A better life
capitolo 5
di
Rikku19
Strinsi la mano che
mi porgeva, quella mano leggermente callosa che mi aveva accarezzato, che mi
aveva preso quasi due anni prima.
"Shane... sono Shane"
"e cosa ci fai qui, Shane? in questa noiosa serata di politicanti e
cacciatori di opportunità?"
"io..."
Non risposi.
La verità, e avrebbero riso di me.
Avrebbero approfittato di Tibby.
"scusi, devo andare in bagno"
Scappai, rovesciando sul tavolo il bicchiere di champagne.
Mi rinchiusi in una toilette, una toilette elegante, con gli asciugamani
morbidi.
Non una toilette di uno squallido cesso in uno squallido bar.
Qualcuno bussò sulla porta del bagno in cui mi trovavo.
"occupato!" sbottai
"Sean? sei lì dentro?"
David Applegate.
"Shane" corressi, infastidito.
"Shane, mi apri? o vuoi trascorrere lì dentro il resto della serata?"
"Sì" risposi
"No che non vuoi" disse "tu vuoi venire a casa mia, stasera"
Aprii la porta.
Annuii.
Mi prese per mano.
Salutò un paio di persone, per pura cortesia.
Chiamò il parcheggiatore e si fece portare la sua decappottabile sportiva.
Una bella macchina rossa.
"sali" mi ordinò
Eseguii, prontamente.
"abito qui vicino, sulla quinta, di fronte al Metropolitan. Ho casa anche a
LA, ma ci sto raramente. sono nato nell'Iowa, la mia famiglia sta ancora la"
disse.
Non approfondì particolarmente.
sapevo quelle cose.
Le riviste di Rachel erano state utili.
"sei vergine?" mi chiese
Scossi la testa.
"meglio così. non sopporto i ragazzini che piagnucolano tutto il tempo. sono
un'inutile seccatura"
Ripensai a quella sera, al sapone da due soldi e al vomito che macchiava la
mia maglietta rossa.
"siamo arrivati"
Lasciò la chiave dell'auto al portiere.
Mi guidò verso l'ascensore, e premette l'ultimo tasto in cima: PA.
"PA?"
"Piano Attico" spiegò, come parlando ad un bambino ritardato.
La casa era magnifica arredata in stile anni Sessanta, sui toni del bianco e
del nero, alleggeriti da appezzeria pastello.
Un Renoir faceva bella mostra di sè all'ingresso.
Mi prese per mano, e mi portò in camera da letto.
Mi adagiò sul grande letto a tre piazze, sul morbido copriletto azzurro
cielo.
Mi sorrise, e mi baciò, dolcemente.
"sei bello" disse.
Sorrisi, estatsiato.
Era il momento che avevo sempre desiderato.
Mi spogliò dolcemente.
Le carezze gentili.
Era bello, bello da morire.
Mi diedi da fare per dargli piacere.
Lo toccai, lo presi in bocca.
Misi in mostra alcuni trucchetti che mi aveva spiegato Tibby.
Mi feci prendere, steso sul letto, con le gambe che gli circondavano la
schiena.
Assecondavo i suoi movimenti, dandogli il più piacere possibile.
Riuscii a venire, con un piccolo sforzo.
E lui fece altrettanto.
Uscì, e mi abbracciò.
Mi depositò un leggero bacio sulla nuca.
Per minuti, forse ore, restammo a guardare il soffitto, e il grande
lampadario ottocentesco... periodo napoleonico, forse.
Mi baciò lentamente, sulle labbra, in profondità.
Pensavo volesse ricominciare.
Ma si alzò, diretto verso i suoi pantaloni, rimasti da qualche parte, nella
stanza.
Se li mise addosso.
"forse è meglio che tu vada, Sean"
"Shane"
"beh, fa lòo stesso. devi andartene"
lo guardai, smarrito.
Andò in cucina, e tornò con due sigarette.
Le accese e me ne passò una.
"fuma questa e poi va' a casa"
Presi la sigaretta.
Inspirai profondamente.
Espirai.
Estrasse un piccolo rotolo di carta, e me lo lanciò sul letto.
"per il disturbo"
Infilai il mazzetto in tasca.
"ti chiamo un Taxi"
Mi rivestii.
Salii sul taxi.
Estrassi il piccolo rotolo fermato da una molletta da ufficio.
Li contai.
Uno.
Due.
Tre.
Quattro.
Cinque.
Sei.
Sette.
Otto.
e Mezzo.
Otto pezzi da cento.
Un pezzo da cinquanta.
Ottocento cinquanta dollari.
E al posto dell'altra banconota da cinquanta un biglietto da uno.
"grazie. chiamami quando ti va. David"
E sul retro c'era il suo numero di telefono.
"Mi
ha chiamato ieri. si è ricordato di me a quella festa"
Jamie Tibberson mi guardava raggiante.
"te lo eri fatto? nulla è gratuito, Tibby"
Scosse la testa, emozionata.
"mi vuole per la parte. Sarò Eva Leinz Heusen. Una serie TV! Io! te lo puoi
solo immaginare? Firmerò autografi!"
"dov'è la fregatura?" ripetei
Lei non rispose.
"Tibby?"
"beh..."
"Tibby?"
"oh, insomma! Vuole che firmi un contratto esclusivo con la sua casa di
produzione!"
"appunto" sospirai "esclusivo quanto?"
"quinquennale"
"smettila di comportarti da bambina! Poi non venire a lamentarti da me
quando inizieranno a non darti più film da fare, quando ti ordineranno quali
show accettare, quando e come! Stai inseguendo dei sogni che potrebbero
renderti infelice!"
"meglio l'infelicità del rimpianto, Shane. Lo sai anche tu" rispose con
un’alzata di spalle.
"sei sicura di riuscirci?"
Tibby alzò le spalle.
"provarci è l'unico modo per saperlo"
"già"
Eravamo diversi dai nostri ultimi giorni laggiù.
La rabbia era svanita.
Eravamo rassegnati.
Erano passati quasi sette mesi da quando io me n'ero andato.
Tibby mancava da tre anni.
Tutto era diverso.
Christian mi chiamava, di tanto in tanto, e mandava a me a Tibby un cospicuo
mensile.
L'avevano eletto.
E no, non me lo scopavo più.
Aveva annunciato, dopo l'elezione, durante una conferenza stampa che le sue
giornate erano vuote senza Alex Williams, che era amore, non sesso, ed era
stato uno stupido a non capirlo prima.
lo disse proprio così, "le mie giornate sono vuote senza di te, Alex. quando
lo facevamo... è diventato amore, con il passare del tempo. non era solo
sesso. sono solo uno stupido, non l'avevo mai capito. Il mondo sappia che io
amo Alex Williams!"
Scoppiò un putiferio, nell'opposizione repubblicana e tra stessi elettori.
Glielo avevo detto, io, che non era il caso di fare un scenata del genere.
Avevamo ripreso ad andare a scuola.
Eravamo al penultimo anno del liceo.
Alex ci dava ripetizioni.
Ci spiegava che accidenti fosse la mitosi.
Viveva a New York, aveva uno studio sulla Sesta.
Ci raccontò la sua storia.
Si era chiuso a ricco ed era stato ferito.
Diceva che Christian non lo amava.
Poi aveva cominciato a riaprirsi.
Ammise di non aver mai smesso di amare Chris.
Ne era geloso, lo voleva solo per sé.
Lo caricammo sul primo volo per Washington DC.
Interruppe una conferenza internazionale sugli aiuti al Terzo Mondo.
Si lanciò direttamente sulla bocca del Presidente.
E tutto il mondo seguì quel profondo scambio di saliva in diretta
satellitare.
E il mondo scoprì che la persona in questione non era Alexa 'Alex' Williams,
di sesso femminile, bensì il di lei fratello gemello, il giovane e
promettente neuropsichiatra infantile, di sesso maschile.
Saremmo stati tra i diplomandi dell'anno 1997.
"passo da Rachel" dissi
Tibby annuì.
Parcheggiò in doppia fila il fuoristrada che le aveva regalato Estella per
il suo compleanno.
"salutami i tuoi"
Risalii il vialetto.
Premetti il campanello appiccicato con lo scotch.
TRIIIIN!
Nessuno rispose.
TRIIIIN!
"Chi è? Un attimo, sono sotto la doccia!"
Rachel mi aprì la porta
Portava un accppatoio giallo canarino e un asciugamano coordinato, legato
come un turbante intorno alla testa.
Le solite, vecchie lunghissime unghie laccate di rosso.
Sembrava sempre più vecchia dei suoi trentadue anni.
"Shane... che ci fai qui?" sussurrò
"Ti sono venuto a trovare, Rachel"
"sono diciassette anni che ti ripeto di chiamarmi mamma"
Sorrisi.
"entra" disse "ti preparo un the"
Mi sedetti al solito posto, dall'altro lato del tavolo.
E mi guardava.
Non si passava le mani tra i capelli.
Non sospirava.
Mi mise sotto il naso un bicchiere di the solubile, fatto scaldare
nell'acqua calda.
"dove sei...?" si sedette di fronte a me, dal suo lato el tavolo.
"Chinatown, con Tibby"
"Jamie Tibberson?"
"sì. È qui anche lei, deve far firmare delle carte ai suoi"
Abbassò la sguardo.
"che fai... per... per vivere?"
Niente verità.
Spiegai la mia attuale condizione.
Non parlai dei primi mesi.
"abbiamo degli amici che ci pagano tutto. è come se avessimo una nuova
famiglia. è strano. è bello. E’ strano. sono al penultimo anno. l'anno
prossimo mi diplomerò"
Rachel sorrise.
Si frugò nelle tasche dell’accappatoio.
"non mi sono ancora abituata a portarlo"
Estrasse una piccola scatoletta di velluto
La aprì.
"è un diamante. mi sposo"
"chi è lui?" chiesi
"l'ho conosciuto quando te ne sei andato. la cerimonia è fissata per marzo.
è ricco. un broker, o qualcosa di simile. è lo zio di Jess Kinney, quel bel
ragazzo che veniva sempre in chiesa, la domenica"
Come dimenticarlo... sorrisi, tra me e me.
"s'è fatto prete. Jess è diventato cattolico e si è fatto prete" sospirò "i
suoi genitori hanno dato fuori di matto. beh, puoi immaginare"
Nessun tono di biasimo.
A me scappava da ridere, ripensando ai baci fugaci di Jess sotto la doccia
degli spogliatoi.
"andremo a vivere da lui. ha preso casa qui vicino, una bella villa, apposta
per noi. è un uomo caro"
"lo ami?" chiesi a bruciapelo
"con il tempo, forse" sospirò "sai, Shane, mi farebbe tanto piacere che
venissi alla cerimonia... e se ti può essere d'aiuto... puoi portare anche
la tua nuova famiglia"
Ridacchiai, immaginando il Presidente degli stai uniti, Alex, Alexa e,
forse, David Applegate al matrimonio di mia madre.
Presi un sottobicchiere e ci scrissi sopra il mio numero di telefono.
"è il mio numero di casa" spiegai "chiamami per i dettagli"
Le diedi un bacio veloce su una guancia e uscii.
Tibby mi aspettava poco lontano, quasi nel giardino dei vicini.
Piangeva.
Non le chiesi nulla.
Notai i documenti di permesso della casa di produzione firmati, abbandonati
sul sedile posteriore.
"mi ha detto che dovrò cambiare nome, se ho intenzione di intraprendere la
carriera d'attrice" singhiozzò “mio padre ha detto che sono la rovina della
famiglia”
Il nostro appartamento era sempre il solito, a Chinatown.
Grazie ai soldi di Chris, ora, aveva tutti i mobili.
Le feci passare le dita tra le ciocche ossigenate.
Non dissi nulla.
"non mi vogliono mai più vedere. Hanno un'altra bambina. Ha due anni. Si
chiama Janine. Lei non sapeva neppure chi fossi"
Singhiozzava.
"mi hanno cacciato, tre anni fa. Non me ne sono andata. Mi hanno fatto
abortire di nascosto e mi hanno cacciata via"
Ripensai ai signori Tibberson, a tre anni prima, quando andavano dicendo che
la loro figlia sciagurata se ne era andata di casa, con quel frutto
dell’abiezione.
Le feci passare le dita tra le ciocche ossigenate.
"mi hanno tolto il mio bambino. E mi hanno sostituita. E vogliono che io
cambi il mio nome. Non vogliono avere niente a che fare con me"
Per ore, minuti, giorni, le feci passare le dita fra le ciocche ossigenate.
Finche, alla fine, si addormentò.
Non venne a scuola.
Lì ci guardavano tutti storto.
Drogati e criminali, dicevano le malelingue, e lui è pure un frocio del
cazzo.
Non ci preoccupammo mai di smentire.
In parte, avevano ragione.
Dissi che si era sentita male.
Commenti poco piacevoli arrivarono dal fondo dell’aula.
“è in overdose?” mi chiese una ragazzina del primo anno durante l’intervallo
“l’ho sentito nel bagno delle ragazze”
“e se fosse?” sbottai, infastidito
“che figata!” rispose lei, saltellando verso la sua aula.
Frequentavo tutti i corsi avanzati.
Mrs Gloss, la responsabile dell’orientamento scolastico, mi diceva che sarei
potuto andare a Harvard, Yale o Princeton in qualsiasi momento avessi
voluto.
Stavo risparmiando soldi.
Volevo andare all’università.
Mi dicevano che ero intelligente.
Avevo buoni voti.
Tranne in biologia.
Era la pausa pranzo, mi squillò il cellulare.
Fumavo una sigaretta nel retro del cortile.
Avevo dimenticato i soldi per il pranzo.
“pronto”
“ciao Sean”
Non mi preoccupai di correggerlo.
“ciao David”
“Ho chiamato casa, Tibby mi ha dato il tuo numero” e mi chiese“dove sei?”
“A scuola”
“non puoi uscire e venire da me?”
Sospirai.
E dissi la frase che mai avrei pensato.
“no”
“perché, Sean?” chiese, deluso.
“perché mi chiami Sean, quando sai perfettamente che il mio nome è Shane.
Perché voglio combinare qualcosa della mia vita. Perché non posso venire a
letto con te, quando tu hai voglia di scopare. Ecco, il perché.”
“non vuoi che ti chiami più?”
“è meglio così. Per me”
“e per me, invece?”
“tu puoi avere tutti i ragazzini che vuoi. Puoi andare in un bar
assolutamente sconveniente, per dirla con le parole di mia madre, e scoparti
nel cesso un ragazzino qualsiasi, un verginello, uno di quelli che
piagnucolano, uno di quelli che non sopporti. E lui ci starà senza battere
ciglio”
“ma io ti voglio adesso Shane”
“beh, io no”
Mentivo.
Volevo uscire, prendere un taxi e andare dritto nella sua camera da letto.
Ma non potevo.
“capisco, Shane”
Riattaccai.
La campanella stava squillando.
Ed entrai nella mia aula di dodicesimo livello di matematica.
L’insegnante rimproverò con lo sguardo il mio piercing all’ombelico in bella
vista.
E io le sorrisi.
Raccolsi le mie ultime cose nell’armadietto.
Passai in biblioteca a restituire “Dublinesi” di James Joyce.
Ero stato come Evelyn fino a due ore prima.
Lei era rimasta là nella sua vita che non era poi così male.
Io una decisione l’avevo presa.
E, in quel momento ero convinto fosse quella giusta.
Stavano uscendo tutti.
E tutti mormoravano.
C’era una macchina rossa parcheggiata in mezzo al cortile.
Un uomo sedeva sul cofano, come in attesa.
Bello, da morire.
“è David Applegate” mi sussurrò all’orecchio la ragazzina del primo anno che
mi aveva fermato durante l’intervallo.
Mi diressi verso di lui, attraversando il cortile.
“ti avevo detto che non dovevi cercarmi più”
“scosse la testa. Tu mi hai detto che non volevi ti chiamassi. Quindi sono
venuto di persona”
“beh, fa lo stesso” replicai “non ti voglio vedere più”
Non lo guardavo negli occhi.
Gli osservavo le scarpe da ginnastica ai piedi.
Mentivo, e lui lo sapeva.
Sapeva che anche se fissavo quelle scarpe bianche, non avrei esitato a farmi
prendere lì, in mezzo al cortile della scuola, sul cofano dell’auto.
“andiamo” disse lui, prendendomi per mano e caricandomi in macchina.
Non protestai.
Mise in moto.
“portami a casa”
Scosse la testa.
“vieni da me” disse “e poi andiamo fuori a cena”
Ripensai a Tibby, da sola in casa, in lacrime, convinta che nessuno la
amasse.
E scacciai via quel pensiero.
Ero orribile.
Me ne rendevo conto.
E, ben più tremendo, era che non potevo farci nulla.
“dove andiamo a cena?”
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