Homo Homini Lupus
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CAP: 5/8
SERIE: X-Men
RATING: RPG
NOTE: i
personaggi non sono miei, li amo, ma non ci guadagno nulla a scriverli!
Appartengono tutti ai loro legittimi autori
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Charles
sapeva cosa sarebbe successo se avesse allungato una mano.
Evitò
semplicemente di farlo: per ora bastava.
Evitò
pure di sbuffare perché non voleva svegliare Gabrielle.
Un
mese prima aveva assistito, per la prima volta nella sua
vita, a una tempesta di fulmini.
Un mese
prima il dottor Shomron aveva convenuto con lui sul fatto che, la loro paziente speciale, fosse guarita. Il fatto che non
avesse nessun che potesse prendersi cura di lei lo rendeva titubante sul
dimetterla così in fretta. Ragionevolmente: la Palestina poteva essere un paese
difficile per una ragazza come Gabrielle, sola e con
un passato simile... ma Charles gli aveva risposto che Gabrielle aveva un posto
dove andare. E non sarebbe stata sola.
Con
lui.
Da
allora erano.. amanti.
Erich
non aveva avanzato obbiezioni, se non quella, schietta, che non gli pareva deontologicamente corretto avere un rapporto simile con una
paziente. Erich aveva ragione, ma il suo non mettere in atto altre misure nei
suoi confronti gli permise di attuare i suoi desideri
senza troppi problemi.
Gabrielle
gli dormiva al fianco, ora.
Un
tempo avrebbe pensato a lei come la sua fidanzata, ora, invece, sapeva che era
la sua amante. Non altro.
Era
solo cresciuto.. o forse era divenuto più cinico?
Forse
era stato contagiato dall'amarezza di Erich.
Era
certo che avrebbe dovuto sentirsi lievemente in colpa, almeno, per quello che
era successo, e che continuava a succedere. Che
avrebbe dovuto essere più schivo, più preoccupato al suo buon nome, se non di
quello di lei.
Invece era
ansioso solo per i sogni che continuava a fare.
Meglio:
il sogno.
Ancora.
Erich
ed i lupi.
A lui
non ne aveva mai parlato, ed era strano anche quello. Perché, quel sogno era una sciocchezza, paragonato ai
discorsi che, solitamente, facevano.
Quando
parlavano di altri come loro, quando organizzavano una visione per un mondo
futuro dove ci fosse spazio anche per quelli come loro, quando discutevano su
che politica fosse meglio tentare di attuare all'inizio. Quando mettevano in mostra i loro cuori, quando si spogliavano
l'anima perché uno vedesse quella dell'altro. Quando
svelavano i propri sogni.
Senza
paura.
Perché
guardarsi era riconoscersi. E riconoscere l'altro era
riconoscere ed accettare se stessi, i propri poteri, il loro
essere speciali, ed unici, ma non soli.
No, con
Erich Charles aveva smesso di essere solo.
Lo
chiamava amico. E non aveva paura ad ammettere che era
qualcosa di più profondo ancora, di più viscerale, anche se non sapeva che nome
dargli. E nonostante Erich fosse affetto da una cronica mancanza di fiducia
nei confronti del resto del mondo, con lui parlava, con lui si apriva: era la
più splendida manifestazione di affetto che Charles sentisse di aver mai
sperimentato.
Con
Erich poteva passare ore a parlare, a confrontarsi, a discutere senza annoiarsi
minimamente. Anzi. Quando succedeva che fossero troppo
impegnati per riuscire a ritagliare un po' di tempo per loro, Charles scopriva
che era insopportabile il senso di quella mancanza.
Forse
era il fascino dell'ignoto.
Semplicemente.
Erich era
impenetrabile ai suoi poteri, ed era l'unico che avesse mai
incontrato che non lo assordasse con i suoi pensieri. Insieme era
l'unico che avrebbe davvero potuto riservargli delle sorprese. In più gli era
assolutamente impossibile cercare di comprendere il suo punto di vista: e non
solo perché era un uomo e dunque peculiare, come chiunque altro. Ma perché Erich possedeva un potere che gli era
incomprensibile: Charles percepiva pensieri e sensazioni, emozioni, frasi,
Erich? Erich toccava, manipolava, percepiva, viveva di elettricità,
energia, onde magnetiche, campi di forza. Per Charles tutto era
soggettività, per Erich tutto era cosa. Una cosa viva, forse, ma sempre
un oggetto. Anche le persone.
Non
riusciva a comprendere che mondo potesse percepire Erich.
Le
tempeste di fulmini sul deserto erano il suo mal di testa.
La
sua abilità a riparare qualsiasi cosa era il suo personalissimo modo per
rimettere a posto il mondo ed evitarsi il fastidio insostenibile di una
dissonanza troppo vicina. Probabilmente lo faceva davvero imponendo
le mani.. o in un modo molto simile.
Parlavano
di tutto: del presente e del futuro. Soprattutto del futuro.
Il
passato, invece, Erich lo gradiva poco, e di sicuro non parlava mai del
proprio.
Era un
uomo incredibile. Più ci pensava, più sapeva che era vero.
Ed era
pure un ottimo amico.
Ma c'era
qualcosa di più. Qualcosa che si proibiva di nominare, e un istinto simile lo
ghiacciava dal timore.
Perché, poi?
Non c'era nulla da temere in Erich.
Di
sicuro: nulla in lui lo avrebbe mai aggredito, o ferito, o tradito.
In
effetti i suoi sogni non lo smentivano su questo. Nonostante i lupi, l'ambientazione preoccupante, l'Erich che lo
visitava di notte non sembrava altro che un ragazzino selvaggio e grave insieme.
Non c'era sangue sulla sua anima, non c'era nulla a
rendere torbido il suo sguardo. I lupi erano protezione
e insieme affetto, e a Charles non regalava mai neppure uno sguardo, come se
non lo vedesse. O come se non lo considerasse affatto
degno di nota.
Era solo
un sogno.. per una volta, anche se era uno psichiatra,
avrebbe potuto pensare che un sogno non nascondesse nulla, al suo interno.
Gabrielle
si mosse al suo fianco. Il lenzuolo frusciò a contatto con la sua pelle,
morbida.
Delizioso
il suo profumo. Adorabile lei.
Perfetta:
semplicemente.
La
donna perfetta con cui vivere una vita perfetta: una di quelle famiglie da
propaganda elettorale.
Charles
si alzò dal letto, infastidito.
La
cucina avrebbe dovuto essere vuota: Erich la notte prima era tornato molto
tardi..
Si era
sbagliato.
Erich
era già lì, seduto al tavolo, chino su delle carte, sembravano delle mappe, e
né la stanchezza che doveva portarsi addosso, né la luce strana che entrava
dalla finestra socchiusa parevano in grado di scalfirne
l'apparenza seria e concentrata. Tesa.
Charles
lo fissò per un attimo e lo fulminò un pensiero che non sapeva da dove venne.
Per anni i nazisti avevano cercato l'Ubermensch.
L'oltre uomo. Potente, terribile, superiore: come... come Erich. E avevano avuto Erich fra le mani, e l'avevano rinchiuso in
un loro inferno, e avevano fatto di tutto per ucciderlo. Ce
l'avevano avuto a loro disposizione e l'avevano gettato via.
I
desideri quando divenivano assoluti, potevano rendere tanto ciechi da sviare
anche la ricerca stessa?
Se Erich
avesse lavorato per loro chi avrebbe potuto fermarli?
Erich
era.. quello? Si stupì a pensare a lui come .. un'arma. Si stupì e si arrabbiò con se stesso.
Sobbalzò
come se fosse stato colto in flagrante quando Erich sollevò lo sguardo su di
lui.
Qualcosa
di rapido passò in quegli occhi chiari prima di mettersi in piedi piegando i
fogli che aveva studiato fino a quel momento, infilandoli in un taccuino gonfio
di appunti. Sembrava.
Fu solo
in quell'istante che Charles divenne consapevole
della sacca da viaggio accanto alla porta d'ingresso e agli abiti che Erich aveva indosso.
Sbarbato,
lavato, con indosso una camicia che non mostrava la minima piega, le maniche
lunghe a coprirgli, con una specie di pudore, gli avambracci e i polsi
nonostante il caldo. Come sempre. Ma non il solito
colore, non la divisa per l’ospedale.
Lo
fissava come se si aspettasse una qualche reazione, una qualche illuminazione,
come se fosse stato Charles a dovergli dare una qualche notizia, e non
viceversa.
"Starò
via per qualche giorno."
Charles
sentì, letteralmente, il sangue ghiacciarglisi nelle
vene.
"Dove vai?"
Perché tanta
ansia?
"A
Gaza, per lavoro."
Charles
strinse i pugni, sentendosi sconvolto dall'idea di... doverlo guardare andar
via. E di non sapere quando sarebbe tornato. Né perché. Né come.
"Non
puoi andare!"
Il tono
di Charles suonò stranamente drastico, e perentorio.
Del tutto fuori luogo rispetto alla situazione.
Erich
parve non stupirsene. Si limitò ad osservarlo per un lungo istante, fisso,
negli occhi.
Gli
sorrise un saluto.
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Il
motore si mise in moto.
L'avrebbe
fatto anche se non avesse infilato la chiave, a dire il vero, ma la ritualità
di certe azioni lo tranquillizzava.
La jeep
imboccò la strada principale di Haifa, lasciandosi il centro alle spalle.
Quando era
uscito non si era voltato. Farlo avrebbe reso solo le cose più difficili.
Non era colpa di Charles, lui era solo ingenuo. Forse gli
piaceva anche per questo.
Erich
sorrise appena guardando il sole rosso e torrido che sorgeva lentamente
sull'orizzonte.
La vita
era forte.
La vita
non si lasciava mai sconfiggere. Lo vedeva tutti i giorni con i pazienti con
cui lavorava, con tutti quelli che lo circondavano. E
lo vedeva in se stesso.
Il
dolore poteva essere assurdo, ma la vita trovava sempre un modo, qualunque esso
fosse, per continuare. Non si lasciava spezzare dalla
sofferenza, se non quando si decideva di non vivere più.
Quando ci si
arrendeva, quando si rinunciava. Altrimenti si sarebbe sopravvissuti.
E ci si
sarebbe svegliati, un giorno, scoprendo che il cuore aveva ripreso a battere,
che si vedevano di nuovo i colori del cielo, che si godeva ancora del profumo
di un mattino, che tutto era lì, ed aspettava solo di essere afferrato.
Erich
strinse le dita sul volante.
Adesso
avrebbe dovuto fare quello che credeva meglio, e poi... poi gli sarebbe
piaciuto...
Trattenne
un attimo il fiato socchiudendo gli occhi di fronte al riverbero troppo violento
del sole.
Charles
era troppo ingenuo, ma non era stupido.
Però
Erich, al contrario di lui, sapeva benissimo che nome
dare a quello che aveva sentito muovergli dentro. Quel languore, quel tepore.
L'aveva già provato. Si aspettava di trovarsi di nuovo a provarlo.
Con un
uomo? Quello era stato una sorpresa, non l'avrebbe mai
neppure voluto pensare. Ma a certe cose non si poteva
comandare. E ora non poteva farci più assolutamente
nulla.
Chissà
perché mai gli aveva proposto di dividere lo stesso appartamento?
Sorrise.
Gli era
successo. Gli stava succedendo. Forse gli sarebbe successo di nuovo.
Innamorarsi.