciocche rosso carminio scivolate davanti ai suoi occhi.

“Stai attento, <amico> ... non scherzare con il fuoco ...”

Al fischio dell’arbitro, saltarono entrambi, e come era prevedibile, la palla passò all’istante nelle mani del ryonan, che poco dopo conduceva già 2 a 0.

Ormai, erano a cinque minuti di gioco, e Hanamichi era uno straccio.

Era davvero stanco e spossato, come non gli era mai capitato in vita sua.

“Ehi, scimmia! Datti una mossa, non vogliamo perdere con uno come te in squadra!” lo scosse afferrandolo per le spalle Mitsui.

Il rossino si staccò violentemente, asciugandosi la fronte con la maglietta, e sentendo una scossa violenta di freddo quando scoprì leggermente la sua pancia.

E sentì nuovamente il suo stomaco rimescolare i suoi succhi gastrici, assaporandoli disgustato in bocca.

Al riprendere del gioco, pieno di rabbia e furore nel corpo riuscì ad intercettare un passaggio.

<Non posso permettere che mi isolino!>

Corse palleggiando verso il canestro, scartando velocemente chiunque, avversario o compagno, che si frapponesse al suo cammino.

<Non posso permettere che anche loro mi abbandonino ...>

Finalmente, raggiunse la lunetta e raccogliendo tutte le sue forze rimanenti nelle gambe, saltò verso il canestro, alzando il braccio con la palla stretta tra le mani pronto a schiacciarla con violenza nel cerchio rosso.

<Non come è successo con Folken ...>

Spalancò gli occhi mentre l’adrenalina saliva ai massimi livelli, e bucava la rete con la palla arancione, mentre i pochi spettatori dalle tribune assistevano ammirati quell’angelo caduto che aveva ripreso con onore il suo volo.

Anche i compagni di squadra erano rimasti ammirati dalla sua bellissima azione, e con la bocca quasi spalancata osservavano il ragazzo che era fluttuato a canestro.

Il rossino non ebbe nemmeno il tempo di restare appeso al canestro. Scivolò incosciente verso il terreno, schiantandosi sul parquet e rimanendo completamente immobile, quasi senza respirare.

Un solo pensiero nella sua mente, una persona che lo stava facendo sanguinare mentre cadeva senza senno.

<Fratello mio ...>

L’arbitro fischiò il canestro, regolare, e dal pubblico si levarono urla di soddisfazione e contentezza.

Ma sparì ben presto.

Yohei, accortosi subito che l’amico riversava in condizioni pietose, aveva saltato la sbarra che lo divideva appunto dal campo, e assordato dalle urla esterne, senza curarsi di niente, era corso all’istante verso l’amico, che non si rialzava.

Prese a scuoterlo, ma questi non reagiva.

“Maledizione, ... Ayako!” chiamò la ragazza che era rimasta a bordo campo, tesa, e afferrato il cestino del pronto soccorso era volata al loro fianco, facendosi strada tra i giocatori che si erano avvicinati alla scena.

Si era chinata velocemente, posandogli le due dita esili e strette sul collo, e capì che fortunatamente era solo svenuto.

Gli toccò la fronte, notando che scottava così tanto da non crederlo possibile.

“E’ meglio chiamare un’ambulanza” decretò con il viso serio, il tono veloce e ansioso. Chiamò anche Akagi, e gli diede l’ordine di prenderlo e di trasportarlo nello spogliatoio, finché non sarebbe arrivato il mezzo per portarlo in ospedale.

Questo arrivò velocemente, e quindi lo caricarono sulla barella, mettendogli un respiratore sulla bocca per precauzione.

Yohei volle assolutamente andare con lui, e anche Ayako fu invitata ad andare con loro.

Pochi minuti dopo, la partita riprese, tra lo scompiglio generale.

 

“Non dovete preoccuparvi, sta ... bene. Ha la febbre alta, ma dovrebbe scendergli per i sedativi che gli abbiamo somministrato. Ora sta riposando. Qualsiasi cosa, chiamatemi” il medico aveva rivolto loro un caldo sorriso nel vedere quei due ragazzi preoccupati. Poi, si era congedato ed era andato via.

Yohei si era voltato vero la ragazza, e aveva sospirato, sollevato.

“Meno male ... vado a prendermi un tea, mi è venuta sete. Tu vuoi qualcosa?”

“No, ti ringrazio” aveva sospirato lei, andando a prendere posto sulla seggiola vicino al letto dove riposava, ancora incosciente, il rossino. Yohei l’aveva guardata un attimo, poi aveva fatto per uscire. Ma si fermò, ricordandosi improvvisamente di una cosa.

“Ho avvertito suo fratello. Dovrebbe essere qui tra poco ...” e detto questo, prese la porta, e si avviò nel corridoio del quarto piano dell’ospedale di periferia.

Ayako aveva osservato l’uscio chiudersi automaticamente, e poi aveva portato il suo sguardo sul volto addormentato di Hanamichi.

Ne aveva osservato con gli occhi riempiti di dolcezza i lineamenti regolari e proporzionati, e si era intenerita, nonostante avrebbe voluto rimproverarlo per la sua incoscienza, per le sue continue manifestazioni di grandezza, nonostante lei conoscendolo bene, era riuscita a capire il vero animo di quel ragazzo: non ne sapeva il passato, ma aveva visto che il suo giovane e intoccato cuore aveva delle cicatrici aperte.

Lo aveva notato, quando parlando era caduta in diversi discorsi riguardanti la famiglia, il fratello, o altro.

E immaginava che quella che indossava era solo una maschera, e la realtà dei fatti era ben diversa.

Gli passò una mano sulla fronte calda, e poi tra i capelli.

<Che strana pettinatura ... sembra che se li sia fatti da solo, che pasticcione ...>

In quell’istante i suoi occhi si erano aperti, ed avevano incontrato lo sguardo socievole e tranquillo della sua amica.

“Finalmente ti sei svegliato ... lo sai, ci hai fatto preoccupare in palestra! Sei sempre il solito scemo!” lo aveva accusato con una finta smorfia di disapprovazione, ma il sorriso che le colorava le labbra tradiva tutt’altro.

Lui aveva sorriso stancamente, non era lucido, ed inoltre le sue forze erano tutte state risucchiate in un buco nero.

“Ma che dici ... io sto benissimo ... solo il tensai ...” aveva soffiato con voce impastata, sapendo bene di tradire lo stato delle cose.

Ad Ayako le era scappato da ridere.

“Non cambierai mai ... mi tocca sempre fare la mamma della situazione ...”

Lui ridacchiò, chiudendo stancamente gli occhi, lasciandosi sfuggire un sospiro di beatitudine, sentendosi al caldo e quella mano gentile che gli accarezzava la nuca.

“Comunque adesso sto benissimo ... e pronto per tornare in campo ...”

Lo guardò negli occhi, cercando una sfida che non trovò. Solo un mare di tristezza, e dolore emotivo.

Mentiva.

Nonostante le braccia pesassero piombo, Hanamichi le alzò e andò ad afferrare piano quella mano che era posata sul suo capo, cercando un altro gesto di cura nei suoi confronti.

Lei gli sorrise, e rimase incantata nel vederlo respirare regolarmente, lo sguardo addormentato e le labbra rivolte ad un bellissimo sorriso.

Non seppe nemmeno il motivo, ma i suoi occhi si colorarono di ammirazione per quel viso che aveva il profumo di un ingenuo bocciolo di fiore ...

Si voltò di scatto quando sentì un botto sulla porta.

E il suo sguardo osservò spaventato e attonito quel ragazzo che pietrificato osservava la scena, il respiro affannato, le braccia lungo i fianchi, i pugni stretti con forza e le nocche bianche.

“Chi sei tu?”

La voce che era risuonata nel silenzio totale ricordava incredibilmente la violenza di un tuono, talmente era fredda e sinistra. E rabbiosa.

“Io sono Ayako, la manager della squadra dove ... bè, dove gioca Hanamichi, e lui ... lui ora sta meglio ... ecco ...”

Si era alzata di scatto in piedi, facendo distrattamente rovesciare la sedia, e dopo averla raccolta, non sapendo assolutamente come giustificare il suo comportamento poco educato, si era messa un poco a balbettare, gesticolando.

Non se ne accorse, ma mano a mano che i secondi scorrevano, lo sguardo freddo del ragazzo sulla porta si faceva di un rosso acceso, il colore della rabbia ceca.

Finché lo vide chinarsi e raccogliere la borsa che aveva fatto accidentalmente cadere a terra, e fare dietro front.

“Ma ... scusi, e suo fratello? ...”

“E’ solo un’idiota. Ho dovuto interrompere un lavoro importante, e la <compagnia> l’aveva già.”

“Cosa? No, lei deve avere frainteso, noi due non siamo ...” tentò di riaggiustare le cose, ma il ragazzo era già scomparso, e si sentivano già i passi frettolosi nel corridoio che svanivano velocemente ...

Hanamichi tese l’orecchio finché non udì più alcun suono a lambirlo, e quindi si abbandonò distrutto e mesto sul cuscino.

Ancora, ancora, ancora ...

Ancora quante volte doveva sopportare quelle parole, quell’indifferenza, quell’odio ...

“Che ... che uomo impossibile ...” ascoltò la ragazza chiaramente arrabbiata sbuffare.

Uomo ...

Si, suo fratello era già un uomo, uno splendido ventiduenne ...

Aveva sempre ammirato il suo aspetto, fin da quando era piccolo, lo trovava assolutamente perfetto, senza alcuna imperfezione.

Il suo mito, lo adorava, e molto, molto di più.

Non sapeva nemmeno lui che nome dare a quel sentimento che gli velava gli occhi, e gli stringeva il cuore.

Non aveva mai provato una simile sensazione, solo con lui ...

Era sempre stato il centro del suo mondo, da quando era nato.

Era sempre lui che lo accompagnava a scuola, che lo aiutava nei compiti, che ci giocava assieme, che lo coccolava, lo viziava ...

Ancora una volta, non poté fare a meno di chiedersi il motivo di questo cambiamento improvviso verso di lui ...

E pensare a un mondo parallelo, dove tutto questo non fosse mai accaduto, dove sua madre e suo padre erano ancora con loro, e suo fratello lo accoglieva sempre con un sorriso ...

Si voltò con difficoltà su un fianco, emettendo un tremulo sospiro e sentendo il magone nascere.

“Hanamichi ... scusa, non avrei dovuto dire quelle cose di poco fa, sono stata ingiusta ...”

“No ... non fa niente ...” rispose in un soffio.

“E’ lui ... vero?” chiese con una punta di tristezza Ayako dopo una lunga pausa di silenzio.

Un lieve fruscio delle coperte, e il raggomitolarsi del ragazzo sotto di esse.

“Già ... Ayako, io ...”

In quell’istante era tornato Yohei, proprio nel momento cruciale di quel breve discorso; tra le mani teneva due tazze di tea caldo che fumavano e mandavano un profumo niente male.

“Ho pensato di prendervi qualcosa lo stesso ... Hanamichi, tuo fratello è già venuto?” gli aveva domandato dopo essergli andato accanto e avergli messo sul piccolo comodino bianco il caldo bicchierino di carta.

“Si ... gli ho detto di tornare a casa, visto che sto bene.”

“Hmm ... sarà, ma non hai una bella cera.”

“Il dottore ha detto che per questa notte lo terranno in ospedale, e poi ... si vedrà!” lo informò velocemente la ragazza.

Yohei sorrise, e poi decise di salutare il suo amico; ormai la loro visita si era protratta a lungo, e l’orario delle visite stava finendo.

Inoltre, per il corridoio stava passando un’infermiera con il carrello degli antibiotici per ogni paziente.

“Ci vediamo, Hanamichi ... rimettiti presto!”

Finalmente erano andati via, e Hanamichi poteva rilassarsi, anche se questo senso di nausea e vertigine non lo abbandonava neanche un momento.

Nonostante odiasse gli ospedale – troppi ricordi dolorosi – quello era decisamente uno dei migliore che si potesse trovare.

C’era davvero un silenzio che intorpidiva la sua mente, e un profumo costante di neve lo avvolgeva come le braccia di una mamma.

Nonostante fosse febbraio, la sua città era una di quelle che si imbiancava per quattro mesi all’anno [ovviamente è inventato ND Evil], e il tempo delle grandi nevicate non era ancora finito.

Il cielo era plumbeo fuori dalla finestra che dava sull’enorme cortilone dello stabilimento dipinto di bianco.

Giunse la notte, così calma e ghiacciata.

E Hanamichi, come spesso e volentieri gli accadeva, non riusciva a dormire.

Lì, in quel letto, rannicchiato e solo, aveva la mente così affollata di pensieri che non capiva quando finito uno e cominciava l’altro.

Se avesse bevuto una camomilla si sarebbe addormentato sicuramente.

E chissà, magari avrebbe sognato i campi elisi ...

La finestra era chiusa. Non un soffio di vento poteva entrare nella camera.

Fortunatamente la notte si era rischiarata, e la luna si stagliava orgogliosa nel cielo, dipingendo il pavimento di bianco perlaceo attraverso i vetri della finestra.

I quadri candidi si oscurarono all’istante quando qualcosa si era fermato proprio sul davanzale della finestra.

Hanamichi aveva strabuzzato gli occhi, colto da un’improvvisa tachicardia.

Cosa diavolo era ... quello?
Un ragazzo. Non riuscì a riconoscerne la sagoma, ma vide che si trattava chiaramente in un uomo che osservava l’interno della stanza tenendosi saldamente al cornicione, in bilico.

Si alzò di scatto quasi rovinando a terra sotto ancora l’effetto della aspirina e del calmante, e quel ragazzo accorgendosi che il paziente era sveglio si scosse e si sbilanciò, finendo nel vuoto e atterrando su una massa di rami secchi raccolti in un grosso mucchio.

Emise un gemito di dolore, e si fiondò via, zoppicando per la violenta botta alla gamba e per le escoriazioni sotto i pantaloni strappati.

Hanamichi non fece in tempo a raggiungere la finestra e guardare giù che il ragazzo era già scomparso ...

 

Il mattino nacque nel silenzio.

Erano già le sette, ma c’era solo un accenno di chiaro nella città ancora addormentata.

Anche Hanamichi era ancora un poco addormentato, ed era stato svegliato all’incirca un’ora fa per un primo controllo medico.

A dire il vero aveva passato l’ennesima notte in bianco ... era troppo sconvolto per la visita della scorsa notte.

Non sconvolto ... solo, curioso, incredibilmente desideroso di sapere chi era quel ragazzo.

Chissà, magari era suo fratello ...

Sospirò. Folken non avrebbe mai fatto una cosa del genere.

 

Passarono tre giorni, e finalmente Hanamichi poté tornarsene a casa.

In quei giorni era venuta ogni volta a trovarlo la sua manager della squadra, che gli raccontava di ciò che era accaduto all’allenamento, delle decisioni del coach, stuzzicandolo parlandogli dei progressi di Rukawa, facendolo infuriare.

Gli aveva anche portato i compiti ...

Erano volati così quei giorni trascorsi in ospedale, e non un solo accenno di telefonata da parte di suo fratello.

 

Varcò la soglia di casa. era pomeriggio inoltrato, e tornava proprio quella sera a casa.

Con il battito del cuore veloce, e un’ansia asfissiante in sé, entrò nel corridoio.

Le luci della toilette erano accese, e la porta semi aperta.

Sentiva un dondolare d’acqua in bottiglia, imprecazioni dette a voce bassissima, e gemiti.

Hanamichi arrossì involontariamente: sentire quei suoni gli mandavano scosse di freddo sulla schiena ... conoscendo soprattutto che appartenevano a suo fratello ...

Si sporse dalla porta e vide Folken, con indosso soltanto la camicia bianca aperta, e le mutande nere.

In effetti, suo fratello era proprio il tipo da slip ... e gli stavano da Dio ...

Scosse la testa, ma a cosa diavolo stava pensando?

Aveva in mano un flaconcino semi trasparente con del liquido rosa nel suo interno, e si stava passando del cotone inumidito sulle lunghe gambe snelle, arrossate da escoriazioni misteriose e violacei lividi sulle ginocchia ...

“Folken ... !” sussurrò aprendo la porta con un gesto delicato.

Questi si voltò all’istante, stupito e sentendo mano a mano che il tempo passava l’imbarazzo salire velocemente.

“Ma ... che diavolo ci fai qui! Esci subito!” gli sibilò sentendo le guance scottargli, alzandosi di scatto in piedi e gemendo per il bruciore di quelle ferite.

“Io ... cosa hai fatto ... alle gambe?”

“Non sono affari che ti riguardano. E ora, esci !”

“Ma non vedi che non ce la fai da solo? Ti do una mano ...”

“Ti ho detto di uscire, idiota!”

“Idiota chiami qualcun altro, okay? Adesso basta, fammi vedere quelle ferite!” si avvicinò deciso afferrandolo per le braccia, e questi instabile, ricadde sulla tavoletta abbassata del water.

Hanamichi prese il cotone, e inginocchiatosi cominciò a tamponargli lievemente i tagli.

Folken era accaldato come non mai, respirava così veloce da sembrargli impossibile.

Avere suo fratello in mezzo alle sue gambe gli scatenava certe emozioni, che non avrebbe mai avuto il coraggio di rivelare a nessuno, ma ...

Ma.

Perché tutto era perfetto, non una sola piccola incrinatura in quella meravigliosa scena?

Lui e Hana, Hana e lui ... solo loro due ...

Ma la realtà era ben diversa ...

“Ho fatto ...” sospirò il rossino, abbassando lo sguardo sul pavimento.

“Bene. Ora puoi levarti di torno” tornò duro e acido come sempre, sovrastandolo con la sua altezza mentre chiudeva la bottiglietta dell’alcool con il tappo.

Hanamichi, silenzioso come era entrato, lo lasciò solo, senza voltarsi un attimo a guardarlo. [va che ti sbagli, quel demente ha fatto casino come al solito ND Rukinon; Si, è solo che mi piaceva quell’espressione, così ho deciso di usarla. Chiedo perdono. ND Evil]

 

Quella schifosa sensazione reale lo aveva lordato come un liquido colloso difficile da raschiare.

Si sentiva sporco, impuro e assolutamente sbagliato.

Cosa era stato prima quell’impulso a voler toccare suo fratello, ma non il solito gesto affettivo tra due parenti, ma più che altro, la voglia di sentirlo tra le sue braccia, sapere che era vivo, baciare le sue labbra?

Che il sapere di essere continuamente rifiutato si fosse instaurato in lui crescendo, e diventando quasi un sentimento di amore e convinzione, che non lo abbandonava un solo medesimo istante?

Crollò sulla poltrona del salotto, abbracciandosi e sprofondando i suoi occhi nel vuoto nullo.

Sentì l’acqua del cesso venire tirata con indolenza, e la porta del bagno aprirsi. I passi del fratello risuonarono pesanti come macigni, senza riuscire a capirne il perché, e si scoprì a sudare freddo udendoli così vicini.

Cosa gli stava succedendo? Per Dio, era suo fratello! Per di più, gli stava sempre lontano!

Finalmente Folken se n’era andato nella sua stanza, e aveva chiuso la porta a chiave.

Non lo voleva assolutamente tra i piedi, come sempre.

Come quella volta, che per caso si era trovato a passare davanti alla porta della sua camera ... il fratello si era dimenticato di chiuderla, troppo occupato a parlare al telefono.

Nel suo tono incolore e piatto aveva potuto scorgere una nota di affetto mentre parlava nel ricevitore, e da quello che aveva potuto capire, si trattava di una ragazza.

Chissà, magari era proprio quella che l’aveva spinto a farsi allungare i capelli per assomigliarle ... almeno un po’ ...

Involontariamente aveva origliato, scorrettamente ... e quando suo fratello l’aveva sorpreso, era scoppiata la lite che aveva portato alla sua fuga.

Ora ricordava ...

Era davvero una colpa, quella di voler essere amato dall’unica persona che amava, l’unica a cui ruotava attorno la sua stessa vita?

Era geloso ...

Si, geloso marcio di quelle attenzioni, giustamente SUE che però erano sempre indirizzate verso qualcun altro ...

E come quella schifosa notte che avrebbe tanto voluto farlo morire come candele nel vento, si chiese cosa avrebbe provato quel ragazzo tanto bello quanto freddamente indifferente se si sarebbe ammazzato ...

Ormai era parecchio che se lo chiedeva, ci aveva provato, ma negli ultimi tempi quando provava a cancellarsi, gli sorgeva una gran paura nel petto che gli faceva salire quell’incontenibile groppo in gola.

Speranza, il suo cuore ne era pieno, ed era certo che presto, ma forse non così tanto, le cose si sarebbero messe a posto ...

Forse ...

 

Finalmente dopo una lunga attesa comparvero i primi giorni di marzo, che vennero accolti con un pallido e tiepido sole e dall’aria ancora spruzzata di neve.

Aveva ripreso a giocare con passione lo sport che lo aveva fatto protagonista da quando era entrato nella scuola.

I suoi compagni sembravano soddisfatti. Adesso sì che la squadra aveva ripreso la solita grinta.

In effetti, si erano preoccupati da quando quel casinista arrogante e presuntuoso si era spento ... sembrava quasi che giocasse per obbligo ... ma adesso tutto era tornato alla normalità!

Ormai l’anno scolastico era finito, mancavano più o meno due settimane, e i loro più che allenamenti erano sedute dove chiacchieravano, troppo in ansia per gli esami di fine anno, che avrebbe deciso chi sarebbe passato, e chi sarebbe rimasto un altro anno nella scuola.

Ovviamente, Akagi sotto pressante e soprattutto *implorante* richiesta del capitano Miyagi e della manager, avrebbe dovuto fare un altro campo scuola, come la volta scorsa.

La mattina del primo appuntamento con i compagni di squadra, Hanamichi stava preparando i libri che sarebbero serviti per il ripasso degli ultimi sei mesi di scuola.

Poggiò lo zaino sfilacciato e strappato, conciato da buttare via ma suo più grande portafortuna, sul divano, e raggiunse lo specchio per dare una controllata ai capelli.

Dio, per dir la verità sembrava una massa di cespugli incolta ...

Gli veniva da ridere vedere quelle ciocche accese e color carminio in piedi sulla nuca da una piccola tenuta di gel, e la lunghissima frangia ai lati che ormai aveva raggiunto tranquillamente il collo.

Due opposti ma che tutti quanti dicevano che gli stavano bene, perché erano strani come lui ... già ... e poi, non poteva nemmeno andare a fare un salto dal barbiere, non aveva il becco d’un quattrino ... e lui di certo non si sarebbe messo lì a sistemarseli da solo, avrebbe consumato l’ennesima tragedia ...

Ridacchiò nuovamente scuotendo la testa, mentre si sistemava con un gesto secco il colletto rialzato della camicia beige e allacciava la cintura ai suoi jeans di tre taglie più grandi di lui ...

Indossò le immancabili scarpe da tennis e preso il suo fagotto uscì di casa.

Giunse davanti a casa Akagi dopo dieci minuti di cammino ... era in netto anticipo, non vedeva assolutamente nessuno in giro ...

Finché non si ritrovò schiacciato a terra come se gli fosse caduto addosso un macigno, e scoprì cos’era successo quando vide Rukawa con la sua bicicletta frenargli proprio davanti ...

“Stupido idiota! Mi sei venuto addosso!!!”

“Sei tu che ti trovi sempre in mezzo, scemo”

“Ma come ti permetti, stronzo!! Io ti massacro!!!!” si rialzò in preda a un precoce istinto omicida e stava per alzargli le mani, quando fortunatamente per entrambi era intervenuto il padrone di casa che sentendo tutto quel trambusto era uscito nel giardino e aveva fermato il rossino con un proverbiale pugno in testa, quasi tramortendolo ...

“Sakuragi, piantala di urlare come una scimmia! Sono le sette di mattina, la gente dorme!” era esploso con un ringhio, tentando di mantenere il tono di voce basso, anche se aveva voglia di spaccargli la faccia.

“Ma che diavolo, te la devi sempre pigliare con me, scimmione?! NON E’ COLPA MIA!!! E’ Rukawa il deficiente di turno!! Dagli un colpo!!!”

“Adesso se non la pianti te lo do IO un COLPO!!” lo aveva afferrato per la collottola e lo aveva trascinato dentro casa, seguito poco dopo da un Rukawa sonnolento che si era fermato per legare la sua sgangherata (e unica) bicicletta al cancello con il lucchetto.

Mezz’ora dopo erano tutti insieme, e come era logico, chi aveva bisogno di ripetizioni era l’armata cerca – guai come li avevano definiti in molti.

Quello che dava fastidio ad Akagi era che non solo quei pazzi sconsiderati l’avevano costretto ad assentarsi per una settimana dall’Università insieme a Kogure (anche se  con i loro voti non avevano alcun tipo di problema), ma soprattutto che nonostante fosse passato un anno, a quegli idioti non si era sviluppato per niente l’unico neurone celebrale che avessero nella loro zucca vuota! Soprattutto si stupiva di Miyagi, il nuovo capitano per giunta!

Incominciarono da subito a studiare, in coppia.

Per Hanamichi tutto fu più facile, perché capitò sotto l’insegnamento di Ayako, che quel giorno non aveva portato il ventaglio.

Gli spiegò come estrarre una radice radicalizzandola, e passò più avanti a fargli studiare la rivoluzione francese ...

Finalmente il gorilla decise di far fare loro una pausa, dopo quattro ore di studio. E poi, era quasi ora di pranzo ...

“Se vai avanti così, sono certa che passerai tranquillamente gli esami! Ti stai impegnando molto!” esclamò la manager contenta della sua concentrazione, e sicura delle sue parole.

“E’ ovvio che io passi la classe, sono il genio indiscusso!”

“Ma piantala, sei ridicolo!” sibilò malignamente come al solito Rukawa che si era messo accanto alla finestra a guardare il giardino esterno

“Adesso basta, sei finito!!!!”

“Su, Sakuragi, non ricominciare a litigare! Anche io sono d’accordo con Ayako senpai, ce la farai sicuramente!” questa volta fu merito della piccola Haruko se un’ennesima rissa venne sedata sul nascere.

Questa volta Hanamichi sorrise.

“Speriamo ...” sussurrò a sé stesso.

Ayako all’improvviso sembro risvegliarsi da un lungo sonno, ed esclamò:

“Ora che ci penso ... senti, che ne dici se ti tagliassi quelle ciocche ai lati del tuo viso? Insomma, ti faccio una pettinatura decente. Non puoi andare in giro conciato come un teppista!”

<Ma non è quello che sono, Aya!?> avrebbe voluto ironizzarle, ma disse in realtà:

“Non ti scomodare, io sto benissimo così ... è davvero un’acconciatura figa degna del tensai!”

“Eccolo che ricomincia ...” sospirarono in coro i tre di sopra-le-sei-insufficienze-non-riesco-a-salire.

“NON ricominciate, deficienti! Forza, venite in tavola, si pranza ... e guai a voi se vi ingozzate come maiali, io vi CACCIO fuori di CASA, chiaro?!” il gorilla li invitò gentilmente a sedersi per mangiare con la sua buona dose di ottime maniere.

“Guarda che questa minaccia può solo riferirsi a questa scimmia, Akagi!” sbottò quasi offeso il capitano dello shohoku, facendo imbestialire il suo kohai.

“Brutto tappo, io ti ammazzo!! Ti tiro un pugno e ti faccio diventare ancora più basso di quello che sei già!!”

“Tappo a chi, brutta bertuccia rossa?!!”

“Ha parlato il tapiro!”

“Se non la piantate vi castro, è chiaro?” decise di intervenire infine Ayako, notando che al gorilla stava uscendo il fumo dalle orecchie per la rabbia.

Si sedettero attorno al tavolo, e rimasero davvero stupiti di fronte alle pietanze che l’adornavano.

“Accidenti, hanno l’aspetto appetitoso! Haruko-chan, le hai preparate tu?” chiese con un sorriso Kogure, guardandola. Lei annuì piano, e sorrise soddisfatta.

Un allegro vociare aleggiò per la casa, mentre mangiavano quelle pietanze davvero buone e saporite, scherzando e pensando.

<E’ buffo ... ho la vita piena di problemi, eppure quando sono in loro compagnia me li dimentico tutti ... no, non tutti. Rimane sempre lui ...> pensò con un velo di rammarico, mentre addentava dell’altro sushi. Chissà adesso cosa stava facendo ... probabilmente era al lavoro, pranzava in un bar, oppure si era portato dei tramezzini, oppure chi sa ... in mensa ... probabilmente durante la pausa pranzo sarà andato se aveva tempo a vedere il mare e si sarà seduto sulla banchina a gambe piegate mettendosi a piluccare la sua roba ...

In effetti, in tutti gli anni che lo conosceva, e le poche volte che avevano potuto mangiare insieme, aveva notato che prendeva quasi un assaggio, non esagerava mai in niente. Non si riempiva quasi nemmeno il piatto come tutti!

Ecco perché era così magro ... alto circa come lui, sarà pesato al massimo ottanta chili, o forse meno.

Aveva dei lineamenti affilati, e i suoi occhi piacevano alle ragazze ...

<E anche a me piacciono tanto i suoi occhi ... sono innamorato dei suoi occhi ... sembrano che quando ti guardi risucchino ciò che hanno intorno, talmente sono profondi ...>

Lui invece era tutto il contrario. Cioè, era perfettamente nella norma, un ragazzo come tutti gli altri, ma mangiava di più. Decisamente.

Si scosse quando udì qualcosa di piccolo e molle finire nella sua camicia. Si tastò il petto sorpreso, finché non si ritrovò sui pantaloni una piccola mollica di pane.

Guardò i suoi compagni che stavano ancora parlando, tranne Rukawa che come al solito si confermava un caso a parte. I loro occhi si incontrarono, e ... Hanamichi capì.

ERA LUI IL COLPEVOLE!!!

Sentì la sottile venuzza pulsargli con rabbia sulla fronte, e mentre prendeva della mollica e la modellava a forma di pallina, nella sua mente proiettava macumbe e maledizioni vudu verso il suo acerrimo nemico che anche se non lo dava a vedere, se la stava certamente ridendo sotto i baffi.

Fece l’indifferente per un secondo e poi ... la lanciò con un colpo di dita verso il moro che la ricevette sulla guancia sinistra. Si osservarono di nuovo potendo addirittura vedere i lampi dei propri occhi scontrarsi e fare scintille, pronti all’imminente guerra di pane.

Rukawa afferrò dell’altra mollica, e facendo l’altalena con una forchetta la fece arrivare in testa al rossino, che ricambiò cacciandogliene un po’ che lo colpì dentro la maglietta nera.

Purtroppo per loro, fecero una tale baraonda tra lanci e imprecazioni che Akagi si accorse di ciò che stava succedendo, e li mise in punizione (anche se non avrebbe potuto visto che adesso non era più il capitano) a vita: li avrebbe fatto pulire la palestra fino alla fine dell’anno successivo!

 

La settimana era passata molto lentamente. O almeno, questo è quello che credeva Hanamichi. Per lui studiare era davvero faticoso, preferiva di gran lunga giocare a basket o guardare la televisione.

Comunque aveva fatto progressi; si era dato da fare come i suoi compagni, e aveva riempito le mille lacune che costellavano il suo profitto scolastico.

Il giorno dopo sarebbero cominciati gli esami ...

 

Si girò nuovamente nel letto, sentendo le sue coperte pesanti.

Gli davano fastidio, gli intralciavano i movimenti, non riusciva a distendere le lunghe gambe.

Le scostò con insofferenza, rimanendo a pancia in su con un gran caldo nel corpo.

Si sentiva accaldato, sudato anche se era completamente asciutto.

No, non era caldo ... era solo ansia per il giorno successivo.

<Cavolo, non me ne è mai fregato niente della scuola e adesso vado in panico per un esame? Ma stiamo scherzando?> pensò contrariato facendo un grande sospiro e cambiando posizione, coccolando la testa sul cuscino morbido.

Chissà se l’avrebbe superato davvero il primo giorno d’esame ...

I test si sarebbero divisi in tre parti: il primo di scritto, che riguardava italiano, al mattino; il secondo inglese e matematica rispettivamente a mattino e pomeriggio, e l’ultimo giorno ci sarebbe stato l’orale ...

Con tutto quello che aveva studiato, non avrebbe dovuto avere problemi ... forse ...

Magari fosse stato come Folken ... lui era sempre stato bravo a scuola, in tutte le materie, ma soprattutto letteratura giapponese.

Si ricordava come quando veniva a casa con la cartella buttata negligentemente sulle spalle, l’aria soddisfatta e pacata, e il sorriso aleggiante sulle labbra sottili, e diceva di aver preso il massimo dei voti nell’interrogazione di storia, o nel tema che aveva fatto. Lo aveva sempre ammirato tantissimo ...

Se fosse stato possibile, avrebbe chiesto a lui di dargli ripetizioni, ma adesso era impegnato, aveva ventidue anni e stava diventando un bravissimo avvocato ...

Il suo era un continuo studio, ma se aveva scelto anni prima quella facoltà, era perché gli piaceva ...

E sapeva come calmarsi in vista di un test ...

Ma non poteva andare là.

Non poteva chiedergli una mano, non poteva fare come quando era piccolo, e rifugiarsi nel suo lettone perché aveva paura dei temporali, non poteva chiedergli qualche coccola, non adesso.

Non adesso che sentiva il suo cuore battere diversamente, con un rumore diverso, al suo fianco poteva percepirne la piacevole intensità, quella voglia di essere cullato tra le sue braccia, quella voglia di essere *sempre* tra le sue braccia.

Si tirò a sedere sul letto, con uno sbuffo annoiato.

Prese la testa tra le mani, e come in trance si mise ad osservare il suo corpo. Le lunghe gambe muscolose, il ventre piatto, il petto abbronzato ...

Forse si celava nel suo corpo il motivo di quell’astio?

Basta, quella notte non avrebbe dormito. Voleva sapere, era deciso.

Si alzò in piedi, e il suo sguardo cadde sul comodino accostato al letto. Aprì il cassetto e afferrò ciò che v’era all’interno, dopodiché lo nascose sotto la maglietta e uscì dalla stanza.

Percorse quei corridoi piano, sentendo l’ansia crescere sempre di più, il battito del cuore farsi sempre più furioso, e un improvviso mal di pancia attanagliarlo.

La porta della camera del fratello era chiusa.

<Come sempre, no?!> pensò abbassando gli occhi sulla maniglia. Vi poggiò la mano sopra, e un brivido di freddo gli scorse sulla schiena.

Per la verità, era da prima che aveva questi brividi involontari ...

Bussò.

La casa era in perfetto silenzio. Si poteva udire come sempre il ronzio del frigorifero e degli elettrodomestici.

Dalla stanza non provenne alcun suono.

Bussò di nuovo.

Solo un mormorio soffocato riuscì a percepire. Suo fratello si era svegliato.

Di nuovo il mal di pancia lo colse impreparato. Era davvero sicuro di volergli parlare?! Magari avrebbe peggiorato le cose ...

Sentì il groppo in gola soffocarlo, ma decise di non piangere. Non poteva davanti a lui!

Bussò per l’ultima volta.

E finalmente sentì la chiave girare bruscamente nella toppa, e pochi istanti dopo si ritrovò davanti a un assonnato quanto seccato fratello maggiore.

“Si può sapere cosa diavolo vuoi a quest’ora della notte? Sono le tre!”

“Parlare ...” emise con un filo di voce guardandolo negli occhi.

Folken sembrò cadere dalle nuvole. Gli scappò un risolino quasi divertito e disse mentre richiudeva la porta: “Tu sei matto ...”

Hanamichi fermò il ragazzo tendendo le braccia contro l’uscio laccato di bianco.

“No, dobbiamo parlare!”

“Ma ti ha dato di volta il cervello?! Perché cavolo dovrei parlare con te adesso?!”
“Perché sono tuo fratello. Anche se quest’idea ti fa schifo”

Il ragazzo più alto rimase immobile a guardarlo. Era quindi arrivata la resa dei conti?

Osservò il fratellino che era a testa alta, che lo osservava deciso e pieno d’orgoglio, con indosso il pigiama.

Zitto, senza fiatare lo fece entrare.

“Allora? Cosa vuoi?” gli chiese. Detestava parlargli così duramente, ma sapeva che quello era l’unico modo per farsi odiare.

Eppure non c’era ancora riuscito.

O forse era il fratellino che era incapace di un simile sentimento?

“Perché mi parli sempre con disprezzo o rimprovero?”
“Sei tu che fai sempre la vittima”

“NON E VERO!!” si infiammò alzando la voce “Mi tratti sempre come uno straccio da buttare. Mi consideri poco meno di un sasso. Si può sapere che cosa ti ho fatto? Mi disprezzi così tanto che non riesci a guardarmi in faccia quando parliamo?”

Folken stava poggiato con indolenza contro la porta, la testa voltata di lato.

Aveva gli occhi socchiusi, cercando di concentrarsi su tutt’altro. Non voleva sentire tutto quello che gli aveva fatto ... si sentiva una merda ...

“Non mi chiedi mai niente. Nonostante viviamo insieme sembriamo due estranei. E’ forse il mio corpo a essere sbagliato? Sono IO a essere sbagliato? Perché mi devi trattare così?”

<No Hana ... sono solo io a essere sbagliato ... io ... soltanto io ... tu sei perfetto ...>

“Io non sono perfetto ... è vero, non brillo per l’intelligenza, ma sono sincero nei miei sentimenti. E vuoi sapere quello che provo? Vuoto. Perché mi manca tutto l’affetto che solo tu puoi darmi!”

“Adesso basta, ti stai rendendo solo ridicolo. Perché dovrei dare spiegazioni a te?! Non sei niente!” gli sibilò contro per difendersi.

Difendersi ... da cosa, poi? Dalla cruda verità?

Dalla realtà che lo circondava?

Dalle parole vomitate con dolore e sofferenza dall’unica persona che amava da sempre nella sua vita?

“Lo so ... l’ho sempre saputo che per te io non sono niente ...”

Pianse.

Non poté fare niente.

Perché crederlo, è un conto. Ma sentirselo dire, è un altro.

Ti fa sentire nudo e spoglio come in realtà non sei ... come non lo sei mai stato ...

Folken abbassò lo sguardo sul pavimento ... era finita.

Finalmente l’avrebbe odiato davvero. Dopo quelle fatiche veniva la ricompensa.

Doveva essere così ... vero?

“Allora ... visto che non sono niente ... uccidimi ... è quello che vuoi no? Me l’hai detto anche l’altra volta ... ora puoi farlo ...”

Serio in viso, nonostante le lacrime gli bruciassero la pelle come tizzoni ardenti, estrasse dall’elastico dei pantaloni la fodera contenente una rivoltella e gliela protese senza indugi.

Non ebbe il coraggio di esporre i suoi reali pensieri ...

<Lo sai, Folken? Sono sempre andato in cerca di un amore che non ho mai ricevuto. Ho vagato errando per tanti anni, ma non l’ho mai incontrato.

Perché non sapevo dove fosse.

Ma l’ho capito ... è sempre stato qui, tra queste quattro mura ...

Io avevo bisogno solo del tuo amore ...

Io ho bisogno tuttora della tua premura e dell’affetto che mi hai sempre negato ...

Ho bisogno del tuo amore!

Cosa c’è di sbagliato in questo?!

Voglio amare e essere amato, tutti lo vogliono, ognuno nella sua vita si prefissa questi obiettivi.

Ma allora perché per noi sembrano così confusi?>

“Facciamola finita ... basta ... io non ce la faccio ... tutte le volte che ... torno a casa mi trovo barricato nel muro del silenzio ... del tuo silenzio ... non posso più andare avanti così ... uccidimi ... così la smetterò con tutte queste lacrime sprecate ... facciamola finita ...”

Guardò Folken. Non l’aveva mai visto così, e gli venne ancora più da piangere.

Sembrava indossasse una maschera che non gli permetteva la fuoriuscita di sentimenti ed emozioni.

Offuscato, lo vide afferrare l’arma e pronunciare solo poche parole: “Hai ragione. Facciamola finita ...”

Un sorriso.

Bellissimo, che gli illuminava il viso stranamente pallido.

Poi, lo sparo.

E un improvviso silenzio si impadronì della notte.

 

(breve pausa ...)

Hanatato: ahh ... mi ... mi ... mi ... ha ... u ... ucci ... so ... ??!

Folken: O_O Cosa ... CHE COSA HO FATTO !?!?!! HO UCCISO IL MIO HANAMICHI!!!!!

Evil: Devo ammettere che mi sono divertita a scrivere l’ultima scena ...

Tuttie2: AUTRICE DEL CAXXO!!!!

Evil: SCUSATE?!?!?!

Folken: Come è possibile?!?! Io non avrei mai fatto una cosa simile!!! Non mi sarei mai permesso di ammazzare il MIO Hanamichi! Che diavolo hai scritto, cancella ALL’ISTANTE!!!

Evil: Ti piacerebbe, eh?!

Hanatato: X_X non posso crederci ...

Folken: *sta per commettere un autricecidio* Io ... io ...

Evil: Statemi lontano, magari cambio qualcosa ... ma se vi avvicinate vi CASTRO

Tuttie2: Ti saremmo stati lontano lo stesso, non credere ...

Evil: Maledetti ...

(fine breve pausa ...)

 

All’altoparlante chiamano il nome di un medico richiesto in uno dei tanti reparti ...

Chissà, magari sta andando a salvare qualcuno ...

Io so soltanto che se non salvano lui mi uccido ...

Cadremo insieme mano nella mano nell’Inferno ...

No, neanche lì staremo insieme ...

Verremmo divisi ...

Io all’Inferno ... lui al Paradiso ...

Perché è il posto che si merita ...

MA NON ADESSO.

Non ancora.

E’ ancora giovane ...

E come me deve vivere ancora a lungo ...

Sono qui seduto su una fredda seggiola del corridoio ...

Fredda come il mio corpo ...

Mi sembra di essere morto, di galleggiare su una nuvola ...

Non piango.

Non ho più lacrime.

Quando l’ho visto riversarsi a terra mi sono messo a urlare ...

Ma lui non mi rispondeva ...

Perché anche adesso deve rifiutare così la mia presenza?

Non vogliono farmi entrare ...

Mi hanno detto –attenda fuori, così non fa altro che intralciarci- ...

Ma come posso star qui ad aspettare, sapendo che mio fratello è lì dentro e che rischia la vita?!

Tutto per colpa mia!!!!

Sono io la causa di tutto, sempre io!

Se non gli avessi dato in mano quella pistola ... adesso saremmo ancora lì a bisticciare ...

Ma non mi sarebbe importato, perché la rabbia che si sputa quando si litiga non è paragonabile a questo dolore atroce che mi stringe il petto, e mi soffoca ...

Io volevo solo il suo amore ...

E in cambio cosa ho ricevuto?

Morte ...

Ho ricevuto la più cattiva e dolorosa delle disgrazie a questo mondo ...

La Nera Signora doveva venire a prendere me, schifoso colpevole, e non tagliare il filo della vita a mio fratello ...

Dio, ti prego ...

Se mi stai ascoltando ...

Chiedile di attendere ...

Se lo deve portare via ...

Chiedile di attendere ancora un po’ ...

Dio ...

Ti prego ...

Chiedile di condannarmi alla sofferenza eterna ...

 

“Signor Sakuragi? Può seguirci alla centrale? Dobbiamo farle delle domande.”

Due uomini in tenuta da poliziotto si erano fermati proprio di fronte a lui.

<Già ... devono aver trovato la pistola ...>

“Per favore ... aspettate almeno di farmi vedere se mio fratello è vivo ... solo questo, vi prego!”

I due si guardarono in faccia.

“D’accordo. Ma noi dobbiamo parlare” E si allontanarono.

 

Dobbiamo parlare.

Dobbiamo parlare.

DOBBIAMO PARLARE.

 

Se non fosse stato per quella maledetta frase che IO ho pronunciato, adesso Folken starebbe bene!

E’ tutta colpa mia!

E’ tutta colpa mia ...

Perché ho voluto mettere in chiaro le cose, quando non ne avevo bisogno?! Sapevo già quello che provava!

Sapevo la sua indifferenza, il suo odio ...

Così non ho fatto altro che accentuarlo ...

Come vorrei tornare indietro ...

Come vorrei ...

 

“Signor Sakuragi, abbiamo terminato l’operazione”

Si levò di scatto in piedi, ansante

“Come sta?”

La bruna infermiera sospirò:

“Purtroppo non è in buone condizioni. La pallottola ha sfiorato a malapena il cuore, recidendo un’arteria. Ha perso molto ... troppo sangue. Sinceramente non pensiamo che possa farcela. Dobbiamo trovare un donatore compatibile, ma del suo sangue ce ne sono pochi ... e non è detto che siano donatori ...”

“Io ho il suo stesso gruppo sanguigno ... donerò io il sangue per lui!” si offrì all’istante, colmo di gioia per poter fare qualcosa ... qualsiasi cosa per salvarlo.

“E’ una notizia magnifica! Vado ad avvertire il dottore!” esclamò sollevata, incamminandosi a passo spedito alla ricerca del chirurgo che si era occupato fino a quel momento di suo fratello.

La guardò sparire.

Poi entrò nella camera dove era stato portato il fratello.

Spalancò la porta e quando lo vide riverso nel letto coperto da tutti quei tubi si sentì ancora di più in colpa.

Quei macchinari ... lo tenevano in vita?

Sul bel volto aveva un respiratore.

Le braccia erano livide, costellate di piccoli tubicini.

Immobile.

Lo raggiunse, si sedette al suo fianco.

Gli accarezzò i bei capelli morbidi.

Sentì le lacrime forzare per uscire nuovamente.

Non le fermò.

“Fratellone ... sono uno scemo ... un’idiota ... avevi ragione a dirmelo ...”

Parlò, era assolutamente certo che il ragazzo non potesse sentirlo.

Meglio così ...

Le parole hanno valore se vengono dette una sola volta, in fondo ...

“Mi dispiace ... dovevo essere io a morire ... a finire qui ... circondato da questi orribili macchinari ... non tu ... ma sono contento, e lo sai perché? ... perché almeno posso rivelarti il mio piccolo segreto ...”

sorrise tra le lacrime, tristemente ... si avvicinò ancora di più al fratello dormiente ... sfiorò l’orecchio ...

“Lo sai, non l’ho mai detto a nessuno ... il mio piccolo segreto ... ma adesso sarà mio ... e tuo, e basta ... ti amo ... non mi importa se mi disprezzerai ancora di più ... non mi interessa ... ma io ti ho sempre amato, anche se non l’ho mai capito ... perciò non lasciarmi! Sono egoista a chiederti questo ... ma non farlo ...” singhiozzò afferrando una mano tristemente fredda tra le sue.

La strinse forte, forte ... così tanto che quasi poteva rompergliela ...

Guardò l’orologio appeso alla parete, proprio sopra ad una croce ...

Erano già le otto e mezza ...

Gli esami erano da poco cominciati, ma non gli importava ...

<Al diavolo gli esami! Al diavolo tutto!> pensò riprendendo ad accarezzargli i capelli, mentre provava ad asciugarsi col dorso della mano le lacrime lascive.

Pochi minuti dopo arrivò finalmente l’infermiera con il medico in camice. Lo fecero distendere nel letto al fianco del paziente, e cominciarono con il prelievo.

“Probabilmente ti sentirai stanco ...” lo rassicurò la giovane donna “... ma non preoccuparti ... se hai voglia di riposare, fai pure ... ci vorrà del tempo prima di finire ...”

Hanamichi annuì.

Ma non si sarebbe addormentato, no ...

Sarebbe rimasto sveglio finché non avrebbe visto gli occhi di suoi fratello aprirsi sul mondo ...

Non si sarebbe addormentato ...

 

Finirono una decina di minuti più tardi. Gli avevano prelevato molto sangue ... si sentiva così debole da non riuscire neanche a stare seduto.

Un mal di testa atroce lo costringeva sdraiato ...

“Forza ragazzo, mangia qualcosa. Ti sentirai meglio ... così potrai stare vicino a tuo fratello con tranquillità ...” gli propose l’uomo che adesso stava visitando il ragazzo. Hanamichi stirò un sorriso di gratitudine: “Grazie, ma non ho proprio voglia ...”

Anche il medico sorrise scuotendo la testa.

Stettero in silenzio, mentre il rossino ascoltava rapito il respiro di Folken calmo e regolare, le provette che venivano sbattute una contro l’altra, e i movimenti del camice medico che frusciavano ad ogni mossa.

“Fortunatamente tuo fratello ce l’ha fatta. Pochi minuti e si sveglierà spontaneamente. Non forzarlo, mi raccomando!” gli sorrise ancora una volta, e poi se ne andò.

Il rossino voltò il capo verso l’amato fratello. Aveva preso un po’ di colore, sicuramente ... ma gli sembrava ancora pallido.

Indubbiamente nel letto sembrava ancora più magro di quanto non fosse già.

Allungò il braccio, finché con uno spasimo involontario riuscì a toccare la stoffa delle lenzuola del letto al suo fianco. E con un piccolo sforzo prese la mano del ragazzo, e la strinse, sentendola adesso calda.

Quel calore lo fece sorridere come non mai.

Era l’indubbia prova che il ragazzo si stava riprendendo .…

Sentì la stanchezza pesante come un macigno pressarlo sotto di sé, inducendolo a chiudere gli occhi.

Avrebbe riposato cinque minuti, solo cinque minuti .

 

La luce bucò le sue pupille all’istante, anche se era ancora buio fuori.

No, erano le tende scure che coprivano le finestre ...

Non capì dove si trovava ... sentiva un bruciore al petto e agli occhi.

E un cattivo senso di nausea.

E un piacevole calore nella sua mano destra.

Si tolse il respiratore con un gesto intorpidito, e si voltò verso quella fonte sconosciuta.

Sgranò gli occhi ...

La sua mano era dolcemente intrecciata a quella del fratello minore che, sporto verso l’esterno del letto, dormiva serenamente, nonostante avesse le sopracciglia aggrottate.

Era ancora vivo ...

<Allora non ho perso la fermata ... maledizione, perché devo ancora sopportare tutto questo?!> pensò frustrato, con gli occhi socchiusi.

Avrebbe tanto desiderato non risvegliarsi più ... non dopo quello che era successo quella notte!

Essere vivo, la più schifosa e tremenda umiliazione che gli fosse mai stata inferta.

Essere vivo voleva dire essere ancora accanto ad Hanamichi.

Essere vivo voleva dire ingoiare tutta la repulsione, tutte le lacrime del rossino.

Essere vivo voleva dire morire cento volte per incontrare solo due occhi da cucciolo ...

Ma perché gli stava tenendo la mano?

Cosa era successo?

L’ultima cosa che ricordava era il colpo che si era sparato al petto ...

La caduta e tutto il sangue che usciva senza tregua ...

Hanamichi che urlava e piangeva ...

La paura a trasfigurare il suo viso bronzeo ...

E poi ... cos’altro?

Soltanto un buio pastoso e vischioso che lo faceva dimenare senza alcuna via d’uscita.

In quell’assenza di luce muoveva le braccia sentendo quel liquido viscido ricoprirgli la pelle e succhiarlo verso il basso.

Gli pareva di affondare ...

Eppure qualcosa si era rotto quando aveva sentito un sospiro dolce come lo zucchero ...

Un sospiro?

Era stato un sospiro ... o la voce di qualcuno ... che piangeva ... era così lamentosa che gli feriva le orecchie ... aveva sempre odiato le lacrime, e avere quella voce così vicina ...

E poi quelle parole sussurrate con una tale gelosia e riservatezza ...

Un piccolo segreto.

Suo.

Loro.

Ma per quanto si sforzasse non riusciva a ricordarselo ...

Erano poche parole, ma le aveva dette con una tale passione e sconforto che le avevano rese bellissime come dei boccioli di rosa.

Cosa poteva essere il segreto?

Percepì un lieve muoversi del ragazzo al suo fianco.

Senza saperne il motivo strinse più forte quella mano che lo aveva guidato fino al risveglio.

Vide il suo amato fratello mugolare qualcosa.

Poi, i suoi occhi aprirsi ed invadere di dolcezza il suo animo con quel mare di cioccolata calda.

E si ricordò ...

Il piccolo segreto ...

Un bellissimo sorriso ad illuminargli le labbra piene e rosse ...

La frase era ...

“Ben svegliato ... ”

TI AMO ...

 

“Ve lo ripeto per l’ennesima volta: stava solo lucidando la pistola e senza farlo apposta è partito un colpo. Non voleva ASSOLUTAMENTE suicidarsi!” sbuffò spazientito il rossino ai due agenti che continuavano con l’interrogatorio.

Era ancora stanchissimo, da impazzire, ma nonostante tutto doveva chiudere quella storia.

Chissenefrega se aveva inventato una balla stratosferica!! L’importante è che lasciassero stare suo fratello ...

Era ancora debole ...

“D’accordo ... può andare, decisamente è tutto a posto ...” sibilò uno dei due mentre compilava un modulo. Hanamichi sorrise e dopo un lieve inchino scappò letteralmente via, per correre all’ospedale.

Erano passati già tre giorni.

Gli esami ormai si erano conclusi.

E lui era stato bocciato.

Ma adesso ... non gli faceva differenza ... un anno più, un anno meno ... cosa importava, quando finalmente riuscivano un poco a parlare, come se tutto fosse passato?

Cosa importava se doveva trascorrere un altro anno ad ascoltare i suoi professori che lo sopportavano a malapena, adesso che tutto si stava sistemando, finalmente?!

Passò davanti ad un hanaya ... e colto dall’inebriante  profumo dei fiori che v’erano in vendita, si fermò ... e comprò un bellissimo mazzo di gigli ... in effetti Folken era davvero liliaceo ... con la pelle così chiara, e quel profumo della sua pelle così simile al bianco fiore ...

Pieno di gioia arrivò nell’enorme giardino sbocciato del candido edificio, ma venne fermato da una voce apprensiva quando arrabbiata:

“Ehi, Hanamichi!”

Si voltò di scatto, e vide arrivare verso di lui il suo amico Yohei, con lo sguardo incredibilmente corrucciato.

Non capì cosa stesse succedendo finché colpito da un pugno non finì, riversando il mazzo di fiori, sul terriccio.

Tenendosi la guancia offesa osservò l’amico ansante per la rabbia.

“Ma sei scemo?!” esclamò a voce alta “Dove diavolo eri finito, si può sapere?! Non ti sei presentato a nessuno dei tre esami! Sei bocciato! E gli insegnanti ti faranno la pelle!”

Hanamichi si rialzò in piedi scoccandogli uno sguardo freddo.

Raccolse i fiori carezzandone i petali di uno.

“E’ solo per questo che ti è parso giusto cacciarmi un cazzotto?”

“Te lo meriti! Ci siamo tutti preoccupati! Addirittura Haruko pensava ti avessero ammazzato, siamo andati persino a casa tua!”

“Come vedi sto bene. Adesso devo andare ...” si voltò pronto a dirigersi altrove, ma il braccio dell’amico lo fermarono dal suo intento.

“Hanamichi, dove diavolo sei stato, posso saperlo? Che dirai agli insegnanti?”

“Io ... tre giorni fa mio fratello è stato male e non potevo permettermi di lasciarlo solo ... e adesso è ancora lì ... e non me ne andrò finché non lo vedrò stare in piedi con le sue gambe ... e comunque, ci penserò il quattro di aprile, quando tornerò a scuola ... adesso se vuoi scusarmi ...” borbottò tenendo delicatamente il bellissimo mazzo tra le braccia nude.

Yohei lo guardò allontanarsi, finché non scomparve all’interno della porta a vetri che conduceva dentro l’ospedale Yamaguchi.

Tirò un sospiro di sollievo. Almeno stava bene ...

 

Salì le scale sentendo come sempre l’ansia di vederlo pervadergli le membra.

Cercò il numero della sua stanza, e bussò.

Buffo come situazioni portavano pericolosamente al ricordo della notte di quattro giorni fa ...

Udì un “avanti” piuttosto soffocato ... chissà, magari stava *finalmente* mangiando ...

Entrò e aspirò il profumo di pulito e giglio penetrare come refrigerio nelle sue ossa.

La luce primaverile invadeva la camera dove erano prevalenti colori opachi e candidi, molto rilassanti ...

Certamente il bianco era il colore che più si intonava a Folken.

Non sapeva dire il perché, forse perché indossava spesso e volentieri bianche camicie, o perché adesso era circondato di quel colore ... si chiese se potesse impazzire ad incontrare sempre quel candore ogni qualvolta spostasse lo sguardo ...

Forse aveva sbagliato a comprargli dei gigli.

Lo salutò con un timido sorriso.

“Ciao! Come stai oggi?”

Folken lo osservò. Non sorrideva, ma il suo volto era sereno.

“Come sempre ... voglio andarmene di qui ...”

“Non essere impaziente ... i medici dicono che ti stai riprendendo in fretta, reagisci bene alle medicine ... entro una settimana sarai ... al tuo adorato lavoro ...”

abbassò lo sguardo, mentre chiudeva la porta e andava a poggiare il mazzo sulla piccola scrivania di fronte al letto.

“Sono stufo di stare qui ... voglio andare via ...” ripeté monotono guardando fuori dalla finestra. Si alzò in piedi e vi si poggiò stancamente al davanzale.

Di nascosto si abbandonò alla sua lucentezza.

Gli osservò i lunghi capelli splendidi che accarezzavano la sua schiena grande e forte.

Gli occhi viaggiavano lontano verso l’infinito e il suo proseguire.

Le braccia erano allungate sulla lastra di marmo fregiato.

Un grosso cerotto era attaccato poco a fianco del cuore; la stoffa grezza contrastava con la liscezza della sua pelle.

Non aveva mai visto un ragazzo così bello ... non lo diceva soltanto perché era suo fratello, lo pensava seriamente.

Sembrava un modello di Men’s MonX2 *, la più venduta tra le riviste per sole donne. Certo, lui non si sognava nemmeno di comprarla, ma la conosceva bene dato che ne parlavano a iosa i giornali, e la televisione fosse invasa dalla pubblicità ...

Era sicuro che se si fosse fatto vedere in giro nei loro studi, l’avrebbero contattato all’istante per diventare uno di loro ...

I suoi occhi scivolarono sulle sue gambe, sulle quali si potevano ancora leggere diverse escoriazioni e piccoli lividi scuri.

“Folken ... ?”

“Mh?”

“Come hai fatto a ... ferirti le gambe?”

le spalle del ragazzo sussultarono impercettibilmente, ma lo scatto di sorpresa c’era stato ...

Lo guardò intensamente per diversi minuti, e il fratello minore si sentì a disagio sotto quell’occhiata densa e forte.

“Sono caduto”

“Dalla finestra?”

“ ... io ... sono stato stupido ... volevo solo vedere se tu stavi bene ... mi ero preoccupato per *te* ... ma quando ho visto qui la tua ragazza ... io mi sono ingelosito e ... me ne sono andato .. allora ho pensato di venire di notte, ma tu eri sveglio e io ... non volevo che tu mi vedessi ...”

“La mia ragazza? Folken, ma cosa stai dicendo? Io ... non ce l’ho la ragazza!”

“Non prendermi in giro!” scattò con un mugugno simile a un guaito rabbioso “Si vedeva che tu e quella ragazza dai lunghi riccioli neri eravate molto in ... intimità ...”

Il rossino era ... assolutamente esterrefatto.

Lui ... in intimità con una ragazza ... una *ragazza*?

Non ricordava, quel giorno in ospedale l’unica bella ragazza che l’aveva soccorso era stata ... Ayako ...

Un sorriso sempre più grande andò a formarsi sulle labbra ... finché non scoppiò in un riso irrefrenabile ...

Folken lo guardò in completo panico ... stava ridendo di lui???

“Cosa ... cosa succede?”

“Ti sbagli ... davvero, è uno sbaglio enorme! Ayako ed io siamo soltanto amici ... davvero, devi aver visto male ... siamo solo amici, Folken!”

Un abbaglio ...

Un sommesso risolino scappò dalla gola del fratello maggiore, ma lo soffocò prima che si trasformasse in un grosso sospiro di sollievo ...

“Ho bisogno di parlarti, fratellone ...”

un singulto di sorpresa sfuggì alle sue labbra.

I loro occhi si cercarono per scoprire a vicenda ciò che li stava attraversando ... le scariche di timore, ansia, complicità, amore ...

“Hai ragione”

Hanamichi abbassò lo sguardo castano, e lanciò di sfuggita un’occhiata alla porta.

Era chiusa.

Non li avrebbero disturbati.

Andò a sedersi sulla sponda del letto, e finalmente rialzò lo sguardo su di lui.

“Sai, mi sono messo in tanti di quei casini che non ti immagini. Ma sono sempre riuscito a scamparla ... ma adesso, non posso.

Perché quello che mi è successo e mi sta succedendo non è concesso né in cielo né in terra ... e non c’è modo per uscirne.”

Folken annuì grave.

“Io ... ho amato. E amo tuttora. E amerò per sempre ... ma il problema non è l’amore, il problema è la persona che amo.”

Tremava. Tutto il suo corpo tremava per la forza e l’intensità di ciò che lo stava sopraffacendo.

“Io ... ti prego di non rifiutarmi. Ma io amo te. Ti amo da sempre. E ti prego di non confondere amore fraterno con l’amore che coinvolge due persone.

Io parlo proprio di questo amore, che mi attira verso di te come una falena alla luce. Parlo di questo amore che mi fa piangere quando sentivo la tua indifferenza.

Questo amore che ... mi fa desiderare di ... abbracciarti, di baciarti ...”

Non sentì alcuna risposta, assolutamente niente. Solo il suo respiro.

“Io ... mi sento in paradiso solo standoti accanto, e ho paura, perché so che tutto questo è sbagliato ... so che mi porterà all’Inferno ... ma non mi importa ...”

“Hanamichi ... tu non sai quello che stai dicendo ...”

“Sì, che lo so! L’ho sempre saputo, ma non volevo dirtelo! Ti prego, non tornare ad odiarmi! Non lo sopporterei ...” sussurrò abbassando lo sguardo.

Il silenzio si era fatto insopportabile, e Hanamichi, come se gli avessero strappato il cuore dal petto, aspettava con gli occhi offuscati dal pianto e la gola stretta.

<Di qualcosa ...> pregò.

“Quelle parole ...”

Il rossino rialzò la testa, solo per osservare la schiena tesa del fratello.

“... Io le dissi perché mi sentivo tremendamente male. Ma ho fatto stare male te con il mio comportamento. Non volevo che ti avvicinassi. Volevo che tu mi disprezzassi a tal punto da ... andartene, o addirittura uccidermi. Perché io non ne sono capace, ho troppa paura ... di non poterti più rivedere, e in un’altra vita, riscoprirti come un estraneo ...”

“Folken ...”

“Fammi finire, altrimenti non avrò più il coraggio di rivelarti il motivo del mio comportamento sconsiderato. Ti amo anche io, Hana. All’inizio pensavo che fossi solo attaccato morbosamente a te, ma poi capii che desideravo averti come si può avere un amante, un innamorato. Avevo paura che tu lo venissi a scoprire ... e non potevo permetterlo. Ma adesso è cambiata ogni cosa.”

Si voltò, e vide gli occhi arrossati dal pianto del fratello. Ma lui non riusciva a piangere, non poteva farlo.

“E ora, ti chiedo: sei disposto a sfidare ogni pregiudizio, ogni disprezzo, ogni cosa che sarà contro di noi? Perché se non lo sarai, non potremo andare avanti ...”

“Se sarai con me, lo sarò sempre” rispose.

Si guardarono di nuovo. Non osavano fare un passo, erano troppo smarriti e sconvolti per quelle confessioni, da risultare difficile persino pensare in quell’istante.

“Allora è deciso. Andremo all’Inferno assieme”

Hanamichi lo guardò a quelle parole, e senza poter più attendere un secondo si avvicinò, solo per poterlo abbracciare forte, convulsamente, per potere aspirare il profumo della sua pelle chiara. Poggiò una mano sulla garza bianca che avvolgeva il suo corpo forte, e alzò il viso.

La sua bocca a pochi centimetri dalle sue labbra.

Si incontrarono subito, all’istante ...  avevano represso per troppo tempo i loro sentimenti.

Si staccarono, ansimanti, e si guardarono negli occhi.

Non riuscì a resistere, e Folken lo baciò nuovamente, questa volta era la passione a padroneggiare il gioco.

Hanamichi non poteva credere che baciare qualcuno potesse sconvolgerlo così tanto.

Nn poteva credere di baciare suo fratello ... sentiva la sua lingua – un po’ ruvida a dir la verità – sfiorargli il palato, accarezzargli le labbra, toccargli la sua ...

Si sentiva così caldo!

“Folken ... mi prometti che mi starai sempre vicino?”

Piagnucolò con voce lamentosa.

Il fratello sorrise. Un vero sorriso.

“Te lo giuro ... Hanamichi, perdonami ...”

Il rosso lo abbracciò stretto, aspirando nuovamente il suo profumo.

Era un nuovo inizio.

 

 

End.

 

 

*Men’s MonX2 è la rivista che c’è nel manga di Ueda-san, Peach Girl ...

 

 

Evil: Ho finito. Per un po’ la pianto di scrivere stronzate.

Folken: No, finito un cavolo. E poi cos’è la parte della lingua ruvida? Io non sono un gatto. Non era Vegeta che scambiavi per un gatto?

Hanatato: My sweet love, non lamentarti, lo sai che ti amo comunque.

Folken: E che caspita, lo so, ma questa è una questione di principio!

Evil: Ma quanto la fai lunga! Ti ho messo insieme ad Hanamichi, non sei contento?

Folken: Devo ammettere che più ti conosco più mi sembri scema. Cioè, io avrei preso una pistola e mi sarei sparato da solo? Ma che cavolo di idee contorte ti vengono in  quella testa bacata?

Evil: Mamma che rottura di palle ... sei peggio di Allen quando ti ci metti ...

Hanatato: Autrice, non è che scriveresti un extra?

Evil: Un cosa?

Folken: Non fare la sborona, sai cosa intendiamo per EXTRA.

Evil: Hah! E cosa mi date in cambio?!

Hanatato: Dobbiamo rammentarti che lavoriamo per te gratis e ci sottoponiamo ai tuoi esperimenti letterari senza pensarci?

Evil: Hmm ...

 

 

La festa era in pieno sviluppo.

Il cielo primaverile era colorato di blu e dalle sue più magiche sfumature, mentre migliaia di astri bruciavano a miliardi di chilometri di distanza con un intensità tale da renderli bellissimi.

Il piccolo paesino era in fermento, i suoi abitanti erano raddoppiati.

Quella era davvero una bella festa.

Nella piccola piazza c’erano tantissime bancarelle.

Le ragazze vestite con i kimoni di cotone si lasciavano lodare dai propri fidanzati.

Le bambine si divertivano a sfoggiare il loro infantilismo in quegli abiti colorati e decorati.

“Fratellone, aspetta! Voglio comprare dello zucchero filato!”

Hanamichi e Folken si trovavano proprio lì.

Come ai vecchi tempi ...

Hanamichi sorrideva con tenerezza al ricordo di lui bambino con in mano il bastoncino di zucchero filato quasi troppo grande per lui.

Adesso il bastoncino riusciva a tenerlo con due dita ...

Ne staccò con facilità un pezzo morbido e colorato, e gustò il suo sapore nella bocca.

Insieme imboccarono una via che portava in aperta campagna, dove c’era ancora, anche se deserta, la casa dei loro nonni.

Quel viale era stupendo.

Ad entrambi i lati erano impiantati dei grandi alberi di ciliegio.

Quell’anno i colori si sovrapponevano.

Il bianco e il rosa dei petali danzava davanti ai suoi occhi.

Se li ritrovava continuamente tra i capelli ...

Ma amava tutto quello ...

L’aria fresca ...

L’odore di croccante che si profilava nella sera ...

Quel calore così vicino a sé ...

“A cosa pensi?”

“... A niente ... Forse, la scuola ...”

“Sei stato bocciato, non è così?”

“... Già!”

“E’ stata colpa mia ... non so come fare a farmi perdonare!”

“Vuoi farti perdonare?”

“Si ...”

“Allora, prometti.”

“Prometto?”

“Si, prometti: prometti che qualsiasi cosa succeda tu non rinnegherai mai di essere mio fratello, prometti che mi amerai per sempre, prometti che mi starai sempre accanto ...”

“Te lo prometto.”

Adesso erano uno di fronte all’altro.

Vicini, come non lo erano mai stati.

Folken si inclinò sul suo viso, e gli soffiò un bacio sulla bocca.

Era così dolce quando voleva ...

“Andiamo a casa ...?”

“A casa? Io volevo vedere i fuochi d’artificio!”

Una smorfia di disapprovazione passò sul viso del fratello maggiore, ma questa scomparve subito, quando guardò gli occhi da furetto del rosso.

“Allora vieni con me ... conosco un posto dove si vedono benissimo, e dove possiamo stare in tranquillità ...”

Lo prese per mano, e si incamminarono insieme nella direzione in cui erano venuti.

Presero una viuccia secondaria, che si ramificava in due sentieri. Continuarono a camminare finché quel sentiero non divenne una salita piuttosto ripida, e finalmente arrivarono a destinazione.

Era una bellissima collina in fiore.

Il promontorio si profilava sul villaggio, ed era impossibile essere visti da lì.

E poi, c’era un enorme e maestoso albero di ciliegio bianco ...

Si sdraiarono uno a fianco all’altro, rivolgendo la loro attenzione al meraviglioso manto scuro che si estendeva a vista d’occhio sopra loro.

Hanamichi aveva divorato letteralmente quello zucchero così buono, e adesso aveva preso la mano del fratello e gli si era coccolato accanto.

Aspettarono silenziosamente per qualche minuto, finché non si sentirono i fischi dei fuochi che raggiungevano l’altezza massima ed esplodevano in mille scintille brillanti e colorate.

Hanamichi sorrise strusciando la sua guancia contro la sua spalla.

Folken voltò lo sguardo su di lui, e gli sussurrò affettuosamente nell’orecchio:

“Non sapevo che le scimmie facessero le fusa ...”

Il rossino lo guardò furente:

“Io non sono una scimMMMMPH!” mugolò sentendo la lingua del fratello accarezzargli la propria lingua.

Giocarono, duellarono languidamente.

Ma a nessuno dei due bastava più quel contatto ...

Folken prese ad accarezzargli i fianchi, giocando inoltre con la bocca sul suo viso. Nelle orecchie l’incessante esplosione della parata ...

Il rossino scese con le mani lungo la sua schiena, accarezzandola dolcemente fino a giungere alla cintura dei jeans. Afferrò quindi la maglietta, sfilandogliela impacciato.

I loro corpi cominciavano a bruciare per la passione.

Ben presto il rossino riuscì a ribaltare le posizioni ...

Gli salì sopra il bacino, scendendo a succhiargli la tenera pelle del collo, sentendolo mugolare.

Le sue mani percorsero con lentezza il suo petto fino a giungere alla cintura dei pantaloni che cominciò a slacciare con infinita pazienza anche se dentro stava scoppiando desideroso di volere un altro tipo di contatto.

Ben presto si ritrovarono allacciati l’uno all’altro, senza nient’altro addosso che non fosse la voglia di fondersi insieme.

Il fratello maggiore lo baciò nuovamente.

Adesso c’era solo il frinire delle cicale a riempire l’aria, e sotto di loro un tappeto erboso costellato da bianchi petali di ciliegio ...

Quello sembrava l’eden.

Esplorarono a vicenda i loro caldi corpi, saggiandone il dolce sapore e la meraviglia, la gioia di sapersi uniti ...

“Folken ... fratello ... non ce la faccio più ...” mormorò afferrando strettamente i suoi fianchi e inducendolo a spingersi contro di lui.

La bolla di calore nel suo corpo era esplosa da tempo liquefacendolo velocemente. Ormai era teso allo spasimo, non aspettava altro di appartenere alla persona che amava più della sua stessa vita ...

“Ne sei sicuro ... ti farà male ...”

“Niente può farmi male ...” gli morsicò il lobo dell’orecchio fuseggiando sensualmente. Si mosse sotto di lui impaziente, una smorfia di piacere gli trasfigurava il viso.

Il fratello gli prese una mano tra le sue e se la portò alla bocca, cominciando a succhiarne una.

La fece passare nella sua bocca, umettandola di saliva. Gli occhi di Folken ardevano nel vedere le sue dita entrare ed uscire dalla calda bocca dell’amante.

Avrebbe desiderato avere qualcos’altro nella sua bocca ...

Si eccitò ancora di più.

Il dito grondante di saliva lo fece scorrere sul corpo del rosso, creando arabeschi contorti, fino a giungere al bacino.

Infilò il lungo dito nella stretta e morbida entrata.

Sentì il corpo del fratellino tendersi, ma grazie a delle rassicuranti parole pronunciate con apprensione lo rilassarono.

Finché il suo corpo entrò in quello del compagno.

Il rossino sentì un fortissimo bruciore lambirgli il corpo e gli occhi, dimostrandolo con le lacrime che non tardarono a comparire sul viso contratto.

Incontrò gli occhi di Folken e vide la sua preoccupazione, la sentì attraverso i baci che lo sfioravano, la percepiva attraverso il calore delle sue mani intrecciate adesso alle proprie.

Sopra di lui cominciò la lenta danza che ben presto lo avrebbe portato al massimo piacere.

Entrambi ansimavano insieme, gemevano insieme, mugolavano insieme.

I loro respiri erano uniti, così come il battito roboante dei loro cuori che aveva raggiunto la loro testa.

Il sangue scorreva veloce nelle loro vene.

Adesso erano una cosa sola ...
Vennero nel medesimo istante, ricadendo uno sull’altro senza più energie.

I petali di ciliegio continuavano a scendere, come la neve.

Andarono a posarsi sui loro capelli, sulle loro schiene, sui loro volti.

“Hanamichi ... stai bene?”

Il rosso lo abbracciò stretto, sentendo le lacrime trasbordare nuovamente dai suoi liquidi occhi.

“Allora ti importa davvero di me ... come sono felice ...”

Il fratello gli asciugò le lacrime con le labbra.

“Adesso non piangere più ... ti prego ... ho fatto tanti sbagli ... e adesso ho intenzione di rimediare ... perciò, non piangere ...”

Fecero nuovamente l’amore ...

E ancora, e ancora ...

Finché non videro l’alba ...

E li accolse, nuovamente, insieme ...

 

 

End.

 

 

Evil: Eh minchia, adesso basta. E’ finita!

Folken: ...

Hanatato: ...

Evil: ...

Folken: ...

Hanatato: ...

Evil: ...

Folken: Devo ammettere che questo finale è stato piuttosto spoglio e vuoto.

Hanatato: Anche io volevo qualcosa di più esplicito ...

Evil: --_--;; Accontentatevi. Auguro a tutti una buona notte.

Tuttie2: Non per noi, ovviamente. Abbiamo altro da fare! ^//^

Evil: Si grazie, non nel mio letto! Li ci dormo io!





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