Note alla scrittura:
chi abita a Roma e frequenta il centro noterà che mi sono presa qualche
piccola libertà qua e là, ma d'altronde come sarei mai riuscita a scrivere
qualcosa di vagamente decente con gli orari infernali che fanno i mezzi qui?
Ho dovuto inventare!!
Note: per festeggiare la mia liberazione da quella prigionia che è il
lavoro... e per tutti coloro che alla sera si ritrovano tanto pigiati gli
uni agli altri da far "pensare alle sardine di vivere in una reggia" (<- a
chi riconosce la citazione va un meritatissimo applauso )
87 - L.go COLLI ALBANI
di Afsaneh
Il
nostro protagonista di questa sera è Nicola: ventisette anni, un metro e
ottantacinque di muscoli ben distribuiti, moro, occhi verde bosco (verde
marcio li definisce lui e forse tutto sommato ha ragione), celibe, impiegato
statale. Una laurea in giurisprudenza fortemente desiderata dai genitori e
per cui ha studiato il minimo indispensabile.
Passa il badge alle nove e alle diciassette e un secondo è già nell'atrio
per timbrare l'uscita. E questo non perché il lavoro gli manchi, al
contrario, ma lo detesta talmente tanto che - anche qui - fa solo lo stretto
necessario; il fatto poi che lavori in un posto dove è praticamente
illicenziabile lo aiuta a fregarsene di tutto e a godere di quella lauta
mancia mensile che gli permette di fare ciò che davvero desidera e gli
piace.
Passeggiata rilassante - nonostante tutto, lui la considera tale - dal
Pantheon a Corso Rinascimento e da qui sino alla fermata di Via Zanardelli,
dove posa la ventiquattr'ore per terra e si mette a leggere il giornale
comprato la mattina prima di arrivare in ufficio.
Perdonatemi, sono stata inesatta. Da ciò che avete letto, avete sicuramente
avuto l'impressione che - a tutt'oggi - questa sia la routine giornaliera di
Nicola. Nulla di più inesatto. O meglio, lo era fino a poco meno di un anno
fa. Ora, entrata ed uscita sono state anticipate di un quarto d‘ora e la
passeggiata rilassante si è trasformata in una camminata dal passo
accelerato. Giunto alla fermata non fa altro che guardare l'orologio,
imprecare contro il traffico e invocare preghiere perché non abbia perso
l'autobus giusto.
Bene, ora si può dire che avete un quadro abbastanza preciso di ciò che
accade fino al momento in cui lo incontra. Perché, ovviamente, un cambio di
abitudini così repentino non pensavate mica fosse dovuto ai rimorsi di
coscienza di un figlio che abbandona ai genitori il pub di famiglia tutto il
giorno per la sera dedicarcisi con abnegazione e buon cuore, no?
Solitamente l'autobus arriva alle diciassette e cinque minuti, ma oggi è
stranamente in anticipo e il nostro ha quasi rischiato di perderlo. Quando
riesce a riprendere fiato, Nicola si guarda attorno alla sua ricerca e lo
individua nel primo posto a sedere rialzato dirimpetto alle porte d'uscita.
Questa sera non c'è un libro fra le sue mani ma uno di quei fumetti
giapponesi che ogni tanto porta con sé.
A fatica, spintonando e scusandosi, riesce a conquistare il palo per
sorreggersi di fronte alla sua poltrona. Da qui ha una splendida visuale
delle sue mani che tengono il fumetto quasi fosse una reliquia sacra, delle
gambe fasciate dai jeans e della montatura in plastica nera dei suoi
occhiali da vista. Adora quando, oramai costretto, alza una mano fino al
viso e sposta la ciocca dei capelli che lo infastidisce dietro l'orecchio.
Potrebbe vivere anche solo per quel gesto. E, a ben guardare, si può in
effetti dire che sia così. Il nostro caro Nicola adora, idolatra e venera un
ragazzo di cui conosce a malapena i gusti in fatto di letture.
Sogna tutto il giorno il momento in cui lo vedrà di nuovo e si abbandona a
dolci fantasticherie nelle quali gli parla e lo conquista col suo naturale
charme e la sua innata eleganza. Le possibilità che un tale evento accada
sono tante quante quelle che il Sole geli domani, quindi non precipitatevi a
prenotare il primo volo disponibile per il sistema solare più vicino.
Ecco, sta per arrivare. Il ripetersi di quel momento meraviglioso che lo
lasciò a bocca aperta la prima volta e che ogni suo ripetersi ha fatto di
questo mese di festa il suo periodo dell'anno preferito.
L'87 riparte dalla fermata di Piazza dell'Ara Coeli e si sposta a sinistra,
per passare davanti l'Altare della Patria, ma lui ha distolto l'attenzione
dal suo fumetto già da alcuni istanti. Da quando ha sentito l'autobus
ripartire. Nicola osserva i suoi occhi farsi attenti, sbarrarsi nell'attesa
di quell'istante. Il momento in cui lui sarà il primo a vedere l'albero di
Piazza Venezia decorato e illuminato.
La prima volta dire che lo spiazzò sarebbe poco. Sì, ok, un abete discreto,
decorazioni non dozzinali ma neanche eccelse, nel complesso un albero di
Natale come ve ne sono tanti. Di sicuro non comparabile con quelli di Piazza
del Parlamento a Londra o quelli del Rockfeller Center.
Eppure il suo viso quando lo scorge si illumina come quello di un bambino
che non ha aspettato altro per tutto il giorno. L'espressione attenta alle
pagine del libro, oppure quella distante e distaccata di quando ha le
cuffiette e nulla da leggere si scioglie come neve al sole e per tutto il
tempo che l'autobus passa a Piazza Venezia, lui torna ad essere un bambino
di cinque anni. E' questo che ha conquistato il nostro Nicola. Quel cuore
così all'apparenza duro e inavvicinabile, ma in realtà pieno di dolcezza e
di calore.
Poi, passato l'istante magico, lui torna a leggere il suo fumetto e Nicola a
guardarlo.
Non sfacciatamente, oh no! Circa quattro mesi prima si era fatto beccare a
fissarlo come un cane che sbava dietro un osso succulento e per poco non era
entrato in autocombustione.
Mi sono dimenticata di dirvi una cosa di Nicola: è tremendamente imbranato.
Imbarazzatamente imbranato.
Siamo quasi alla fine della corsa, l'autobus si avvicina al Colosseo.
Il ragazzo mette via - sempre con attenzione e reverenza - il fumetto e poi
si rivolge a Nicola: "Scende?"
E la riposta: "No, prego"
Eccitante come conversazione, non trovate?
Beh, è quanto Nicola - nonostante i suoi ottimi propositi - sia mai riuscito
ad avere.
Poi lui scende e il nostro eroe si siede al suo posto, felice neanche avesse
appena scoperto la cura per il raffreddore da fieno.
Ma questa volta succede qualcosa di diverso.
L'autobus si è fermato, la gente sta scendendo e fra poco ripartirà.
Lui si gira e rivolge un sorriso a Nicola: "Ci vediamo domani"
Poi si volta e scende mentre le porte si stanno chiudendo, iniziando a
correre verso la fermata della metropolitana.
Nicola ha urgente bisogno di sali.
Per l'amor del cielo, che qualcuno glieli porga!
Il protagonista mi sta per svenire sull'87!
§§§§§
Ma passiamo adesso al nostro secondo protagonista.
Lui è Luca: ventun'anni, un metro e settantacinque per un QI di 180. Biondo
cenere e occhi nocciola, dalle sue compagne di corso soprannominato
culo che cammina (triviale, forse,
ma rende decisamente l’idea); sta per laurearsi in lingua e letteratura
russa, dopo di che ha già deciso che vuole andare alla JCU e prenderne
un’altra in cinematografia.
I suoi genitori, però, sono un po’ stufi di questa situazione. Per l’amor di
dio: ottimo figlio, molto intelligente - praticamente un genio, ma loro non
hanno un albero dei soldi sul balcone e la John Cabot costa.
Per questo motivo, da un anno e mezzo a questa parte, il caro Luca alla fine
dei corsi e dopo una veloce puntatina a casa invece di rimanerci come
vorrebbe, si costringe ad arrivare sino a Piazza Cavour per prendere l’87 e
recarsi a lavoro.
Ne ha trovato uno come cameriere al Magna Roma, in zona Colosseo. Servire ai
tavoli con addosso nulla più di un chitone e sandali alla schiava non è mai
stata fra le sue aspirazioni, ma il proprietario è gentile e non gli fa mai
troppe storie se gli serve del tempo per studiare: insomma, tutto sommato il
posto non gli dispiace. Sì, la maggior parte dello stipendio la deve
destinare al pagamento di tasse universitarie e libri di testo, però con
quello che rimane può comprarsi tutto ciò che desidera e per cui non ha mai
avuto il coraggio di chiedere i soldi ai suoi.
In tutto questo, nella sua vita complessivamente da Mulino Bianco l’unica
cosa a lasciarlo un po’ perplesso è lo sconosciuto che ogni volta si mette
accanto a lui - ma mai seduto, anche se il posto al suo fianco è libero -
fissandolo. All’inizio non c’aveva neanche fatto caso, ma poi - settimana
dopo settimana - aveva dovuto arrendersi al fatto che la cosa non era una
delle sue solite fantasie: il tizio ce l’ha proprio con lui.
Ma visto che il nostro Luca alla gente che gli sbava dietro è abituato,
semplicemente lo ignora; sebbene ammetta che tanta costanza sia ammirevole.
Gli sta in piedi di fianco senza proferire sillaba nonostante si veda che
ucciderebbe per riuscirci.
Qualche settimana fa ha voluto divertirsi e di colpo si era voltato a
fissarlo negli occhi. Non sapeva cosa aspettarsi (forse un sorrisetto
sfrontato), ma di sicuro non quello che è accaduto. Luca non aveva mai visto
un adulto arrossire in modo tanto subitaneo e imbarazzante. A quel punto
aveva girato la testa fingendo indifferenza, ma sceso dall’autobus era
scoppiato in una risata di cuore sotto lo sguardo perplesso dei passanti.
Poi arriva dicembre e anche il tizio scompare dalla sua vista: l’unica cosa
importante è quel momento a Piazza Venezia. Lo sa, non è il più bello - ce
ne sono di più grandi e meglio addobbati, come quello a Piazza San Pietro ad
esempio - ma il fatto è che la prima volta che lo vide non era preparato.
Sino al giorno prima la piazza era stata decorata con solo le classiche
aiuole (anche un po’ tristi, se vogliamo), invece quella sera, al suo
centro, troneggiava un enorme abete pieno di luci bianche, di nastri e
stelle d’argento. Era la sorpresa dell’improvviso a meravigliarlo ogni
volta, non la sua grandiosità.
Così aveva iniziato quel gioco fra sé e sé. Quel gioco in cui doveva
riuscire a scorgerlo prima ancora di arrivare nella piazza. Fra tutti i
passeggeri del bus, lui solo doveva essere il primo a vederlo.
Però pensava che con l’andar del tempo - e soprattutto ad un anno di
distanza - la cosa sarebbe scomparsa. Invece anche quest’anno quell’albero
era riuscito a fregarlo e - arrendendosi all'ineluttabile - aveva ripreso il
loro infantile gioco.
E quando se lo trova davanti in tutto il suo splendore rimane a fissarlo
come un idiota (ci scommette che ha un'aria ebete mentre lo fa), a studiare
ogni singola luce risplendere sullo sfondo di quel corridoio infinito che è
Via del Corso.
Poi, sin troppo in fretta, l'abete scompare dalla sua vista e lui torna
finalmente presente a se stesso. Sospira, e mette via il quarto numero di
MPD (ogni tanto gli piace rileggersi qualche volume a caso). La sua mente
comincia a fare l'inventario di ciò che dovrà fare una volta arrivato al
ristorante e nessuna di esse lo attira. Si tira lo zaino sulle ginocchia e
si rivolge alla fedele guardia del corpo che ha involontariamente assunto.
"Scende?"
"No, prego"
Gli pare un po' stupido fare questa recita ogni santa volta, ma l'altro pare
tanto felice dopo. Mentre aspetta che l'autista apra le porte per farli
scendere, decide di dargli una vera soddisfazione, che tanta fedeltà va
premiata.
Si volta e gli sorride: "Ci vediamo domani" poi si abbandona alla corrente
che lo guida fuori dall'autobus. Il sorriso continua ad aleggiargli sulle
labbra. Chissà perché prova lo stesso lieve piacere di quando guarda
l'albero.
Scuote la testa e s'incammina verso il ristorante.
§§§§§
9 gennaio
Aventi i seguenti dati: pioggia torrenziale, san pietrini e scarpe con suola
in cuoio; risolvete il problema: quanto tempo impiegherà Nicola per
scivolare e rompersi l'osso del collo?
Giornata di merda, iniziata male e finita peggio. La macchina non aveva
voluto saperne di partire - neanche dopo un pianto in aramaico, quindi, in
una giornata di sciopero, s'era dovuto barcamenare fra una metro col
singhiozzo e autobus che se fosse andato a piedi avrebbe fatto prima. Una
volta in ufficio - con "solo" un'ora e mezza di ritardo - aveva scoperto che
il funzionario l'aveva richiesto per lo svolgimento di determinate pratiche
da portare a termine prima di pranzo. Il pomeriggio l'aveva passato a
bestemmiare contro colleghe che si fanno mettere incinte solo per starsene a
casa otto mesi a fare nulla mentre lui doveva svolgere il lavoro di due
persone.
Ciliegina sulla torta: non era uscito dal portone neanche da cinque secondi
quando i cieli si erano aperti e un diluvio che nessuno ricordava più da
trent'anni aveva iniziato a cadere su Roma.
Tutto ciò che chiede adesso sono il suo letto e un libro, null'altro. Giura
che se lo accontentano questa volta poi non rompe più le palle a nessuno per
il resto della vita.
E visto che tanto l'87 l'ha perso decide di farsi Via del Corso a piedi e
arrivare alla fermata dell'Altare della Patria. In Piazza Venezia lancia uno
sguardo veloce all'abete disadorno che sta per essere portato via e sospira
al pensiero che non potrà più vedere quell'espressione sul suo volto prima
di un altro anno.
Si ferma di fianco l'enorme typewriter
e si sporge per vedere se qualche dio di buon cuore avesse mai deciso di
fargli arrivare un autobus. Possibilmente vuoto e col riscaldamento a palla,
grazie.
"Non è più come prima, vero?"
Si volta al suono di quella voce, che mai ha sentito proferire una frase
tanto lunga. Lo fissa a bocca aperta cercando di ricordare come si fa a
parlare.
"L'albero intendo. Fino alla settimana scorsa ci diventavo scemo dietro quel
pezzo di legno. Adesso invece..." e scuote la testa, come a prendersi
bonariamente in giro da sé, poi gli pianta gli occhi nei suoi, guardandolo
severamente "Sei in ritardo, hai perso l'autobus e stai facendo far tardi
anche a me"
Sa di dover dire qualcosa. C'è una parte del suo cervello che gli suggerisce
delle frasi, ma deve esserci qualche problema in fase di pronuncia, perché
proprio non riesce ad emettere alcun suono.
"Per questa volta va così, ma sappi che non amo i ritardatari, ok?" e gli
sorride di quello stesso sorriso che Nicola ha visto rivolto solo
all'albero: pieno di dolcezza e calore. Tenta di sorridere anche lui, ma
Luca lo sorprende ancora alzandosi sulla punta dei piedi per sfiorargli le
labbra con le proprie.
Sotto il diluvio universale, zuppo come neanche dopo dieci docce e con alle
spalle la peggior giornata della sua vita, Nicola pensa che gliene potevano
propinare finché volevano se tutte finivano così.
"Ora mi accompagni e mi giustifichi del ritardo" e lo prende per mano, nella
prima delle loro lunghe passeggiate per le vie di Roma.
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