About a river 5

di Nuel

 



poco TITOLO: About a river

AUTORE: Nuel

SERIE: originale

PARTE: 5/6

RATING: angst

PAIRING: Michele-Ludovico

DECLAMER: Miei, miei, solo miei, ma se qualcuno offre una cifra ragionevolmente alta.... £______£ ..... LI VENDO!^^ (ehm, tranne Luf!)

ARCHIVIO: Ysal




ABOUT A RIVER


di Nuel


No, Luf non si rendeva conto dell’ effetto che faceva alla gente. Aveva quasi venticinque anni, era cresciuto di altri due o tre centimetri da quando ci eravamo conosciuti, ed era ancora più magro, se possibile. Si vestiva sempre in quel modo indecente, aveva preso a truccarsi leggermente, con la scusa che, nel locale dove cantava, le luci erano basse ed evidenziando occhi e labbra, chi si trovava agli ultimi tavoli della sala, riusciva a vederlo meglio. Non mi dava fastidio. In realtà, a parte la matita nera, il rimmel ed il lucidalabbra rosato che usava, quasi non si vedevano. Se lo avevo trovato sensuale ed erotico all’ inizio della nostra storia, ora non sapevo più come definirlo. Dire che istigava allo stupro era poco. Non era solo perché era bello, ma per come si atteggiava: era ammiccante, provocante, e questo mi dava molto fastidio. Avevo dovuto stare all’ estero per quasi due mesi, durante i quali ci eravamo sentiti davvero poco ed, al mio ritorno, lo trovai cambiato. Luf mi aveva già dimostrato di poter sopportare qualunque sacrificio per me, ma di non reggere assolutamente lo stress. Era isterico, capriccioso, mi accusava di trascurarlo, ed, almeno in parte, era vero. Forse Luf si stava semplicemente rifiutando di accettare una verità che cominciava a capire: io non lo amavo. Gli avevo giurato che non lo avrei mai lasciato, se fosse tornato con me e, forse, come lui aveva previsto, stava morendo dentro. Eppure non riusciva a smettere di amarmi, come io non riuscivo a volergli più di un grande, profondo bene. Ricominciammo a litigare. Lui si metteva a piangere tirandomi addosso qualunque cosa gli capitasse a tiro. Se ci riuscivo, cercavo di salvare la situazione facendolo ridere, con frasi sciocche e prendendolo in giro, dicendogli "Vieni qui checca isterica, che ti voglio strapazzare!" e cominciavo a baciarlo. Allora lui mi baciava e poi, ridendo, sbraitava che con me non si poteva neppure litigare. Con il viso pallido rigato da scie di rimmel sciolto si abbandonava tra le mie braccia e si faceva cullare. Luf era una persona eccezionale, aveva dovuto diventare forte, stando con me, vivendo con l’ unica certezza dell’ incertezza del mio amore, ma lo vedevo ridiventare sempre più fragile ed insicuro, con me.

Facevamo l’ amore e poi lui mi chiedeva semplicemente, come non ci fosse stato nulla tra noi, "Quando farai l’ amore con me?". Io gli assicuravo che non c’ era nessun altro, che al massimo lasciavo una parte della testa in ufficio, e lui accettava, abbracciandomi e nascondendo il viso contro il mio torace.

Quando, rincasando, un venerdì sera, non lo trovai, non mi sorpresi troppo. Sapevo che era impegnato con la tesi, che stava diventando eterna, che gli amici si lamentavano che non c’ era mai, che al locale gli avevano chiesto di esibirsi più spesso.... scrollai le spalle, sicuramente sarebbe arrivato l’ indomani.

Invece Luf non arrivò e nemmeno telefonò per tutta la settimana seguente. Io ero troppo occupato per cercarlo. Aspettavo semplicemente il week end successivo, certo che non sarebbe riuscito a stare lontano da me per più di quindici giorni.

Quando, però, Luf non arrivò di nuovo, cominciai a preoccuparmi. Provai a chiamarlo, ma il suo cellulare era sempre spento, allora, come sempre quando non riuscivo a dialogare con lui, chiamai Francesco.

Luf era da lui, come avevo previsto, ma non per qualsiasi cosa avessi potuto pensare. Il mio Luf era stato aggredito, picchiato e violentato.

Volai da lui immediatamente. Ero terrorizzato all’ idea di quello che doveva aver passato, ero arrabbiato perché non mi aveva chiamato, ero spaventato da quello che avrebbe potuto succederci da quel momento in poi.

Quando arrivai da lui, Luf mi urlò di stargli alla larga, che non voleva vedermi. Francesco e Luca mi spiegarono che il medico aveva raccomandato di non lascialo solo perché era molto depresso. Gli aveva prescritto dei calmanti, ma lui non voleva prenderli. Non mi avevano telefonato perché Luf aveva detto che tra noi non stava andando tanto bene e non aveva voluto che mi avvisassero. Voleva vedere quanto ci avrei messo a cercarlo, a correre da lui.

Luf non aveva avuto altri amanti che me. Capivo che, per lui, doveva essere stato terribile per una quantità di motivi che io potevo solo immaginare. Sfidai la sua collera e la sua disperazione, ed andai ad abbracciarlo sul suo letto, nella stanza semi illuminata da cui non voleva uscire. Pianse a dirotto. Pianse, mi pigliò a pugni, strattonò la mia camicia, e, quando, senza più forze, alzò il viso su di me, e vidi i lividi non ancora scomparsi dal suo viso, decisi che l’ avrei portato via con me. Perché è vero che non lo amavo, ma lui era la cosa più simile all’ amore che io conoscessi, e nessuno doveva farlo soffrire. C’ ero già io a fargli abbastanza male.

Delegai Francesco e Luca ad occuparsi di tutto: spedirci le cose di Luf a Roma, avvisare l’ ospedale e la polizia... Luf non era stato in grado di dare che una descrizione sommaria dei tre delinquenti che lo avevano aggredito. All’ ospedale gli avevano fatto tutta una serie di analisi, ma avrebbe dovuto ripeterle di lì a tre mesi. Lo spettro di malattie a cui mi rifiutavo di pensare si affacciavano dai fogli stampati con i risultati delle prime analisi. Non potevo accettare che Luf fosse stato così sfortunato da trovare sulla strada dei pazzi che potevano averlo segnato per sempre. Ero fermamente convinto che il cielo non poteva avergli fatto una cosa del genere, ma ogni volta che guardavo i suoi occhi arrossati dal pianto la paura che vi leggevo contagiava anche me.

Trascinai Luf a casa. Proprio lui che si esibiva su un palco ora aveva paura di affrontare i luoghi affollati. L’ aeroporto, la stazione, le strade gremite di gente di Roma.... me lo tenevo stretto e camminavo veloce per allontanarlo dagli sguardi indiscreti della gente. Non dico che Luf non se la sia cercata, ma non se lo meritava. Nonostante tutto, lui era innocente come un bambino. La seduzione per lui era solo un gioco in cui, per altro, credeva di non essere neppure tanto bravo.

A casa, Luf si rannicchiò sul divano e mi fece un incerto sorriso. Sapevo che era felice che io fossi andato a prenderlo, perché con me si sentiva al sicuro.

Mi presi una settimana di ferie per non lasciarlo solo. Il giorno dopo il nostro arrivo, Luf mi chiese se gli prestavo un maglione dei miei. Non era più così freddo da indossare un maglione, ma Luf voleva solo coprirsi, trovare rifugio dietro un indumento che nascondesse il suo corpo. I miei maglioni gli erano un po’ corti, ma erano larghi per lui. Faceva un effetto strano vederlo avvolto nella lana colorata, il collo sottile abbracciato dai miei colli alti che, anch’ essi larghi, lasciavano scoperta la gola candida. Non si sistemava più i capelli corvini, che finirono per essere un ammasso indistinto di fili di seta arruffati, passava semplicemente le giornate sul divano, a mangiarsi le unghie.

Luf, per casa, girava sempre scalzo; da me, per fortuna, c’ erano molti tappeti, ma io avevo sempre paura che prendesse freddo. Allora mi sedevo accanto a lui, sul divano, gli sollevavo i piedi e me li mettevo in grembo, cominciando a massaggiarli. Lui mi sorrideva e mi lasciava fare. In quei momenti sembrava contento.

Poi la mia settimana di ferie finì e dovetti tornare in ufficio. Quando glielo dissi, Luf scoppiò a piangere. Non voleva restare solo.

-Sono stanco di vederti con gli occhi rossi!- Tentai di scuoterlo.

-Scusa... mi trucco e va tutto a posto...- Mi rispose, invece, lui.

-No, Luf! Non va a posto! Non voglio che ti trucchi, voglio che tu smetta di piangere!-

Discorsi del genere erano all’ ordine del giorno. Cominciai a telefonargli quasi ad ogni ora, dall’ ufficio. Lui mi diceva che stava bene, ma, ogni volta che tornavo a casa, lo trovavo in lacrime. I lividi sparirono, ma Luf non volle mai raccontarmi cosa gli fosse realmente accaduto, come se la ferita del suo cuore stesse ancora sanguinando.

-Io avevo promesso che sarei sempre stato solo tuo.- Mi disse una sera, abbracciati sul divano, davanti a due tazze di camomilla fumante.

-Non è stata colpa tua- Gli risposi io, baciandogli i capelli che aveva finalmente ripreso a sistemarsi.

-Lo so, ma.... la cosa che non accetto..... è che io.... io, sono quasi stato contento.... volevo che mi facessero del male.... così, dopo, tu ti saresti occupato di me....- Pianse ancora. Lo strinsi a me incapace di dirgli qualsiasi cosa.

Per un mese intero Luf si rifiutò di mettere il naso fuori di casa, poi arrivò il giorno del suo compleanno, l’ inizio della primavera. Volevo assolutamente portarlo fuori, volevo che ricominciasse a vivere. Arrivai a casa con un mazzo di rose rosse ed il nuovo CD del suo complesso preferito incartato ed infiocchettato, un bigliettino melenso pieno di cuoricini ed una scatola dei suoi cioccolatini preferiti, portata sulle zampine da un coniglio bianco di peluches. Lo vidi ridere, finalmente. Felice come un bambino la mattina di Natale. Poi lo abbracciai e gli dissi che avevo prenotato un tavolo per due in un ristorantino tipico. Luf si irrigidì immediatamente.

-Non dobbiamo andarci, se tu non vuoi.... ma mi piacerebbe portarti fuori, cenare al lume di una candela, poi fare una romantica passeggiata al chiaro di luna, tornare a casa e magari addormentarci guardando uno di quei vecchi film in bianco e nero in cassetta-

Luf impiegò qualche istante a rispondere, poi mi disse, con la voce un po’ insicura, che allora, sarebbe stato meglio che fosse andato a prepararsi.

Si preparò perfettamente, come non faceva da un tempo lunghissimo, fosse stato per me, avrei voluto che fosse sempre così bello.

Pettinato e truccato alla perfezione, tirò fuori una delle sue camice nere e la chiuse completamente, mi chiese una della mie giacche, sistemò delle spalline all’ interno e fu pronto per uscire. Era bello uscire di nuovo con lui, che si aggrappava al mio braccio e cercava di tenere la testa alta nonostante avesse ancora paura del mondo intero.

Luf non era uno stupido e sapeva meglio di me che non poteva continuare a quel modo, ma aveva bisogno di uno stimolo per tornare al mondo, inconsapevolmente, glielo stavo dando.

Passammo una serata piacevole, cenammo con calma, poi uscimmo e percorremmo la strada che costeggiava i Fori comminando lentamente, tenendoci per mano, scambiandoci qualche bacio, indifferenti agli eventuali sguardi di disapprovazione di quanti, quella notte, facevano il nostro stesso percorso.

-Posso chiederti di farmi un altro regalo?- Mi chiese dopo essere stato in silenzio per molto tempo, poco prima di rientrare a casa.

-Dimmi-

-Anche se so che non è vero, solo per stavolta, dimmi che mi ami-

I suoi occhi si riempirono di nuovo di lacrime, alla stessa velocità in cui il mio cuore si riempiva di angoscia. Non sapevo cosa fare. Lo abbracciai e nascosi il viso contro il suo collo.

In quel momento capii perché amavo Kurtz: lui ed io eravamo simili, forse io ero peggiore di lui: entrambi uccidavamo la gente; lui senza farla soffrire, uccidendo degli sconosciuti; io, lentamente, nutrendomi del loro affetto e della loro sofferenza, uccidevo quelli che mi volevano bene.

Lo accontentai.

-Grazie, amore- Mi sussurrò Luf, ritrovando un pavido sorriso.

Concludemmo la serata come avevo proposto: un vecchio film in bianco e nero, abbracciati nel nostro letto.

Di fare l’ amore non se ne parlava. Non era sempre facile limitarsi a casti baci e carezze che, se anche portavano al culmine di un orgasmo non davano quell’ appagamento di due corpi che si uniscono, che si bramano e si completano, ma, finché Luf non avesse terminato tutte le analisi del caso, non era sicuro. A riprova di ciò, una scatola di profilattici a cui ne mancava soltanto uno, giaceva dimenticata sul comodino. Non che fossero così terribili, ma non essendo abituati ad usarli, ottenevano solo di inibirci e metterci di cattivo umore.

Eppure era tale il desiderio che avevamo uno dell’ altro che credo di non aver desiderato fare l’ amore con qualcuno a quel modo in tutta la mia vita: non era solo perché non potevamo, era perché mi sembrava che, facendolo, avrei potuto cancellare dal suo corpo e dalla sua anima le tracce della violenza che aveva subito, come si da uno strato nuovo di vernice ad un mobile che si è rovinato. E poi, fare l’ amore significava che Luf non aveva nulla, che tutti gli spettri erano tornati nell’ ombra e noi potevamo vivere nella luce.

Credo fu perché non resistevo più a questo desiderio di rivedere Luf tornare a vivere che non riuscii ad astenermi dal fare l’ amore con lui fino all’ arrivo delle analisi.

La mattina stabilita lo accompagnai in ospedale per fare il prelievo del sangue, lo portai fuori a colazione e poi lo riaccompagnai a casa. Avevo preso mezza mattina di permesso, ma se Luf avesse voluto, sarei stato a casa tutto il giorno.

Luf si era un po’ ripreso. Sapevo che molto era di facciata, che mascherava paure e pianti perché non voleva farsi sopraffare, perché il suo istinto di sopravvivenza era talmente forte che lo avrebbe trascinato a galla di qualsiasi mare di disperazione. La sua energia, il suo entusiasmo per la vita erano state le prime cose di lui che mi avevano conquistato. Col passare del tempo le avevo date per scontate, ma ora che le riscoprivo, mi colpivano di nuovo.

Luf cercò di farmi rinsavire quella notte, quando cominciai a baciarlo con foga, attirandolo a me e liberandolo dell’ inutile impedimento del pigiama.

-Vuoi rischiare tutto per pochi giorni?- Mi chiese con la voce che gli tremava di paura e di eccitazione.

-Non avrei dovuto farne passare così tanti!- Gli risposi.

Vedere l’ ago che si infilava nel suo braccio ed il sangue rosso che vorticava nelle provette, quella mattina, mi aveva fatto uno strano effetto.

Se quel sangue fosse stato malato, allora, tanto valeva che mi ammalassi anche io, avevo pensato. Avevo promesso che non lo avrei più lasciato, quindi, era sciocco tirarsi indietro.

-Ti amo, Michele- Mi disse, tra gli ansimi, sentivo la sua felicità, la sua gratitudine, mentre prendevo possesso del suo corpo.

Si, era passato troppo tempo. Ci volevamo, tutto il resto non importava.

Eppure, quei giorni, furono atroci. Non mi pentii, anzi. Continuammo a fare l’ amore secondo la lezione che avevo appreso anni prima da Kurtz: quando i sensi sono appagati ed il corpo stanco, il cervello si sconnette.

Finalmente giunse il giorno in cui potevamo andare a ritirare l’ esito degli esami. Ci recammo in ospedale, Luf ritirò la busta, e ci sedemmo su una panchina, lì, a pochi metri dallo sportello del ritiro referti. Guardavamo la busta senza il coraggio di aprirla. Gli avevo chiesto se volesse che l’ aprissi io, ma Luf, con un sorriso tremante e gli occhi enormi mi disse che doveva farlo lui. Sapevo che sentiva la responsabilità di quegli ultimi giorni: se le analisi avessero rivelato che Luf era malato, avrei potuto esserlo anche io e lui, probabilmente, non se lo sarebbe perdonato.

Luf aprì la busta con un atto di forza e lesse tutto d’ un fiato i risultati. Alzò lo sguardo su di me e, con un sorriso felice e gli occhi che già gli si riempivamo di lacrime, mi disse, semplicemente "E’ tutto a posto". Lo abbracciai, felice fino alle lacrime quanto lui. Avrebbe dovuto ripetere i test dopo altri tre mesi, per sicurezza, ma ormai eravamo sicuri che non ci sarebbero state brutte sorprese. Il mio Luf stava bene.

Festeggiammo con una cenetta da sogno, a casa: Luf si era voluto mettere ai fornelli. Avevo accettato con un piacere che non avrei potuto immaginare: erano mesi che non lo faceva. E poi, naturalmente, concludemmo nel migliore dei modi.

Ci pigliammo quel giorno tutto per noi, perché, dopo tanta angoscia, ne avevamo bisogno. Tutto quello che io provai in quei mesi, so che non fu neppure un decimo di quello che aveva provato Luf, eppure, per me, non fu un sollievo minore del suo.

Il giorno dopo Luf chiamò tutti gli amici e diede la lieta novella.

Ma la vita è come un fiume che scorre sempre, a volte più tranquillo, altre più rapido. Incontra cascate, si ingrossa, poi si secca, fino ad arrivare al mare. Quegli anni con Luf, per me, erano trascorsi su una pianura serena, senza fretta, senza mai uscire dal letto fertile di quel fiume, ma, come tutti i fiumi, anche io stavo per approdare al mare, e il mio mare, da sempre, si chiamava Kurtz.




Continua.....







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