TITOLO: About a river

AUTORE: Nuel

SERIE: originale

PARTE: 3/6

RATING: PG/ Angst

PAIRING: Ludovico- Michele

DECLAMER: Miei, miei, solo miei, ma se qualcuno offre una cifra ragionevolmente alta.... £______£ ..... LI VENDO!^^ (ehm, tranne Luf!)

ARCHIVIO: Ysal




ABOUT A RIVER
Di NUEL




Mi rendo conto di essere stato sempre molto fortunato, nella mia vita. Gli uomini che l’ hanno attraversata mi hanno amato e mi hanno dato, a modo loro, tutto ciò che potevano.

Quando mi resi conto che Kurtz mi aveva ingannato nuovamente, e che non avrei potuto fare altro chescendere da quel treno a Milano, mi rannicchiai sulla mia poltroncina e cominciai a piangere disperatamente. Sapevo che Kurtz avrebbe portato a termine il suo lavoro, che avrebbe ucciso un altro uomo, ma almeno, ora, sapeva di avere gli uomini di Kabir alle costole e, forse, si sarebbe salvato.

Arrivato a Milano, feci un altro biglietto e tornai alla mia nebulosa vita universitaria. Lì nulla era cambiato. Ripresi a frequentare i vecchi amici, i vecchi posti. Cercando di non pensare che erano gli stessi in cui ero stato con Kurtz. Faticai, ma ero determinato: non mi sarei lasciato abbattere.

La parola "omosessuale" mi stava quanto mai stretta. Non volevo appartenere ad un branco, essere etichettato in modo superficiale. Evitavo di frequentare i locali gay e tanto meno l’ associazione. Tra i miei amici c’ era una coppia che però non la smetteva mai di invitarmi in quei posti: Francesco e Luca. Stavano assieme da quasi quattro anni, un caso abbastanza raro, a sentire loro. Furono loro a presentarmi Ludovico, Luf, per gli amici.

Luf fu una valanga che travolse la mia vita. Lasciarlo fu la cosa più difficile che abbia mai dovuto fare.

Aveva un anno meno di me. Studiava filosofia, cantava in una band, e viveva per la sua moto, una vecchia Aprilia da strada che suo padre gli aveva regalato, rigorosamente usata, quando aveva compiuto diciotto anni.

Era di poco più alto di me, tanto magro che, a volte, pensavo non mangiasse affatto, ma con un fisico nervoso, scattante. La sua pelle era candida come la porcellana, aveva i capelli talmente neri da rigettare riflessi blu e gli occhi erano neri come una notte senza luna. Poi aveva un gusto tutto suo nel vestire: sempre, rigorosamente di nero, con quelle camice inamidate, corte, spesso piene di fronzoli, di cui chiudeva al massimo un paio di bottoni, e quei pantaloni che suscitavano pensieri impuri per quanto erano bassi. In realtà, tutto in lui invitava allo stupro: era l’ erotismo fatto uomo. Solo perché respirava avrebbe meritato una denuncia per oscenità! Mi faceva morire quando, durante i concerti, infilava le dita ad abbassare quel bordo che già di suo lasciava intravedere il principio di una foresta nera che consideravo mio esclusivo territorio di caccia. A lui piaceva provocare la gente.

I miei amici cominciarono ad organizzare uscite a quattro, ma tra me e Luf sembrava non scoccare mai la scintilla, invece ero solo io a non vedere l’ incendio che già divampava.

Una sera, dopo aver bevuto troppo ed a stomaco vuoto, con la pioggia che cominciava a bagnare le strade, Luf ed io facevamo un pezzo di strada assieme, eravamo nella grande piazza del centro, immersa in una inverosimile tranquillità, nessuno per la strada, i negozi chiusi. Io ero piuttosto allegro per via dell’ alcool, Luf, invece, aveva la classica "balla triste".

-Allora, che cazzo vuoi fare con me?- Mi gridò ad un certo punto, nel centro della piazza. Io ero tranquillamente andato avanti, dimentico di lui.

-Cosa vorresti che facessi?- Gli chiesi ridendo.

-Sei uno stronzo! Non ti accorgi quando uno ti ama?-

-No! Io non mi accorgo mai di niente!- Perché nei momenti più importanti della mia vita, dovevo essere sempre ridotto in quel modo?!

-Allora va al diavolo!- Mi disse Luf, sedendosi per terra.

-Vuoi un bacio?- In un certo senso lo stavo prendendo in giro.

-Guai a te, Michele! Se mi baci non ti lascerò mai più libero!-

Tornai sui miei passi e lo baciai.

Luf mi trascinò a terra e ci baciammo lì, sull’ asfalto, sotto la pioggia che diventava più forte.

-E’ meglio che andiamo a casa...- Gli dissi e, in qualche modo, arrivammo a casa sua.

Crollammo su un vecchio divano con le molle scoperte e dormimmo come due bambini.

Luf era sempre circondato da spasimanti di ogni tipo, gli piaceva stare al centro dell’ attenzione e ci riusciva benissimo. Non era bello nel senso classico, ma era attraente. Perdeva ore, al mattino, per sistemarsi i capelli, sempre pieni di gel e porcherie simili, perché stessero nel modo in cui lui li voleva: un ordinato spettinato, con alcuni fili neri che gli tagliavano le pelle chiara del viso nei posti giusti. Teneva sempre le labbra un po’ socchiuse ed umide, creando una strana miscela di innocenza ed erotismo. Faceva il duro, ma era fragile ed insicuro, e certe volte riuscivamo a litigare con una violenza inaudita. Non avevo mai litigato con nessuno, prima di litigare con Luf. Era passionale, istintivo, una forza della natura, ma allo stesso tempo sapeva essere schivo, delicato.

Mi svegliai mentre mi stringeva tra le braccia, con un sorriso largo ed incredulo.

-Sei mio!- Mi disse, mentre ancora io cercavo di capire dove fossi.

La testa mi faceva male, ma non avevo il tempo per pensarci: Luf, stesosi su di me, su quel divano malandato, aveva cominciato a baciarmi, tenendomi tanto stretto che quasi non respiravo. Nonostante le apparenze, era dannatamente forte.

Decisi di lasciarmi andare alle sue attenzioni, in fin dei conti, Luf mi piaceva: era un po’ scontroso, a volte, ma mi stava rivelando aspetti di sè decisamente piacevoli. E io avevo mesi di arretrati che volevano approfittare della sua proposta. Risposi ai suoi baci con enfasi, aveva un buon sapore, la sua lingua sulla mia. Presi a far vagare le mani sulla sua schiena e poi a cercare un piccolo passaggio segreto nel cinturone dei suoi pantaloni, ma lui si staccò da me con un movimento rapido, trascinandomi in piedi, di fronte a sè.

-Prima voglio corteggiarti un po’!- Mi disse con entusiasmo.

-Ora ti porto al bar qui vicino per la colazione, anche perché a casa non ho quasi niente, e poi, oggi, ti invito a pranzo! Alla mensa, naturalmente, perché non posso permettermi altro!- Scoppiai a ridere. Il suo entusiasmo era contagioso. Così come lo erano le sue paturnie, arrabbiature, malumori.... Luf mi provocò sempre i sentimenti più improvvisi, burrascosi e veloci della mia vita.

Per un mese intero continuammo a vederci come due scolaretti alla loro prima cotta, lui mi invitava ai suoi concerti e mi dedicava sempre una canzone. Non era il genere di musica che preferivo, ma mi ci fece abituare. Aveva una bella voce e sul palco trasfigurava: una volta, ricordo, mi vergognai tantissimo: mimò un amplesso contro l’ asta del microfono, mentre gemeva negli altoparlanti, sino a fingere un orgasmo. I ragazzi intorno a me erano in delirio: non era un cantante famoso, ma aveva una quantità di fans spropositati per un ragazzo che suonava una sera la settimana su un palco in una piazza, all’ aperto ed un’ altra sera in un locale gay.

Dopo i concerti, dato che finivano tardi, mi fermavo a dormire da lui. Viveva in un appartamento di una zona mal frequentata, con le sbarre alle finestre ed una porta blindata con vari segni di scasso, ma da quando ci viveva lui, non erano mai entrati. Erano in tre a dividersi quel buco, ma l’ affitto era basso ed era l’ unica cosa importante. I suoi coinquilini sapevano di noi, ma non si creavano troppi problemi.

Quando pioveva Luf si metteva in camera a suonare la chitarra, accennando qualche motivo e poi, abbandonata la chitarra, continuando a cantare a bassa voce, mi costringeva a ballare con lui. Ballavamo abbracciati, guardandoci negli occhi e, immancabilmente, finivamo avvinghiati sul suo letto, ma passò più di un mese prima che facessimo l’ amore. Luf, con uno sguardo da cucciolo, mi confessò di essere ancora vergine ed io non riuscivo a crederci. "Non mi ero mai innamorato, prima" Mi disse candidamente, spiegandomi che, per quante storie avesse avuto, in precedenza, si era sempre fermato un po’ prima, con gli altri ragazzi che aveva avuto. Quel "un po’ prima", conoscendolo, mi incuriosiva da matti, doveva essere davvero molto poco prima! Gli promisi che avrei reso la sua prima volta indimenticabile, e terminai di spogliarlo. Non che fosse molto difficile, spogliarlo. Per nessuno. Difficile, era avere il suo cuore. Sentire le sue ossa cozzare contro la mia pelle era strano, la sua magrezza però, non mi dava fastidio. Era impulsivo e sconvolgentemente passionale. Il calore che diffondeva sempre, intorno a sè, in quei momenti, aumentava fino a bruciare, e mi avvolgeva completamente.

Dovetti chiedergli più volte di prendermi, prima di convincerlo, contrastando i suoi "Ho paura di farti male" con i miei "Non mi farai male". Una volta varcata quella frontiera la prima volta, Luf non si fece mai più pregare. Non so come spiegarlo, ma lui mi rese la mia vita: non avevo ancora ventiquattro anni, e con lui ritrovai il mio equilibrio di ragazzo, l’ intaresse per lo studio, per il divertimento, e scoprii anche cosa fosse vivere una relazione normale, con una persona della mia età. Scoprii come fosse svegliarsi alla mattina, stretti in due su un letto che era poco più di una brandina, stare svegli fino a tardi, bevendo litri di caffè per recuperare lo studio per un esame trascurato per andare a divertirsi, per andare fino al mare, in due su una moto che minacciava di lasciarci a piedi ogni cento chilometri. Scoprii cosa significasse avere vent’ anni.

Luf ed io avevamo cercato un’ altro alloggio, non importava che ci fossero altre persone, ma volevamo una stanza doppia per poter vivere assieme. Quando andavamo a vedere le stanze di cui trovavamo gli annunci in facoltà od in aula studio, se ci piaceva, lui mi abbracciava e mi chiedeva, "Che ne dici, amore?", in modo da mettere subito in chiaro che eravamo una coppia. Dopo molte porte sbattute in faccia e qualche imbarazzato "Non crediamo sia il caso" o "Abbiamo trovato qualcun altro, ci dispiace", trovammo una stanza in un appartamento di ragazze, che praticamente ci adottarono. Stavamo così bene che dovevamo immaginare che sarebbe successo qualcosa.

Da otto mesi convivevamo felicemente, quando mi arrivò una lettera all’ università. Alquanto stupito l’ aprii e, dentro, trovai un foglio con scritto un numero di cellulare ed un "Chiamami all’ inizio del prossimo mese, scoiattolo".

Non dissi nulla a Luf, sapendo quanto fosse geloso. Gli avevo parlato sia di Kurtz che di Kabir. Luf aveva un vero odio per Kurtz, per come mi aveva lasciato. Non gli avevo spiegato come erano andate le cose, veramente, ma avevo aggiustato con qualche bugia la storia, in modo che stesse in piedi.

Tuttavia Luf si accorse che qualcosa non andava: spesso inventavo delle scuse per non fare l’ amore con lui, ed ai suoi "Ti amo", non rispondevo più con i miei abituali "Ti voglio bene".

Alla fine glielo dovetti dire.

-Kurtz si è messo in contatto con me. Domani lo devo chiamare-

-Il tedesco?- Mi chiese lui, sorpreso.

-Che vuole ancora da te?- Si stava alterando, ma ancora si controllava.

-Non lo so- Luf uscì sbattendo la porta. Sapevo che era geloso di Kurtz, e sapevo che faceva bene ad esserlo.

Il giorno dopo chiamai quel numero dal mio cellulare, in modo che Kurtz avesse il mio numero. Luf mi lasciò solo in camera. Gli costava farlo, e, per questo, gliene fui doppiamente grato.

-Kurtz?- Lo chiamai, quando rispose, dopo solo due squilli.

-Ciao scoiattolo, come stai?-

Io non riuscii a rispondere subito. Mi si formò un nodo in gola e cominciai a piangere.

-Sono felice di sentirti..... sei vivo-

-Si Michele.... non sai quanto mi manchi....-

-Mi hai lasciato solo, a Ginevra-

-Dovevo, piccolo mio, ero in pericolo. Sarei morto se non fosse stato per te.... Ora è tutto finito, Michele. Lascio l’ Europa e voglio che tu venga con me! -

Non sapevo come rispondere.

-Michele! Vieni con me!-

-Ho un po’ di tempo per pensarci?- Gli chiesi singhiozzando.

-Cinque giorni. Non uno di più. Il nostro volo parte sabato da Milano-

-Sei in Italia?-

-Si. C’è qualcosa che ti trattiene, Michele?..... C’è qualcuno?-

-No- Gli mentii.

-Allora ti richiamerò venerdì sera. Se decidi di venire con me, dovrai essere già a Milano. Ti amo, Michele-

-Ti amo, Kurtz-

La porta della camera sbattuta con violenza mi annunciò che Luf era entrato. Mi guardò con le lacrime agli occhi e le labbra serrate, mentre io cercavo di nascondere le mie, di lacrime, riattaccando frettolosamente.

-E io cosa sono stato, allora?-

-Luf...- Mi faceva dannatamente male vederlo in quello stato, sentire la sua voce incrinarsi, mentre tremava di rabbia.

-A me non l’ hai mai detto...... io ti ho dato tutto me stesso e tu dici a lui di amarlo, a quel tedesco di merda che ti ha piantato per due volte!-

-Luf, mi dispiace, io....-

-Sei un maledetto stronzo!- Mi urlò dietro, scoppiando a piangere ed assestandomi un pugno in faccia.

-Sono stato solo un rimpiazzo per te!- Piangeva e mi abbracciava, e io non sapevo che altro fare se non abbracciarlo e piangere, mormorandogli di continuo "Scusa".

-Non ti lascerò a lui!- Mi disse tra i singhiozzi, guardandomi in faccia, con gli occhi neri dilatati.

-Dovessi ammazzarlo, non ti permetto di lasciarmi per lui!-

-Non dirlo, Luf!- Le sue parole mi avevano spaventato, perché sapevo che sarebbe stato in grado di farlo, o, quanto meno, di mettersi sulla sua strada. E allora, Kurtz avrebbe potuto uccidere lui.

-Dov’è? Dov’è quel bastardo?- Mi chiese, scuotendomi.

-Non è qui- Gli dissi, cercando di calmarlo.

Luf si calmò, ma tremava ancora, camminando avanti ed in dietro per la stanza.

-Vuole che tu vada da lui?- Mi chiese dopo un po’.

Annuii.

-Cosa gli hai detto?- La voce lo tradiva di nuovo. Da qualche parte, nella mia mente, una vocina piangeva e gridava che, quella sera, per colpa mia, non avrebbe potuto cantare.

-Che ho bisogno di tempo per pensarci-

Luf mi dette le spalle, appoggiandosi boccheggiante alla porta.

-Quanto tempo?-

-Fino a venerdì sera-

Luf ricominciò a singhiozzare, sbattendo il pugno contro la porta.

-Ti lascio solo, così puoi pensare meglio, amore-

Luf non tornò a casa a dormire. Non tornò neppure i giorni e le notti seguenti.

Venerdì mattina, mentre chiudevo la valigia, mi telefonò Francesco.

-Ma che è successo? Avete litigato?-

-Luf è da voi?- Gli chiesi, sentendomi d’ un tratto meglio.

-Si, è qui, ma sta da cani, non parla, non dorme, non mangia.... che gli hai combinato, Michele? Ha pure disdetto 5 concerti!-

-Io..... credo..... credo di averlo lasciato-

-Sei cretino? .... Che vuol dire che credi? Non lo sai?-

-Un mio ex si è fatto vivo e mi ha chiesto di tornare con lui e io, credo di voler accettare-

-Un tuo ex, chi? Non sarà il tedesco, vero? Perché se è lui e tu ci ricaschi sei proprio un coglione!-

-Allora sono un coglione, ‘Cesco, perché sto andando da lui-

-Molli Luf, che ti ama con tutta l’ anima per quell’ individuo! Non ci credo, Michele!-

-Devo andare, ciao- Era inutile discutere ancora, così riattaccai.

Andai in stazione, ma non riuscivo a decidermi a salire su quel treno. Quando il treno partì, tornai a casa e disfai la valigia.

Quella sera il telefono suonò decine di volte, ma non volevo rispondere. Il nome di Kurtz lampeggiava sullo schermo giallo, ed io non avevo la forza per rispondere.

Alla fine decisi che dovevo farlo.

-Michele, dove sei?-

-A casa-

-.......-

-Mi dispiace, Kurtz, non posso-

-Se hai deciso così, ti capisco. Sappi però che ti amerò sempre. Spero che lui ti renda felice-

-Kurtz....- Aveva già riagganciato, ma non abbastanza in fretta perché non lo sentissi singhiozzare. Mi faceva male pensare che credesse che gli avevo preferito qualcun altro, perché non era così.... non lo credevo, almeno. Ma lui doveva aver sentito qualcosa, alla nostra precedente telefonata.

Mi sedetti per terra, piangendo a tratti, con la schiena appoggiata al letto, sperando che il cellulare suonasse di nuovo e mi distogliesse da quello stato in cui ero caduto. Non importava che fosse Kurtz oppure Luf, purché uno di loro mi dicesse che mi voleva ancora.

Verso metà mattina, Luf entrò silenziosamente nella nostra camera.

-Non sei andato- Disse quasi tra sè. Sembrava un fantasma.

-No-

-Perché?-

Feci spallucce -Non lo so-

Passò qualche minuto in cui restammo così, in silenzio, io per terra e lui sulla porta.

-Cosa provi per me?-

Aspettai un po’. -Non lo so-

-Prendo un paio di cose e tolgo il disturbo- Disse con la voce arrochita dal pianto.

-Non serve....- Cercai di fermarlo.

-Si, invece. Torno da Francesco e Luca. A loro non darà fastidio. Quando avrai deciso cosa farne, di noi, fammelo sapere, per favore.-

Raccolse qualche vestito e lo cacciò malamente in una sacca e si avviò alla porta. Prima di uscire, però, si fermò a guardarmi.

-Michele, prenditi tutto il tempo che ti serve, io non ho fretta, non c’è nessuno ad aspettarmi, ma quando avrai deciso, dovrà essere definitivo, chiaro? Ciao-

Luf chiuse la porta senza fare rumore. Le lacrime mi si erano asciugate sul viso e la pelle mi tirava. Andai a lavarmi la faccia. Non avevo idea di cosa fare.




Continua......