Homo Homini Lupus - APPENDICE

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SERIE: X-Men

 

RATING: RPG

 

NOTE: i personaggi non sono miei, li amo, ma non ci guadagno nulla a scriverli! Appartengono tutti ai loro legittimi autori

 

 

Amicizia

 

Noi non ci conosciamo. Penso ai giorni

che, perduti nel tempo, c’incontrammo,

alla nostra incresciosa intimità.

Ci siamo sempre lasciati

senza salutarci,

con pentimenti e scuse da lontano.

Ci siam riaspettati al passo,

bestie caute,

cacciatori affinati,

a sostenere faticosamente

la nostra parte di estranei.

Ritrosie disperanti,

pause vertiginose e insormontabili,

dicevan, nelle nostre confidenze,

il contatto evitato e il vano incanto.

Qualcosa ci è sempre rimasto,

amaro vanto,

di non ceduto ai nostri abbandoni,

qualcosa ci è sempre mancato.

(Vincenzo Cardarelli)

 

 

 

*New York City – 1970*

 

La città è tale e quale quella che appare dai manifesti.

 

Come è sempre stata.

 

Infilo un po’ faticosamente il libro di poesie che ho con me nella tasca del soprabito e mi guardo intorno per l’ennesima volta. Dovrei essere alla festa, dentro, con gli altri: i miei amici. In fondo sono qui per me.

 

Nella tasca, il telegramma da Israele si è tutto stropicciato: è Gabrielle che mi fa gli auguri, per il mio matrimonio.

 

Oggi: il mio addio al celibato.

 

Domani mi sposo.

 

Moira è una donna perfetta. La amo, la ammiro, la stimo. Colleghi all’università, un ottimo lavoro, un’ottima famiglia.

 

Domani è un giorno speciale: l’ho desiderato molto, l’ho voluto intensamente.

 

Sono uno di quegli uomini che ottiene sempre quel che vuole.

 

Alzo gli occhi al cielo, da cui piccoli cristalli di ghiaccio cadono a scheggiarmi il viso. Peccato non sia un temporale.. se lo fosse i fulmini si ammasserebbero intorno ai parafulmini e il cielo di questa città diviene qualcosa di indescrivibile: l’aria densa di elettricità, l’odore di ozono che si spande in ogni vicolo, e l’aspettativa tremante di quando non si fa altro che, a naso in su, pregare in silenzio per le prime gocce di pioggia.

 

Uno spettacolo meraviglioso.

 

Chiudo gli occhi, amaro.

 

Nulla sarà mai come allora.

 

Con lui che mi guardava e mi parlava. Con lui che mi toccava e mi sorrideva.

 

I suoi occhi, il suo calore: sono così parte di me che mi pare di non essere stato nulla, dimentico di una mia parte fondamentale prima di conoscerlo.

 

Amico. Amante. Cos’altro?

 

Cos’altro fosse stato, non lo so dire. Non lo voglio dire: era stato semplicemente frutto di.. di un periodo delicato, terribile, in cui io ero più instabile di quanto avrei dovuto, e non centravano nulla le sue mani a sfiorarmi, i suoi sorrisi, le sue parole. Non centravano i baci e le carezze, e la preoccupazione, la mia e la sua, insieme.

 

Insieme.

 

Tutto insieme: piangere e ridere. Soffrire.

 

Mi sentivo morire quando lui soffriva e mi teneva fuori dai suoi pensieri, dalle sue sensazioni. Mi sentivo morire quando lo vedevo, e diceva quelle cose orribili, e non potevo obbligarlo a cambiare idea, non ci sarei riuscito.

 

Non dimentico le notti: quegli incubi terribili. Il dolore, l’oscurità, e lui come un lupo sanguinario che lottava, notte dopo notte contro un passato che, in quanto morte, non si poteva negare. Quegli incubi che non potevo vedere, che non potevo toccare perché lui è sempre stato impenetrabile ai miei poteri, eppure che sentivo addosso, perché erano talmente orribili, loro, e talmente forte, lui, che..proiettava’.. poche immagini.

 

Frasi smozzicate che echeggiavano nella mente.

 

I Sonderkommando e lui un loro specialista.

 

I forni da sistemare, da riparare.

 

I campi.

 

I morti.

 

Il silenzio dell’orrore.

 

Una volta ha fatto cascare tutta Haifa in un black-out che è durato tre giorni. Di solito faceva cose più.. gestibili. Ma insopportabili.

 

Quando si svegliava, lo ricordo: angosciato, terrorizzato, distrutto.

 

Eppure poi, di giorno, quando eravamo insieme nulla di questo sembrava importante. Parlavamo, discutevano. Erich sorrideva, pure.

 

A volte. Per me.

 

Ma non riuscivo mai davvero a dimenticare che quelle mani, morbide, attenti, dolci, erano coperte di sangue.

 

Nonostante tutte le attenuanti che poteva aver avuto, nonostante tutta la comprensione, l’amore, nonostante ogni cosa, io lo sapevo. Io lo avevo visto uccidere.

 

Non dimentico quelle mani dolci, su di me. Quegli occhi.

 

Il lupo. Il sangue. Il suo modo di vedere il mondo, di prepararlo al futuro.

 

Tutto, di lui, opposto a ciò in cui io credevo, e credo, desidero, ammiro.

 

Tutto.

 

Se lui è nero, io sono bianco: uno senza l’altro non può stare, insieme neppure.

 

Ho seguito il suo consiglio. Me ne sono andato. L’ho lasciato, lui e le sue idee, i suoi incubi, la sua forza, la sua gentilezza. Il suo amore.

 

Per essere qui. Dov’è il mio posto.

 

A realizzare i miei sogni.

 

Che con lui non posso condividere.

 

Lui e le sue mani sporche di sangue. E il suo sguardo da dio che pretenda vendetta.

 

Lui e i suoi occhi di lupo. La sua mancanza di fiducia, il suo dolore.

 

Anche ora che mi limito a ricordare il suo dolore, che è dentro di me. Le sensazioni che mi suscitava dentro quando mi accarezzava. Il suo modo di muoversi, quando respirava, quando camminava, quando ballava.. dopo di lui non ho mai più visto nessuno ballare in maniera tanto elegante, sensuale.

 

Sorrido al pensiero: ogni volta che Moira, maliziosa, mi fa i complimenti per come ballo il tango, in effetti è lui che ringrazia.

 

Lui, che già solo guardarlo era sentirsi avvolgere da una carezza ardente, osservarlo era sentirsi sciogliere il cuore da.. da cosa non ho mai saputo dire.

 

Abbasso lo sguardo, mi fisso le mani. Bianche, vuote. Ed assolutamente candide, pure: niente sangue macchiarle, niente violenza.

 

Mi manca per un attimo il fiato, è da anni che me ne sono andato.

 

E’ da anni che mi manchi.

 

E’ da anni che non riesco ad immaginare cosa sarei se non ti avessi incontrato.

 

Cosa sarei, se fossi stato al tuo fianco.

 

“Charles! Charles, piove! Ma vuoi prenderti una polmonite alla vigilia del tuo matrimonio?!”

 

Avrei preferito avere le stelle, sopra di me, o.. una tempesta di fulmini, come nel deserto.

 

Ma qui non siamo nel deserto, questa è una città, è la più grande, ricca, meravigliosa città di tutto il globo. E tu a chissà quanti emisferi di distanza ti trovi.

 

Forse in questo istante la pioggia è più adeguata, per me.

 

Per noi.

 

Per quel noi che non è mai stato.

 

Chiudo gli occhi: ci vuole più coraggio a voltarsi per entrare nella propria vita, voluta e coltivata, che non riprendere a sognare, da capo.

 

Perché, su questo avevi ragione tu, anche se non ho mai osato dirlo: lottare è affascinante, ti fa sentire vivo. Tu che vivesti piegato ed obbligato da un potere esterno, non sei uno di quelli che si lasciano trascinare dal destino o dalla inerzia. No, tu plasmi il mondo, il tuo mondo, e decidi tu, da te stesso, il bene e il male di tutti noi. Ne hai la forza, nel hai lo spirito e la convinzione.

 

Un lupo. Un dio.

 

“Charles?!”

 

“Arrivo!”

 

Semplicemente: l’uomo che amo.

  

E che, tempo, amerò sempre.

 

Ci rivedremo mai, Erich?