I personaggi di Dragon Ball, Slam Dunk e Tenku No Escaflowne
sono © dei loro rispettivi autori. Nessun scopo di lucro.
A Brother's
Love
di Folken
Basta.
Tutto quello doveva avere
fine.
Tutte quelle parole
cattive, quei silenzi opprimenti, quell’odio senza un perché ...
Sarebbero presto
scomparsi.
Camminava sotto la
pioggia battente, che colpiva con violenza il suo corpo semi nudo e
fradicio, e attraversava il vento freddo che lo frustava con indolenza.
Quel temporale invernale
sembrava non avere fine.
Quasi sfocatamente vedeva
i contorni degli oggetti cancellati dall’acqua piovana.
Intravide l’entrata del
parco poco lontano da casa sua, e ascoltò lo scrosciare dell’acqua, il
brusio dei ruscelli che si formavano nella terra e nelle grondaie, il
fruscio delle foglie dei sempre verdi che venivano schiacciati, il profumo
dei pini e dell’acqua.
Il suo pigiama a righe
bianco e azzurro ormai era diventato inservibile, quasi trasparente, e
appiccicoso.
Era troppo grande per
lui, le maniche gli coprivano quasi le mani ...
Quel pigiama lo aveva
preso distrattamente dall’armadio dove v’era il bucato pulito.
E senza accorgersene, si
era appropriato della veste notturna di suo fratello maggiore ...
Suo fratello.
Ogni volta che sentiva
quella parola, non poteva che abbandonarsi al ricordo della sua immagine
impressa nella mente, e tormentarsi fino a sfinirsi, a chiedersi il perché
di quella insofferenza verso di lui ...
Ormai, erano anni, anni
che questa storia si volgeva senza alcun cambiamento.
Forse, un allontanamento
inesorabile che sembrava non fermarsi.
Così ogni momento della
giornata, a casa, durante le lezioni, per vivere davvero senza rimorsi, per
fuggire da quella sudicia realtà entrava nel suo eden che aveva costruito
con la fantasia, dove ripercorreva passo per passo ogni piccolo istante
vissuto della sua infanzia.
Quando, insieme al suo
più grande amico giocava a fare castelli di sabbia sulla battigia, da
bambino.
Oppure, quando ascoltava
la sua mamma suonare il pianoforte le composizioni da lei create ... oppure
Chopin, Verdi ...
Quando osservava fuori
dalla finestra della sua bella cameretta la neve che si accumulava nel suo
giardino, euforico ed impaziente di uscire per fare i tanti sospirati
pupazzi candidi ...
O quando, finalmente
arrivava il giorno del suo compleanno ...
E tutta la famiglia
raggiungeva tra le montagne, i suoi nonni materni, per la festa del paese
... quando scoppiavano i fuochi artificiali nel cielo stellato, colorandolo
di giallo, rosa, verde ... e quando vedeva i petali di ciliegio cadergli sui
capelli, volargli davanti ai suoi occhi mentre si gustava una bacchetta di
roseo zucchero filato ... e passeggiava tra la gente, mentre osservava
ammirato le ragazze che indossavano il kimono, in quella festa del paese ...
guardava le bancarelle che vendevano dolci, esponevano piccoli animali,
tartarughe, criceti, furetti, paperine, pesciolini rossi ...
Ma il più bel ricordo in
assoluto ... era quando, a quella festa, passeggiava con la mano in quella
di suo fratello maggiore.
Quando gli sorrideva per
la sua infantile ingenuità, le sue risate gaie, le sue scorribande ...
Dove era finito tutto
quello?
Quella dolcezza che lo
aveva sempre avvolto, quella premura, quelle parole?
Camminò sulla stradina
sterrata inzuppata d’acqua che ristagnava nel terreno e nell’erba.
Passò accanto alle
panchine bagnate, delle quali vedeva solo il contorno dello schienale e
delle gambe ferrate.
Non sapeva nemmeno dove
stava andando, vestito a quel modo, con il freddo e l’umidità che stava
penetrando nelle sue giovani ossa.
Solo, doveva andarsene
lontano, via da quella casa che era da sempre come una gabbia, una prigione
per lui ...
Ricolma di indifferenza e
solitudine.
Si strinse nelle braccia
per darsi un po’ di calore, immaginandosi che fosse suo fratello al suo
fianco ad abbracciarlo.
“Ho freddo ...” mugolò
tirando su col naso, come un bambino piccolo.
Ma almeno, di una cosa
era certo: ora, in quel parco deserto, poteva piangere senza preoccupazioni,
perché le sue lacrime si sarebbero mescolate al pianto del cielo scuro ...
Aveva sempre avuto una
grandissima paura che suo fratello potesse sentire i suoi singhiozzi che
risuonavano nella stanza, e non voleva vedere la sua pena per lui.
Perché era certo, ciò che
passava nei suoi occhi freddi era solo quello, mischiato alla pietà e al
cinismo nei suoi confronti.
Eppure, quando era
piccolo era tutto così diverso ...
Perché era così difficile
crescere?
Si acquisiva una
mentalità diversa, si acquistavano responsabilità che avevano interessato
solo i grandi, si cambiava nell’aspetto e nei sentimenti.
Forse, era proprio per
questo che suo fratello l’aveva abbandonato ...
Era davvero una tortura
fare ritorno nel suo appartamento ogni sera, dopo gli allenamenti di basket.
Che tra l’altro, sentiva
di non amarlo più come prima, e già da diverso tempo non aveva scartato
l’ipotesi di lasciare il club.
Ci aveva messo così tanto
per entrarvi a far parte ...
Ma adesso non ce la
faceva più. Le difficoltà sembravano sempre aumentare, le sue crisi di
rabbia e pianto che esponeva solo con Yohei, che purtroppo era costretto a
stare a sentirlo, senza riuscire a capire il perché di tale di
comportamento, i voti scolastici che non riuscivano ad oltrepassare nemmeno
l’insufficienza, lo stavano portando all’auto distruzione ...
Oppure, un’altra ipotesi
per tutti questi guai poteva essere il divorzio dei suoi genitori, e la loro
morte prematura ...
Si erano divisi quando
lui aveva solo nove anni ...
La mamma si era preso suo
fratello che aveva già quindici anni, ed inoltre era sempre stato il figlio
prediletto, mentre lui era andato ad abitare in quella casa insieme a suo
padre, che amava il suo lavoro e il bere persino più di suo figlio ...
Quanti lividi ed
escoriazioni sul suo corpo?! Quante lacrime ... ancora ...
Finalmente giunse al
centro di quell’immenso parco, trovandosi davanti a una quercia enorme,
spoglia, bruna.
Un rombo di un tuono,
nelle vicinanze lo fece sussultare dallo spavento.
Aveva sempre odiato i
tuoni ...
Raggiunse velocemente
quel maestoso albero, e si rannicchiò alla base, stringendo le ginocchia al
petto.
Era davvero stanco ...
ormai era una buona ora che stava camminando sotto l’acqua, e i suoi lunghi
capelli erano così pesanti da dargli un immenso fastidio.
Afferrò tra le dita
affusolate una ciocca di capelli e la portò davanti agli occhi.
Da quando aveva fatto
quel taglio colossale, li aveva lasciati crescere liberamente ...
E tutto quello lo aveva
fatto ... semplicemente perché aveva visto suo fratello sorridere ad una
ragazza, tempo prima, che aveva lunghi capelli castano scuro che gli
arrivavano al sedere ... sembrava proprio attratto dalla sua chioma.
Per quello che li aveva
fatti allungare ...
Ma a cosa era servita
quell’idea? Ad assolutamente niente ...
Guardando il terreno
fangoso, notò un ramo duro e scuro, dalla base seghettata.
Lo prese, ed afferrò i
proprio capelli, e con un taglio netto, strappandoseli, li lasciò cadere sul
terreno in un bagno di sangue.
Ora, corti e di misura
varia, non gli davano più fastidio come prima ...
Passò una mano sulla sua
testa fradicia, scuotendosi dall’acqua in eccesso, ripensò al perché si
trovava lì.
Quella sera era così
sconvolto, che quasi non sapeva dove stava andando.
A casa sua era scoppiato
un litigio furioso.
Non aveva mai litigato
con suo fratello, e quell’unica volta gli sarebbe bastata per tutta la vita.
Non si ricordava nemmeno
il motivo del battibecco ...
Solo quell’unica frase,
alla fine, che lo aveva trapassato da parte a parte come una stilettata.
Quasi sussurrato, detto
in faccia, era stato peggio di una pallottola.
“Non avrei mai voluto che
tu fossi mio fratello. Io ... avrei dovuto ucciderti tempo fa ...”
Era assolutamente
impossibile, ma in quell’istante, in quel maledetto istante ...
Il suo cuore aveva smesso
di battere.
Gli era venuto un dolore
così atroce da lasciarlo senza fiato, e incapace di pensare, di riflettere
sulle sue parole.
Era scappato.
Aveva spalancato la porta
di casa, e con indosso solo il pigiama e la sua disperazione, era corso via,
in ciabatte, senza fermarsi un attimo.
In quel momento aveva
pensato solo a correre via, e le lacrime sembravano dimenticate.
Solo quando aveva
acquistato lucidità, si era lasciato andare ad un pianto liberatorio.
E ora, aveva solo sonno.
Non sapeva più dove
andare.
Non poteva nascondersi da
Yohei, no.
Gliene aveva fatte
passare tante, al suo amico, con che coraggio poteva andare lì?
E poi, lui di questa
storia non sapeva niente ... solo che stava male, da tanto tempo ...
Adesso aveva solo bisogno
di un buon riposo ...
Non sentiva nemmeno più
il freddo che gli screpolava le mani, non sentiva più la pioggia che lo
infradiciava.
Adesso, rannicchiato e
sdraiato sul terreno infangato, con il pigiama sporco che aveva ancora
l’odore del fratello, voleva solo dormire ...
Eppure, lui lo adorava
... quando lo guardava, i suoi occhi tradivano un’aspettativa e una
abbandono che da lui nessuno si sarebbe mai potuto aspettare, così forte e
orgoglioso ...
Si lasciava andare a quel
modo ...
Sentì finalmente la sua
coscienza scivolare lontano dal suo corpo, finché sprofondò nel sogno del
sogno che si era creato, dove tutto quello non era mai accaduto ...
Dove poteva finalmente
tornare a vivere la sua infanzia perduta quel giorno di otto anni fa ...
Erano ore che ormai
girovagava sotto quell’acquazzone che portava l’odore di terra bagnata.
Quella notte aveva
commesso un atto imperdonabile, andando a dire a suo fratello ciò che
pensava.
Ma le parole erano nate
dalle sue labbra senza che lui potesse fermarle.
E quando aveva capito ciò
che aveva distrutto nell’animo del suo fratellino che amava più della sua
stessa vita ... era ormai troppo tardi.
Non l’aveva fermato, non
ne aveva avuto il coraggio.
Perché, quelle parole ...
dette con quella calma così crudele, erano rivolte soprattutto a sé stesso
...
Non avrei mai voluto
che tu fossi mio fratello ...
Non l’aveva mai
desiderato ... anche se avevano il cognome diverso per la separazione dei
loro genitori, erano comunque legati dallo stesso sangue che li aveva resi
della stessa famiglia il giorno della loro nascita.
Come avrebbe voluto
essere un estraneo ...
io ... avrei dovuto
ucciderti tempo fa ...
Ucciderlo, sarebbe stata
la soluzione migliore.
No, aveva detto una cosa
assolutamente sbagliata.
L’unica versa soluzione
al problema, che era lui, era il suicidio.
Avrebbe dovuto lasciarsi
andare quando aveva capito che ciò che lo legava al fratello minore, non era
l’amore fraterno.
Ma un amore sbagliato,
maledetto e impuro, che veniva assolutamente vietato come incesto,
soprattutto perché erano due ragazzi.
Un amore eterno, che
legava una donna e un uomo.
LUI era il problema.
LUI era lo sbaglio.
LUI era l’errore.
LUI sarebbe dovuto
morire, nonostante fosse il figlio prediletto, nonostante fosse il preferito
... avrebbe dovuto farla finita anni addietro.
Quando aveva capito di
essere diverso, di non essere attratto dalle ragazze, ma dalle persone del
suo stesso sesso.
E cosa più scandalosa,
più terribile, era che provava una forte attrazione carnale verso il
fratello minore.
Cosa avrebbe pensato quel
ragazzino, così innocente e di quella dolcezza che riservava soltanto per
lui, sapendo i pensieri erotici che faceva su di lui, sul suo splendido
corpo?!
Non poteva permetterlo
...
Soltanto il capogiro lo
prendeva alla sprovvista a stargli vicino ...
Non poteva permetterlo
...
Il rossore diffondersi
sulle sue guance quando lui gli sorrideva radioso ...
Non doveva permetterlo
...
Doveva cancellare ogni
sentimento di amore e affetto tra di loro, l’avrebbe indotto ad odiarlo, a
detestarlo, a rifiutare persino la sua esistenza, pur di non farlo venire a
conoscenza del suo terribile segreto ...
Ma in tutti quegli anni,
non ci era mai riuscito ... e lo amava sempre di più, e gli si stringeva il
cuore nel trattarlo con indifferenza, nel vedere i suoi occhi nocciola così
caldi rattristarsi, perché colmi di quel sentimento che lo rendevano così
vulnerabile.
Quell’amore che da parte
sua era assolutamente errato, ma che per suo fratello era giusto ...
E adesso lo stava
cercando disperatamente, mentre pregava che non gli fosse accaduto nulla.
Era andato via così,
soltanto con indosso il suo pigiama che lo rendevano così infantile e
vulnerabile ... quasi come un bambino, i capelli lunghi che gli coprivano il
viso maturo dalla pelle calda ...
Aveva persino dimenticato
l’ombrello nella fretta di cercarlo ...
Se gli fosse accaduto
qualcosa, si sarebbe ucciso, perché era la giusta punizione per un essere
abominevole come lui, perché era giusto cancellare una persona come lui ...
Ormai era notte fonda.
Già le due di notte, e il
diluvio stava diminuendo la sua violenza.
Si ritrovò davanti
all’entrata del parco principale di Kanagawa, e decise di entrare al suo
interno, con il cuore in mano.
Percorse con la speranza
che si dibatteva violentemente in lui quei sentieri acquosi, guardandosi
attorno cercando il fratello minore ...
E poi, accartocciato
contro un albero, una sagoma a lui familiare.
Percorse i passi che
l’avrebbero portato davanti al ragazzino con impazienza, e lo spettacolo che
si trovò davanti ...
Immobile osservava, quel
corpo dibattuto dal freddo rannicchiato su se stesso, il pigiama
completamente fradicio, gli occhi rossi, i capelli strappati.
Tutto il suo egoismo,
tutti i suoi pensieri, le sue idee sbagliate ...
Avevano portato a tutto
quello ...
Si sfilò la lunga giacca
di pelle, e la stese sopra il corpo gelato e sporco del fratellino.
Poi, lo sollevò tra le
braccia, e si mosse ad uscire dal parco per tornare a casa.
Un prato ridente,
circondato dai bellissimi ciliegi rosei.
Il bastoncino di zucchero
filato, il suo sapore squisitamente dolce in bocca.
Il profumo dell’erba che
gli solleticava il naso, e i tiepidi raggi solari che lo riscaldavano
debolmente.
Pace.
Si sentiva così, in quel
sogno strano e offuscato, come se una sottile nebbia era calata davanti ai
suoi occhi.
Sentiva il proprio corpo
accaldato, ma tutto quello era piacevole.
Percepiva come un filo
che lo tendeva da una parte, e dall’altra.
Era attratto verso la
ragione che stava riaffiorando lentamente, anche se la sua volontà ferrea lo
imponeva a rimanere in quel mare d’oblio.
Ma c’era quella goccia,
quell’unica goccia in quell’immenso mare che lo infastidiva, lo punzecchiava
...
Eppure, in quel prato,
con tutti i suoi ricordi infantili stava così bene, senza alcun problema,
senza nessuno a cancellare false speranze ...
E finalmente, decise di
tendere quel filo che lo portò verso la luce pallida a fondovalle.
La prima cosa che i suoi
occhi videro era un’indistinta macchia di azzurro dissolta davanti a sé.
E poi, la morbidezza di
un piumino setoso che lo copriva, ed il profumo di pulito, e le mura spoglie
e familiari di casa sua.
Sentì la propria pelle
nuda e fresca strusciare contro le lenzuola, e solo in quel momento si
accorse di essere sudato, in preda ad un attacco di febbre.
La sua testa non riusciva
a tornare nel mondo reale, galleggiava semplicemente in aria senza riuscire
a toccare suolo.
Scostò le coperte e si
alzò in piedi, traballando e cadendo contro l’armadio che si scosse a quella
botta improvvisa.
Tutto, tutto ma non
quello.
Perché si trovava ancora
in quel mondo schifoso?
Quella notte ci aveva
pensato, e aveva deciso.
Sdraiato lì, sarebbe
congelato di freddo, e finalmente ... sarebbe passato a miglior vita.
Miglior vita, un modo
gentile e educato di dire che qualcuno era morto, ma davvero si poteva
vivere una vita migliore?
No, non era possibile,
lui lo sapeva.
Se sarebbe morto, avrebbe
sempre avuto il rimpianto, il pentimento di non essere riuscito a salutare
suo fratello un’ultima volta, di vederlo solo una volta, anche se lui
l’avrebbe evitato, come sempre.
Solo rivederlo, gli
sarebbe bastato.
E incontrare la sua
pietà, sarebbe stato l’ennesimo colpo al cuore.
Quasi dal capogiro feroce
non riusciva a tenersi in piedi.
Con solo i boxer addosso
e gli occhi lucidi e stanchi, attraversò il corridoio che lo portava verso
la sala.
Non c’era alcun rumore
nella casa.
Solo il ronzio incessante
degli elettrodomestici accesi.
Stava morendo di freddo,
nonostante grondasse di sudore ...
Tentò di raggiungere la
cucina, dove si sarebbe rinfrescato con un buon bicchiere di acqua fresca,
ma l’improvviso chiudersi della bocca dello stomaco, e la risalita dei suoi
amari e acidi succhi gastrici in bocca lo fecero desistere dal suo intento,
facendogli cambiare direzione per fargli raggiungere in fretta e furia il
bagno.
Vomitò tutti i rimasugli
della cena di ieri sera, e qualche filo di sangue, ma non ci diede peso.
Stava troppo male, in quel momento voleva solo tornarsene a letto.
Tornarsene a letto, per
fare cosa? Per passare un inutile giornata in solitudine, subendo la
cattiveria di essere ancora vivo?
No ...
Controllò l’orologio che
stava appoggiato alla credenza, erano già le undici e trentacinque.
Almeno, avrebbe fatto in
tempo ad arrivare per l’inizio degli allenamenti, che quel giorno sarebbero
cominciati a mezzogiorno e mezzo, per via dell’amichevole con il Ryonan.
Diavolo, in quelle
condizioni come avrebbe potuto battere Sendoh?! Rukawa lo avrebbe fatto al
posto suo!
Si lavò velocemente,
nonostante i suoi movimenti fossero lenti e pacati per l’indolenzimento
delle ossa, e dopo aver indossato la sua divisa, uscì di casa, avendo ancora
dentro di sé quel senso di nausea che non lo mollava un secondo ...
Complice, la febbre e il
suo cervello che stava ballando il rock ‘n roll acrobatico, facendogli
dondolare figure e oggetti davanti ai suoi occhi disorientati.
Fortunatamente, preso un
mezzo pubblico, arrivò a scuola con dieci minuti d’anticipo.
Quando entrò in palestra
notò che c’erano già tutti, compresi i temuti avversari.
E immancabilmente, vide
il suo ex- capitano, che era sempre presente ad ogni incontro, venire verso
di lui con un espressione furibonda, il pugno già alzato pronto a
tramortirlo.
“Sakuragi!”
Chiuse gli occhi
aspettandosi la <manna> dal cielo, che non arrivò.
Quando li riaprì vide lo
sguardo del gorilla confuso e preoccupato, la sua mano che si era poggiata
sulla sua spalla.
“Sakuragi, ma stai bene?”
gli chiese, decisamente in pensiero, vedendo la sua faccia cadaverica e il
tremore incontrollato degli arti.
“Certo che sto bene, che
razza di domanda! Io sto ... sempre bene ...” lo sorpassò, raggiungendo
velocemente lo spogliatoio vuoto pronto a sentir passare per la sua gola un
altro carico di virus e malattia, riverso sul water.
Diversi minuti dopo, era
fuori, con indosso la sua divisa rossa e nera, tremante di freddo,
nonostante fosse caldo come il fuoco.
“Bene, le due squadre in
campo!” decretò l’arbitro, che per quella giornata speciale era Hikoichi, la
matricola più famosa della scuola ospite.
Si guardò attorno, e notò
che il suo allenatore non era lì con le matricole ad osservare la partita.
Notò all’istante lo
scambio di parole tra il suo ex capitano e Ayako, che con la coda
dell’occhio osservava i suoi movimenti.
<Maledizione ... si vede
così tanto che sto male?!> si chiese rabbioso, e terrorizzato del fatto che
lo avrebbero fatto uscire dalla panchina.
Non poteva sopportare un
altro secondo posto nella sua vita, non poteva permettersi di guardare da
fuori una situazione in cui lui voleva esserci dentro per forza ...
Sentì i suoi compagni che
lo chiamavano a centro campo, per scegliere il controllo di palla, e avrebbe
dovuto vedersela proprio con Sendoh.
Furono faccia a faccia, e
i suoi occhi sembravano ardere di passione e sfida, nonostante fossero
liquidi e sonnolenti.
Sendoh se ne accorse del
suo stato di saluto, e facendo un sorrisino, gli sussurrò a fior di pelle:
“Vedi di non strafare,
scimmia ...”
Il rosso digrignò i
denti, scuotendo le ciocche rosso carminio scivolate davanti ai suoi occhi.
“Stai attento, <amico>
... non scherzare con il fuoco ...”
Al fischio dell’arbitro,
saltarono entrambi, e come era prevedibile, la palla passò all’istante nelle
mani del ryonan, che poco dopo conduceva già 2 a 0.
Ormai, erano a cinque
minuti di gioco, e Hanamichi era uno straccio.
Era davvero stanco e
spossato, come non gli era mai capitato in vita sua.
“Ehi, scimmia! Datti una
mossa, non vogliamo perdere con uno come te in squadra!” lo scosse
afferrandolo per le spalle Mitsui.
Il rossino si staccò
violentemente, asciugandosi la fronte con la maglietta, e sentendo una
scossa violenta di freddo quando scoprì leggermente la sua pancia.
E sentì nuovamente il suo
stomaco rimescolare i suoi succhi gastrici, assaporandoli disgustato in
bocca.
Al riprendere del gioco,
pieno di rabbia e furore nel corpo riuscì ad intercettare un passaggio.
<Non posso permettere che
mi isolino!>
Corse palleggiando verso
il canestro, scartando velocemente chiunque, avversario o compagno, che si
frapponesse al suo cammino.
<Non posso permettere che
anche loro mi abbandonino ...>
Finalmente, raggiunse la
lunetta e raccogliendo tutte le sue forze rimanenti nelle gambe, saltò verso
il canestro, alzando il braccio con la palla stretta tra le mani pronto a
schiacciarla con violenza nel cerchio rosso.
<Non come è successo con
Folken ...>
Spalancò gli occhi mentre
l’adrenalina saliva ai massimi livelli, e bucava la rete con la palla
arancione, mentre i pochi spettatori dalle tribune assistevano ammirati
quell’angelo caduto che aveva ripreso con onore il suo volo.
Anche i compagni di
squadra erano rimasti ammirati dalla sua bellissima azione, e con la bocca
quasi spalancata osservavano il ragazzo che era fluttuato a canestro.
Il rossino non ebbe
nemmeno il tempo di restare appeso al canestro. Scivolò incosciente verso il
terreno, schiantandosi sul parquet e rimanendo completamente immobile, quasi
senza respirare.
Un solo pensiero nella
sua mente, una persona che lo stava facendo sanguinare mentre cadeva senza
senno.
<Fratello mio ...>
L’arbitro fischiò il
canestro, regolare, e dal pubblico si levarono urla di soddisfazione e
contentezza.
Ma sparì ben presto.
Yohei, accortosi subito
che l’amico riversava in condizioni pietose, aveva saltato la sbarra che lo
divideva appunto dal campo, e assordato dalle urla esterne, senza curarsi di
niente, era corso all’istante verso l’amico, che non si rialzava.
Prese a scuoterlo, ma
questi non reagiva.
“Maledizione, ... Ayako!”
chiamò la ragazza che era rimasta a bordo campo, tesa, e afferrato il
cestino del pronto soccorso era volata al loro fianco, facendosi strada tra
i giocatori che si erano avvicinati alla scena.
Si era chinata
velocemente, posandogli le due dita esili e strette sul collo, e capì che
fortunatamente era solo svenuto.
Gli toccò la fronte,
notando che scottava così tanto da non crederlo possibile.
“E’ meglio chiamare
un’ambulanza” decretò con il viso serio, il tono veloce e ansioso. Chiamò
anche Akagi, e gli diede l’ordine di prenderlo e di trasportarlo nello
spogliatoio, finché non sarebbe arrivato il mezzo per portarlo in ospedale.
Questo arrivò
velocemente, e quindi lo caricarono sulla barella, mettendogli un
respiratore sulla bocca per precauzione.
Yohei volle assolutamente
andare con lui, e anche Ayako fu invitata ad andare con loro.
Pochi minuti dopo, la
partita riprese, tra lo scompiglio generale.
“Non dovete preoccuparvi,
sta ... bene. Ha la febbre alta, ma dovrebbe scendergli per i sedativi che
gli abbiamo somministrato. Ora sta riposando. Qualsiasi cosa, chiamatemi” il
medico aveva rivolto loro un caldo sorriso nel vedere quei due ragazzi
preoccupati. Poi, si era congedato ed era andato via.
Yohei si era voltato vero
la ragazza, e aveva sospirato, sollevato.
“Meno male ... vado a
prendermi un tea, mi è venuta sete. Tu vuoi qualcosa?”
“No, ti ringrazio” aveva
sospirato lei, andando a prendere posto sulla seggiola vicino al letto dove
riposava, ancora incosciente, il rossino. Yohei l’aveva guardata un attimo,
poi aveva fatto per uscire. Ma si fermò, ricordandosi improvvisamente di una
cosa.
“Ho avvertito suo
fratello. Dovrebbe essere qui tra poco ...” e detto questo, prese la porta,
e si avviò nel corridoio del quarto piano dell’ospedale di periferia.
Ayako aveva osservato
l’uscio chiudersi automaticamente, e poi aveva portato il suo sguardo sul
volto addormentato di Hanamichi.
Ne aveva osservato con
gli occhi riempiti di dolcezza i lineamenti regolari e proporzionati, e si
era intenerita, nonostante avrebbe voluto rimproverarlo per la sua
incoscienza, per le sue continue manifestazioni di grandezza, nonostante lei
conoscendolo bene, era riuscita a capire il vero animo di quel ragazzo: non
ne sapeva il passato, ma aveva visto che il suo giovane e intoccato cuore
aveva delle cicatrici aperte.
Lo aveva notato, quando
parlando era caduta in diversi discorsi riguardanti la famiglia, il
fratello, o altro.
E immaginava che quella
che indossava era solo una maschera, e la realtà dei fatti era ben diversa.
Gli passò una mano sulla
fronte calda, e poi tra i capelli.
<Che strana pettinatura
... sembra che se li sia fatti da solo, che pasticcione ...>
In quell’istante i suoi
occhi si erano aperti, ed avevano incontrato lo sguardo socievole e
tranquillo della sua amica.
“Finalmente ti sei
svegliato ... lo sai, ci hai fatto preoccupare in palestra! Sei sempre il
solito scemo!” lo aveva accusato con una finta smorfia di disapprovazione,
ma il sorriso che le colorava le labbra tradiva tutt’altro.
Lui aveva sorriso
stancamente, non era lucido, ed inoltre le sue forze erano tutte state
risucchiate in un buco nero.
“Ma che dici ... io sto
benissimo ... solo il tensai ...” aveva soffiato con voce impastata, sapendo
bene di tradire lo stato delle cose.
Ad Ayako le era scappato
da ridere.
“Non cambierai mai ... mi
tocca sempre fare la mamma della situazione ...”
Lui ridacchiò, chiudendo
stancamente gli occhi, lasciandosi sfuggire un sospiro di beatitudine,
sentendosi al caldo e quella mano gentile che gli accarezzava la nuca.
“Comunque adesso sto
benissimo ... e pronto per tornare in campo ...”
Lo guardò negli occhi,
cercando una sfida che non trovò. Solo un mare di tristezza, e dolore
emotivo.
Mentiva.
Nonostante le braccia
pesassero piombo, Hanamichi le alzò e andò ad afferrare piano quella mano
che era posata sul suo capo, cercando un altro gesto di cura nei suoi
confronti.
Lei gli sorrise, e rimase
incantata nel vederlo respirare regolarmente, lo sguardo addormentato e le
labbra rivolte ad un bellissimo sorriso.
Non seppe nemmeno il
motivo, ma i suoi occhi si colorarono di ammirazione per quel viso che aveva
il profumo di un ingenuo bocciolo di fiore ...
Si voltò di scatto quando
sentì un botto sulla porta.
E il suo sguardo osservò
spaventato e attonito quel ragazzo che pietrificato osservava la scena, il
respiro affannato, le braccia lungo i fianchi, i pugni stretti con forza e
le nocche bianche.
“Chi sei tu?”
La voce che era risuonata
nel silenzio totale ricordava incredibilmente la violenza di un tuono,
talmente era fredda e sinistra. E rabbiosa.
“Io sono Ayako, la
manager della squadra dove ... bè, dove gioca Hanamichi, e lui ... lui ora
sta meglio ... ecco ...”
Si era alzata di scatto
in piedi, facendo distrattamente rovesciare la sedia, e dopo averla
raccolta, non sapendo assolutamente come giustificare il suo comportamento
poco educato, si era messa un poco a balbettare, gesticolando.
Non se ne accorse, ma
mano a mano che i secondi scorrevano, lo sguardo freddo del ragazzo sulla
porta si faceva di un rosso acceso, il colore della rabbia ceca.
Finché lo vide chinarsi e
raccogliere la borsa che aveva fatto accidentalmente cadere a terra, e fare
dietro front.
“Ma ... scusi, e suo
fratello? ...”
“E’ solo un’idiota. Ho
dovuto interrompere un lavoro importante, e la <compagnia> l’aveva già.”
“Cosa? No, lei deve avere
frainteso, noi due non siamo ...” tentò di riaggiustare le cose, ma il
ragazzo era già scomparso, e si sentivano già i passi frettolosi nel
corridoio che svanivano velocemente ...
Hanamichi tese l’orecchio
finché non udì più alcun suono a lambirlo, e quindi si abbandonò distrutto e
mesto sul cuscino.
Ancora, ancora, ancora
...
Ancora quante volte
doveva sopportare quelle parole, quell’indifferenza, quell’odio ...
“Che ... che uomo
impossibile ...” ascoltò la ragazza chiaramente arrabbiata sbuffare.
Uomo ...
Si, suo fratello era già
un uomo, uno splendido ventiduenne ...
Aveva sempre ammirato il
suo aspetto, fin da quando era piccolo, lo trovava assolutamente perfetto,
senza alcuna imperfezione.
Il suo mito, lo adorava,
e molto, molto di più.
Non sapeva nemmeno lui
che nome dare a quel sentimento che gli velava gli occhi, e gli stringeva il
cuore.
Non aveva mai provato una
simile sensazione, solo con lui ...
Era sempre stato il
centro del suo mondo, da quando era nato.
Era sempre lui che lo
accompagnava a scuola, che lo aiutava nei compiti, che ci giocava assieme,
che lo coccolava, lo viziava ...
Ancora una volta, non
poté fare a meno di chiedersi il motivo di questo cambiamento improvviso
verso di lui ...
E pensare a un mondo
parallelo, dove tutto questo non fosse mai accaduto, dove sua madre e suo
padre erano ancora con loro, e suo fratello lo accoglieva sempre con un
sorriso ...
Si voltò con difficoltà
su un fianco, emettendo un tremulo sospiro e sentendo il magone nascere.
“Hanamichi ... scusa, non
avrei dovuto dire quelle cose di poco fa, sono stata ingiusta ...”
“No ... non fa niente
...” rispose in un soffio.
“E’ lui ... vero?” chiese
con una punta di tristezza Ayako dopo una lunga pausa di silenzio.
Un lieve fruscio delle
coperte, e il raggomitolarsi del ragazzo sotto di esse.
“Già ... Ayako, io ...”
In quell’istante era
tornato Yohei, proprio nel momento cruciale di quel breve discorso; tra le
mani teneva due tazze di tea caldo che fumavano e mandavano un profumo
niente male.
“Ho pensato di prendervi
qualcosa lo stesso ... Hanamichi, tuo fratello è già venuto?” gli aveva
domandato dopo essergli andato accanto e avergli messo sul piccolo comodino
bianco il caldo bicchierino di carta.
“Si ... gli ho detto di
tornare a casa, visto che sto bene.”
“Hmm ... sarà, ma non hai
una bella cera.”
“Il dottore ha detto che
per questa notte lo terranno in ospedale, e poi ... si vedrà!” lo informò
velocemente la ragazza.
Yohei sorrise, e poi
decise di salutare il suo amico; ormai la loro visita si era protratta a
lungo, e l’orario delle visite stava finendo.
Inoltre, per il corridoio
stava passando un’infermiera con il carrello degli antibiotici per ogni
paziente.
“Ci vediamo, Hanamichi
... rimettiti presto!”
Finalmente erano andati
via, e Hanamichi poteva rilassarsi, anche se questo senso di nausea e
vertigine non lo abbandonava neanche un momento.
Nonostante odiasse gli
ospedale – troppi ricordi dolorosi – quello era decisamente uno dei migliore
che si potesse trovare.
C’era davvero un silenzio
che intorpidiva la sua mente, e un profumo costante di neve lo avvolgeva
come le braccia di una mamma.
Nonostante fosse
febbraio, la sua città era una di quelle che si imbiancava per quattro mesi
all’anno [ovviamente è inventato ND Evil], e il tempo delle grandi
nevicate non era ancora finito.
Il cielo era plumbeo
fuori dalla finestra che dava sull’enorme cortilone dello stabilimento
dipinto di bianco.
Giunse la notte, così
calma e ghiacciata.
E Hanamichi, come spesso
e volentieri gli accadeva, non riusciva a dormire.
Lì, in quel letto,
rannicchiato e solo, aveva la mente così affollata di pensieri che non
capiva quando finito uno e cominciava l’altro.
Se avesse bevuto una
camomilla si sarebbe addormentato sicuramente.
E chissà, magari avrebbe
sognato i campi elisi ...
La finestra era chiusa.
Non un soffio di vento poteva entrare nella camera.
Fortunatamente la notte
si era rischiarata, e la luna si stagliava orgogliosa nel cielo, dipingendo
il pavimento di bianco perlaceo attraverso i vetri della finestra.
I quadri candidi si
oscurarono all’istante quando qualcosa si era fermato proprio sul davanzale
della finestra.
Hanamichi aveva
strabuzzato gli occhi, colto da un’improvvisa tachicardia.
Cosa diavolo era ...
quello?
Un ragazzo. Non riuscì a riconoscerne la sagoma, ma vide che si trattava
chiaramente in un uomo che osservava l’interno della stanza tenendosi
saldamente al cornicione, in bilico.
Si alzò di scatto quasi
rovinando a terra sotto ancora l’effetto della aspirina e del calmante, e
quel ragazzo accorgendosi che il paziente era sveglio si scosse e si
sbilanciò, finendo nel vuoto e atterrando su una massa di rami secchi
raccolti in un grosso mucchio.
Emise un gemito di
dolore, e si fiondò via, zoppicando per la violenta botta alla gamba e per
le escoriazioni sotto i pantaloni strappati.
Hanamichi non fece in
tempo a raggiungere la finestra e guardare giù che il ragazzo era già
scomparso ...
Il mattino nacque nel
silenzio.
Erano già le sette, ma
c’era solo un accenno di chiaro nella città ancora addormentata.
Anche Hanamichi era
ancora un poco addormentato, ed era stato svegliato all’incirca un’ora fa
per un primo controllo medico.
A dire il vero aveva
passato l’ennesima notte in bianco ... era troppo sconvolto per la visita
della scorsa notte.
Non sconvolto ... solo,
curioso, incredibilmente desideroso di sapere chi era quel ragazzo.
Chissà, magari era suo
fratello ...
Sospirò. Folken non
avrebbe mai fatto una cosa del genere.
Passarono tre giorni, e
finalmente Hanamichi poté tornarsene a casa.
In quei giorni era venuta
ogni volta a trovarlo la sua manager della squadra, che gli raccontava di
ciò che era accaduto all’allenamento, delle decisioni del coach,
stuzzicandolo parlandogli dei progressi di Rukawa, facendolo infuriare.
Gli aveva anche portato i
compiti ...
Erano volati così quei
giorni trascorsi in ospedale, e non un solo accenno di telefonata da parte
di suo fratello.
Varcò la soglia di casa.
era pomeriggio inoltrato, e tornava proprio quella sera a casa.
Con il battito del cuore
veloce, e un’ansia asfissiante in sé, entrò nel corridoio.
Le luci della toilette
erano accese, e la porta semi aperta.
Sentiva un dondolare
d’acqua in bottiglia, imprecazioni dette a voce bassissima, e gemiti.
Hanamichi arrossì
involontariamente: sentire quei suoni gli mandavano scosse di freddo sulla
schiena ... conoscendo soprattutto che appartenevano a suo fratello ...
Si sporse dalla porta e
vide Folken, con indosso soltanto la camicia bianca aperta, e le mutande
nere.
In effetti, suo fratello
era proprio il tipo da slip ... e gli stavano da Dio ...
Scosse la testa, ma a
cosa diavolo stava pensando?
Aveva in mano un
flaconcino semi trasparente con del liquido rosa nel suo interno, e si stava
passando del cotone inumidito sulle lunghe gambe snelle, arrossate da
escoriazioni misteriose e violacei lividi sulle ginocchia ...
“Folken ... !” sussurrò
aprendo la porta con un gesto delicato.
Questi si voltò
all’istante, stupito e sentendo mano a mano che il tempo passava l’imbarazzo
salire velocemente.
“Ma ... che diavolo ci
fai qui! Esci subito!” gli sibilò sentendo le guance scottargli, alzandosi
di scatto in piedi e gemendo per il bruciore di quelle ferite.
“Io ... cosa hai fatto
... alle gambe?”
“Non sono affari che ti
riguardano. E ora, esci !”
“Ma non vedi che non ce
la fai da solo? Ti do una mano ...”
“Ti ho detto di uscire,
idiota!”
“Idiota chiami qualcun
altro, okay? Adesso basta, fammi vedere quelle ferite!” si avvicinò deciso
afferrandolo per le braccia, e questi instabile, ricadde sulla tavoletta
abbassata del water.
Hanamichi prese il
cotone, e inginocchiatosi cominciò a tamponargli lievemente i tagli.
Folken era accaldato come
non mai, respirava così veloce da sembrargli impossibile.
Avere suo fratello in
mezzo alle sue gambe gli scatenava certe emozioni, che non avrebbe mai avuto
il coraggio di rivelare a nessuno, ma ...
Ma.
Perché tutto era
perfetto, non una sola piccola incrinatura in quella meravigliosa scena?
Lui e Hana, Hana e lui
... solo loro due ...
Ma la realtà era ben
diversa ...
“Ho fatto ...” sospirò il
rossino, abbassando lo sguardo sul pavimento.
“Bene. Ora puoi levarti
di torno” tornò duro e acido come sempre, sovrastandolo con la sua altezza
mentre chiudeva la bottiglietta dell’alcool con il tappo.
Hanamichi, silenzioso
come era entrato, lo lasciò solo, senza voltarsi un attimo a guardarlo. [va
che ti sbagli, quel demente ha fatto casino come al solito ND Rukinon; Si, è
solo che mi piaceva quell’espressione, così ho deciso di usarla. Chiedo
perdono. ND Evil]
Quella schifosa
sensazione reale lo aveva lordato come un liquido colloso difficile da
raschiare.
Si sentiva sporco, impuro
e assolutamente sbagliato.
Cosa era stato prima
quell’impulso a voler toccare suo fratello, ma non il solito gesto affettivo
tra due parenti, ma più che altro, la voglia di sentirlo tra le sue braccia,
sapere che era vivo, baciare le sue labbra?
Che il sapere di essere
continuamente rifiutato si fosse instaurato in lui crescendo, e diventando
quasi un sentimento di amore e convinzione, che non lo abbandonava un solo
medesimo istante?
Crollò sulla poltrona del
salotto, abbracciandosi e sprofondando i suoi occhi nel vuoto nullo.
Sentì l’acqua del cesso
venire tirata con indolenza, e la porta del bagno aprirsi. I passi del
fratello risuonarono pesanti come macigni, senza riuscire a capirne il
perché, e si scoprì a sudare freddo udendoli così vicini.
Cosa gli stava
succedendo? Per Dio, era suo fratello! Per di più, gli stava sempre lontano!
Finalmente Folken se
n’era andato nella sua stanza, e aveva chiuso la porta a chiave.
Non lo voleva
assolutamente tra i piedi, come sempre.
Come quella volta, che
per caso si era trovato a passare davanti alla porta della sua camera ... il
fratello si era dimenticato di chiuderla, troppo occupato a parlare al
telefono.
Nel suo tono incolore e
piatto aveva potuto scorgere una nota di affetto mentre parlava nel
ricevitore, e da quello che aveva potuto capire, si trattava di una ragazza.
Chissà, magari era
proprio quella che l’aveva spinto a farsi allungare i capelli per
assomigliarle ... almeno un po’ ...
Involontariamente aveva
origliato, scorrettamente ... e quando suo fratello l’aveva sorpreso, era
scoppiata la lite che aveva portato alla sua fuga.
Ora ricordava ...
Era davvero una colpa,
quella di voler essere amato dall’unica persona che amava, l’unica a cui
ruotava attorno la sua stessa vita?
Era geloso ...
Si, geloso marcio di
quelle attenzioni, giustamente SUE che però erano sempre indirizzate verso
qualcun altro ...
E come quella schifosa
notte che avrebbe tanto voluto farlo morire come candele nel vento, si
chiese cosa avrebbe provato quel ragazzo tanto bello quanto freddamente
indifferente se si sarebbe ammazzato ...
Ormai era parecchio che
se lo chiedeva, ci aveva provato, ma negli ultimi tempi quando provava a
cancellarsi, gli sorgeva una gran paura nel petto che gli faceva salire
quell’incontenibile groppo in gola.
Speranza, il suo cuore ne
era pieno, ed era certo che presto, ma forse non così tanto, le cose si
sarebbero messe a posto ...
Forse ...
Finalmente dopo una lunga
attesa comparvero i primi giorni di marzo, che vennero accolti con un
pallido e tiepido sole e dall’aria ancora spruzzata di neve.
Aveva ripreso a giocare
con passione lo sport che lo aveva fatto protagonista da quando era entrato
nella scuola.
I suoi compagni
sembravano soddisfatti. Adesso sì che la squadra aveva ripreso la solita
grinta.
In effetti, si erano
preoccupati da quando quel casinista arrogante e presuntuoso si era spento
... sembrava quasi che giocasse per obbligo ... ma adesso tutto era tornato
alla normalità!
Ormai l’anno scolastico
era finito, mancavano più o meno due settimane, e i loro più che allenamenti
erano sedute dove chiacchieravano, troppo in ansia per gli esami di fine
anno, che avrebbe deciso chi sarebbe passato, e chi sarebbe rimasto un altro
anno nella scuola.
Ovviamente, Akagi sotto
pressante e soprattutto *implorante* richiesta del capitano Miyagi e della
manager, avrebbe dovuto fare un altro campo scuola, come la volta scorsa.
La mattina del primo
appuntamento con i compagni di squadra, Hanamichi stava preparando i libri
che sarebbero serviti per il ripasso degli ultimi sei mesi di scuola.
Poggiò lo zaino
sfilacciato e strappato, conciato da buttare via ma suo più grande
portafortuna, sul divano, e raggiunse lo specchio per dare una controllata
ai capelli.
Dio, per dir la verità
sembrava una massa di cespugli incolta ...
Gli veniva da ridere
vedere quelle ciocche accese e color carminio in piedi sulla nuca da una
piccola tenuta di gel, e la lunghissima frangia ai lati che ormai aveva
raggiunto tranquillamente il collo.
Due opposti ma che tutti
quanti dicevano che gli stavano bene, perché erano strani come lui ... già
... e poi, non poteva nemmeno andare a fare un salto dal barbiere, non aveva
il becco d’un quattrino ... e lui di certo non si sarebbe messo lì a
sistemarseli da solo, avrebbe consumato l’ennesima tragedia ...
Ridacchiò nuovamente
scuotendo la testa, mentre si sistemava con un gesto secco il colletto
rialzato della camicia beige e allacciava la cintura ai suoi jeans di tre
taglie più grandi di lui ...
Indossò le immancabili
scarpe da tennis e preso il suo fagotto uscì di casa.
Giunse davanti a casa
Akagi dopo dieci minuti di cammino ... era in netto anticipo, non vedeva
assolutamente nessuno in giro ...
Finché non si ritrovò
schiacciato a terra come se gli fosse caduto addosso un macigno, e scoprì
cos’era successo quando vide Rukawa con la sua bicicletta frenargli proprio
davanti ...
“Stupido idiota! Mi sei
venuto addosso!!!”
“Sei tu che ti trovi
sempre in mezzo, scemo”
“Ma come ti permetti,
stronzo!! Io ti massacro!!!!” si rialzò in preda a un precoce istinto
omicida e stava per alzargli le mani, quando fortunatamente per entrambi era
intervenuto il padrone di casa che sentendo tutto quel trambusto era uscito
nel giardino e aveva fermato il rossino con un proverbiale pugno in testa,
quasi tramortendolo ...
“Sakuragi, piantala di
urlare come una scimmia! Sono le sette di mattina, la gente dorme!” era
esploso con un ringhio, tentando di mantenere il tono di voce basso, anche
se aveva voglia di spaccargli la faccia.
“Ma che diavolo, te la
devi sempre pigliare con me, scimmione?! NON E’ COLPA MIA!!! E’ Rukawa il
deficiente di turno!! Dagli un colpo!!!”
“Adesso se non la pianti
te lo do IO un COLPO!!” lo aveva afferrato per la collottola e lo aveva
trascinato dentro casa, seguito poco dopo da un Rukawa sonnolento che si era
fermato per legare la sua sgangherata (e unica) bicicletta al cancello con
il lucchetto.
Mezz’ora dopo erano tutti
insieme, e come era logico, chi aveva bisogno di ripetizioni era l’armata
cerca – guai come li avevano definiti in molti.
Quello che dava fastidio
ad Akagi era che non solo quei pazzi sconsiderati l’avevano costretto ad
assentarsi per una settimana dall’Università insieme a Kogure (anche se con
i loro voti non avevano alcun tipo di problema), ma soprattutto che
nonostante fosse passato un anno, a quegli idioti non si era sviluppato per
niente l’unico neurone celebrale che avessero nella loro zucca vuota!
Soprattutto si stupiva di Miyagi, il nuovo capitano per giunta!
Incominciarono da subito
a studiare, in coppia.
Per Hanamichi tutto fu
più facile, perché capitò sotto l’insegnamento di Ayako, che quel giorno non
aveva portato il ventaglio.
Gli spiegò come estrarre
una radice radicalizzandola, e passò più avanti a fargli studiare la
rivoluzione francese ...
Finalmente il gorilla
decise di far fare loro una pausa, dopo quattro ore di studio. E poi, era
quasi ora di pranzo ...
“Se vai avanti così, sono
certa che passerai tranquillamente gli esami! Ti stai impegnando molto!”
esclamò la manager contenta della sua concentrazione, e sicura delle sue
parole.
“E’ ovvio che io passi la
classe, sono il genio indiscusso!”
“Ma piantala, sei
ridicolo!” sibilò malignamente come al solito Rukawa che si era messo
accanto alla finestra a guardare il giardino esterno
“Adesso basta, sei
finito!!!!”
“Su, Sakuragi, non
ricominciare a litigare! Anche io sono d’accordo con Ayako senpai, ce la
farai sicuramente!” questa volta fu merito della piccola Haruko se
un’ennesima rissa venne sedata sul nascere.
Questa volta Hanamichi
sorrise.
“Speriamo ...” sussurrò a
sé stesso.
Ayako all’improvviso
sembro risvegliarsi da un lungo sonno, ed esclamò:
“Ora che ci penso ...
senti, che ne dici se ti tagliassi quelle ciocche ai lati del tuo viso?
Insomma, ti faccio una pettinatura decente. Non puoi andare in giro conciato
come un teppista!”
<Ma non è quello che
sono, Aya!?> avrebbe voluto ironizzarle, ma disse in realtà:
“Non ti scomodare, io sto
benissimo così ... è davvero un’acconciatura figa degna del tensai!”
“Eccolo che ricomincia
...” sospirarono in coro i tre di
sopra-le-sei-insufficienze-non-riesco-a-salire.
“NON ricominciate,
deficienti! Forza, venite in tavola, si pranza ... e guai a voi se vi
ingozzate come maiali, io vi CACCIO fuori di CASA, chiaro?!” il gorilla li
invitò gentilmente a sedersi per mangiare con la sua buona dose di ottime
maniere.
“Guarda che questa
minaccia può solo riferirsi a questa scimmia, Akagi!” sbottò quasi offeso il
capitano dello shohoku, facendo imbestialire il suo kohai.
“Brutto tappo, io ti
ammazzo!! Ti tiro un pugno e ti faccio diventare ancora più basso di quello
che sei già!!”
“Tappo a chi, brutta
bertuccia rossa?!!”
“Ha parlato il tapiro!”
“Se non la piantate vi
castro, è chiaro?” decise di intervenire infine Ayako, notando che al
gorilla stava uscendo il fumo dalle orecchie per la rabbia.
Si sedettero attorno al
tavolo, e rimasero davvero stupiti di fronte alle pietanze che l’adornavano.
“Accidenti, hanno
l’aspetto appetitoso! Haruko-chan, le hai preparate tu?” chiese con un
sorriso Kogure, guardandola. Lei annuì piano, e sorrise soddisfatta.
Un allegro vociare
aleggiò per la casa, mentre mangiavano quelle pietanze davvero buone e
saporite, scherzando e pensando.
<E’ buffo ... ho la vita
piena di problemi, eppure quando sono in loro compagnia me li dimentico
tutti ... no, non tutti. Rimane sempre lui ...> pensò con un velo di
rammarico, mentre addentava dell’altro sushi. Chissà adesso cosa stava
facendo ... probabilmente era al lavoro, pranzava in un bar, oppure si era
portato dei tramezzini, oppure chi sa ... in mensa ... probabilmente durante
la pausa pranzo sarà andato se aveva tempo a vedere il mare e si sarà seduto
sulla banchina a gambe piegate mettendosi a piluccare la sua roba ...
In effetti, in tutti gli
anni che lo conosceva, e le poche volte che avevano potuto mangiare insieme,
aveva notato che prendeva quasi un assaggio, non esagerava mai in niente.
Non si riempiva quasi nemmeno il piatto come tutti!
Ecco perché era così
magro ... alto circa come lui, sarà pesato al massimo ottanta chili, o forse
meno.
Aveva dei lineamenti
affilati, e i suoi occhi piacevano alle ragazze ...
<E anche a me piacciono
tanto i suoi occhi ... sono innamorato dei suoi occhi ... sembrano che
quando ti guardi risucchino ciò che hanno intorno, talmente sono profondi
...>
Lui invece era tutto il
contrario. Cioè, era perfettamente nella norma, un ragazzo come tutti gli
altri, ma mangiava di più. Decisamente.
Si scosse quando udì
qualcosa di piccolo e molle finire nella sua camicia. Si tastò il petto
sorpreso, finché non si ritrovò sui pantaloni una piccola mollica di pane.
Guardò i suoi compagni
che stavano ancora parlando, tranne Rukawa che come al solito si confermava
un caso a parte. I loro occhi si incontrarono, e ... Hanamichi capì.
ERA LUI IL COLPEVOLE!!!
Sentì la sottile venuzza
pulsargli con rabbia sulla fronte, e mentre prendeva della mollica e la
modellava a forma di pallina, nella sua mente proiettava macumbe e
maledizioni vudu verso il suo acerrimo nemico che anche se non lo dava a
vedere, se la stava certamente ridendo sotto i baffi.
Fece l’indifferente per
un secondo e poi ... la lanciò con un colpo di dita verso il moro che la
ricevette sulla guancia sinistra. Si osservarono di nuovo potendo
addirittura vedere i lampi dei propri occhi scontrarsi e fare scintille,
pronti all’imminente guerra di pane.
Rukawa afferrò dell’altra
mollica, e facendo l’altalena con una forchetta la fece arrivare in testa al
rossino, che ricambiò cacciandogliene un po’ che lo colpì dentro la
maglietta nera.
Purtroppo per loro,
fecero una tale baraonda tra lanci e imprecazioni che Akagi si accorse di
ciò che stava succedendo, e li mise in punizione (anche se non avrebbe
potuto visto che adesso non era più il capitano) a vita: li avrebbe fatto
pulire la palestra fino alla fine dell’anno successivo!
La settimana era passata
molto lentamente. O almeno, questo è quello che credeva Hanamichi. Per lui
studiare era davvero faticoso, preferiva di gran lunga giocare a basket o
guardare la televisione.
Comunque aveva fatto
progressi; si era dato da fare come i suoi compagni, e aveva riempito le
mille lacune che costellavano il suo profitto scolastico.
Il giorno dopo sarebbero
cominciati gli esami ...
Si girò nuovamente nel
letto, sentendo le sue coperte pesanti.
Gli davano fastidio, gli
intralciavano i movimenti, non riusciva a distendere le lunghe gambe.
Le scostò con
insofferenza, rimanendo a pancia in su con un gran caldo nel corpo.
Si sentiva accaldato,
sudato anche se era completamente asciutto.
No, non era caldo ... era
solo ansia per il giorno successivo.
<Cavolo, non me ne è mai
fregato niente della scuola e adesso vado in panico per un esame? Ma stiamo
scherzando?> pensò contrariato facendo un grande sospiro e cambiando
posizione, coccolando la testa sul cuscino morbido.
Chissà se l’avrebbe
superato davvero il primo giorno d’esame ...
I test si sarebbero
divisi in tre parti: il primo di scritto, che riguardava italiano, al
mattino; il secondo inglese e matematica rispettivamente a mattino e
pomeriggio, e l’ultimo giorno ci sarebbe stato l’orale ...
Con tutto quello che
aveva studiato, non avrebbe dovuto avere problemi ... forse ...
Magari fosse stato come
Folken ... lui era sempre stato bravo a scuola, in tutte le materie, ma
soprattutto letteratura giapponese.
Si ricordava come quando
veniva a casa con la cartella buttata negligentemente sulle spalle, l’aria
soddisfatta e pacata, e il sorriso aleggiante sulle labbra sottili, e diceva
di aver preso il massimo dei voti nell’interrogazione di storia, o nel tema
che aveva fatto. Lo aveva sempre ammirato tantissimo ...
Se fosse stato possibile,
avrebbe chiesto a lui di dargli ripetizioni, ma adesso era impegnato, aveva
ventidue anni e stava diventando un bravissimo avvocato ...
Il suo era un continuo
studio, ma se aveva scelto anni prima quella facoltà, era perché gli piaceva
...
E sapeva come calmarsi in
vista di un test ...
Ma non poteva andare là.
Non poteva chiedergli una
mano, non poteva fare come quando era piccolo, e rifugiarsi nel suo lettone
perché aveva paura dei temporali, non poteva chiedergli qualche coccola, non
adesso.
Non adesso che sentiva il
suo cuore battere diversamente, con un rumore diverso, al suo fianco poteva
percepirne la piacevole intensità, quella voglia di essere cullato tra le
sue braccia, quella voglia di essere *sempre* tra le sue braccia.
Si tirò a sedere sul
letto, con uno sbuffo annoiato.
Prese la testa tra le
mani, e come in trance si mise ad osservare il suo corpo. Le lunghe gambe
muscolose, il ventre piatto, il petto abbronzato ...
Forse si celava nel suo
corpo il motivo di quell’astio?
Basta, quella notte non
avrebbe dormito. Voleva sapere, era deciso.
Si alzò in piedi, e il
suo sguardo cadde sul comodino accostato al letto. Aprì il cassetto e
afferrò ciò che v’era all’interno, dopodiché lo nascose sotto la maglietta e
uscì dalla stanza.
Percorse quei corridoi
piano, sentendo l’ansia crescere sempre di più, il battito del cuore farsi
sempre più furioso, e un improvviso mal di pancia attanagliarlo.
La porta della camera del
fratello era chiusa.
<Come sempre, no?!> pensò
abbassando gli occhi sulla maniglia. Vi poggiò la mano sopra, e un brivido
di freddo gli scorse sulla schiena.
Per la verità, era da
prima che aveva questi brividi involontari ...
Bussò.
La casa era in perfetto
silenzio. Si poteva udire come sempre il ronzio del frigorifero e degli
elettrodomestici.
Dalla stanza non provenne
alcun suono.
Bussò di nuovo.
Solo un mormorio
soffocato riuscì a percepire. Suo fratello si era svegliato.
Di nuovo il mal di pancia
lo colse impreparato. Era davvero sicuro di volergli parlare?! Magari
avrebbe peggiorato le cose ...
Sentì il groppo in gola
soffocarlo, ma decise di non piangere. Non poteva davanti a lui!
Bussò per l’ultima volta.
E finalmente sentì la
chiave girare bruscamente nella toppa, e pochi istanti dopo si ritrovò
davanti a un assonnato quanto seccato fratello maggiore.
“Si può sapere cosa
diavolo vuoi a quest’ora della notte? Sono le tre!”
“Parlare ...” emise con
un filo di voce guardandolo negli occhi.
Folken sembrò cadere
dalle nuvole. Gli scappò un risolino quasi divertito e disse mentre
richiudeva la porta: “Tu sei matto ...”
Hanamichi fermò il
ragazzo tendendo le braccia contro l’uscio laccato di bianco.
“No, dobbiamo parlare!”
“Ma ti ha dato di volta
il cervello?! Perché cavolo dovrei parlare con te adesso?!”
“Perché sono tuo fratello. Anche se quest’idea ti fa schifo”
Il ragazzo più alto
rimase immobile a guardarlo. Era quindi arrivata la resa dei conti?
Osservò il fratellino che
era a testa alta, che lo osservava deciso e pieno d’orgoglio, con indosso il
pigiama.
Zitto, senza fiatare lo
fece entrare.
“Allora? Cosa vuoi?” gli
chiese. Detestava parlargli così duramente, ma sapeva che quello era l’unico
modo per farsi odiare.
Eppure non c’era ancora
riuscito.
O forse era il fratellino
che era incapace di un simile sentimento?
“Perché mi parli sempre
con disprezzo o rimprovero?”
“Sei tu che fai sempre la vittima”
“NON E VERO!!” si
infiammò alzando la voce “Mi tratti sempre come uno straccio da buttare. Mi
consideri poco meno di un sasso. Si può sapere che cosa ti ho fatto? Mi
disprezzi così tanto che non riesci a guardarmi in faccia quando parliamo?”
Folken stava poggiato con
indolenza contro la porta, la testa voltata di lato.
Aveva gli occhi
socchiusi, cercando di concentrarsi su tutt’altro. Non voleva sentire tutto
quello che gli aveva fatto ... si sentiva una merda ...
“Non mi chiedi mai
niente. Nonostante viviamo insieme sembriamo due estranei. E’ forse il mio
corpo a essere sbagliato? Sono IO a essere sbagliato? Perché mi devi
trattare così?”
<No Hana ... sono solo io
a essere sbagliato ... io ... soltanto io ... tu sei perfetto ...>
“Io non sono perfetto ...
è vero, non brillo per l’intelligenza, ma sono sincero nei miei sentimenti.
E vuoi sapere quello che provo? Vuoto. Perché mi manca tutto l’affetto che
solo tu puoi darmi!”
“Adesso basta, ti stai
rendendo solo ridicolo. Perché dovrei dare spiegazioni a te?! Non sei
niente!” gli sibilò contro per difendersi.
Difendersi ... da cosa,
poi? Dalla cruda verità?
Dalla realtà che lo
circondava?
Dalle parole vomitate con
dolore e sofferenza dall’unica persona che amava da sempre nella sua vita?
“Lo so ... l’ho sempre
saputo che per te io non sono niente ...”
Pianse.
Non poté fare niente.
Perché crederlo, è un
conto. Ma sentirselo dire, è un altro.
Ti fa sentire nudo e
spoglio come in realtà non sei ... come non lo sei mai stato ...
Folken abbassò lo sguardo
sul pavimento ... era finita.
Finalmente l’avrebbe
odiato davvero. Dopo quelle fatiche veniva la ricompensa.
Doveva essere così ...
vero?
“Allora ... visto che non
sono niente ... uccidimi ... è quello che vuoi no? Me l’hai detto anche
l’altra volta ... ora puoi farlo ...”
Serio in viso, nonostante
le lacrime gli bruciassero la pelle come tizzoni ardenti, estrasse
dall’elastico dei pantaloni la fodera contenente una rivoltella e gliela
protese senza indugi.
Non ebbe il coraggio di
esporre i suoi reali pensieri ...
<Lo sai, Folken? Sono
sempre andato in cerca di un amore che non ho mai ricevuto. Ho vagato
errando per tanti anni, ma non l’ho mai incontrato.
Perché non sapevo dove
fosse.
Ma l’ho capito ... è
sempre stato qui, tra queste quattro mura ...
Io avevo bisogno solo del
tuo amore ...
Io ho bisogno tuttora
della tua premura e dell’affetto che mi hai sempre negato ...
Ho bisogno del tuo amore!
Cosa c’è di sbagliato in
questo?!
Voglio amare e essere
amato, tutti lo vogliono, ognuno nella sua vita si prefissa questi
obiettivi.
Ma allora perché per noi
sembrano così confusi?>
“Facciamola finita ...
basta ... io non ce la faccio ... tutte le volte che ... torno a casa mi
trovo barricato nel muro del silenzio ... del tuo silenzio ... non posso più
andare avanti così ... uccidimi ... così la smetterò con tutte queste
lacrime sprecate ... facciamola finita ...”
Guardò Folken. Non
l’aveva mai visto così, e gli venne ancora più da piangere.
Sembrava indossasse una
maschera che non gli permetteva la fuoriuscita di sentimenti ed emozioni.
Offuscato, lo vide
afferrare l’arma e pronunciare solo poche parole: “Hai ragione. Facciamola
finita ...”
Un sorriso.
Bellissimo, che gli
illuminava il viso stranamente pallido.
Poi, lo sparo.
E un improvviso silenzio
si impadronì della notte.
(breve pausa ...)
Hanatato: ahh ... mi ...
mi ... mi ... ha ... u ... ucci ... so ... ??!
Folken: O_O Cosa ... CHE
COSA HO FATTO !?!?!! HO UCCISO IL MIO HANAMICHI!!!!!
Evil: Devo ammettere che
mi sono divertita a scrivere l’ultima scena ...
Tuttie2: AUTRICE DEL
CAXXO!!!!
Evil: SCUSATE?!?!?!
Folken: Come è
possibile?!?! Io non avrei mai fatto una cosa simile!!! Non mi sarei mai
permesso di ammazzare il MIO Hanamichi! Che diavolo hai scritto, cancella
ALL’ISTANTE!!!
Evil: Ti piacerebbe, eh?!
Hanatato: X_X non posso
crederci ...
Folken: *sta per
commettere un autricecidio* Io ... io ...
Evil: Statemi lontano,
magari cambio qualcosa ... ma se vi avvicinate vi CASTRO
Tuttie2: Ti saremmo stati
lontano lo stesso, non credere ...
Evil: Maledetti ...
(fine breve pausa ...)
All’altoparlante chiamano
il nome di un medico richiesto in uno dei tanti reparti ...
Chissà, magari sta
andando a salvare qualcuno ...
Io so soltanto che se non
salvano lui mi uccido ...
Cadremo insieme mano
nella mano nell’Inferno ...
No, neanche lì staremo
insieme ...
Verremmo divisi ...
Io all’Inferno ... lui al
Paradiso ...
Perché è il posto che si
merita ...
MA NON ADESSO.
Non ancora.
E’ ancora giovane ...
E come me deve vivere
ancora a lungo ...
Sono qui seduto su una
fredda seggiola del corridoio ...
Fredda come il mio corpo
...
Mi sembra di essere
morto, di galleggiare su una nuvola ...
Non piango.
Non ho più lacrime.
Quando l’ho visto
riversarsi a terra mi sono messo a urlare ...
Ma lui non mi rispondeva
...
Perché anche adesso deve
rifiutare così la mia presenza?
Non vogliono farmi
entrare ...
Mi hanno detto –attenda
fuori, così non fa altro che intralciarci- ...
Ma come posso star qui ad
aspettare, sapendo che mio fratello è lì dentro e che rischia la vita?!
Tutto per colpa mia!!!!
Sono io la causa di
tutto, sempre io!
Se non gli avessi dato in
mano quella pistola ... adesso saremmo ancora lì a bisticciare ...
Ma non mi sarebbe
importato, perché la rabbia che si sputa quando si litiga non è paragonabile
a questo dolore atroce che mi stringe il petto, e mi soffoca ...
Io volevo solo il suo
amore ...
E in cambio cosa ho
ricevuto?
Morte ...
Ho ricevuto la più
cattiva e dolorosa delle disgrazie a questo mondo ...
La Nera Signora doveva
venire a prendere me, schifoso colpevole, e non tagliare il filo della vita
a mio fratello ...
Dio, ti prego ...
Se mi stai ascoltando ...
Chiedile di attendere ...
Se lo deve portare via
...
Chiedile di attendere
ancora un po’ ...
Dio ...
Ti prego ...
Chiedile di condannarmi
alla sofferenza eterna ...
“Signor Sakuragi? Può
seguirci alla centrale? Dobbiamo farle delle domande.”
Due uomini in tenuta da
poliziotto si erano fermati proprio di fronte a lui.
<Già ... devono aver
trovato la pistola ...>
“Per favore ... aspettate
almeno di farmi vedere se mio fratello è vivo ... solo questo, vi prego!”
I due si guardarono in
faccia.
“D’accordo. Ma noi
dobbiamo parlare” E si allontanarono.
Dobbiamo parlare.
Dobbiamo parlare.
DOBBIAMO PARLARE.
Se non fosse stato per
quella maledetta frase che IO ho pronunciato, adesso Folken starebbe bene!
E’ tutta colpa mia!
E’ tutta colpa mia ...
Perché ho voluto mettere
in chiaro le cose, quando non ne avevo bisogno?! Sapevo già quello che
provava!
Sapevo la sua
indifferenza, il suo odio ...
Così non ho fatto altro
che accentuarlo ...
Come vorrei tornare
indietro ...
Come vorrei ...
“Signor Sakuragi, abbiamo
terminato l’operazione”
Si levò di scatto in
piedi, ansante
“Come sta?”
La bruna infermiera
sospirò:
“Purtroppo non è in buone
condizioni. La pallottola ha sfiorato a malapena il cuore, recidendo
un’arteria. Ha perso molto ... troppo sangue. Sinceramente non pensiamo che
possa farcela. Dobbiamo trovare un donatore compatibile, ma del suo sangue
ce ne sono pochi ... e non è detto che siano donatori ...”
“Io ho il suo stesso
gruppo sanguigno ... donerò io il sangue per lui!” si offrì all’istante,
colmo di gioia per poter fare qualcosa ... qualsiasi cosa per salvarlo.
“E’ una notizia
magnifica! Vado ad avvertire il dottore!” esclamò sollevata, incamminandosi
a passo spedito alla ricerca del chirurgo che si era occupato fino a quel
momento di suo fratello.
La guardò sparire.
Poi entrò nella camera
dove era stato portato il fratello.
Spalancò la porta e
quando lo vide riverso nel letto coperto da tutti quei tubi si sentì ancora
di più in colpa.
Quei macchinari ... lo
tenevano in vita?
Sul bel volto aveva un
respiratore.
Le braccia erano livide,
costellate di piccoli tubicini.
Immobile.
Lo raggiunse, si sedette
al suo fianco.
Gli accarezzò i bei
capelli morbidi.
Sentì le lacrime forzare
per uscire nuovamente.
Non le fermò.
“Fratellone ... sono uno
scemo ... un’idiota ... avevi ragione a dirmelo ...”
Parlò, era assolutamente
certo che il ragazzo non potesse sentirlo.
Meglio così ...
Le parole hanno valore se
vengono dette una sola volta, in fondo ...
“Mi dispiace ... dovevo
essere io a morire ... a finire qui ... circondato da questi orribili
macchinari ... non tu ... ma sono contento, e lo sai perché? ... perché
almeno posso rivelarti il mio piccolo segreto ...”
sorrise tra le lacrime,
tristemente ... si avvicinò ancora di più al fratello dormiente ... sfiorò
l’orecchio ...
“Lo sai, non l’ho mai
detto a nessuno ... il mio piccolo segreto ... ma adesso sarà mio ... e tuo,
e basta ... ti amo ... non mi importa se mi disprezzerai ancora di più ...
non mi interessa ... ma io ti ho sempre amato, anche se non l’ho mai capito
... perciò non lasciarmi! Sono egoista a chiederti questo ... ma non farlo
...” singhiozzò afferrando una mano tristemente fredda tra le sue.
La strinse forte, forte
... così tanto che quasi poteva rompergliela ...
Guardò l’orologio appeso
alla parete, proprio sopra ad una croce ...
Erano già le otto e mezza
...
Gli esami erano da poco
cominciati, ma non gli importava ...
<Al diavolo gli esami! Al
diavolo tutto!> pensò riprendendo ad accarezzargli i capelli, mentre provava
ad asciugarsi col dorso della mano le lacrime lascive.
Pochi minuti dopo arrivò
finalmente l’infermiera con il medico in camice. Lo fecero distendere nel
letto al fianco del paziente, e cominciarono con il prelievo.
“Probabilmente ti
sentirai stanco ...” lo rassicurò la giovane donna “... ma non preoccuparti
... se hai voglia di riposare, fai pure ... ci vorrà del tempo prima di
finire ...”
Hanamichi annuì.
Ma non si sarebbe
addormentato, no ...
Sarebbe rimasto sveglio
finché non avrebbe visto gli occhi di suoi fratello aprirsi sul mondo ...
Non si sarebbe
addormentato ...
Finirono una decina di
minuti più tardi. Gli avevano prelevato molto sangue ... si sentiva così
debole da non riuscire neanche a stare seduto.
Un mal di testa atroce lo
costringeva sdraiato ...
“Forza ragazzo, mangia
qualcosa. Ti sentirai meglio ... così potrai stare vicino a tuo fratello con
tranquillità ...” gli propose l’uomo che adesso stava visitando il ragazzo.
Hanamichi stirò un sorriso di gratitudine: “Grazie, ma non ho proprio voglia
...”
Anche il medico sorrise
scuotendo la testa.
Stettero in silenzio,
mentre il rossino ascoltava rapito il respiro di Folken calmo e regolare, le
provette che venivano sbattute una contro l’altra, e i movimenti del camice
medico che frusciavano ad ogni mossa.
“Fortunatamente tuo
fratello ce l’ha fatta. Pochi minuti e si sveglierà spontaneamente. Non
forzarlo, mi raccomando!” gli sorrise ancora una volta, e poi se ne andò.
Il rossino voltò il capo
verso l’amato fratello. Aveva preso un po’ di colore, sicuramente ... ma gli
sembrava ancora pallido.
Indubbiamente nel letto
sembrava ancora più magro di quanto non fosse già.
Allungò il braccio,
finché con uno spasimo involontario riuscì a toccare la stoffa delle
lenzuola del letto al suo fianco. E con un piccolo sforzo prese la mano del
ragazzo, e la strinse, sentendola adesso calda.
Quel calore lo fece
sorridere come non mai.
Era l’indubbia prova che
il ragazzo si stava riprendendo .…
Sentì la stanchezza
pesante come un macigno pressarlo sotto di sé, inducendolo a chiudere gli
occhi.
Avrebbe riposato cinque
minuti, solo cinque minuti .
La luce bucò le sue
pupille all’istante, anche se era ancora buio fuori.
No, erano le tende scure
che coprivano le finestre ...
Non capì dove si trovava
... sentiva un bruciore al petto e agli occhi.
E un cattivo senso di
nausea.
E un piacevole calore
nella sua mano destra.
Si tolse il respiratore
con un gesto intorpidito, e si voltò verso quella fonte sconosciuta.
Sgranò gli occhi ...
La sua mano era
dolcemente intrecciata a quella del fratello minore che, sporto verso
l’esterno del letto, dormiva serenamente, nonostante avesse le sopracciglia
aggrottate.
Era ancora vivo ...
<Allora non ho perso la
fermata ... maledizione, perché devo ancora sopportare tutto questo?!> pensò
frustrato, con gli occhi socchiusi.
Avrebbe tanto desiderato
non risvegliarsi più ... non dopo quello che era successo quella notte!
Essere vivo, la più
schifosa e tremenda umiliazione che gli fosse mai stata inferta.
Essere vivo voleva dire
essere ancora accanto ad Hanamichi.
Essere vivo voleva dire
ingoiare tutta la repulsione, tutte le lacrime del rossino.
Essere vivo voleva dire
morire cento volte per incontrare solo due occhi da cucciolo ...
Ma perché gli stava
tenendo la mano?
Cosa era successo?
L’ultima cosa che
ricordava era il colpo che si era sparato al petto ...
La caduta e tutto il
sangue che usciva senza tregua ...
Hanamichi che urlava e
piangeva ...
La paura a trasfigurare
il suo viso bronzeo ...
E poi ... cos’altro?
Soltanto un buio pastoso
e vischioso che lo faceva dimenare senza alcuna via d’uscita.
In quell’assenza di luce
muoveva le braccia sentendo quel liquido viscido ricoprirgli la pelle e
succhiarlo verso il basso.
Gli pareva di affondare
...
Eppure qualcosa si era
rotto quando aveva sentito un sospiro dolce come lo zucchero ...
Un sospiro?
Era stato un sospiro ...
o la voce di qualcuno ... che piangeva ... era così lamentosa che gli feriva
le orecchie ... aveva sempre odiato le lacrime, e avere quella voce così
vicina ...
E poi quelle parole
sussurrate con una tale gelosia e riservatezza ...
Un piccolo segreto.
Suo.
Loro.
Ma per quanto si
sforzasse non riusciva a ricordarselo ...
Erano poche parole, ma le
aveva dette con una tale passione e sconforto che le avevano rese bellissime
come dei boccioli di rosa.
Cosa poteva essere il
segreto?
Percepì un lieve muoversi
del ragazzo al suo fianco.
Senza saperne il motivo
strinse più forte quella mano che lo aveva guidato fino al risveglio.
Vide il suo amato
fratello mugolare qualcosa.
Poi, i suoi occhi aprirsi
ed invadere di dolcezza il suo animo con quel mare di cioccolata calda.
E si ricordò ...
Il piccolo segreto ...
Un bellissimo sorriso ad
illuminargli le labbra piene e rosse ...
La frase era ...
“Ben svegliato ... ”
TI AMO ...
“Ve lo ripeto per
l’ennesima volta: stava solo lucidando la pistola e senza farlo apposta è
partito un colpo. Non voleva ASSOLUTAMENTE suicidarsi!” sbuffò spazientito
il rossino ai due agenti che continuavano con l’interrogatorio.
Era ancora stanchissimo,
da impazzire, ma nonostante tutto doveva chiudere quella storia.
Chissenefrega se aveva
inventato una balla stratosferica!! L’importante è che lasciassero stare suo
fratello ...
Era ancora debole ...
“D’accordo ... può
andare, decisamente è tutto a posto ...” sibilò uno dei due mentre compilava
un modulo. Hanamichi sorrise e dopo un lieve inchino scappò letteralmente
via, per correre all’ospedale.
Erano passati già tre
giorni.
Gli esami ormai si erano
conclusi.
E lui era stato bocciato.
Ma adesso ... non gli
faceva differenza ... un anno più, un anno meno ... cosa importava, quando
finalmente riuscivano un poco a parlare, come se tutto fosse passato?
Cosa importava se doveva
trascorrere un altro anno ad ascoltare i suoi professori che lo sopportavano
a malapena, adesso che tutto si stava sistemando, finalmente?!
Passò davanti ad un
hanaya ... e colto dall’inebriante profumo dei fiori che v’erano in
vendita, si fermò ... e comprò un bellissimo mazzo di gigli ... in effetti
Folken era davvero liliaceo ... con la pelle così chiara, e quel profumo
della sua pelle così simile al bianco fiore ...
Pieno di gioia arrivò
nell’enorme giardino sbocciato del candido edificio, ma venne fermato da una
voce apprensiva quando arrabbiata:
“Ehi, Hanamichi!”
Si voltò di scatto, e
vide arrivare verso di lui il suo amico Yohei, con lo sguardo
incredibilmente corrucciato.
Non capì cosa stesse
succedendo finché colpito da un pugno non finì, riversando il mazzo di
fiori, sul terriccio.
Tenendosi la guancia
offesa osservò l’amico ansante per la rabbia.
“Ma sei scemo?!” esclamò
a voce alta “Dove diavolo eri finito, si può sapere?! Non ti sei presentato
a nessuno dei tre esami! Sei bocciato! E gli insegnanti ti faranno la
pelle!”
Hanamichi si rialzò in
piedi scoccandogli uno sguardo freddo.
Raccolse i fiori
carezzandone i petali di uno.
“E’ solo per questo che
ti è parso giusto cacciarmi un cazzotto?”
“Te lo meriti! Ci siamo
tutti preoccupati! Addirittura Haruko pensava ti avessero ammazzato, siamo
andati persino a casa tua!”
“Come vedi sto bene.
Adesso devo andare ...” si voltò pronto a dirigersi altrove, ma il braccio
dell’amico lo fermarono dal suo intento.
“Hanamichi, dove diavolo
sei stato, posso saperlo? Che dirai agli insegnanti?”
“Io ... tre giorni fa mio
fratello è stato male e non potevo permettermi di lasciarlo solo ... e
adesso è ancora lì ... e non me ne andrò finché non lo vedrò stare in piedi
con le sue gambe ... e comunque, ci penserò il quattro di aprile, quando
tornerò a scuola ... adesso se vuoi scusarmi ...” borbottò tenendo
delicatamente il bellissimo mazzo tra le braccia nude.
Yohei lo guardò
allontanarsi, finché non scomparve all’interno della porta a vetri che
conduceva dentro l’ospedale Yamaguchi.
Tirò un sospiro di
sollievo. Almeno stava bene ...
Salì le scale sentendo
come sempre l’ansia di vederlo pervadergli le membra.
Cercò il numero della sua
stanza, e bussò.
Buffo come situazioni
portavano pericolosamente al ricordo della notte di quattro giorni fa ...
Udì un “avanti” piuttosto
soffocato ... chissà, magari stava *finalmente* mangiando ...
Entrò e aspirò il profumo
di pulito e giglio penetrare come refrigerio nelle sue ossa.
La luce primaverile
invadeva la camera dove erano prevalenti colori opachi e candidi, molto
rilassanti ...
Certamente il bianco era
il colore che più si intonava a Folken.
Non sapeva dire il
perché, forse perché indossava spesso e volentieri bianche camicie, o perché
adesso era circondato di quel colore ... si chiese se potesse impazzire ad
incontrare sempre quel candore ogni qualvolta spostasse lo sguardo ...
Forse aveva sbagliato a
comprargli dei gigli.
Lo salutò con un timido
sorriso.
“Ciao! Come stai oggi?”
Folken lo osservò. Non
sorrideva, ma il suo volto era sereno.
“Come sempre ... voglio
andarmene di qui ...”
“Non essere impaziente
... i medici dicono che ti stai riprendendo in fretta, reagisci bene alle
medicine ... entro una settimana sarai ... al tuo adorato lavoro ...”
abbassò lo sguardo,
mentre chiudeva la porta e andava a poggiare il mazzo sulla piccola
scrivania di fronte al letto.
“Sono stufo di stare qui
... voglio andare via ...” ripeté monotono guardando fuori dalla finestra.
Si alzò in piedi e vi si poggiò stancamente al davanzale.
Di nascosto si abbandonò
alla sua lucentezza.
Gli osservò i lunghi
capelli splendidi che accarezzavano la sua schiena grande e forte.
Gli occhi viaggiavano
lontano verso l’infinito e il suo proseguire.
Le braccia erano
allungate sulla lastra di marmo fregiato.
Un grosso cerotto era
attaccato poco a fianco del cuore; la stoffa grezza contrastava con la
liscezza della sua pelle.
Non aveva mai visto un
ragazzo così bello ... non lo diceva soltanto perché era suo fratello, lo
pensava seriamente.
Sembrava un modello di
Men’s MonX2 *, la più venduta tra le riviste per sole donne. Certo, lui non
si sognava nemmeno di comprarla, ma la conosceva bene dato che ne parlavano
a iosa i giornali, e la televisione fosse invasa dalla pubblicità ...
Era sicuro che se si
fosse fatto vedere in giro nei loro studi, l’avrebbero contattato
all’istante per diventare uno di loro ...
I suoi occhi scivolarono
sulle sue gambe, sulle quali si potevano ancora leggere diverse escoriazioni
e piccoli lividi scuri.
“Folken ... ?”
“Mh?”
“Come hai fatto a ...
ferirti le gambe?”
le spalle del ragazzo
sussultarono impercettibilmente, ma lo scatto di sorpresa c’era stato ...
Lo guardò intensamente
per diversi minuti, e il fratello minore si sentì a disagio sotto quell’occhiata
densa e forte.
“Sono caduto”
“Dalla finestra?”
“ ... io ... sono stato
stupido ... volevo solo vedere se tu stavi bene ... mi ero preoccupato per
*te* ... ma quando ho visto qui la tua ragazza ... io mi sono ingelosito e
... me ne sono andato .. allora ho pensato di venire di notte, ma tu eri
sveglio e io ... non volevo che tu mi vedessi ...”
“La mia ragazza? Folken,
ma cosa stai dicendo? Io ... non ce l’ho la ragazza!”
“Non prendermi in giro!”
scattò con un mugugno simile a un guaito rabbioso “Si vedeva che tu e quella
ragazza dai lunghi riccioli neri eravate molto in ... intimità ...”
Il rossino era ...
assolutamente esterrefatto.
Lui ... in intimità con
una ragazza ... una *ragazza*?
Non ricordava, quel
giorno in ospedale l’unica bella ragazza che l’aveva soccorso era stata ...
Ayako ...
Un sorriso sempre più
grande andò a formarsi sulle labbra ... finché non scoppiò in un riso
irrefrenabile ...
Folken lo guardò in
completo panico ... stava ridendo di lui???
“Cosa ... cosa succede?”
“Ti sbagli ... davvero, è
uno sbaglio enorme! Ayako ed io siamo soltanto amici ... davvero, devi aver
visto male ... siamo solo amici, Folken!”
Un abbaglio ...
Un sommesso risolino
scappò dalla gola del fratello maggiore, ma lo soffocò prima che si
trasformasse in un grosso sospiro di sollievo ...
“Ho bisogno di parlarti,
fratellone ...”
un singulto di sorpresa
sfuggì alle sue labbra.
I loro occhi si cercarono
per scoprire a vicenda ciò che li stava attraversando ... le scariche di
timore, ansia, complicità, amore ...
“Hai ragione”
Hanamichi abbassò lo
sguardo castano, e lanciò di sfuggita un’occhiata alla porta.
Era chiusa.
Non li avrebbero
disturbati.
Andò a sedersi sulla
sponda del letto, e finalmente rialzò lo sguardo su di lui.
“Sai, mi sono messo in
tanti di quei casini che non ti immagini. Ma sono sempre riuscito a
scamparla ... ma adesso, non posso.
Perché quello che mi è
successo e mi sta succedendo non è concesso né in cielo né in terra ... e
non c’è modo per uscirne.”
Folken annuì grave.
“Io ... ho amato. E amo
tuttora. E amerò per sempre ... ma il problema non è l’amore, il problema è
la persona che amo.”
Tremava. Tutto il suo
corpo tremava per la forza e l’intensità di ciò che lo stava sopraffacendo.
“Io ... ti prego di non
rifiutarmi. Ma io amo te. Ti amo da sempre. E ti prego di non confondere
amore fraterno con l’amore che coinvolge due persone.
Io parlo proprio di
questo amore, che mi attira verso di te come una falena alla luce. Parlo di
questo amore che mi fa piangere quando sentivo la tua indifferenza.
Questo amore che ... mi
fa desiderare di ... abbracciarti, di baciarti ...”
Non sentì alcuna
risposta, assolutamente niente. Solo il suo respiro.
“Io ... mi sento in
paradiso solo standoti accanto, e ho paura, perché so che tutto questo è
sbagliato ... so che mi porterà all’Inferno ... ma non mi importa ...”
“Hanamichi ... tu non sai
quello che stai dicendo ...”
“Sì, che lo so! L’ho
sempre saputo, ma non volevo dirtelo! Ti prego, non tornare ad odiarmi! Non
lo sopporterei ...” sussurrò abbassando lo sguardo.
Il silenzio si era fatto
insopportabile, e Hanamichi, come se gli avessero strappato il cuore dal
petto, aspettava con gli occhi offuscati dal pianto e la gola stretta.
<Di qualcosa ...> pregò.
“Quelle parole ...”
Il rossino rialzò la
testa, solo per osservare la schiena tesa del fratello.
“... Io le dissi perché
mi sentivo tremendamente male. Ma ho fatto stare male te con il mio
comportamento. Non volevo che ti avvicinassi. Volevo che tu mi disprezzassi
a tal punto da ... andartene, o addirittura uccidermi. Perché io non ne sono
capace, ho troppa paura ... di non poterti più rivedere, e in un’altra vita,
riscoprirti come un estraneo ...”
“Folken ...”
“Fammi finire, altrimenti
non avrò più il coraggio di rivelarti il motivo del mio comportamento
sconsiderato. Ti amo anche io, Hana. All’inizio pensavo che fossi solo
attaccato morbosamente a te, ma poi capii che desideravo averti come si può
avere un amante, un innamorato. Avevo paura che tu lo venissi a scoprire ...
e non potevo permetterlo. Ma adesso è cambiata ogni cosa.”
Si voltò, e vide gli
occhi arrossati dal pianto del fratello. Ma lui non riusciva a piangere, non
poteva farlo.
“E ora, ti chiedo: sei
disposto a sfidare ogni pregiudizio, ogni disprezzo, ogni cosa che sarà
contro di noi? Perché se non lo sarai, non potremo andare avanti ...”
“Se sarai con me, lo sarò
sempre” rispose.
Si guardarono di nuovo.
Non osavano fare un passo, erano troppo smarriti e sconvolti per quelle
confessioni, da risultare difficile persino pensare in quell’istante.
“Allora è deciso. Andremo
all’Inferno assieme”
Hanamichi lo guardò a
quelle parole, e senza poter più attendere un secondo si avvicinò, solo per
poterlo abbracciare forte, convulsamente, per potere aspirare il profumo
della sua pelle chiara. Poggiò una mano sulla garza bianca che avvolgeva il
suo corpo forte, e alzò il viso.
La sua bocca a pochi
centimetri dalle sue labbra.
Si incontrarono subito,
all’istante ... avevano represso per troppo tempo i loro sentimenti.
Si staccarono, ansimanti,
e si guardarono negli occhi.
Non riuscì a resistere, e
Folken lo baciò nuovamente, questa volta era la passione a padroneggiare il
gioco.
Hanamichi non poteva
credere che baciare qualcuno potesse sconvolgerlo così tanto.
Nn poteva credere di
baciare suo fratello ... sentiva la sua lingua – un po’ ruvida a dir la
verità – sfiorargli il palato, accarezzargli le labbra, toccargli la sua ...
Si sentiva così caldo!
“Folken ... mi prometti
che mi starai sempre vicino?”
Piagnucolò con voce
lamentosa.
Il fratello sorrise. Un
vero sorriso.
“Te lo giuro ...
Hanamichi, perdonami ...”
Il rosso lo abbracciò
stretto, aspirando nuovamente il suo profumo.
Era un nuovo inizio.
End.
*Men’s MonX2 è la rivista
che c’è nel manga di Ueda-san, Peach Girl ...
Evil: Ho finito. Per un
po’ la pianto di scrivere stronzate.
Folken: No, finito un
cavolo. E poi cos’è la parte della lingua ruvida? Io non sono un gatto. Non
era Vegeta che scambiavi per un gatto?
Hanatato: My sweet love,
non lamentarti, lo sai che ti amo comunque.
Folken: E che caspita, lo
so, ma questa è una questione di principio!
Evil: Ma quanto la fai
lunga! Ti ho messo insieme ad Hanamichi, non sei contento?
Folken: Devo ammettere
che più ti conosco più mi sembri scema. Cioè, io avrei preso una pistola e
mi sarei sparato da solo? Ma che cavolo di idee contorte ti vengono in
quella testa bacata?
Evil: Mamma che rottura
di palle ... sei peggio di Allen quando ti ci metti ...
Hanatato: Autrice, non è
che scriveresti un extra?
Evil: Un cosa?
Folken: Non fare la
sborona, sai cosa intendiamo per EXTRA.
Evil: Hah! E cosa mi date
in cambio?!
Hanatato: Dobbiamo
rammentarti che lavoriamo per te gratis e ci sottoponiamo ai tuoi
esperimenti letterari senza pensarci?
Evil: Hmm ...
La festa era in pieno
sviluppo.
Il cielo primaverile era
colorato di blu e dalle sue più magiche sfumature, mentre migliaia di astri
bruciavano a miliardi di chilometri di distanza con un intensità tale da
renderli bellissimi.
Il piccolo paesino era in
fermento, i suoi abitanti erano raddoppiati.
Quella era davvero una
bella festa.
Nella piccola piazza
c’erano tantissime bancarelle.
Le ragazze vestite con i
kimoni di cotone si lasciavano lodare dai propri fidanzati.
Le bambine si divertivano
a sfoggiare il loro infantilismo in quegli abiti colorati e decorati.
“Fratellone, aspetta!
Voglio comprare dello zucchero filato!”
Hanamichi e Folken si
trovavano proprio lì.
Come ai vecchi tempi ...
Hanamichi sorrideva con
tenerezza al ricordo di lui bambino con in mano il bastoncino di zucchero
filato quasi troppo grande per lui.
Adesso il bastoncino
riusciva a tenerlo con due dita ...
Ne staccò con facilità un
pezzo morbido e colorato, e gustò il suo sapore nella bocca.
Insieme imboccarono una
via che portava in aperta campagna, dove c’era ancora, anche se deserta, la
casa dei loro nonni.
Quel viale era stupendo.
Ad entrambi i lati erano
impiantati dei grandi alberi di ciliegio.
Quell’anno i colori si
sovrapponevano.
Il bianco e il rosa dei
petali danzava davanti ai suoi occhi.
Se li ritrovava
continuamente tra i capelli ...
Ma amava tutto quello ...
L’aria fresca ...
L’odore di croccante che
si profilava nella sera ...
Quel calore così vicino a
sé ...
“A cosa pensi?”
“... A niente ... Forse,
la scuola ...”
“Sei stato bocciato, non
è così?”
“... Già!”
“E’ stata colpa mia ...
non so come fare a farmi perdonare!”
“Vuoi farti perdonare?”
“Si ...”
“Allora, prometti.”
“Prometto?”
“Si, prometti: prometti
che qualsiasi cosa succeda tu non rinnegherai mai di essere mio fratello,
prometti che mi amerai per sempre, prometti che mi starai sempre accanto
...”
“Te lo prometto.”
Adesso erano uno di
fronte all’altro.
Vicini, come non lo erano
mai stati.
Folken si inclinò sul suo
viso, e gli soffiò un bacio sulla bocca.
Era così dolce quando
voleva ...
“Andiamo a casa ...?”
“A casa? Io volevo vedere
i fuochi d’artificio!”
Una smorfia di
disapprovazione passò sul viso del fratello maggiore, ma questa scomparve
subito, quando guardò gli occhi da furetto del rosso.
“Allora vieni con me ...
conosco un posto dove si vedono benissimo, e dove possiamo stare in
tranquillità ...”
Lo prese per mano, e si
incamminarono insieme nella direzione in cui erano venuti.
Presero una viuccia
secondaria, che si ramificava in due sentieri. Continuarono a camminare
finché quel sentiero non divenne una salita piuttosto ripida, e finalmente
arrivarono a destinazione.
Era una bellissima
collina in fiore.
Il promontorio si
profilava sul villaggio, ed era impossibile essere visti da lì.
E poi, c’era un enorme e
maestoso albero di ciliegio bianco ...
Si sdraiarono uno a
fianco all’altro, rivolgendo la loro attenzione al meraviglioso manto scuro
che si estendeva a vista d’occhio sopra loro.
Hanamichi aveva divorato
letteralmente quello zucchero così buono, e adesso aveva preso la mano del
fratello e gli si era coccolato accanto.
Aspettarono
silenziosamente per qualche minuto, finché non si sentirono i fischi dei
fuochi che raggiungevano l’altezza massima ed esplodevano in mille scintille
brillanti e colorate.
Hanamichi sorrise
strusciando la sua guancia contro la sua spalla.
Folken voltò lo sguardo
su di lui, e gli sussurrò affettuosamente nell’orecchio:
“Non sapevo che le
scimmie facessero le fusa ...”
Il rossino lo guardò
furente:
“Io non sono una
scimMMMMPH!” mugolò sentendo la lingua del fratello accarezzargli la propria
lingua.
Giocarono, duellarono
languidamente.
Ma a nessuno dei due
bastava più quel contatto ...
Folken prese ad
accarezzargli i fianchi, giocando inoltre con la bocca sul suo viso. Nelle
orecchie l’incessante esplosione della parata ...
Il rossino scese con le
mani lungo la sua schiena, accarezzandola dolcemente fino a giungere alla
cintura dei jeans. Afferrò quindi la maglietta, sfilandogliela impacciato.
I loro corpi cominciavano
a bruciare per la passione.
Ben presto il rossino
riuscì a ribaltare le posizioni ...
Gli salì sopra il bacino,
scendendo a succhiargli la tenera pelle del collo, sentendolo mugolare.
Le sue mani percorsero
con lentezza il suo petto fino a giungere alla cintura dei pantaloni che
cominciò a slacciare con infinita pazienza anche se dentro stava scoppiando
desideroso di volere un altro tipo di contatto.
Ben presto si ritrovarono
allacciati l’uno all’altro, senza nient’altro addosso che non fosse la
voglia di fondersi insieme.
Il fratello maggiore lo
baciò nuovamente.
Adesso c’era solo il
frinire delle cicale a riempire l’aria, e sotto di loro un tappeto erboso
costellato da bianchi petali di ciliegio ...
Quello sembrava l’eden.
Esplorarono a vicenda i
loro caldi corpi, saggiandone il dolce sapore e la meraviglia, la gioia di
sapersi uniti ...
“Folken ... fratello ...
non ce la faccio più ...” mormorò afferrando strettamente i suoi fianchi e
inducendolo a spingersi contro di lui.
La bolla di calore nel
suo corpo era esplosa da tempo liquefacendolo velocemente. Ormai era teso
allo spasimo, non aspettava altro di appartenere alla persona che amava più
della sua stessa vita ...
“Ne sei sicuro ... ti
farà male ...”
“Niente può farmi male
...” gli morsicò il lobo dell’orecchio fuseggiando sensualmente. Si mosse
sotto di lui impaziente, una smorfia di piacere gli trasfigurava il viso.
Il fratello gli prese una
mano tra le sue e se la portò alla bocca, cominciando a succhiarne una.
La fece passare nella sua
bocca, umettandola di saliva. Gli occhi di Folken ardevano nel vedere le sue
dita entrare ed uscire dalla calda bocca dell’amante.
Avrebbe desiderato avere
qualcos’altro nella sua bocca ...
Si eccitò ancora di più.
Il dito grondante di
saliva lo fece scorrere sul corpo del rosso, creando arabeschi contorti,
fino a giungere al bacino.
Infilò il lungo dito
nella stretta e morbida entrata.
Sentì il corpo del
fratellino tendersi, ma grazie a delle rassicuranti parole pronunciate con
apprensione lo rilassarono.
Finché il suo corpo entrò
in quello del compagno.
Il rossino sentì un
fortissimo bruciore lambirgli il corpo e gli occhi, dimostrandolo con le
lacrime che non tardarono a comparire sul viso contratto.
Incontrò gli occhi di
Folken e vide la sua preoccupazione, la sentì attraverso i baci che lo
sfioravano, la percepiva attraverso il calore delle sue mani intrecciate
adesso alle proprie.
Sopra di lui cominciò la
lenta danza che ben presto lo avrebbe portato al massimo piacere.
Entrambi ansimavano
insieme, gemevano insieme, mugolavano insieme.
I loro respiri erano
uniti, così come il battito roboante dei loro cuori che aveva raggiunto la
loro testa.
Il sangue scorreva veloce
nelle loro vene.
Adesso erano una cosa
sola ...
Vennero nel medesimo istante, ricadendo uno sull’altro senza più energie.
I petali di ciliegio
continuavano a scendere, come la neve.
Andarono a posarsi sui
loro capelli, sulle loro schiene, sui loro volti.
“Hanamichi ... stai
bene?”
Il rosso lo abbracciò
stretto, sentendo le lacrime trasbordare nuovamente dai suoi liquidi occhi.
“Allora ti importa
davvero di me ... come sono felice ...”
Il fratello gli asciugò
le lacrime con le labbra.
“Adesso non piangere più
... ti prego ... ho fatto tanti sbagli ... e adesso ho intenzione di
rimediare ... perciò, non piangere ...”
Fecero nuovamente l’amore
...
E ancora, e ancora ...
Finché non videro l’alba
...
E li accolse, nuovamente,
insieme ...
End.
Evil: Eh minchia, adesso
basta. E’ finita!
Folken: ...
Hanatato: ...
Evil: ...
Folken: ...
Hanatato: ...
Evil: ...
Folken: Devo ammettere
che questo finale è stato piuttosto spoglio e vuoto.
Hanatato: Anche io volevo
qualcosa di più esplicito ...
Evil: --_--;;
Accontentatevi. Auguro a tutti una buona notte.
Tuttie2: Non per noi,
ovviamente. Abbiamo altro da fare! ^//^
Evil: Si grazie, non nel
mio letto! Li ci dormo io!
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