Homo Homini Lupus – PROLOGO
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SERIE:
X-Men
RATING:
RPG
NOTE: i
personaggi non sono miei, li amo, ma non ci guadagno nulla a scriverli!
Appartengono tutti ai loro legittimi autori
“Ci
sono persone difficili da amare: per quanto tu voglia farlo non riesci mai ad
amarle fino in fondo. Credo che la soluzione sia voler più bene a se stessi:
amarsi anche per la propria volontà di esserci per gli altri. Detto così sembra
una forma di narcisismo: ma spesso è tutto quello che possiamo fare per chi ci è vicino".
Michael Cunningham
*Haifa, 1962*
Charles
mosse un passo.
La
polvere rossa, del deserto, si scostò appena.
E il
mondo conobbe le zanne del lupo.
Un
ringhio, denti scintillanti sotto la luna candida, grondanti
sangue e gelo. Acre dolore. Solitudine, Vuoto.
Sconforto assoluto.
Una
terra, non più rossa e bruciata dal sole troppo ardente, una landa ampia e
sconfinata, sgombra da qualunque cosa non fossero polle nere di
oscurità aggrappate a cupe forme contorte che erano state alberi,
immagini a strisciare, sussurrando, sul confine che divideva la vita dalla
morte. E terrore ovunque, sotto la luce afflitta e
troppo chiara che proveniva dalle orbite vuote di un cadavere sfatto.
Il
bianco non sapeva che di ossa sgretolate, gialle e
muffite.
L'aria,
sferzante e fredda, odorava di paludi verdastre e cadaveri rigonfi.
Il
timore così opprimente da non rendere possibile respirare.
Lì ci
fu lo squarcio.
Niente
che non fosse corsa, forza, il ricordo del profumo muscoso di
anfratti umidi in cui, appena, filtravano, altri sentori. Di sangue vivo, di lotte furibonde, di canti da innalzare alla
luna.
Lo
spazio annullato da ampie falcate.
E
muscoli che, come acciaio, si serravano simili a morse infrangibili.
Iridi
gialle, scintillanti di qualcosa che non aveva nome.
Suoni secchi,
di arbusti sottili che si spezzavano, un fruscio
disseccato e distante.
Lupi a
caccia.
Zanne
candide ed occhi splendenti.
Paura
che ghiacciava, terrore che impediva di respirare.
Un
branco.
Bestie
sul punto di colpire, di annientare, di fare a pezzi.
Sul
punto di..
Un
branco.
Paura e
timore, ma puliti.
Tersi.
Quasi…
belli
Bellissimi:
come quegli occhi.
Non
dorati, ma... azzurri.
Umani.
Forti e
ferini.
Un
cucciolo.
Un ragazzino
al centro del branco, immobile, che lo fissava.
I lupi,
tranquilli, seduti, coricati intorno a lui, come a volerlo scaldare, a
proteggerlo, a marchiarlo come parte di loro, e lui, d'acciaio, che lo fissava.
Sfidandolo.
Riconoscendolo
con quello sguardo.
Ma senza
ringhiare, senza attaccare. Solo osservandolo e tenendolo
lontano con la semplice forza di quegli occhi: perfetti. Terribili. Così
strani su quel viso: troppo giovane e insieme troppo duro.
Sembrava
una creatura scolpita da un artista dotato e tormentato, figlio di un qualche
incubo terribile che, però, non era stato sufficiente a spezzarlo.
Lama
d'acciaio.
Zanne
scintillanti.
Tedesco:
l'idea lo colpì in pieno petto.
Quella
immagine
diffusa da anni, voluta, coltivata, ricercata. Accompagnato agli animali cui
con più amore quelli della sua specie amavano rappresentarsi.
Se
avesse avuto indosso una divisa militare. Se
ci fosse stata una fascia rossa a bendargli il braccio. Lo sguardo di
ghiaccio c'era, l'espressione sottile e cesellata, greve e solenne, anche
nell'età acerba: uno di quei figli selezionati perché, puri, potessero
dominare il nuovo Reich?
Tutto
l'orrore che erano riusciti a generare nel cuore
dell'Europa, tutto il sangue, il disprezzo, la cenere.
Un
universo vuoto di speranza, candido di morte e putrefazione.
Vuoto:
solo crudeltà.
Quello
che doveva essere il padrone del mondo?
Lupo
fra i lupi. Più feroce dei lupi, ben più crudele.
Il
fiato gli mancò in gola, il gelo gli ghiacciò i polsi.
Quegli
occhi scintillarono, di nuovo, il muso d'un animale gli si
fece vicino. Lo annusò. Lo leccò. Dolce: una madre con un cucciolo.
Il
cucciolo rise, come solo i piccoli d'uomo sanno fare.
Niente
razza, niente divise, niente segno rossi e bianchi e
neri sul braccio, niente puzza di cadaveri cremati a milioni.
Il
piccolo rise, si rotolò sulla schiena assecondando le spinte
dei suoi compagni, giocando. Le mani affondarono, lunghe e sottili, belle, tra
il pelo folto e lucido, le zanne scintillarono scostandosi, solo per fingere
un'aggressione che non c'era.
Lupo
tra i lupi? I veri lupi erano sempre stati solo gli
uomini.
Gli
occhi di ghiaccio si sciolsero in un riverbero tiepido, il
sorriso serio di un bambino, divenuto grande troppo presto, pareva avere
la forza di riempire tutto il mondo.
Charles
ringraziò che quella creatura non potesse
vederlo.
Il
sole. Impietoso.
Luce
netta che taglia il presente con lame d'impalcabile rigore, seguendo il confine
invalicabile tra il concretamente vivo e ciò che non è che archetipo.
No. Non
è la verità, questa.
La
verità è che nell'oggi si celano le infinite possibilità del non ancora e
proprio quel sole, quel caldo torrido, quell'indicare
una linea chiara che pare definire il mondo, rende possibili le visioni.
Il
sole torrido, non la morbida castità della luna nelle notti del deserto.
Stupefacente.
Su
questo, esattamente, sto riflettendo, e circa gli infiniti tranelli di ciò che
si chiama destino o sorte, mentre sorrido cortese al primario che mi tedia su
quanto sia soddisfatto di avere qui un professionista preparato e stimato come
me, o dei dettagli del lavoro che ho accettato, ormai mesi addietro.
Al
di là del mare, allora, tutto era parso più semplice. Più
fresco e pulito.
Accettare
un incarico in un posto simile, un ospedale psichiatrico in Palestina, che si
occupa degli scampati all'Olocausto: l'orrore fatto carne e sangue.
L'incubo
che si può toccare.
A volte
credo davvero di essere stato folle ad accettare. D'altra parte sono sempre
stato a mio agio con gli incubi, con i pensieri, con la mente, e non solo
perché sono un medico psichiatra. Io, le menti, le vedo come se fossero oggetti
dispiegati tranquillamente di fronte agli occhi, e posso toccarle e sentirle. E manipolarle, pure.
Per me
è semplice e banale guardare e sapere. Ma doloroso, pure, e
pesante: imparare a tenere fuori i pensieri del mondo, a capire cosa è proprio
e cosa altrui. E darmi un codice etico col quale
riuscire a sostenere il mio sguardo riflesso in uno specchio: mai condizionare
qualcuno, mai piegare le convinzioni degli altri ai miei desideri, e
lasciare la privacy delle proprie emozioni di chiunque.
Sono
qui perché, ovvio, sono uno psichiatra eccellente: una specializzazione
simile a New York non ha prezzo.
Sono
qui perché sono curioso: tanto spiacevole da ammettere, quanto vero. Curioso di
come si sia potuti sopravvivere a tutto quello che ho saputo, d'intuire la
profondità della volontà di vivere in situazioni più che insostenibili, di
vedere con gli occhi di coloro che davvero hanno, da vivi, attraversato
l'inferno.
Sono
qui perché voglio sentirmi utile: perché ne ho bisogno per me stesso,
perché quel che ho appreso dalle fonti ufficiali mi ha prostrato e sconvolto, e
non so come, altrimenti, sfuggire all'idea che, a riguardo, non si conoscevano
che particolari.
Queste
differenti parti di me, per una volta, convergenti su di un medesimo intento,
mi hanno spinto ad Haifa. E ora ho scoperto d'avere un
ulteriore scopo: trovare quel ragazzo.
Il
ragazzo della visione.
Visione:
per tutti quanti è -e rimarrà - un colpo di caldo
all'aeroporto, cosa abbastanza frequente da non essere neppure più degno di
nota. Per me, invece? L'incontro con una psiche potente.
Non ne
ho mai incontrata una così, che mi colpisse
attivamente in quel modo, imponendosi alla mia attenzione. Per me il sottofondo
psichico in cui sono perennemente calato è, quando non
vi presto attenzione, un brusio fastidioso ed indistinto.
Quello
no: una presenza forte, netta, decisa, centrata e propositiva.
Voglio
trovarlo e conoscerlo.
Magari è come me, magari possiede in sé un potere mai veduto.
Magari è -magari!- simile, qualcuno con cui condividere un qualcosa di concreto
su cui sviluppare le sue teorie..
E' un
ragazzino. Forse uno dei tanti arrivati all'istituzione dello
Stato d'Israele. O forse il figlio d'un colono.
Forse, ancora, uno dei miei nuovi piccoli pazienti.
Così
forte e lucido?
Se è
sopravvissuto, una parte di lui doveva essere più
possente di quanto riuscirò mai ad immaginare.
Il
primario mi sorride.
"E'
un piacere averla con noi, dottor Xavier!"
Lo
riconoscerò, quando mi capiterà d'incontrarlo?
"Per
me è un onore."
Un
brivido freddo accompagna il dubbio, ma allontanarlo è uno scherzo.
"Che ne dice di iniziare con una visita della
struttura?"
Certo
che lo riconoscerò. E' stato il ragazzo a chiamarmi, ora non si
ritrarrà.
"Sarebbe
perfetto. Vorrei iniziare il prima possibile."
Forse.
Il
dottor Shomron sembra sempre più conciliante.
Comunque: lo
troverò e lo riconoscerò.
"Venga."
Lui è
qui per me.