Nota: Questa è la prima storia che posto, l'ho scritta per una rassegna di racconti che dovevano essere dedicati alla mia città, Messina, e vista la mia passione per lo yaoi non ho potuto fare a meno di raccontare una storia con protagonisti gay ^___^
Oggi posso postarvela perchè finalmente la rassegna è conclusa ed i racconti da pubblicare sono stati scelti, tra cui anche il mio, quindi posso dire con orgoglio che ho contribuito anche oggi a yaoizzare il mondo *____*

 


20 Aprile 1576, Messina
 

di Saidy

 

Vostra Eccellenza Il Vescovo Giovanni Retana,

Sta calando la sera, e le mie membra, deboli e malate, si sentono carezzare dal lieve fruscio della primavera. Avvertono inoltre la morte che sta per raggiungermi, che sta per ghermire questo mio corpo dilaniato dalla malattia. I gonfiori che mi porta la peste sono sempre più sanguinolenti, ed emanano un fetore tremendo. Sono stanco. Non ho più voce per parlare, per raccontare di questo mio dolore, di quanto sia bella e breve la vita, di quanto sia dolce ed amara ogni cosa. Non ho più orecchi per sentire la voce dei gabbiani, che narrano di storie nate ad oriente, per udire il pianto di un bambino e l’urlo di madre, per godere del suono del mare. Non ho più naso per sentire il profumo di viola delle bianche saline, l’aroma di salsedine. Non ho più occhi per vedere l’azzurro delle acque e del cielo della mia amata città, né le navi, né i colli, né la Calabria lì all’Orizzonte, che si staglia lunga e verde oltre l’alto faro che è la Lanterna. Non ho più occhi per vedere Messina. Non ho più la forza di correre o passeggiare per le viuzze e le spiagge della mia dolce città, di entrare nella mia chiesa e celebrare la Santissima Messa. Né ho la forza di stare ancora sdraiato nel letto di questo luogo infetto, di que-sto lazzaretto pieno di peste. Ma ciò non durerà più di due giorni, due notti. Non più di un semplice batter di ciglia. Non manca nulla alla mia morte. E solo le prime stelle della sera pos-sono consolare il mio cuore malato. Malato di tristezza. E di paura. Paura per quello che mi attende l’attimo dopo aver emesso l’ultimo respiro. Ho paura dell’Inferno, Vostra Eccellenza. Ho paura perché non ho amato abbastanza Iddio che ho servito per più di trent’anni, dai miei pochi ventuno. Perché ho amato di più un animo umano. Un corpo mortale. Perché ho amato di più un uomo di questa terra che il mio Dio… Ma come si poteva non amare quell’uomo, Vostra Eccellenza? Come…? Aveva gli occhi del mio mare, e la pelle bruna come il bruno dei miei colli. Ed aveva il cuore più bello di questo mondo… Ma, lo giuro!, ho provato ad allontanarmene! Mi son fatto prete per dimenticarlo… ma lui era lì, è sempre stato lì, e mi amava quanto lo amavo io, e lo sapevo, e non potevo scordarlo o cancellarlo… E non l’ho fatto, Vostra Eccellenza, l’ho amato col cuore e col corpo difatti, l’ho amato tant’anni quanti ho servito il mio Dio, ed anche di più. E lo amo e lo amerò, ovunque sarò, sull’altare di una chiesa, nel lazzaretto di una città malata, tra i sodomiti dell’Inferno. Lo amo. L’ho amato fino all’ultimo, in questo luogo appestato, tenendogli la mano, baciandolo sulla bocca quando nessuno guardava, condividendo il suo male, ed infine la morte. Perché, se la peste non mi porterà via da questa terra (come farà certamente), mi condurrà alla fine il dolore di aver perso una parte di vita. Non furono sufficienti Dio e la mia fede per allontanarci, non lo sarà la morte. Ed io Vi scrivo perché interceda con Iddio affinché mi perdoni di questo peccato. Per questo amore riverso su un uomo e non su Lui. Mi perdoni, Vostra Eccellenza, anche se questo non servirà a salvare la mia anima. Perché io non mi pento. No, Vostra Eccellenza, non mi pento del mio peccato, e mai me ne pentirò. Il perdono mi serve solo ad acquietare la mia coscienza, a consolarmi nelle ultime ore di vita. E non la voglio la salvezza eterna se devo barattarla con il mio amore. Il mio dolce, Divino (sì, Divino più d’ogni Dio, il mio o quello d’altri) amore.
E vi prego, Eccellenza, vi prego come prego Iddio, saluti per me la mia città, le urli per me che l’amo perché è stata culla del mio amore… l’ha visto nascere nelle sue viuzze, crescere ninnato nelle sue azzurre acque, tra i bruni e verdi colli, l’ha visto vivere sotto questo cielo. Amo Messina per la sua bellezza e l’affetto che mi ha dato, e che sicuramente dà anche a Voi consolandoVi per lontananza dalla Vostra Spagna. E spero che dia consolazione anche a me in queste ultime ore di respiro, donandomi i più bei ricordi e pensieri con questa notte stellata.

Don Massimiliano Rein.