Homo Homini Lupus
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CAP: 1/8
SERIE: X-Men
RATING: RPG
NOTE: i
personaggi non sono miei, li amo, ma non ci guadagno nulla a scriverli!
Appartengono tutti ai loro legittimi autori
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Come
aveva potuto fare una cosa del genere? Non sapeva dirlo.
Quale
infantile istinto, quale vuoto desiderio di colpire e stupire e insieme di
mettersi in mostra l'aveva preso? E per quale motivo?
Aiutare
la paziente?
Certo,
era un medico, era suo compito! Ma non così!
Si
passò una mano sugli occhi sospirando.
Ce
l'aveva ancora di fronte gli occhi: il giro per l'ospedale con
il primario, i pazienti. Il fermarsi di fronte alla stanza di Gabrielle.
'Ecco,
Xavier, questa è la nostra paziente più difficile. Fisicamente si è ripresa
benissimo, ma si è rinchiusa in un autismo da cui non riusciamo a strapparla.'
E lui
cosa aveva fatto? Le si era avvicinato e aveva usato
il suo potere.
Così,
senza sapere nulla di lei, senza preoccuparsi di poterle scalfire, dentro,
qualcosa di fragile. Senza pensare che qualcuno di così
profondamente sconvolto poteva mostrare non solo delle difese più forti, ma
pure la necessità di un approccio più morbido.
No.
Come
uno stupido, e non sapeva neppure perché, aveva esteso il suo potere,
scivolando entro lo schermo che lei aveva innalzato per proteggersi dall'orrore
e dall'insopportabile, e l'aveva incrinato. La pressione necessaria, dopo, era
stata esigua.
Gabrielle
aveva spalancato gli occhi, urlando. Aveva chiamato il suo nome, piangendo. E gli si era stretta fra le braccia.
Una
leggerezza che avrebbe potuto pagare cara.
Era
stato fortunato, anche il dottor Shomron non aveva fatto altro che fissarlo
sbigottito per poi annuire compiaciuto su 'chissà che nuovi metodi avete sviluppato, voi americani!'.
E lo
sguardo lucido di Erich.
Erich:
gliel'aveva presentato il dottor Shomron appena all'inizio del loro giro di
visite e Charles s'era ricordato, improvvisamente, d'averlo già visto.
Appena
superato il lungo corridoio che dall'ingresso portava ai reparti, in uno dei
piccoli e curati giardini interni, l’aveva veduto, di spalle: i capelli
bianchi, candidi, che somigliavano a quelli di un anziano e il fisico che,
insieme, erano stridenti e sbagliati. Assolutamente sbagliati. Ma qual'era la verità?
Poi era
stato chiamato da altri impegni e non ci aveva più pensato finché: 'Dottor Xavier, le presento Mister Lensherr, uno dei nostri
migliori volontari'.
E
'mister Lensherr' aveva dei capelli bianchissimi ad incorniciare un volto che
non doveva aver veduti molti più anni del proprio, uno sguardo chiaro e
un'espressione risoluta, dura, ma aperta e franca. E
giovane.
Mister
Lensherr si chiamava Erich, gliel'aveva detto porgendogli una mano, in gesto di
saluto e mentre si tendeva in quel movimento le
maniche lunghe della maglia chiara che aveva indosso scivolarono un poco
sull'avambraccio, mostrando appena alcune cifre azzurrine tatuate sulla pelle.
Qualcosa-782
Quello
sguardo poteva forse essere caustico come il peggiore dei corrosivi, eppure, in
quell'istante, semplicemente, riconobbe lo stupore e
rispose con una gentilezza quasi indifferente.
E la
sua voce, sì, era come se l'era aspettata: per niente
morbida, decisa, e un accento duro che la rendeva peculiare.
Un
sopravvissuto, come i loro pazienti.
Sopravvissuto
ad un campo: ed era il primo che avesse mai incontrato
e che ne fosse uscito tanto bene. Probabilmente c'era stato poco. Probabilmente
vi era stato rinchiuso come prigioniero militare o qualcosa del genere.
Probabilmente.
Poi
c'era stata Gabrielle, il suo silenzioso fissare un punto indistinto sulla
parete di fronte a lei, il sospiro del dottor Shomron, l'oscurarsi silente di Erich.
E
il suo potere, la decisione presa senza sapere quando e il respiro, l'urlo, la
voce della ragazza, lo stupore senza voce degli altri.
Charles
si passò una mano sugli occhi, sospirando per l'ennesima volta, mentre il
dottor Shomron si allontanava lentamente, diretto verso il proprio studio per
rispondere a un'urgenza.
"Come
hai fatto?"
Diretto,
stupefatto - in parte. In parte quasi seccato.
Quasi?
E uno
sguardo quasi insopportabile.
Quasi.
Una
scusa, una qualsiasi, da regalargli, da sbattergli in viso con la sua solita
leggerezza.. per la prima volta da tanto tempo Charles
non ci riuscì. Probabilmente era stanco, più di quanto si fosse aspettato di
poter essere, forse aveva preteso troppo, e troppo di fretta dal proprio
potere, o forse davvero il caldo - quel caldo terribile - gli andava alla testa
e gli confondeva le idee e gli faceva tremare i polsi, e..
Le
labbra di Erich si tesero, alzò una mano scuotendo un
poco il capo.
"No.
Lascia stare, forse non lo voglio sapere."
C'era
una vena sarcastica? O quel sorriso derivava da cosa…?
Si allontanò
di due passi prima di voltarsi di nuovo verso di lui.
"Shomron
mi ha domandato di aiutarti ad ambientarti in Palestina. Visto quanto potrà
sembrarti peculiare la vita, qui, rispetto agli standard statunitensi immagino che ne avrai bisogno. Vuoi incominciare da qualche
parte in particolare o facciamo come dico io?"
La sua
espressione diceva chiaramente: 'è ovvio che facciamo
come dico io, ma mi sforzo di essere cortese. Vedi di mostrarti grato della
cosa.'
Charles
gli sorrise: certo che gli era grato! Il pensiero di
trovarsi in un paese fondamentalmente ostile come quello senza una guida era
un'idea abbastanza terrificante.
Fortuna
che non gli era venuta prima!
"Ti
seguirò ovunque! - sorrise - Anche perché non credo di essere
in grado di ritornare al mio appartamento senza un aiuto. E non ho visto
molti taxi.."
Un'espressione
assolutamente divertita.
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La
birra non era troppo fresca -anche se Charles effettivamente, non si sentiva un
esperto in materia-. Accorgendosi di ciò giurò a se stesso che alla ventesima
ragazza che lo fissasse, curiosa e, con fare affascinante sussurrasse
qualcosa circa la sua presunta somiglianza con Yul Brinner -l'attore- si sarebbe
alzato e l'avrebbe baciata tanto per vedere che faccia avrebbe fatto.
Erich
invece sembrava estremamente divertito: ovvio! Chi si
sarebbe lasciato scappare la possibilità di ridere alle spalle del nuovo
arrivato?
"Credo
che quella ragazza volesse farti un complimento,
comunque."
"Mhm. Lo credo anche io."
Charles
arrossì. Erich lo fissò interrogativo, poi si strinse
nelle spalle.
Pensò a
qualcosa tipo... Charles prese un profondo respiro e
si stupì nel vedere il nulla.
Nel
percepirlo.
Nel…
non conosceva il termine adatto per descrivere ciò che aveva di fronte, perché
di solito sentiva qualcosa di cui nessuno aveva mai narrato... di solito.
Di
solito: non ora.
Ora,
oltre alla solita mancanza di parole si aggiungeva lo stupore. E il silenzio. Il nulla.
Fissava
Erich e vedeva solo lui. Nessuna voce, nessun pensiero, nessuna
immagine che doveva essere invisibile a chiunque altro.
Erich
lo guardava in silenzio, aspettando una sua risposta.
Che non
venne: inghiottita dallo stupore.
"Sono
più stanco di quello che credevo, sai? Mi faresti l'ultimo favore della
giornata? Mi indicheresti la strada per tornare al mio
albergo, non credo di saperla trovare da solo."