dedico questa fic a tutte le
ragazze che mi hanno fatto i complimenti, per la mia ultima original. spero
che questa vi possa piacere altrettanto!
A better life
capitolo 2
di
Rikku19
Il
mio primo vero ragazzo lo conobbi a sedici anni, si chiamava Jess Kinney.
Era... abbastanza.
abbastanza dolce, abbastanza comprensivo, abbastanza piacevole, abbastanza
bello.
Abbastanza.
Portava i capelli corti a caschetto, aveva dei bellissimi vestiti della
domenica.
Era chiaro fin da allora che sarebbe diventato un mediocre perbenista, come
i suoi genitori, come mia madre.
Ci eravamo conosciuti agli allenamenti di tennis, e un giorno sotto la
doccia, senza preavviso, mi baciò, e mi chiese di mettersi con lui.
Formavamo, tutto sommato, una bella coppia mal assortita.
Non andammo più in là delle carezze, dei baci platonici e appassionati.
Odiava i Nirvana, e odiava che li ascoltassi.
Odiava quando, canticchiavo fra me e me "come, as you are... as you were, as
i want you to be, as a friend as an old enemy"
Sapeva che non pensavo a lui.
Nessuno sapeva di noi. Lui aveva anche una fidanzata.
Non me ne importava un accidente, di quella ragazza.
Ripensandoci, non me ne importava niente nemmeno di lui.
Volevo una passione travolgente, volevo un ragazzo, un uomo bello, bello da
morire.
Volevo David Applegate.
Lasciai Jess senza il minimo preavviso.
Me ne andai senza avvertire.
Credo che Rachel lo sapesse da tempo, da quando aveva cominciato a sedersi
al piccolo tavolo della cucina con i gomiti sul tavolo e la testa fra le
mani.
Si faceva passare le unghie laccate di rosso fra i capelli scuri, e
sospirava.
Mi guardava dritto negli occhi e mi sussurrava con la voce spezzata "perchè?"
Io alzavo le spalle e mi accendevo una sigaretta, mentre mangiavo, seduto
sul lato opposto del tavolo.
E di nuovo si faceva passare le unghie laccate di rosso fra i capelli scuri.
E sospirava.
La sua collezione di poster di riviste femminili, riviste che si vergognava
a comprare all'edcola, riviste per le quali percorreva anche dieci isolati,
si allargava a dismisura, e l'interno del suo armadio era ormai tappezzato
di David Applegate.
David Applegate in costume, David Applegate in motocicletta, e David
Applegate con una famigliare maglietta rossa dagli orli sfilacciati. E,
nascosto in un angolino, l'avvistamento di David Applegate in uno di quei
locali "assolutamente sconvenienti".
Abbandonai la collezione di poster di David Applegate, insieme a Rachel una
mattina di fine luglio.
A sedici anni e mezzo ero stanco di vivere, in quel modo, in quei luoghi,
con quelle persone.
Mi dimenticai anche di telefonare a Jess.
Stavo attraversando un ponte e stavo cambiando vita.
Il mio bagaglio comprendeva due paia di jeans, qualche maglietta e
seicendoventuno dollari e quindici cent.
Il sole si rifletteva sulla superficie dell'acqua.
I miei vestiti puzzavano.
Erano più di due settimane che non mi facevo una doccia.
"hey" mi porgeva una birra in lattina, nonostante fossero le due del
pomeriggio.
"non sapevo tu fossi qui"
Lei sorrideva.
Si chiamava Jamie Tibberson, ma tutti la chiamavamo Tibby.
Era stata cacciata di casa due anni prima, proprio il giono in cui avevamo
scoperto che il nostro Kurt era morto.
Era la mia vicina di banco di biologia alla Staten Junior High.
La puttanella.
La mia migliore amica.
Quella che in sesta elementare fumava Gloises rosse, senza filtro.
Quella che in seconda media scopava con chiunque avesse un'auto.
Quella che in terza era rimasta incinta, senza sapere chi fosse il padre.
"che ci fai qui, Shane?"
"ci abito"
Guardo la vista che si vede dal mio letto, dalla mia panchina.
Central Park è bellisimo, sotto il sole.
Lei, mi osserva, radiosa.
I capelli ossigenati, la pelle quasi blu, il rossetto scarlatto e i denti
ingialliti dal fumo. Le ossa che sembrano voler fuoriuscire dal sottilissimo
strato di pelle che la copre.
E' Tibby.
Ed è sempre bellissima.
"mi sei mancato, Shane"
La abbraccio.
"vuoi vivere insieme me?"
Prima o poi anche a Central Park pioverà.
Annuisco.
Vive in un monolocale a Chinatown, sopra un take away thailandese.
Getto la mia sacca sulla moquette rossa.
Prepara un the caldo.
Siamo seduti in cucina.
Ci fissiamo negli occhi.
Scoppiamo a ridere, irrefrenabili, come se nulla fosse mai cambiato.
E alle nostre risate isteriche si mescolano le lacrime.
Come se lei non avesse capito che io sono omosessuale.
Come se io non avessi capito che ha perso il bambino.
Come se il giorno prima avessimo passato la giornata a scambiarci
bigliettini su cosa sia la mitosi.
Le risate e le lacrime si sono esaurite.
"che cosa fai adesso?"
Tibby mi sorride
"la puttana"
Le restituisco il sorriso
"almeno adesso ti pagano"
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