TITOLO: About a river
AUTORE: Nuel
SERIE: originale
PARTE: 2/6
RATING: NC14
PAIRING: Kabir- Michele
DECLAMER: Miei, miei, solo miei, ma se qualcuno offre una cifra ragionevolmente alta.... £______£ ..... LI VENDO!^^
ARCHIVIO: Ysal
ABOUT A RIVER
Di NUEL
Forse era stato il destino a volerlo. Forse, nei suoi programmi, io dovevo scoprire chi fosse Kurtz prima che per me fosse troppo tardi, ma, al mondo, ci sono miliardi di esseri umani a cui il destino deve pensare, e, forse, anche sulla sua scrivania il lavoro si accumula, e così, quando vidi Kurtz sparire tra la folla, per me, per il mio cuore, era già tardi.
Camminai fino a tarda sera, senza andare da nessuna parte, solo vagabondando, con la mente talmente sgombra che avrei potuto benissimo non essere nemmeno vivo. Mi sembrava di galleggiare in un mondo senza luce, senza aria, andavo allo sbando senza alcuna coscienza.
Un’ auto si fermò accanto a me ed un uomo mi chiamò un paio di volte, prima che io me ne accorgessi.
-Vuoi guadagnare un po’ di soldi senza troppa fatica, ragazzo?-
Io lo guardai senza capire.
-Ti sai spogliare, ragazzo? Lui ti starà solo a guardare-
Io ero troppo stanco e stordito, non avevo un posto dove tornare, avevo camminato tanto, senza meta, che non sapevo neppure dove mi trovassi. Avevo quasi finito i soldi e non ero per nulla lucido. Una piccolissima parte di me, sul principio, pensò che mi volesse portare da Kurtz, e salii in macchina.
Era un’ auto con i vetri oscurati, sicuramente apparteneva ad uno di quei personaggi eccentrici e pieni di soldi....... percorse non so quanti chilometri, nella notte parigina. L’ uomo mi fece delle domande, io risposi senza nemmeno capirle, mi spiegò che non avrei dovuto fare altro che concedere uno spettacolino privato. Non avevo mai fatto nulla del genere, ma quell’ uomo diceva che ero perfetto, proprio il tipo di ragazzo che cercava, che sarebbe stato facile, veloce, e molto, molto remunerativo. E che nessuno lo avrebbe mai saputo. Dovevo avere una faccia davvero terribile per essere stato abbordato in quel modo. Non mi convincerà mai nessuno che il segretario personale di Kabir, vedendomi quella prima volta, non mi avesse scambiato per un drogato o, nel migliore dei casi, un furfantello fuggito da casa.
Fui accompagnato nella suit presidenziale di un lussuosissimo hotel. Aspettai in un’ anticamera per alcuni minuti, mentre l’ uomo andava a parlare con il mio "pubblico".
Qualche minuto dopo fui fatto accomodare in una camera grande, elegante, dove un giovane uomo dai tratti arabi e lo sguardo triste mi fissò, mentre il suo segretario ci lasciava, con un inchino.
-Non volevo compagnia stasera, ma ha insistito tanto.....- Mi disse con un tono caldo, in francese perfetto.
Io annuii, restando impalato sulla porta. Lui mi invitò ad avanzare con un gesto moderato del braccio.
-Ti offro qualcosa?- Mi chiese gentilmente.
-No, grazie- Erano le prime parole coscienti che esprimevo da quando ero sprofondato nel mio incubo, molte ore prima.
-Io bevo qualcosa, non farti riguardi, cambiassi idea- Mi disse, dandomi le spalle e versandosi da bere.
Io, intanto, guardavo la stanza da sogno, il letto a baldacchino, l’ arredo di classe.
-Il mio segretario ti ha spiegato cosa devi fare?- Mi chiese, tornando a fissarmi.
Io annuii di nuovo.
-Allora, se non ti spiace, comincia. Ho avuto una giornata davvero orribile e voglio andare a dormire-
Io cominciai i spogliarmi, lentamente, facendomi scorrere addosso le mani. Non ero uno spogliarellista, cercavo solo di essere naturale, lui non mi guardava. Il suo segretario mi aveva detto che mi sarei dovuto spogliare e poi masturbare davanti a lui. "Nient’ altro" aveva detto, come fosse stata una cosa normale! Ci sono tante perversioni al mondo, pensai, che se mi era capitato un voyeur, potevo ritenermi fortunato: non avrei passato dei guai per questo.
-Puoi usare il letto, se preferisci- Mi disse imbarazzato. Io, invece, stranamente, ero privo di inibizioni. Mi sdraiai sul quel letto dal copriletto intessuto di ricami d’ oro e cominciai ad immaginare le mani di Kurtz su di me. Mi masturbavo e gemevo sempre più forte. Lui, intanto, si era avvicinato, e mi guardava con gli occhi lucidi.
Raggiunsi un pavido ed insoddisfacente orgasmo, e, a quel punto, iniziai a rendermi conto della situazione in cui ero. Mi venne da piangere, mi vergognavo, mi alzai a sedere, sudato e tremante, incapace anche solo di rialzarmi per raccattare i vestiti che avevo abbandonato sul pavimento, tenendo lo sguardo lontano da quell’ uomo che continuava a fissarmi con i suoi grandi occhi tristi. Intuii che aveva pianto, era un particolare che mi faceva tenerezza. Nella mia disperazione, mi faceva tenerezza lui.
-Stai soffrendo, vero?-
Le sue parole mi colsero talmente impreparato che mi ritrovai a fissarlo in quegli occhi incredibilmente neri.
-Anche io soffro. Ho perso una persona che amavo profondamente.-
-Anche io- Riuscii a dirgli, rilassandomi un po’.
-Era il tuo amante?-
Annuii.
-Si capiva..... dal tuo modo di fare-
Arrossii, credo.
-Era un uomo forte, che ti prendeva nell’ anima ancora prima che nel corpo-
Aprì un cassetto e mi porse un fallo di gomma scura.
-Ricomincia- Mi disse, ma non era un ordine.
Non so perché ubbidii, però lo feci. Presi quel feticcio e cominciai a succhiarlo, perdendomi in quel gesto abituale, in una parodia di ritrovata normalità. Quando ritenni di aver fatto il mio dovere, spinsi il dildo nel mio corpo, cominciando a scoparmi con foga, iniziando a liberarmi dall’angoscia che avevo dentro. Lui mi accarezzava timidamente una gamba. La sua mano era calda, e io riuscii finalmente a godere.
-Grazie- Gli mormorai.
Lui mi baciò sulla fronte e prese un accappatoio dal bagno, coprendomi.
-Resta a dormire qui, se vuoi- Mi disse, mentre già scivolavo nel sonno.
Il mattino seguente, venni svegliato dal profumo del caffè. L’ arabo, in vestaglia, stava appoggiando sul comodino accanto a me un vassoio con caffè e brioches. Ero sorpreso, e molto in imbarazzo. Kabir mi sorrise ed io abbozzai un incerto sorriso da bambino smarrito.
-Se vuoi andartene, sarai pagato. Però, a me piacerebbe che restassi qui finché non tornerò nel mio Paese. Sarà per due o tre giorni al massimo. Devo aspettare dei documenti. Tu mi piaci molto, amerei davvero godere della tua compagnia-
Io non sapevo che rispondere. Mi porse la tazza del caffè. Ingurgitai la colazione come se non mangiassi da giorni, cosa che non era del tutto inesatta.
Lui mi sorrise e suonò un campanello. Un uomo entrò e lui ordinò altro caffè e brioches. Fu così che iniziò la nostra storia.
Nei giorni seguenti non mi chiese più alcuna prestazione; parlavamo, oppure ci tenevamo semplicemente compagnia. Due anime sole che si scaldavano l’ una al fuoco dell’ altra. Kabir era il secondo genito di un magnate del petrolio, ma suo fratello era morto il giorno del nostro incontro, così sarebbe spettato a lui condurre l’ impero economico del padre. Era giovane, aveva solo ventisette anni. Avevamo la stessa struttura fisica ed eravamo alti uguali, così mi fece indossare i suoi abiti fatti su misura. Mi sentivo strano con gli eleganti completi scuri che a lui, invece, stavano d’ incanto. Era un ottimo conversatore, parlavamo di letteratura e filosofia, per lo più. I suoi occhi neri persero un po’ di tristezza, in quei giorni. Aveva la carnagione scura della sua terra ed i capelli corvini e due baffetti sottili alla Ret Buttler che lo rendevano irresistibile. L’ ultima sera che restammo all’ hotel mi chiese se poteva baciarmi, ed io fui felice di dirgli di si.
Il giorno dopo mi comunicò tristemente che i documenti erano arrivati e doveva partire. Io mi sentii di nuovo abbandonato, ma lui, esitando, mi chiese di seguirlo. Accettai.
Telefonai ai miei genitori che, preoccupati, mi rimproverarono per i molti giorni di silenzio, e che ammutolirono sentendo che stavo per andare in Medio Oriente. Inventai uno scambio culturale con una Università il cui nome mi era stato suggerito da Kabir, e partii, mano nella mano con lui, per la mia nuova avventura.
Giungemmo, con il suo aereo privato, in un paese inondato di luce. Vidi dall’ alto la distesa liquida della sabbia bianca del deserto, vidi le mobili colline che celavano e rivelavano segreti secondo il capriccio del vento. Vidi città dai colori chiari ed oasi verdi che esplodevano in mezzo al nulla. Rimasi incantato dal palazzo sontuoso, immenso, che era la sua casa.
Kabir mi abbandonò dopo avermi condotto nella sua ala del palazzo, dicendomi che doveva recarsi dal padre e bisognava dare disposizioni per il funerale del fratello. Io vagabondai un po’ per quelle sale, aspettando il suo ritorno.
Nei giorni seguenti, Kabir fece in modo che io avessi una specie di precettore che si occupasse di insegnarmi gli usi e la lingua di quel paese per me tanto esotico.
Spesso discutevamo, non riuscivo a condividere molte delle idee più comuni, non sopportavo la generale misoginia ed il maschilismo estremo, quando bighellonavo per i mercati vivaci e ricchi, finivo spesso per creare situazioni che per lui si rivelavano imbarazzanti, così, una sera, mentre stavamo abbracciati dopo aver fatto l’ amore, mi invitò a limitare le mie uscite da palazzo.
-Ho afferrato l’ antifona, scusa- gli dissi, stiracchiandomi tra le sue braccia.
Passavo giorni interi a sbirciare il cortile interno da trine di roccia e mattoni, come facevano le donne che vivevano nell’ altra ala del palazzo, le vedove di Hamad, e, come avevano fatto loro sino a pochi mesi prima, aspettavo leggendo poesie, il ritorno del mio amante.
La nostra fu una relazione molto dolce, Kabir era sempre amabile e disponibile, acconsentiva ad ogni mia richiesta. Ottenne per me anche un trasferimento nell’ università che avevo usato come scusa con i miei genitori, così riuscii a non restare troppo in dietro con gli esami. In cambio mi aveva chiesto solo di impegnarmi ad imparare la sua lingua ed a dare degli esami in tal senso. Abbandonai il francese, che parlavo già bene, e mi dedicai all’ arabo.
Un anno passò così velocemente che quasi non me ne accorsi. Ero beato e tranquillo, nella prigione dorata in cui Kabir mi custodiva come un tesoro prezioso. Tutto il resto del mondo era chiuso fuori, non poteva ferirmi in alcun modo.
Un giorno, Kabir mi raggiunse in uno dei saloni per la lettura. Era raggiante. Raramente l’ avevo visto così felice e sorridente. Il suo caratere mite mi spingeva spesso a chiedermi come potesse restare a galla nello spietato mondo del commercio, ma c’ erano aspetti di lui che non conoscevo ancora. Era un animo nobile, radicato nella cultura a volte crudele e spietata della sua amata terra. Quella che io chiamavo crudeltà, lui la chiamava giustizia, e chi ero io per criticare la cultura millenaria del suo nobile popolo?
Mi baciò con trasporto e, tenendomi il viso tra le mani, mi disse:
-L’ hanno trovato!-
-Cosa?- Maledetta domanda! Non l’ avessi fatta, non avrei perso tutto per la seconda volta nella mia breve vita.
-Il killer che uccise Hamad a Parigi, quel giorno!-
-Killer?-
-Si, pare si tratti di un tedesco della Germania ex-comunista. Ora si trova in Svizzera, ci sarà un meeting tra uomini d’ affari. I nostri servizi segreti non hanno dubbi!-
-E cosa farete ora?- La mia voce si affievoliva ad ogni parola. Kurtz era ripiombato nella mia vita, come un fulmine che squarcia in due un cielo sereno dipinto su una tela senza cornice.
-Sarà ucciso! Vendicheremo mio fratello!-
"Vendetta", quella parola che strideva sulle labbra del mio dolce amante, era dolce sulle labbra dure dell’ uomo arabo che la chiedeva per il proprio fratello.
Gli sorrisi gelido, chiudendo il libro che stavo leggendo.
-Fa andare anche me!- Gli dissi risoluto.
-Perché?- Mi chiese sorpreso quanto me che avevo parlato.
-Sarò i tuoi occhi e le tue orecchie lassù! Ti racconterò la sua morte al mio ritorno!-
-Michele.... non c’è bisogno....-
-Voglio andare!- Insistetti. Kabir mi sorrise tristemente ed acconsentì.
Passammo la notte a fare l’ amore con la consueta enfasi, col trasporto che sempre ci coglieva quando pensavamo che ci saremmo limitati ad innocenti effusioni, ed, all’ alba, mi preparai a partire.
Kabir mi accompagnò al piccolo aeroporto privato, dove ci aspettavano uomini in divisa dall’ aria poco amichevole. Ci salutammo con un bacio frettoloso, ma mentre stavo per salire, Kabir mi trattenne.
-Non avevi bisogno di questo per fuggire- Mi disse tristemente.
-Cosa vuoi dire?-
-Hai colto l’ occasione al volo... se volevi andartene eri libero di farlo. Non ti ho mai trattenuto con la forza, Michele-
-Lo so- Non sapevo cosa dirgli. Lui non poteva sapere la verità. Mi sentivo così in colpa per come lo stavo tradendo! Lui mi aveva amato, io l’ avevo usato per dimenticare Kurtz.
-I miei uomini hanno l’ordine di lasciarti libero di andare dove vuoi. Non ti porteranno in dietro, a meno che non sia tu a volerlo. Ho aperto un conto a nome tuo in una banca svizzera. Potrai accedervi da tutta Europa. Addio-
Mi passò delle carte. Lo abbracciai, dicendogli che gli volevo bene e che non lo avrei mai dimenticato. Sull’ aereo guardai i documenti: erano inerenti al cospicuo conto che mi aveva intestato. C’erano una carta di credito, un passaporto, documenti universitari. Non aveva trascurato nulla. Pensai con fastidio che erano già pronti, forse Kabir, già da un po’ cercava il modo per allontanarmi, anche se contro la sua volontà. In fin dei conti, la tradizione voleva che lui seguisse la volontà di suo padre, sapevo che il vecchio premeva da mesi, ormai, perché Kabir prendesse moglie, ed io ero un ostacolo. Cercai di convincermi che gli facevo un favore, andandomene. In realtà lo lasciavo solo ad affrontare un legame che non desiderava e, a tempo debito, a gioire di una famiglia che lo avrebbe incatenato a schemi troppo lontani dalla nostra relazione.
Con una scusa mi accodai ai sicari di Kabir il tempo sufficiente per scoprire dove si trovasse Kurtz e quale fosse il loro piano. Quando me ne andai, augurando loro buona fortuna, sapevo dove cercare Kurtz. E lo trovai.
Era sorpreso di vedermi, ma io non avevo tempo da perdere in convenevoli. Gli spiegai sommariamente che era in pericolo e che doveva scappare.
Forse era un po’ dimagrito, in quell’ anno. Era meraviglioso, come lo ricordavo. Mi strinse tra le sue braccia forti ed io desiderai di non staccarmi più dal suo abbraccio.
Mi baciava e mi implorava di perdonarlo e mi giurava di amarmi come un tempo.
In una squallida camera di un motel in periferia, consumammo un rapido e selvaggio amplesso.
Un pomeriggio, ci concesse il destino, prima di separarci di nuovo.
Kurtz mi promise di rinunciare all’ incarico e di tornare con me in Italia.
Aveva un’ auto a noleggio, aveva documenti falsi, una nuova identità, e la stessa influenza, su di me, di un tempo.
Ci recammo alla stazione di Ginevra. Kurtz fece i biglietti per Milano su un eurostar che non vedevo l’ ora di prendere.
Salimmo e prendemmo i nostri posti. Ero felice.
Kurtz mi disse che aveva bisogno del bagno quando la partenza era già stata annunciata. Uscì rapidamente della scompartimento, quando il fischio annunciò la chiusura delle porte. Il treno si mosse lentamente, mentre guardavo fuori dal finestrino, aspettando il suo ritorno. Lo vidi salutarmi con la mano, mentre il treno acquistava velocità.
Continua.......