Racconto nato sull’autostrada per l’aeroporto di Genova, in un momento di alienazione mentale condiviso con Ria. Proprio a Ria vanno i miei ringraziamenti per tutti i suggerimenti che mi ha dato (elencarli è impossibile… diciamo che è una storia scritta a quattro mani!), per il sostegno e per i continui stimoli  nei momenti di blocco.

Un abbraccio a S. e un baciottone affettuoso a Nausicaa e Calipso, alle quali approfitto della data per mandare i miei più cari auguri di Buon Compleanno.

Buona Lettura


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101 modi per risolvere un mistero

di Greta



Metà luglio, un giorno caldo che sembrava non voler finire mai.

Donnie Stallone correva con la sua Ritmo decappottabile gialla, interni in radica, sulla Roma-Fiumicino, godendosi l’ultimo optional aggiunto al suo bolide, quell’impianto di aria condizionata guadagnato grazie alle foto piccanti di una moglie fedifraga. E aveva pure dovuto faticare parecchio per assicurarselo: quella deficiente mica poteva scegliersi un amante che abitava, che ne so, ai Parioli, all’Aventino… l’Olgiata… no, se l’era dovuto trovare sotto i ponti del Laurentino 38, e lui, da professionista qual era, aveva dovuto pedinarla fin dentro quella terra di nessuno. Poco c’era mancato che non gli fregassero pure la canotta in pelo di pecora di nonno Ercole, una sera!

Gli occhiali da sole a specchio, i capelli che il vento spingeva all’indietro, facendoli sembrare uguali uguali a quelli di Holly Tsubasa, Donnie si godeva la brezza sparata dalle bocchette dell’aria… brezza che però non sembrava essere così fresca come il manuale del condizionatore assicurava. Possibile che avesse avuto ragione quel presuntuoso dell’elettrauto a sconsigliarli quell’ultima innovazione, insinuandone l’inutilità per una macchina scoperta?! No, ovviamente non era possibile. Quel disgraziato era solo invidioso per non avere un bolide come il suo. Sorrise, ricordando che era dovuto andare fino allo sfascio del Carota, già, proprio al trecentomilionesimo chilometro dell’Ardeatina, per scovare la sua cabrio, una fuoriserie in grado di superare un cinquino lanciato in tre minuti netti.

Scosse la testa, approfittando del gesto per testare l’efficacia del nuovo gel ultra strong: sapeva bene di aver fatto la scelta migliore... un uomo della sua classe non poteva andare in giro con una macchina come quella senza aria condizionata, e le parole di quel fallito dell’officina erano palesemente dettate solo dall’invidia.

E così, splendente e abbacinante sotto il sole a picco, la Ritmo gialla imboccò la rampa verso la Cristoforo Colombo. Ecco, quello non era sicuramente uno dei percorsi abituali di Donnie Stallone, ma se nelle ultime due settimane il suo bolide aveva percorso quella strada almeno cinquantadue volte, un motivo c’era…

Sorrise, voltando leggermente lo sguardo verso il bordo della strada: non c’era niente da dire, quei cartelloni erano un vero e proprio capolavoro. All’inizio non ne era stato così convinto, ma non aveva tardato troppo a capire la lungimiranza dell’investimento: essendo la persona moderna che era, conosceva bene il valore di una buona presentazione, di una pubblicità che facesse voltare la testa, e quei lenzuoli sei metri per tre erano esattamente quello che ci voleva per dare lo slancio definitivo al suo business.

‘Donnie Stallone: la tua soluzione!’ lesse, o, meglio recitò a memoria. Un ghigno gli abbellì il volto sudato: l’idea di vestirlo con il camice e di fargli tenere in mano una provetta con un liquido rosso dal quale usciva un denso fumo bianco era stata una delle trovate più grandiose del Duca, un uomo che, nonostante la natura avesse deciso di fargli più di uno scherzo, per esempio quella pelata dalla quale spuntavano dodici zeppetti scuri, invece di suicidarsi era riuscito a trovare una giustificazione alla propria esistenza diventando un vero mago della pubblicità.

In mezzo al suono dei clacson, sentì il cellulare squillare. Per un momento dimenticò di aver cambiato la musica associata al numero di Jimmy, e quindi rispose alla quinta nota di Grazie Roma con uno slancio che raramente manifestava per altri esseri umani. Per le chiamate di lavoro, infatti, preferiva apparire granitico, e nascondere ogni emozione dietro un tono stanco e annoiato, doveroso per ogni professionista oberato dal lavoro:

“Ehi, già senti la mia mancanza?” sussurrò nel telefono, tentando una voce sensuale, ma riuscendo solo a sembrare la reclame di uno sciroppo per la tosse.

“Ehm… Donnie Sta… Stallone?” chiese una voce incerta.

Femmina, massimo trent’anni, puzza sotto il naso, disperazione: da uno a dieci… centottanta, fu la sua pronta diagnosi.

“In muscoli e cervello” rispose ad alta voce, sfoderando il suo tono più professionale.

“Io… avrei bisogno dei suoi servizi” continuò la donna. Quanto le aveva dato di disperazione? Sembrava che il livello giusto fosse tremila...

“E io sono pronto a fornirle tutto il mio aiuto” le rispose, azzardando quel tono confidenziale che sapeva essere fondamentale nel primo approccio.

“Ecco… non sono certa che lei risponda esattamente alle mie esigenze – sembrava che la pupa cercasse di prendere coraggio, ora, e Donnie già se la immaginava raddrizzare le spalle e buttare indietro la testa nel vano tentativo di apparire determinata – ma credo che dovremmo vederci, per discutere meglio i particolari: è una questione… delicata”.

“Quasi tutte quelle che tratto lo sono” rispose lui. Era una delle repliche standard. Mai far credere al cliente di aver il coltello dalla parte del manico. A guidare i giochi era solo Donnie Stallone.

“Possiamo stabilire un appuntamento? Potrei venirla a trovare nel suo ufficio. Se vuole io sono libera domani alle…”

Ehm, ultimamente lo stanzone che gli serviva da postazione di lavoro gli era stato chiuso dall’Istituto di Igiene, che aveva avuto da ridire per l’innocua presenza di una paio di topetti da sei chili l’uno, e chiederle, come faceva di solito con gli altri clienti, di vedersi al chiosco della sora Lina – er paradiso della porchetta –  non gli sembrava il caso.

“Madame – la interruppe, prima che la tipa cominciasse a snocciolare l’intera agenda settimanale – io sono spesso fuori… ehm, sede. Potremmo vederci da lei o in un locale… del resto, se il caso è delicato, non mi sembra opportuno che lei si faccia scoprire ad entrare nella mia società” ottimo, come sempre bisognava difendersi attaccando, facendo emergere le insicurezze dell’avversario! Quel corso ‘101 regole per fregare chi ti sta di fronte’ era stato davvero un’alzata di ingegno.

“Ah… beh, forse ha ragione. Che ne dice di vederci da Babington’s? Potremmo prenderci un tè, e potrei esporle il mio caso”.

Babington’s? A parte il fatto che se voleva farsi uno sciacquabudella non aveva bisogno di andarsi ad infognare fino a Piazza di Spagna, ma soprattutto… lui poteva sembrare tipo da tazza di tè?!

“Madame, sarei felice di incontrarla da Babington’s, da Rosati, da Giolitti – non che ci fosse mai entrato… ma sapeva pure lui quali erano i posti che certa gente frequentava – ma credo che sarebbe meglio se ci vedessimo in un luogo più… appartato”.

Dall’altra parte ci fu un momento di esitazione, poi la donna gli chiese se avesse qualche posto particolare in mente.

Ecco, qui la voleva!

“Certi affari si discutono meglio di fronte a qualcosa con un po’ d’anima dentro… - cominciò a mormorare pensieroso, sebbene avesse presente già da almeno un quarto d’ora il posto giusto – Proporrei la Fraschetta di Sor Lello… ma è fuori mano, forse le è più comoda la Taverna der Sorcio. Che ne dice?”

Spiegato che il posto si trovava a Testaccio, affogato tra pizzerie e ristoranti cinesi, a Donnie venne in mente che ancora non aveva chiesto alla tipa come si chiamasse, e quindi pose rimedio. La pupa rispose dopo trenta secondi buoni:

“Maria Gialli”.

Ecco un’altra cosa che gli avevano insegnato al corso ‘101 Trucchi per l’investigazione’: mai credere a nomi che avessero a che fare con i colori.

“Il suo vero nome, signora. Tra noi deve instaurarsi un rapporto di fiducia” la rimproverò, fondendosi contemporaneamente con il clacson per far capire al vecchietto sull’Ape che gli si era appena piazzato davanti che aveva da schiodà con una certa urgenza.

“Sofia Tedeschi… Rambaldi” fu il mormorio che riuscì a cogliere.

“Ok, Sofy… ci vediamo domani alle sei dar Sorcio. Si vesta in modo adeguato: la Smandrappa ci tiene che il locale mantenga un certo tono…” e chiuse il cellulare, ammirando ancora una volta i cuoricini che si baciavano sul monitor.

Lavoro… sempre lavoro… Voltando verso Porta Metronia, la terra der nummero dieci, der bimbo de oro, der Capitano della formazione giallorossa, Donnie Stallone scosse la testa: per fortuna che in quel periodo si sarebbero visti poco con Jimmy, altrimenti l’idea di accollarsi un altro caso non gli avrebbe mai nemmeno sfiorato l’anticamera del cervello.

Tornato a casa, il suo bilocale di via Merulana, quello che nonna Ada gli aveva lasciato in eredità senza mai smettere di rinfacciargli, pure da morta a giudicare dai suoi incubi, i sacrifici che aveva fatto per riscattarlo dall’Inps alla fine degli anni ottanta (per due lire, a onor di cronaca), finalmente si abbandonò al meritato relax… quello che ci voleva dopo un’intera mattinata passata sulla Roma-Fiumicino e al telefono con i suoi clienti.

Il suo era un lavoro stressante, pensò accendendo il ventilatore gigante che aveva piazzato nell’ingresso, e solo una doccia, un tuffo nel magico mondo dei take-away e l’avvio di ‘Il grande sonno’, il suo film-guida, con Humprey Bogart nella parte dell’investigatore Marlowe, sembravano potergli dare il giusto sollievo.

Il giorno seguente, dopo aver ceduto all’impulso che ogni mattina lo portava a fare almeno un rapido tour sulla Roma-Fiumicino per ammirare una delle sue gigantografie, stavolta quella con lo slogan ‘Stallone, il mago dell’investigazione’, che lo ritraeva con il cappello a punta blu e stelline dorate, e dopo aver dato un’occhiata anche alla concorrenza, ovvero a quel Tony Strade che si faceva vedere con occhio calato, espressione intensa, sbattendoti in faccia un’inutile tirata sul suo passato nei corpi speciali della Polizia di Stato, Donnie decise di provare a fare qualche indagine preventiva sulla Sofy.

Meglio arrivare ai primi appuntamenti ben preparati.

Si infilò in uno dei suoi archivi preferiti, l’Internet Point, nonché Call Center con tariffe speciali per Pechino e lo Zambia, che un tipo dal nome impronunciabile, ma che lui aveva soprannominato Ben per la somiglianza con il famoso velocista dopato, gestiva nella strada sotto casa da circa diciotto giorni.

Indossando l’impermeabile color ghiaccio, e calandosi gli occhiali a specchio sul viso, Donnie spalancò la porta di vetro, scatenando il suono isterico del campanello che avvertiva l’arrivo dei nuovi visitatori.

“Il desk 4, Ben” esclamò, proprio con lo stesso tono con cui chiedeva il ‘solito’, e cioè il Crodino con oliva, al bar di Gianni.

L’omone gli rivolse uno sguardo imperturbabile, poi, senza dirgli una parola, gli indicò con la testa il pc nell’angolo, autorizzandolo ad occupare la postazione abituale.

Vista la sauna che stava facendo, Donnie decise di sfilarsi la giacca, lanciandola su una sedia, poi si sistemò davanti allo schermo. Con l’indice, studiando bene le lettere sulla tastiera, digitò google.it, poi inserì ‘Sofia Bruni Rambaldi’.

Interessante! Il primo sito della lista si chiamava ‘Notti solitarie? Non più! Chiama Sofia’.

Possibile che la voce incerta sentita per telefono appartenesse alla biondona ossigenata che ammiccava da un letto rosso a forma di cuore? Poteva essere, e questo avrebbe certamente aggiunto pepe all’indagine, sebbene i gusti di Donnie fossero stabilmente orientati verso altri lidi, e soprattutto verso il suo Jimmy… però forse era il caso di fare una indagine più accurata: rimaneva sempre la flebile possibilità che la sua cliente non fosse quella maggiorata con le labbra a canotto.

Scorse rapidamente i link successivi: sembrava proprio che miss letto a cuore avesse invaso con le proprie immagini il web, ma poi trovò qualcosa di particolare… un articolo su una serata di beneficenza organizzata da Sofia Tedeschi, figlia del magnate del petrolio Manfredi Bruni Rambaldi. Il fiuto infallibile di Donnie Stallone gli diceva che quella era finalmente la pista, e non di coca, giusta.

Lesse l’articolo, e, sebbene non fossero riportate note di rilievo che potessero dare una spiegazione alla chiamata che aveva ricevuto, a meno che i proventi della serata di beneficenza non fossero stati trafugati, gli sembrò che uno spiraglio di luce cominciasse ad illuminare il caso più oscuro in cui si fosse imbattuto finora.

O forse il caso era oscuro perché ancora non aveva parlato con la pupa? Donnie guardò l’orologio… ormai era quasi ora. Abbandonò l’archivio segreto in cui aveva trovato le prime informazioni preziose, e tornò nel suo appartamento per cambiarsi in vista dell’incontro risolutore che si sarebbe tenuto a breve dal Sorcio.

In certi casi era necessario mimetizzarsi con l’ambiente il più possibile, e così scelse dall’armadio un paio di jeans scuri e una camicia azzurra… l’ideale per far risaltare il suo fisico muscoloso e abbronzato (grazie ad ore passate in balcone ad agonizzare sulla cyclette lasciata da nonna Ada), poi si spruzzò di Calvin Klein One, il profumo che gli aveva regalato Jimmy per San Valentino, si passò il pettine tra i capelli per eliminare la sfumatura alla capitan Tsubasa, e infine legò la chioma fluente, che ormai gli sfiorava le spalle, in un ciuffo viscido di gel.

Si diede un’ultima occhiata davanti allo specchio:

‘Quasi quasi me te farei’, pensò, rimirandosi frontalmente e di profilo.

Non c’erano discussioni, Donnie era er mejo figo della capitale.

Inforcò gli occhiali, si chiuse il portone dietro le spalle, travolse la vecchietta del quarto piano sulle scale, e poi saltò agilmente all’interno del suo bolide giallo, rischiando di diventare una voce bianca grazie all’atterraggio, non proprio morbido, sulla leva del freno.

Alle sei del pomeriggio su Roma il sole era ancora accecante e la calura insopportabile. Con un ghigno felino ruotò la manopola del condizionamento, e nella Ritmo scoperta la corrente fresca cominciò a disperdersi nell’aria torrida della città… ah, già gli sembrava di sentire gli effetti benefici dell’ultimo acquisto, pensò, mentre qualche gocciolina cominciava ad imperlargli la fronte.

Piramide Cestia, via Marmorata, ponte Testaccio… Taverna der Sorcio.

Era arrivato. Parcheggiò il bolide nel rettangolo blu, ben guardandosi dal pagare il ticket (ci mancava solo che qualcuno osasse fargli la multa!), inserì l’antifurto con le palle e prese la cartellina del lavoro, quella con il block-notes bianco nel quale scriveva al massimo tre righe per ogni caso.

Avvicinandosi al luogo dell’appuntamento, notò una Mercedes grigio metallizzato che da sola occupava almeno due posti, esattamente il tipo di macchina che sarebbe stata l’orgoglio di ogni macellaio. Donnie si calò gli occhiali sul naso per osservare con il giusto distacco quella schifezza made in Germany, un catorcio che non poteva che sbiadire in confronto alla sua Ritmo gialla, 100% Italian Style, e poi scosse le spalle con nonchalance… la crucca era il tipo di macchina che non avrebbe degnato di uno sguardo neanche se avesse avuto i soldi per comprarsela, si disse, cercando di suonare convincente anche nei propri pensieri.

Entrò nella taverna con il solito atteggiamento distaccato; si avvicinò al bancone, sdraiandovisi sopra e chiedendo alla Smandrappa, alias la moglie del Sorcio, se ci fosse qualcuno per lui.

La donna, la cui casta scollatura dava piena panoramica delle unghie dei piedi, si passò un polpastrello sull’angolo della bocca, a sistemarsi il rossetto rosa shocking:

“C’è ‘na monaca ar tavolo in fondo… Ha chiesto tè freddo” aggiunse poi con una smorfia di disgusto.

 Donnie rise: chiedere tè freddo dal Sorcio era come chiedere carote in macelleria. Poi, però, tornò serio e tentò una delle mosse che gli avevano insegnato al corso ‘Detective o psicologo?’:

“Che impressione t’ha fatto?” e allungò dieci euro alla fata che aveva di fronte.

“Che t’ho da di’, Donnie… nun è ‘a donna pe’ tte. Quella arrossisce pure ar buio” gli rispose la smandrappa, infilandosi lentamente la banconota nella scollatura.

Lui annuì e si avviò verso il fondo del locale, dove c’erano i tavoli più ricercati, quelli vicini alla grande vetrata aperta.

Eccola qui la sua cliente: approssimativamente sui trenta, capello castano chiaro con sfumature sul rosso, carnagione pallida anche in quel luglio infuocato, lentiggini sul naso, occhi chiari, e altrettanto chiari segni di una anoressia galoppante. Le mani erano strette intorno al bicchiere alto, ancora pieno di ghiaccio e liquido quasi incolore, serrate così forte da mostrare le nocche bianche.

Ok, doveva ammettere che spesso, nelle sue sporadiche avventure con le donne, l’orgasmo vero lo aveva raggiunto solo con la sigaretta dopo, però con quella non sarebbe bastato neanche un pacchetto di Camel…

“Sofia Bruni Rambaldi?” chiese con il suo migliore tono da provetto gentleman, celando abilmente le sue impressioni non proprio lusinghiere.

Vide gli occhi della donna allargarsi per un istante, come a tradire lo stupore per un ragazzo che non doveva aspettarsi così prestante, ma poi la tipa si ricompose, e, allungandogli una mano… - ma che, si aspettava forse che lui gliela baciasse?! – gli rispose:

“Sì, sono io. Lei è Donnie… Stallone?”

“In ossa e muscoli” fece lui, chinando leggermente la testa come a cercare di scoraggiare gli inevitabili apprezzamenti e complimenti: “Posso?” fece poi, poggiando una mano sullo schienale della sedia di fronte.

“Prego. Io ho già ordinato… fa caldo, qui dentro” mormorò la donna, a mo’ di spiegazione.

“Hai fatto bene” annuì lui, assumendo un tono confidenziale con lo scopo di aiutarla a sciogliersi. Poi sollevò il braccio, schioccando le dita all’indirizzo della Smandrappa.

La moglie del Sorcio arrivò, ancheggiando lentamente sui tacchi alti dodici centimetri e masticando stancamente il chewing-gum:

“Che tte serve, Donnie?” lo apostrofò, afferrando la matita infilata dietro l’orecchio.

“Un Brunello del ‘92” rispose lui con nonchalance.

“Ohi, Donnie… sai bene che qui la casa passa solo vino de li Castelli dell’anno scorzo. Dimme solo bianco, rosso e quanto... Già scordate ‘e regole?” lo riprese annoiata la padrona, continuando a rivoltarsi la gomma americana nella bocca.

“Bianco, mezzo litro” fece lui, nascondendo dietro gli occhiali da sole il disappunto per la poca classe della Smandrappa. Quando la donna si allontanò, lui si rivolse alla nuova cliente:

“Un po’ rude, ma un cuore d’oro” spiegò con sufficienza.

“Vorrei che arrivassimo subito al dunque. Non ho molto tempo” cominciò la Rambaldi, ignorando il commento e continuando a rigirarsi tra le dita il bicchiere gelato.

“Puoi cominciare, Sofy… sono tutto orecchie” la incoraggiò Donnie, infilandosi contemporaneamente l’indice nel padiglione auricolare per mostrare la chiara intenzione di liberare il canale uditivo e non perdere neanche una sillaba.

La donna tradì con una dilatazione degli occhi slavati quanto fosse rimasta colpita dal gesto, poi, dopo la giusta pausa, cominciò la spiegazione delle circostanze che l’avevano portata a contattare il famoso investigatore:

“Mi trovo in una situazione… delicata. Vede, si tratta di… mio marito” e qui la Rambaldi si interruppe.

Donnie evitò di alzare gli occhi al cielo, e anzi tentò una sofferta espressione di partecipazione: insomma, nel suo lavoro non ci voleva un genio per capire che il 99% dei casi riguardava problemi coniugali. Prima che la donna si gettasse a capofitto nel racconto dei suoi drammi familiari, però, decise di indagare sull’unica cosa veramente importante:

“Potrei sapere chi ti ha segnalato il mio nome?” le chiese, gonfiando il petto. Era davvero fiero che la sua fama si stesse espandendo all’intero globo terracqueo.

La tipa lo guardò sbattendo gli occhi, quasi non capisse cosa c’entrasse quella domanda, che invece era il fulcro del loro incontro, con la storia che stava cominciando a raccontare:

“Ho visto la sua pubblicità” boccheggiò, portando poi lo sguardo sul bicchiere di tè.

“Ah! Dove?”

“Non vedo cosa… - poi la donna scosse la testa – Era un annuncio su uno dei tanti giornali a cui siamo abbonati… qualcosa di economico, mi pare”.

Peccato che la pupa non riuscisse a cogliere l’importanza di una risposta più circostanziata: insomma, il mese successivo Donnie doveva rinnovare i contratti pubblicitari, e non sarebbe stato male sapere quali erano gli annunci più di successo.

“E qual era?”

Finanza e Finanze, credo, un giornale di mio marito” rispose la donna, stancamente.

Ok, era popio popio de coccio.

“No, qual era la pubblicità!”

“Ah, quella con il mitra. Ma è importante?” sembrava che ora Sofy cominciasse proprio a spazientirsi.

“No, no. Solo curiosità. Continua a raccontare: mi stavi dicendo che i problemi sono con tuo… marito” la incoraggiò nuovamente, congratulandosi però con se stesso per la ‘Donnie Stallone, la tua soluzione’ che lo ritraeva, stile Rambo, con il mitra stretto in una mano e sollevato per aria… davvero una mossa che gli avrebbe invidiato pure il suo omonimo Sylvester.

“Beh, io credo che mio marito… sia vittima di un ricatto. Ultimamente torna molto tardi la sera, lavora fino allo sfinimento e sembra sempre preoccupato di guadagnare di più, di riuscire a conquistare nuovi clienti, quando in realtà non abbiamo mai avuto bisogno di più di quanto il suo lavoro ci desse. Insomma, questa sua urgenza mi fa pensare che sia finito nelle mani di qualche ricattatore, o di qualche… usuraio”.

Donnie si prese una pausa di lunghezza adeguata, poi, avventandosi freneticamente sul block notes, come se stesse prendendo appunti vitali, ma riempiendo la pagina con cuoricini intrecciati, decise di passare all’azione:

“Hai delle prove? Hai sentito qualcosa che ti ha confermato questi sospetti?”

La sua cliente scosse la testa:

“Niente di certo… ma ho la sensazione, e so di non sbagliare, che Edoardo sia in pericolo”

Edoardo con tutta probabilità aveva una relazione clandestina, e questa stupida della moglie aveva infilato così profondamente la testa nella sabbia per non accorgersene che, se avesse scosso la testa, le sarebbero usciti i granelli dalle orecchie.

Donnie ringraziò ancora una volta gli anni e anni di training autogeno che erano riusciti a fargli mantenere uno sguardo assorto mentre la tipa sparava tutte quelle cretinate. In ogni caso stava andando tutto a meraviglia: il lavoro era probabilmente ancora più semplice di quanto avesse pensato; avrebbe pedinato il marito fedifrago, scattato qualche foto a luci rosse (orrore!! Luci rosse eterosessuali!!!), avrebbe consegnato il malloppo alla bambola e avrebbe riscosso i soldi. Un lavoretto pulito pulito che gli avrebbe permesso di sostituire il simil pelle dei sedili di Carolina con vera carcassa di montone.

“Ho capito… diciamo che è il tuo sesto senso… Sofia” e Donnie allungò il braccio attraverso il tavolo, fino a stringere nella propria mano quella della cliente.

Lei raddrizzò la schiena all’indietro, come presa alla sprovvista da quel gesto di simpatia, poi, però, come Donnie sapeva che sarebbe successo, ricambiò la stretta:

“Sono così… turbata” mormorò.

Turbata? Voleva dire che le sue viscere erano tutte un turbinio?

“Ti capisco. Ora però devi darmi alcune informazioni fondamentali” e il mago dell’investigazione voltò la pagina del block notes, leccando contemporaneamente con la lingua la punta della matita:

“Qual è il nome del fedif… del tuo consorte?”

“Edoardo Giovanni Maria Altieri Tedeschi” rispose la donna, arrivando alla fine con il fiatone.

Lui rimase a guardarla con la bocca aperta, e una delle sue espressioni più intelligenti dipinte sul viso:

“Ma… ma gli fanno i libretti degli assegni su misura, per farci entrare tutta la firma?!” non poté esimersi dall’indagare.

“Beh, di solito usa Edoardo Tedeschi, ma quello è il suo nome completo”.

Donnie prese appunti diligentemente, e dopo aver segnato il nome, dovette girare ancora pagina: quel caso sembrava costargli principalmente in spese di cancelleria.

“E dove lavora? Quali sono i suoi orari? I posti che frequenta di solito? I suoi amici?” ormai Donnie si era tuffato completamente nel suo ruolo investigativo, anche se sapeva bene, come Poirot ripeteva spesso nei suoi libri preferiti, che la soluzione sarebbe stata ‘cherchez la femme’.

Sofia Rambaldi diede tutte le notizie in proprio possesso, che a dire il vero si rivelarono piuttosto generiche, visto che non aveva neanche saputo specificare quale fosse la racchetta del marito, e finalmente, dopo essersi rapidamente messi d’accordo sul costo dei servizi di Donnie, il quale, vista la pericolosità del caso, e soprattutto i gioielli della cliente, aveva deciso di raddoppiare il suo cachet Gold, si diedero appuntamento alla settimana successiva per il primo resoconto.

Con grande stupore dell’investigatore, e provocando una scrollata di spalle nella Smandrappa, scrollata che quasi causò alla moglie der Sorcio un non troppo involontario topless, la Rambaldi lasciò il locale, senza neanche aver assaggiato il suo tè freddo. All’urlo di ‘Nun se butta via gnente’, e comunque dimostrando il solito senso pratico, la Smandrappa riciclò prontamente la bevanda per il cliente del tavolo 3.

Dopo aver rifiutato il piatto di pasta coi carciofi, che assomigliava stranamente ad un folto arcipelago galleggiante su un mare d’olio, Donnie decise che la giornata era stata fin troppo stancante. Si alzò in piedi, allungandosi all’indietro per sciogliere un po’ di tensione, e mettere contemporaneamente in evidenza i muscoli frutto del lavoro sulla panca, e poi si avviò verso l’uscita….

“A’ Donnie… e er conto chi llo paga?! Guarda che la tipa mica m’ha sardato ‘o sciacquabudella!”

Se la Smandrappa non fosse stata un’amica così fidata, Donnie avrebbe sottolineato il fatto che quel bicchiere di acqua colorata glielo avrebbe sicuramente pagato il tizio del tavolo 3, ma Stallone- la- tua- soluzione era prima di tutto un signore: lentamente si sfilò il portamonete dalla tasca e allungò venti centesimi alla fata:

“Tieni il resto, bambola!” la salutò, uscendo. Tanto anche quello sarebbe finito sulla nota spese che la Rambaldi gli avrebbe rifuso.

Arrivato a casa, spalancò tutte le finestre, sperando che oltre al rumore del traffico entrasse anche un filo d’aria. Avviò anche il maxi ventilatore, che però, a parte dare l’idea di essere a Trieste, non sembrò avere altri effetti immediati.

Fermando i fogli del block notes con il posacenere di lava che Nonna Ada aveva comprato quando era andata in gita con la parrocchia a Pompei, Donnie studiò di nuovo i suoi appunti: era tutto molto chiaro, doveva pedinare Mr Nome Chilometrico, raggiungerlo in uno dei soliti alberghi che venivano utilizzati da mariti e mogli fedifraghe per consumare il tradimento (sembrava che ci fosse sempre una strana idea di branco anche in queste cose… certi alberghi sembravano i villaggi Francorosso delle corna!), scattare un bel set di foto compromettenti, mostrarle a miss puzza sotto il naso, e ammirare i risultati di un lavoretto perfetto. Probabilmente con il guadagno che avrebbe avuto da questa passeggiata, si sarebbe potuto permettere qualche altro cartellone, magari una gigantografia a Piazza Venezia!

Proprio mentre un bel sorriso a quarantaquattro denti abbelliva ancora di più la sua faccia, il telefono squillò… e stavolta le note di Goldrake gli fecero capire che era proprio il suo Jimmy. Afferrò il telefono e si stese sul letto…

“Ehi, honey!” lo salutò con voce suadente.

La lontananza lo faceva star male. Non che di solito si vedessero spesso, Jimmy era quasi sempre preso dal lavoro e dagli impegni personali, però sapere che per diverse settimane i loro incontri sarebbero stati quasi inesistenti lo faceva star male.

Raccontò brevemente dell’incontro avuto nel pomeriggio, a volte gli piaceva descrivere al compagno i casi strani che doveva risolvere, poi, però, la conversazione toccò argomenti più privati…

****

Il giorno successivo, Donnie indossò la tenuta da lavoro… voleva che il caso Rambaldi durasse il meno possibile, e così aveva deciso di concentrarsi immediatamente nella sua risoluzione. Dopo essersi infilato il completo di lino chiaro, quello che lo faceva assomigliare ai protagonisti dei noir anni ’40 in missione sudamericana, o, in alternativa, ad un Uomo Del Monte a cui avessero rubato il cappello, e dopo aver infilato nel taschino i fedeli occhiali da sole, afferrò la potente macchina fotografica e i quattro obiettivi per gli zoom che si era aggiudicato per sole ventimila lire ai banchi dei russi a Porta Portese. Accarezzando il metallo scuro, sul quale era ancora incisa la stella rossa dell’ex regime sovietico, Donnie pensò che, come al solito, anche quella volta aveva fatto un affare… certo, poi c’erano state le trecento carte che aveva dovuto dare al fotografo di via Labicana per far in modo che quella ferraglia funzionasse, ma quello era un particolare assolutamente trascurabile.

Scavando nel ripostiglio di nonna Ada, e lanciando ovunque tutta la robaccia che ci si era accumulata, trovò anche la cassetta degli attrezzi. Per un lavoro di fino ci voleva uno strumento di fino, e così tirò fuori un cacciavite, una chiave inglese n°8, un paio di pinzette da donna, che chissà perché la buonanima aveva lasciato lì, e un pezzo di fil di ferro. Inserito l’armamentario nell’astuccio dove già teneva spazzolino e dentifricio, Donnie si sentì pronto all’azione.

Con la Ritmo Gialla raggiunse in un baleno il Grande Raccordo Anulare, e quindi la Cassia Bis (perché diavolo sui cartelli c’era scritto Cassia Veientana, se tutti la chiamavano Bis? Un’altra delle cose che non lo facevano dormire la notte). Dopo un bel po’ di vento nei capelli e una discesa dell’ago della benzina con la velocità di un Tomba lanciato a valanga giù per le nevi della Val Badia, vide l’indicazione per l’Olgiata/Formello.

La zona non era male… certo, un neo c’era, ed era pure mastodontico. Passando davanti al cancello di ferro coperto di scritte, Donnie lanciò con sdegno un’occhiata all’enorme complesso dove si allenava la squadra dei pecorari, quella Lazzie che non aveva altro scopo nel campionato nazionale se non di perdere il derby ed esaltare lo spirito del vero tifoso romano… Quindi, come sempre faceva quando si trovava in quei quartieri infestati dagli infedeli, tipo Parioli, Flaminio, e, ovviamente, Cassia, Stallone la tua soluzione alzò il volume dello stereo a palla, lasciando che la voce, ormai sfiatata, di un Venditti con la flebo urlasse anche alle pecore il suo orgoglio di essere tifoso della Maggica.

Accostò di lato, sfogliando con ostentata nonchalance le pagine di TuttoCittà, finché non individuò la propria posizione e poi quella della casa degli Altieri-Tedeschi. Dopo due chilometri percorsi a 100 a marcia indietro, imboccò l’ingresso giusto, inserì nel dispositivo di accesso il codice che gli aveva dato la Rambaldi, e fu dentro l’Olgiata.

Un gioco da ragazzi!! Non aveva neanche dovuto usare la chiave inglese.

Come sempre quando era in incognito, decise di parcheggiare la macchina in un posto discreto, che impedisse che fosse notata dal pedinato di turno, e così si sistemò all’ingresso di una delle ville vicine a quella degli Altieri.

Dopo dieci minuti, quella lunga attesa lo aveva già sfiancato; dopo venti pensò che, forse, se avesse messo una capote alla sua magnifica creatura, l’aria condizionata sarebbe stata ancora più efficace; dopo trenta si convinse che l’installatore doveva aver sabotato qualcosa di proposito, visto che quella macchina era una fornace; dopo quaranta il cervello gli si era ormai lessato al punto che aveva ascoltato per tre minuti buoni la trasmissione ‘Cuore biancoceleste’ da quella che sembrava essere l’unica stazione attiva in quelle lande, e per di più aveva anche avuto la tentazione di fare una chiamata al conduttore.

Al quarantacinquesimo minuto, qualcosa sembrò agitarsi dietro la recinzione della tenuta degli Altieri-Tedeschi. Il grande cancello si spalancò, e…

Cameriera filippina che portava a spasso il cane… o era il gatto? Comunque un microbo al guinzaglio.

Donnie si riabbandonò contro il sedile in simil-pelle, accendendosi una sigaretta. E’ vero, la sera prima aveva smesso di fumare, ma, dopo la lunga astinenza, una bionda non poteva fargli troppo male.

Dieci minuti e dieci sigarette dopo, aveva contato tutti i mattoni della recinzione, il numero di piante che formavano la siepe e anche i moscerini spiaccicati, in modi molto scenografici, dovette riconoscere, sul suo parabrezza.

Finalmente il cancello degli Altieri si riaprì, e stavolta si affacciò il muso di una BMW nera. Donnie lanciò con forza il mozzicone nell’erba, si calò sugli occhi gli occhiali da sole, e strizzò fuori dallo sportello la manica di lino della giacca, appena utilizzata per detergersi la fronte. Con un movimento deciso, girò la chiave, e Carolina sembrò fremere di eccitazione all’idea di un nuovo inseguimento.

Chi cazzo era che gli suonava in quel modo??!! Non sapevano che lui era impegnato in una pericolosissima missione in incognito?!

“E tojete, a’ stronzo!” lo apostrofò gentilmente il tipo affacciato dal camioncino nero che cercava di uscire dal cancello davanti al quale si era appostato, camioncino sulla cui fiancata spiccava la scritta verde ‘Il giardino di Ettore’,.

“Vaffanculo, cassamortaro per vegetali!” rispose lui, con chiaro riferimento al colore del rudere che trasportava frasche e terriccio.

Quando Donnie si voltò di nuovo verso la macchina da seguire, si rese conto che forse quella missione in incognito non era partita nel migliore dei modi; nello stesso tempo, però, decise che non era il caso di buttare un giorno di lavoro… Sebbene seguire Eddie in quel momento fosse un po’ rischioso, gli si mise alle costole, e all’uscita dall’Olgiata, svoltò nella direzione opposta a quella del piccolo Lord. Dopo il lungo studio di TuttoCittà fatto prima di arrivare davanti alla villa degli Altieri, sapeva dove avrebbe potuto riacciuffarlo senza farsi troppo notare.

E così cominciò l’inseguimento. Nei suoi sogni doveva essere qualcosa alla ‘The Blues Brothers’, con la distruzione di una marea di macchine, con corse pazze in mezzo alle scatolette arancioni dell’Atac, lunghi percorsi su due ruote sole, quasi come un cinquantino, ma con lui sempre impassibile, gelido e granitico dietro gli occhiali neri…

In realtà, però, la cosa fu molto più tranquilla… e non riuscì a spaventare neanche UNA vecchietta, magari sulle strisce pedonali (ce ne era voluto, ma alla fine aveva imparato che le vecchiette erano in realtà la specie più pericolosa di tutte, soprattutto quelle armate di bastone…).

E dove diavolo stava andando Eddie adesso? Di nuovo sul raccordo? Ma non sapeva che c’erano i lavori per la terza corsia tra Cassia e Aurelia? Sarebbero stati in fila per ore… quasi quasi ora gli telefonava e gli suggeriva una soluzione più cristiana! Con quei problemi all’impianto dell’aria condizionata, la prospettiva di starsene incolonnato sotto il sole di Luglio non era esattamente ridente! E poi quello scervellato doveva proprio scegliersi un albergo all’Eur per soddisfare i suoi bollenti spiriti? Fra l’altro… come si faceva ad avere dei bollenti spiriti, con quel caldo?

In ogni caso, uscirono… SULLA ROMA-FIUMICINO!!! Incredibile, sarebbe anche riuscito a rivedere ancora una volta gli splendidi cartelloni con la pubblicità di quel figone di un investigatore…

Ah, lo sapeva che avrebbe girato di là… tutto secondo i piani: era proprio diretto all’alveare dei tradimenti. Portò la sua Ritmo gialla verso l’ingresso secondario, in modo da passare inosservato, poi, dopo aver aspettato il tempo necessario per fumarsi una sigaretta (no problem, avrebbe smesso di fumare di nuovo subito dopo), si avviò verso la reception.

Dopo aver fatto due giri completi all’interno della porta girevole, e dopo essere stato cortesemente tirato per un braccio all’interno dell’albergo dal facchino in livrea nera e oro, si ritrovò finalmente davanti al bancone del portiere. Prese la mira e schiacciò il bottone per richiamare l’attenzione del vegliardo.

“Johnny – lo apostrofò, dopo aver cercato di ricordare se il nome fosse Giovanni o Marcellino, e aver optato per il primo dei due – quant’è che ci conosciamo, noi due?” e nel dirlo si calò gli occhiali sul naso, guardando la mummia dal basso verso l’alto.

“Mi chiamo Ludovico…”.

“Dettagli, dettagli… Ludy, stammi a sentire – e fece scivolare una banconota da venti sul piano di legno –Hai visto quel tipo sospetto che è entrato qui dieci minuti fa? Beh, sai cosa mi serve”.

L’altro guardò sdegnosamente l’offerta, piegandosi poi a sistemare i fiori nel vaso sulla destra.

Cavolo!! Con l’euro era aumentato proprio tutto! Donnie tirò fuori il portafoglio, aggiungendo quattro pezzi da cinque al bigliettone già estratto.

Scuotendo la testa, Ludy si fece scivolare in tasca i soldi, poi, porgendogli una carta magnetica, gli disse:

“La prossima volta questo non basterà. Ti aiuto solo perché ci conosciamo…”

Donnie gli strizzò un occhio: il tipo abbaiava, abbaiava, ma non mordeva. E poi non facesse tanto lo schizzinoso: c’erano persone che gli avevano fatto gratis servizietti ben più soddisfacenti!

Senza togliersi gli occhiali neri, e stringendosi nella giacca di lino, si inerpicò per le scale antincendio. Un investigatore che si rispetti non usa mai l’ascensore, come diceva sempre l’insegnante di 101 trucchi per l’investigazione (non sarebbe mai riuscito a ringraziare abbastanza la madre per avergli regalato quel corso con i punti dei gialli Mondadori)! Comunque, agile e silenzioso come un gatto, utilizzò la chiave magnetica per entrare nella camera accanto a quella del suo pollo, stanza che sarebbe stata il suo quartier generale per la mattinata. Buttò con noncuranza la tessera sul letto matrimoniale, mancando il bersaglio, e poi uscì sul balcone, scavalcando la balaustra per raggiungere quello contiguo.

Perfetto! La finestra era socchiusa… Appoggiò la borsa con la preziosa strumentazione di precisione, made in CCCP, sul pavimento del terrazzo, poi montò il treppiede e posizionò l’obiettivo. Sarebbe stato un gioco da ragazzi!

Un paio d’ore e un bel po’ di scatti dopo, e non prima di aver anche approfittato della camera – quartier generale per farsi una doccia (che male c’era? Faceva caldo, e Donnie lo Stallone doveva essere sempre fresco come una rosa!), il detective raggiunse di nuovo Carolina, e, sistemando tutto l’armamentario tecnico nel portabagagli, si mise in cammino verso casa.

Con un bel ghigno soddisfatto pensò a come stava procedendo l’indagine: come aveva previsto praticamente dal primo squillo che gli aveva fatto Sofy Rambaldi, al solito si trattava di una storia di corna. Il marito, Eddie nome chilometrico, doveva essersi da tempo stufato della compagnia di quel cadavere bianchiccio della moglie, e aveva trovato qualcosa di molto più soddisfacente in quel bel pezzo di carne con cui se l’era spassata per ben due ore in un albergo a cinque stelle circondato da campi da golf. E come dargli torto? Quei due sembravano divorati dalla passione… e probabilmente le immagini impressionate sulla pellicola fotografica che riposava nel vano posteriore della sua Ritmo gialla sarebbero state qualcosa da infarto per la dolce mogliettina. Chissà che la tipa non riuscisse finalmente ad uscire, come diceva sempre nonna Ada, dal mondo di Parapalla in cui era sempre vissuta. Era bello stare nella bambagia, protetta da tutto, ma ogni tanto era anche… salutare? Sì, diciamo che salutare era la parola giusta, anche un risveglio brusco.

Mentre, fermo al semaforo, Donnie stava considerando che in altri cinque giorni di lavoro avrebbe avuto un dossier completo su Eddie nome chilometrico, e avrebbe chiuso il caso, il telefono suonò, e nel caldo afoso del Luglio romano, Donnie rabbrividì: non poteva sbagliare, erano proprio le note di ‘Fatti mandare dalla mamma’…

Con la mano tremante, spinse il tasto verde:

“So’ mamma, Donato! Mai che te fai sentì co’lla tu’ vecchia, eh?! T’ho preparato er pranzo… ‘e pappardelle, ‘a lasagna e ‘e patate ar forno” cominciò a urlargli nel telefono la genitrice.

Ecco, c’era da dire che diverse cose di sua madre lui riteneva di non condividere al 200%: prima di tutte il fatto che questa donna avesse avuto il coraggio di andare all’anagrafe e chiamarlo ‘Donato’, e di continuare ad apostrofarlo in questo modo, per di più! Quante volte, quando era piccolo, gli altri bambini lo avevano preso in giro urlandogli ‘A Stallone Donato non si guarda in bocca’? E le maestre che ridevano…

Una volta, la stessa squallida battuta l’aveva fatta anche il suo dentista, e la madre aveva reagito piegandosi in due dalle risate! Poco c’era mancato che si giocasse contemporaneamente la vecchia e due molari, quella volta!

“A Ma’, ‘o sai che mo’ me chiamo Donnie!” le ribadì per l’ennesima volta, scivolando come d’abitudine nel modo di parlare adottato in famiglia.

“Te chiami Donato, popio come tu’ bisnonno. E parlamo de’ cose serie: passi a pranzà a ccasa?”

La seconda cosa che Donnie non comprendeva della madre era il fatto che, nel mezzo dell’estate più calda dai tempi di Riù, ritenesse un pasto leggero e rinfrescante lasagne, parmigiana, salsicce, arrosto d’agnello, carciofi alla giudìa e patate al forno. Ovviamente, secondo la sora Amalia, l’insalata era erba del diavolo. Ed ecco dove andavano perse le ore passate da Donnie a sbuffare sulla cyclette, al tavolo da pranzo della madre!

“No, nun posso venì. A me li sordi mica me piovono dal cielo… ho da lavorà!”

“A Donato! Nun scherzà, che so’ tu’ madre e te conosco. Alle due te faccio trovà tutto pronto, cardo cardo…”.

“MAMMA!” provò a fermarla.

Ma lei aveva già attaccato.

Chissà perché quella donna riusciva sempre a tirar fuori il peggio di lui.

Mentre faceva inversione, lanciando il muso della sua Ritmo gialla, interni in radica, verso Montesacro, dove sua madre si era ritirata dopo aver venduto per una cifra da capogiro il buco di Campo de’ Fiori, i pensieri di Donnie lo riportarono a quando, ragazzino delle scuole medie, aveva deciso che Donato non sarebbe più stato il suo nome, e che lo Stallone si sarebbe fatto strada nella vita. Nessuno lo avrebbe più preso in giro, nessuno lo avrebbe più guardato con superiorità. Davanti al nastro ormai consumato di Rocky 1, il primo, unico e vero Rocky, Donnie aveva deciso che, così come il protagonista del film, anche lui avrebbe raggiunto il successo.

Aveva americanizzato il nome, aveva cominciato a bere succo d’arancia (a essere sinceri, era stata la soluzione di ripiego quando non aveva avuto lo stomaco di sgargarozzarsi, alla Rocky, venticinque uova crude), aveva abbandonato la pasta per le bistecche, e si era iscritto nella palestra di Body Building. Qualcuno aveva osato mormorare che lui avesse muscoli e poco cervello, ma quei muscoli gli erano valsi la fama di duro, e il cervello lo aveva tirato fuori quando era stato il momento giusto, e cioè quando aveva letto, sul giornale del tipo che gli era seduto di fronte in metropolitana (fermata Vittorio Emanuele, gli pareva... sì, sì, la metro si era appena svuotata a Termini), prendendo appunti sul biglietto timbrato tre volte, l’annuncio del corso che avrebbe segnato la svolta decisiva della sua vita: 101 modi per sniffare una pista.

Veramente bei tempi, quelli! Il corso non sembrava aver molto a che fare con l’investigazione, a dire il vero, ma, in quelle notti un po’ allucinate, lui aveva avuto una folgorazione e finalmente aveva capito che il vero sogno di Donnie Stallone era entrare in polizia!

All’inizio non è che avesse avuto proprio le idee chiare (era partito con l’idea di fare il cane antidroga: probabilmente nessuno ci aveva mai pensato, ma, cavolo, quei quadrupedi codamuniti sniffavano gratis!), poi aveva capito che il privato offriva più possibilità (5 volte lo avevano bocciato all’esame per carabiniere, 3 a quello per vigile urbano, e 7 a quello per la polizia. Incapaci!), e così aveva cominciato a seguire i corsi del professor Dylan Cat, al secolo Antonio Scicolone, per diventare investigatore privato.

E tredici mesi prima, dopo quattro anni di duro studio, aveva finalmente ottenuto la licenza.

Donnie sorrise, ricordando quel giorno: era stata davvero una soddisfazione raggiungere quell’obiettivo… ricordava ancora il fotografo all’angolo che lo aveva immortalato mentre ritirava il diploma dal professor Cat, che per l’occasione aveva sfoderato una divisa da Chips; la madre che piangeva, orgogliosa, mostrandogli la foto di nonna Ada, scomparsa già da un paio d’anni, e poi gli amici del quartiere, i compagni di corso… ma la cosa più bella era stato il festeggiamento successivo, quello che avevano fatto insieme lui e Jimmy.

Imboccando la Nomentana, pensò a quando si erano conosciuti: era stato circa due anni prima, in un momento critico della vita di Donnie Stallone…

Il corso ‘101 modi per riconoscere un travestimento’ lo aveva visto fallire quattro domande su cinque, nel tostissimo esame finale, e il ‘101 tecniche per scassinare una porta’ non era cominciato meglio, visto che tre grimaldelli su tre gli erano rimasti incastrati dentro le serrature di prova, e, per di più, tornando a casa non era neppure riuscito ad aprire il portone usando la chiave legittima. Insomma, così come era successo anche a Rocky, in quei giorni stava vivendo un momento di incertezza, non era più neanche sicuro che diventare un investigatore privato fosse la sua vera strada. Sentiva che gli era venuta a mancare la spinta che gli aveva fatto affrontare impavidamente tutte le difficoltà precedenti, e cominciò a pensare di lasciar perdere.

Attraversando tutta Roma a bordo del suo Ciao bianco, si trascinava stancamente nel suo lavoro di Speedy Boy senza più mettere entusiasmo neanche nella consegna della Pizza Viagra, la pizza piccantissima che tante aperture gli aveva dato con i clienti che la ordinavano.

Era ormai quasi terminato il turno di quella calda serata di inizio ottobre quando si accorse che l’ultima consegna era sull’Aventino.

Gli piaceva quella zona, gli piaceva che nel centro di Roma si trovasse tutto quel verde. Trovato il numero giusto, suonò e una voce gli disse di salire all’ultimo piano.

Gli veniva da sorridere a pensare come quell’incontro fortuito avesse cambiato tutta la sua vita!

La porta si era aperta e… ed era comparso Camillo.

Dopo l’iniziale sorpresa, il suo fiuto da investigatore gli suggerì immediatamente il sospetto che non potesse essere quel golden retriever ad avergli ordinato la pizza e ad avergli parlato al citofono. Ma il mistero si infittiva… chi era stato, allora?

E improvvisamente dalla portafinestra aperta, con le tende agitate dal vento a formare una specie di sipario, comparve Lui, l’unico uomo che avesse mai fatto balzare in petto il cuore di Donnie…

Il suo Jimmy.

Alto, sebbene non quanto lui, i capelli biondo scuro, gli occhi chiari e quell’aspetto etereo che lo aveva stregato da subito.

Lì, con la pizza in mano, il quasi detective era rimasto a bocca aperta, e solo le zampacce di Millo sulle cosce riuscirono a riportarlo alla realtà…

“Viagra o Tradizionale?” si ritrovò a chiedere, ricordando le ultime pizze rimastegli.

E le prime parole di Jimmy… quanta poesia!

“Mai avuto bisogno di pasticche per l’alzabandiera…tu sì?” e lo aveva guardato in modo da farlo sciogliere.

In effetti, dopo quasi due anni, ancora non aveva capito bene cosa avesse voluto dire il suo amore, comunque era stata l’apertura giusta. Avevano diviso in tre le ultime due pizze, e, dopo una rapida carrellata comprendente nomi di battesimo, preferenza tra letto, divano o pavimento, e la classica indagine sul ruolo attivo o passivo, i due erano subito arrivati ad una conoscenza più profonda.

Il tutto sotto lo sguardo piuttosto annoiato di Millo, che nell’appropinquarsi del momento topico aveva anche deciso di lanciare sulla schiena di Donnie un pallone sgonfio viscido di saliva.

Ecco, a Donnie non era mai dispiaciuto sperimentare qualche piccolo giochetto semi-innocente per aumentare il coinvolgimento passionale, ma quella cosa viscida era stata impressionante: non l’avrebbero accettata neanche al reparto Famolo Strano di ‘Fruste e Peluche’, il negozio che Anemone, prima della trasformazione suo compagno nella squadra di rugby nei terribili Falchi di Centocelle, aveva aperto a Torre Angela.

In ogni caso, ogni volta che adesso vedeva una pizza non poteva trattenere il sorriso pensando a quella sera. In quelle settimane Jimmy aveva continuato a chiamarlo, ripassando almeno tre volte l’intero menu di Pizze a Motore, e ogni volta avevano trovato nuove scuse per prolungare il tempo passato insieme.

La presenza di Jimmy, sempre con il pc acceso in un angolo del soggiorno, perennemente alle prese con qualche correzione dell’ultimo minuto al suo lavoro, aveva fatto venire a Donnie voglia di impegnarsi di più nello studio. E così aveva superato quasi di slancio le difficoltà di 101 tecniche per scassinare una porta, e, grazie ai consigli e alla pazienza di Jimmy, aveva portato a termine anche gli ultimi moduli.

 E la sera del diploma era stata una festa per entrambi. Prima Jimmy gli aveva fatto trovare la catenozza d’oro massiccio che lui aveva puntato per gli ultimi sei mesi sul fondo del bicchiere di Frascati del ’99, rischiando di diventare responsabile di una sua lenta morte per strangolamento; poi, vestiti solo con la suddetta catena, i due avevano deciso di festeggiare in maniera un po’ più intima.

Distratto da immagini piuttosto piccanti, per poco Donnie non finì sul cinque piotte verde bottiglia fermo al semaforo… insomma, ma ci si può fermare sul giallo?! Lo sanno tutti che si passa per almeno altri cinque secondi, scattato il rosso…

“E passa, lumacone, ‘a guera è finita!” urlò, sporgendosi sopra al vetro.

“A purcino – gli rispose il vecchio, dopo aver ammirato il colore della sua Carolina – Sta’ carmo che te piji pure un par de schiaffi!”

“E io te pijo a pizze!”

Mai far avere all’altro l’ultima parola, questa era una regola imparata all’asilo. A quel punto scattò il verde, e lui lanciò la Ritmo gialla accanto al cinquino, togliendosi la soddisfazione di superare l’orrido bradipo strombazzando allegramente.

Ed ecco che finalmente era arrivato a Montesacro: girò a vuoto un po’ di tempo, cercando di trovare un parcheggio in una fila più prestigiosa della quarta, e poi decise che tutta quella gente ferma alla fermata dell’autobus meritava di essere intrattenuta con lo spettacolo del suo bolide, e così parcheggiò Carolina nelle strisce gialle riservate ai mezzi pubblici. Perfetto!

Con un salto degno del miglior detective privato americano, zompò fuori dalla Ritmo, e, dopo aver rivolto un breve inchino al pubblico fermo in adorazione, si avviò verso il palazzo-alveare della madre.

“DONATO! Vieni dentro, che fuori fa freddo!” lo spronò la voce dal citofono.

Lui scosse la testa, asciugandosi la fronte con un fazzoletto di carta: fuori faceva freddo?! A occhio e croce c’erano quaranta gradi! Dopo aver rinunciato all’ascensore con nonna, mamma, carrozzina, pupattolo e cagnolino pulcioso, e dopo aver ansimato per cinque piani di scale, ripetendosi che era inutile smettere di fumare se poi si continuavano ad avere attacchi d’asma per pochi gradini, arrivò finalmente al pianerottolo giusto. Suonò il campanello, ammirando le decorazioni natalizie rimaste lì dai festeggiamenti del 2000, e finalmente le sue orecchie furono trapanate dalla delicata voce materna:

“JE L’HAI FATTA ‘A ARRIVA’! Sbrigate, che le lasagne so’ appena uscite dar forno!”

Donnie, alzando gli occhi al cielo, passò in bagno a lavarsi le mani, e poi si sedette al tavolo di cucina con la madre. Cavolo, quella stanza ‘era’ il forno!

“Fatte guardà: te trovo sciupato! Me magni abbastanza?! – poi la donna scosse la testa – Te devi trovà ‘na brava regazza, Donà, devi mette la testa a posto. Tu’ madre sta a divennà vecchia, e so’ l’unica in tutto er condominio a nun avé neanche un nipotino. Me voi fa’ sorpassà pure dalla sora Gina? Pure quer rospo d’un aborto mancato de su’ fijo presto avrà un regazzino. Pare ch’abbia ingravidato ‘na polacca, ‘na furbona che ll’ha incastrato ben bene!”

“A ma’, t’ho già detto che ho altro pe lla testa che non le ragazze…” si lamentò lui, decidendo che l’unico modo per scoraggiare quella conversazione era affondare la forchetta nella lasagna.

“Sè, sè… speramo bene, Donatino mio!” e la donna, dopo aver alzato lo sguardo al cielo, e aver borbottato per qualche altro secondo, si lanciò nel racconto degli ultimi pettegolezzi del quartiere.

Alle sei, finalmente, Donnie riuscì ad uscire dall’appartamento della madre. L’unica cosa che lo metteva di buonumore era che probabilmente non ci avrebbe rimesso piede per almeno un’altra settimana. Che cavolo, quando faceva così quella donna era impossibile!! Doveva assolutamente trovare il modo di spedirla a Ostia per un mese, o magari a Ladispoli. Fra l’altro, prima o poi avrebbe dovuto spiegarle che, data la situazione, era molto difficile che lui avesse dei figli a breve.

Anzi, gli sarebbe davvero piaciuto presentarle Jimmy! Era sicuro che a lui sarebbe piaciuta, che avrebbe capito… Jimmy era in gamba, e lui non si era mai sentito a disagio, nonostante le loro differenze.

******

Ripresosi con una siesta durata fino alle nove, finalmente ristorato dopo quella lunga giornata di lavoro, nonché dall’incontro con la madre, Donnie decise che avrebbe aspettato il mattino successivo per portare le fotografie a sviluppare. Per fortuna che Totò sapeva del suo lavoro di investigatore e da tempo ormai non sollevava più neanche mezzo sopracciglio di fronte alla creatività e alla unicità di certe pose che solo lui riusciva a cogliere durante i servizi fotografici…

E’ vero, c’era voluto del tempo per dirozzare il fotografo ed introdurlo al fascino delle immagini ‘senza veli’, ma il discepolo, dopo la riottosità iniziale, aveva poi superato il maestro, e ora la prima fonte di guadagno di Totò era diventata la realizzazione di book artistici, quelli di cui Anemone curava la scelta dei soggetti e poi la distribuzione nel suo Fruste e Peluche.

Sì, Donnie era un vero dono del Cielo praticamente per tutti i suoi conoscenti.

Dopo aver combattuto a suon di pugni con lo scaldabagno di nonna Ada, quel rudere arrugginito che da quando era uscito dalla fabbrica, nel lontano 1903, aveva deciso di funzionare in tutto cinque volte, si fece una doccia gelata (poco male, aveva letto dal barbiere che Paul Newman era rimasto quel figone che era proprio per la sua abitudine di farsi docce fredde ogni mattina) e saltellando per riscaldarsi, decise di indossare jeans e polo fucsia per andarsi a prendere un gelato da San Crispino, uno dei suoi riti estivi da quando ci aveva incontrato Paulo Roberto Falcao, l’ottavo re di Roma, appena dieci anni prima.

Eppure non riusciva a distrarsi dal caso Rambaldi. E’ vero che ormai certe situazioni erano diventate una routine per lui, ma questa volta sembrava proprio che la sua cliente potesse aprirgli la strada verso qualcosa di più, potesse ampliare i suoi orizzonti. Chissà, magari il detective Donnie Stallone sarebbe riuscito a far conoscere il proprio nome nella crème della società romana… qualsiasi tradimento da Trinità dei Monti a Viale Parioli sarebbe passato per le sue mani, milioni sarebbero finiti nel buco del materasso di nonno Ercole, e anche se un po’ la prospettiva lo spaventava, tutto questo aveva anche il fascino e il brivido di una nuova sfida.

Una sfida che si preannunciava con conseguenze strabilianti.

Saltando a bordo della sua Ritmo gialla, si fece però una promessa: qualsiasi cosa gli fosse successa, lui avrebbe cercato di mantenersi con i piedi per terra, sarebbe rimasto sempre se stesso.

Ok, se la fortuna avesse girato dalla sua parte ci sarebbero stati dei cambiamenti esteriori, ma dentro sarebbe rimasto il Donnie di sempre, quello che, quando incontrava i ragazzini davanti al portone, li prendeva a scappellotti dietro il collo, il gentiluomo che, se c’era un posto solo in ascensore, si guardava bene dal cederlo alla vecchietta del terzo piano, e l’uomo che, quando quel laziale al piano di sotto metteva a palla l’inno dei pecorari, andava al contatore dell’Acea e gli staccava la corrente.

Già, e Donnie sorrise tra sé, lui avrebbe sempre conservato quell’integrità che lo aveva fatto diventare lo Stallone che era.

Trascorse la serata con gli amici del vecchio Commando Ultrà Curva Sud, a ricordare i bei tempi dello spareggio della Lazio per evitare la serie C, e poi, tornato a casa, ingollata l’ultima birretta digestiva, cadde ancora vestito in un sonno comatoso cullato dalla voce dei vecchietti che giocavano a tresette sul terrazzo di sopra.

La mattina dopo, verso mezzogiorno, e quindi esattamente un’ora prima che il primo occhio potesse anche solo pensare di aprirglisi, il suono trapanante del suo cellulare si impegnò per circa mezz’ora per farlo tornare in vita.

Snocciolando in quattro lingue diverse le duemila parolacce che conosceva, e sempre senza aprire gli occhi, il detective riuscì a raggiungere la ferraglia infernale. Incerto tra rispondere o buttare per terra quello strumento del diavolo, decise che non se ne parlava proprio di mollare altre trenta carte per un nuovo apparecchio a quel ricettatore incallito del Mago di Sora.

“PRONTO!!” ringhiò nel ricevitore.

“Detective Stallone?”

No, non poteva essere di nuovo la Rambaldi… non era possibile, quella era passibile di denuncia per persecuzione continuata!

“La chiamo in un momento sbagliato?” continuò la donna, con tono incerto.

Aveva la rispostaccia adatta proprio sulla punta della lingua, ma qualcosa, probabilmente una visione improvvisa dei sedili di Carolina, bloccò il suo ‘MAVVAF’, trasformandolo come per magia in un: “Sophy... posso fare qualcosa per te?” sibilato a denti stretti.

Lunghi secondi di silenzio all’altro capo del filo. Che la tipa lo avesse pure chiamato per non dire niente?! Doveva essere una di quelle donne con un rapporto simbiotico con il telefono, ed evidentemente era arrivata alla D di Donnie, sulla sua rubrica formato Pagine Gialle.

“Ecco… volevo sapere se aveva scoperto qualcosa”.

Finalmente la pazzoide era riuscita a tirar fuori il fiato!

“A proposito di che?” Donnie stava cercando il saccottino al cioccolato che era sicuro di aver visto nascosto appena qualche settimana prima dietro una scatola di pipe rigate, risalente al corredo della bisnonna Adele. In una situazione del genere non poteva certamente spremersi il cervello per stare dietro alle farneticazioni della sua cliente.

“Beh… a proposito di mio marito! Volevo sapere se era riuscito ad individuare il ricattatore… sono molto preoccupata, Edoardo sembra sempre così stanco quando torna a casa e io non so più come aiutarlo…”

E certo che il maritino tornava stanco! Con quello che Donnie aveva fotografato si poteva candidarlo per un numero da contorsionista al Circo di Moira Orfei.

“Sophy, Sophy… la situazione è perfettamente sotto controllo. La mia etica professionale mi impone però di avere in mano un dossier completo prima di discutere la conclusione del caso - cominciò a rispondere distrattamente, mentre il mistero del saccottino al cioccolato diventava sempre più fitto – Ancora qualche giorno, e risolveremo la situazione. Sono sicuro che riuscirai a sopportare ancora qualche ora di attesa, vero? Siamo a buon punto, fidati”.

Attraverso il telefono gli arrivò un sospiro:

“Donnie, se lei sapesse che situazione sto vivendo… so che non dovrei annoiarla con i miei problemi personali, ma deve sapere che…”

Donnie sollevò gli occhi al cielo, lanciando contemporaneamente il telefono acceso sul letto, e si alzò per andare a caricare la macchinetta del caffè. Se quella pazza pensava di aver chiamato il Telefono Cuori Infranti si era sbagliata di grosso! Non ci mancavano che le confidenze all’alba dell’una di una mattinata lavorativa.

Dopo essersi bevuto il caffè, aver scartato con agilità la scatola dei corn-flakes, che doveva aver comprato circa un anno prima in un momento di annebbiamento mentale, ed essersi invece completamente immerso nel barattolo di Nutella da due chili, decise che, prima di farsi la doccia, poteva anche controllare per un istante la situazione di Sophy:

“….e la Giulia non ci poteva credere quando le ho raccontato che…”

Donnie mugugnò un “Hnnnn” di incoraggiamento, e poi abbandonò di nuovo l’apparecchio, andando ad aprire l’acqua e sperando che stavolta venisse calda… va bene Paul Newman, ma era stufo di diventare blu dal freddo. Prima di entrare nel box, però, tornò ancora una volta al telefono.

Rumori sospetti… una specie di squittio, se l’udito non lo tradiva. Un topo stava mangiando i fili del telefono?

“Sophy?!” provò a chiedere. Beh, non si sa mai… magari il Grande Topo stava mangiando pure lei.

“Mi… mi dispiace, Donnie, in genere non mi lascio andare così…”

Il suo intuito da detective di razza gli fece capire che gli squittii appartenevano alla tipa.

“Non fare così, Sofia, nessun uomo vale le lacrime di una donna meravigliosa come te…” tentò di illuderla, recitando a memoria la frase letta in un Bacio Perugina appena tre giorni prima.

“Io lo amo… ho così paura che si stia allontanando!”

Donnie scalpitava per l’ansia di interrompere quel fiume di confidenze: perché questa donna aveva deciso di metterlo in imbarazzo? Cosa le aveva fatto di male? Ancora niente!

“Senti Sofia… adesso devo proprio lasciarti. Mi si sta bruciando il latte… mia madre è in ospedale… ho un cadavere sul pianerottolo… sta andando a fuoco la casa… COME?! HAI DETTO QUALCOSA?! Non ti sento più, NON C’E’ PIU’ CAMMMMMP…”.

Peccato, pensò schiacciando il tasto rosso sulla voce della donna, quella comunicazione così interessante si era interrotta…

Pur ritenendo il caso ormai chiuso, l’importanza della cliente gli fece però decidere di continuare le indagini. Sapeva bene di avere in mano le prove del tradimento di Mr Nome Chilometrico, ma visto che in quei giorni non aveva altro da fare, data l’impossibilità di trascorrere tutto il suo tempo con Jimmy e Millo, poteva anche permettersi di continuare il pedinamento, sebbene blandamente, e di trascorrere gli intervalli di tempo liberi insieme ai suoi amici.

Dopo aver controllato l’ora ed essersi accorto che, tra una cosa e l’altra, erano arrivate le cinque del pomeriggio, e dopo aver dato una rapida occhiata all’agenda delle attività di Edoardo Altieri Tedeschi, Donnie decise di dirigere la prua del suo bolide verso il Circolo Canottieri, dove sembrava che il tipo si allenasse a tennis.

Facendo le corna, così come da rito, passando davanti a Regina Coeli, proseguì verso il lungotevere Flaminio, soffiando con prontezza un posto appena liberatosi ad almeno altre tre macchine che aspettavano in fila. Alle poderose botte di clacson reagì con il suo solito aplomb, mostrando il dito medio; poi, dopo aver assicurato il suo gioiello con il Bullock, saltò fuori dalla macchina scoperta, controllando quindi che gli sportelli fossero ben chiusi (chissà che qualcuno non decidesse di scassinarglieli per entrare), e finalmente, spingendosi gli occhiali neri sul naso, scese le scale che portavano al Circolo Canottieri.

Aveva sempre detestato quel genere di ambiente. Quei tipi in polo bianca e sacca sulla spalla gli erano sempre sembrati di una razza diversa, infida. E poi tante storie dietro a una pallina… se fosse stata quella del bowling, oppure quella del biliardo, avrebbe anche potuto capire, se si fosse trattato del flipper o del biliardino avrebbe addirittura potuto apprezzare, ma così, a correre come disperati su quel campo polveroso, sembravano veramente dementi.

“Signore… l’accesso è riservato ai soli soci. Potrebbe mostrarmi la sua tessera?” gli chiese una biondina, mostrando una chiostra di denti finti come la collana di perle di nonna Ada.

“Shhhh” le sibilò lui, calandosi gli occhiali verso la punta del naso “Non vedi che sono in incognito?”

“Signore, la tessera” insistette la tipa, evidentemente piuttosto dura di comprendonio.

Lui infilò la mano nella tasca posteriore dei pantaloni, presentandole quindi il distintivo di investigatore privato.

“Grazie per l’invito, ma non è il mio genere di film” gli replicò la sciacquetta, mostrando chiari segni di dissociazione mentale.

Quando Donnie voltò la mano, però, si accorse di averle mostrato la tessera di socio Platinum del cinema a luci rosse di  Piazza Zama, quello che si vantava di importare solo la migliore produzione internazionale di film per adulti.

“Te li consiglio, invece, finalmente potresti fare incontri interessanti” ci mancava solo che lasciasse l’ultima parola a quella dodicenne. Finalmente trovò la tessera giusta, e quindi, con tono cospiratorio, mormorò di essere lì per un pedinamento.

“Venti euro più tre consumazioni obbligatorie al bar del circolo. Prendere o lasciare” gli ribatté la biondina.

Vaffanculo a quel caso e alla Sophy Rambaldi!

Cercò nel portafoglio le banconote più stropicciate e, dopo averle appallottolate ben bene, come non ci sarebbe riuscito neanche Millo, le offrì alla megera, la quale, senza neanche guardarlo, gli fece cenno di passare.

Per prima cosa diede un’occhiata alla fauna del luogo: la maggior parte delle persone stava abbandonata sulle sedie a sdraio, in quella che sembrava l’attività sportiva preferita dai soci del circolo, mentre solo pochi disperati si sfiancavano sui campi in terra rossa.

Cercando di mimetizzarsi in mezzo ai tipi in completino bianco, e riuscendoci perfettamente grazie al suo completo grigio scuro da ferroviere, Donnie si avvicinò con fare circospetto al distributore dei gelati. Visto che tre consumazioni erano obbligatorie, tanto valeva cominciare con qualcosa di fresco.

POSSIBILE CHE NON AVESSERO IL LEMONISSIMO, IL MAGIC COLA O IL CREMINO?

“Signore, non capisco proprio di cosa stia parlando” gli spiegò la tipa dietro il bancone, squadrandolo con sufficienza dall’alto in basso.

Donnie scosse la testa: il suo fascino era fatale, ma certa gente lo metteva quasi in imbarazzo mostrando tanto palesemente la propria ammirazione. Per fortuna che lui era un uomo d’onore e che non avrebbe mai addolorato il suo Jimmy abbandonandosi a storielle senza importanza.

“Dammi un Magnum, allora” si decise, sollevando un sopracciglio.

Lo sguardo della tipa si soffermò a sud del suo ombelico:

“In cerca di compensazioni?”

“Non lo saprai mai, bambola!!” le ribatté senza scomporsi. La ragazza aveva fatto ricorso ad un trucco vecchio quanto la bisnonna Adele: praticamente tutte le pollastrelle prima o poi usavano il gioco della sfida per conquistare le loro prede. Come se lui non lo avesse imparato già all’asilo!

Gelato alla mano, si sedette su una delle sedie di vimini. Cavolo, quelle canne gli stavano facendo diventare il fondoschiena a strisce! Ok, a ore 12 c’era Edoardo Tedeschi che giocava contro un Big Jim biondo, lampadato e con evidenti problemi di coordinazione.

“Accidenti, l’Edo oggi non lascia scampo!” Donnie sentì dire alla sessantenne piazzata a ore 3, la tipa i cui angoli della bocca erano così tirati che si sovrapponevano a quelli degli occhi.

“Però… che gentleman! Se solo non fosse sposato…” ansimò la ragazza a ore 10.07, guardando Mr Nome Chilometrico con evidente cupidigia.

“E guarda che rovescio! E’ sempre così elegante…” rincarò un’altra, posizionata intorno al telegiornale serale, sospirando mentre con la punta del piede dondolava la culla, formato comitiva, con dentro i suoi tre gemelli.

Cavolo, come aveva fatto a capitare in mezzo a quelle galline? Comunque doveva concentrarsi sul lavoro e la cosa migliore da fare era raggiungere gli spogliatoi, cercare di intrufolarsi in quello del marito infedele e rimediare qualche prova ulteriore del suo tradimento. Altro che ricatto! ‘L’Edo’ finalmente doveva aver capito che la sua Sophy era una vera e propria piattola e quindi aveva deciso di servirsi di frutta e dessert ad un buffet ben più interessante.

Vide i due giocatori stringersi la mano sotto rete, e capì che doveva sbrigarsi prima che negli spogliatoi arrivasse qualcuno a disturbarlo.

Armeggiò per qualche istante con il grimaldello infilato nella serratura, poi decise che una spinta decisa era sempre il modo più efficace per aprire una porta, e così fu dentro. Che stupidi a mettere le targhe con i nomi su ogni loculetto… era stato un gioco da ragazzi trovare quella lunga un metro e diciotto con il nome del fedifrago!

Rovistò velocemente nella sacca sportiva: racchetta di riserva, pallette gialle, polsini, asciugamano, bagnoschiuma, shampoo, palline rosse, ricambio, jeans neri, camicia azzurra, palline verdi, portafoglio, chiavi, scarpe modello bowling, palline arancioni…

PORTAFOGLIO??!!!

Donnie si avventò sul pezzo di pelle umana trattata e lo aprì di slancio.

Una marea di carte di credito (solo lui ne aveva una sola, e pure con il pagamento rateale?), una quantità esigua di contanti, la patente di guida, la tessera del club, e…

Una foto.

LA foto.

Donnie sorrise: Sophia era servita, e presto Carolina avrebbe avuto i suoi sedili di ermellino rosso, in perfetto pendant con il giallo della carrozzeria.

Edo si dimostrava comunque un fedifrago di vecchio stampo, visto che nell’immagine compariva lo stesso volto da sballo che Donnie aveva immortalato nelle evoluzioni ginniche di qualche giorno prima. E questo rendeva la situazione molto più semplice per tutti… doveva ammettere che sarebbe stato piuttosto infastidito dal dover tornare dalla Rambaldi con un book fotografico di una squadra da rugby di concorrenti.

Proprio in quel momento sentì dei passi avvicinarsi. Con mossa fulminea di nascose in una delle docce; non poteva assolutamente farsi beccare lì dentro o tutto sarebbe andato in fumo.

“C’è qualcuno?”

Sì, doveva essere proprio la voce di Mr Nome Chilometrico.

Donnie si schiacciò ancora di più contro la parete di piastrelle verde acqua.

Sembrava che il tipo non fosse da solo, per di più, infatti lo sentì dire:

“Mi era sembrato di aver chiuso la porta, ma devo essermi sbagliato”, e poi un’altra voce proporre un appuntamento per una rivincita.

Donnie si spostò leggermente, cercando di valutare le proprie possibilità di fuga. No, a meno di passare tra i due, sembrava proprio che non ci fosse modo di togliersi da quella situazione. Con mossa felina si infilò nel cubicolo degli affari interni, fiducioso di riuscire a passare inosservato… insomma, non era plausibile che il tipo dovesse anche usare il bagno, no? Avrebbe fatto la doccia e se ne sarebbe andato. Sì, doveva essere così, ogni tanto doveva essere fortunato anche lui!

Girò lentamente la chiave. Seppure il tipo avesse avuto voglia di… alleggerirsi, poteva sempre essere credibile che il bagno fosse rotto. Alla stazione Termini era sempre così, mai un cesso che funzionasse correttamente, quindi poteva essere lo stesso anche nel circolo di tennis.

Come aveva imparato nel corso ‘101 mosse per fronteggiare una situazione imprevista’, in certe circostanze bisogna saper usare il cervello. Gli dispiaceva solo non aver avuto il tempo per appendere un foglio di carta con scritto GUASTO. Sarebbe stata la mossa perfetta!

Sentì il rumore di una cerniera, poi qualcosa che veniva appoggiato sulla panca accostata alla parete, e quindi vide, attraverso il buco della serratura, che il tipo si stava togliendo la maglietta.

Possibile che non sembrasse neanche sudato? In effetti gli era già capitato di pensare che dovesse essere una qualche sorta di alieno…

Con l’occhio incollato al piccolo foro, vide che Edoardo Tedeschi afferrava il cellulare… e un ghigno gli si disegnò immediatamente sul viso: anche se il tipo sembrava saper agire con cautela, questa volta stava cadendo in trappola, e la cosa stava ancora una volta volgendo a suo completo vantaggio.

“Rispondi, accidenti!” lo sentì mormorare tra i denti.

Se solo avesse portato il Super8 che aveva rimediato nei magazzini di Cinecittà, quella sarebbe stata la prova schiacciante del tradimento. Sofia non avrebbe più potuto aver dubbi e il caso sarebbe stato risolto.

Riuscì però a sentire anche attraverso il buco della serratura la voce entusiasta dell’operatrice comunicare che il numero chiamato non era raggiungibile. Ok, questo gli faceva rimpiangere meno di non essersi portato dietro il kit da il mio nome è Bond, James Bond.

Il getto della doccia gli fece capire che finalmente la strada era libera. Non aveva più nulla da temere… a quel punto l’altro poteva anche vederlo uscire dal bagno, tanto l’effetto sorpresa gli avrebbe permesso di risolvere comunque la situazione. Cercando di non far rumore, e contando sullo scroscio dell’acqua, aprì il chiavistello, spinse la porta e, senza guardare né a destra né a sinistra, uscì dal cubicolo con lo slancio di un tornado…

Mezz’ora dopo, appoggiato alla sua Ritmo gialla, gli interni in radica, Donnie fumava avidamente l’ultima sigaretta prima di smettere definitivamente con quel vizio: accidenti, questa volta era davvero andato vicino a compromettere l’intera indagine! Il rischio che aveva preso si era dimostrato non esattamente calcolato alla perfezione, visto che la tipa del bar aveva bussato contro la porta dello spogliatoio proprio mentre lui stava per raggiungere l’uscita. C’era voluta tutta la sua famosa presenza di spirito per fare dietrofront, ignorare lo sguardo stupito del Tedeschi ancora sotto il getto dell’acqua, e calarsi dalla finestra aperta. Certo, avrebbe potuto giocare la carta dell’idraulico intervenuto per un guasto improvviso, ma la ragazza avrebbe potuto mangiare la foglia... La fuga attraverso la finestra, sebbene non proprio dignitosissima, era servita ottimamente allo scopo.

Donnie sbuffò una nuvola di fumo bianco. Ormai gli elementi a disposizione li aveva tutti. Tornato a casa si sarebbe fatto una doccia, avrebbe sentito le ultime novità del calcio-mercato della Maggica dalla viva voce di Marione e Pato, e poi avrebbe tirato fuori dal ripostiglio la vecchia Olivetti, la macchina da scrivere che gli aveva regalato l’ex amministratore dello stabile, quello che ora stava a Rebibbia per essere fuggito con la cassa comune, e avrebbe cominciato a stendere un resoconto delle indagini.

In genere questa era l’attività più noiosa: lui era un uomo d’azione, aveva sempre odiato scartoffie e grammatica, però nel corso 101 modi per avviare una Agenzia vincente era detto a chiare lettere che la parte amministrativa non andava assolutamente trascurata.

Sdraiato sul letto, con solo un asciugamano intorno alla vita e una mela in mano, cominciò a tirar fuori dalla cartella in cui le aveva archiviate tutte le prove del caso Rambaldi.

Proprio in quel momento si accorse che era ormai sera e si stupì di non aver ancora ricevuto neanche uno squillino da Jimmy. Prese il telefono e si accorse di averlo lasciato spento: doveva sicuramente averlo disattivato prima di entrare nel circolo di Tennis, per non essere disturbato in un momento topico per le indagini. Spinse il bottoncino dell’accensione e quasi immediatamente comparve la letterina ad indicare la ricezione di un messaggio… era Jimmy!! Lo aveva chiamato esattamente alle sei e dieci, e lui non aveva risposto! Si sentì avvampare per la vergogna: Jimmy lo aveva cercato, poteva aver avuto bisogno di sentire la sua voce in un momento di scoramento, e lui non era stato presente.

Spinse il pulsante della chiamata rapida, e poco dopo sentì squillare.

“Jimmy!” invocò non appena sentì la voce dell’amato rispondere alla sua chiamata “Ti sono mancato? Stavo lavorando e avevo il cellulare spento…” tentò di giustificarsi.

Come sempre il suo amore si mostrò molto comprensivo, e presto furono completamente rapiti dalla conversazione sussurrata e inframmezzata di affettuosità che doveva portarli ai “Buonanotte Tortorello” e “Buonanotte Passerottino” finali.

Dopo aver chiuso, Donnie si sentì triste ancora una volta per la loro lontananza forzata. Non vedeva l’ora che Jimmy tornasse… aveva tante cose in programma per la loro riunificazione! Gli avrebbe anche presentato mammà, forse, e poi sarebbero partiti per quel viaggio di cui parlavano da mesi. Maledetta la situazione in cui stavano, ma lui era sicuro che presto anche loro avrebbero avuto un po’ di tempo da passare insieme.

Dovette scuotersi ben più di una volta per tornare con i piedi per terra: aveva quel dannato resoconto da terminare, non doveva assolutamente lasciarsi distrarre dal pensiero del suo Jimmy! Alla fine, pensandoci bene, non era poi che non si vedessero da secoli, no?

Tolta la custodia alla Olivetti, si mise al lavoro, deciso a chiudere il caso entro il pomeriggio successivo, visto che la mattina dopo sarebbe andato a ritirare le foto da Totò.

Sapendo bene quale materiale avrebbe avuto in mano, cominciò a catalogare i reperti che avrebbe sottoposto alla Rambaldi, poi fece uno schema delle sue attività durante quei giorni di indagine, riportando la valorizzazione economica vicino a ciascuna voce, raddoppiando ogni spesa e aggiungendoci anche il costo del suo disturbo personale. Scorrendo ancora una volta la lista, Donnie sorrise: forse Carolina avrebbe potuto avere i sedili coperti di visone, visto quanto la Sophy si sarebbe trovata sulla parcella!

Mancava la parte più importante, l’interpretazione delle prove raccolte e le sue conclusioni sul caso. Come sempre quando si trattava di un lavoro di fino, l’improvvisazione era madre della confusione, e così prese lo schema che gli avevano rilasciato al corso 101 modi per spiegare la crescita delle corna, e cominciò a scopiazzare, cercando di aggiungere delle psico-stronzate all’evidenza che il maritino si era rotto ampiamente della moglie cadaverica.

Terminata la sua opera si sentì molto soddisfatto: con occhio critico ripercorse il suo riassunto dei fatti, aggiustando ogni tanto un congiuntivo con un condizionale, poi pensò all’effetto che il tutto avrebbe avuto una volta completo con le foto scattate in albergo e con lo schizzo che aveva abbozzato del Tedeschi al telefono, negli spogliatoi, con la nuvoletta che riportava “Rispondi, accidenti’… Sì, esattamente uguale ai disegni dei processi americani.

E poi, come prova schiacciante, c’era la foto nel portafoglio, una foto che difficilmente poteva essere confusa con quella di Sophy.

Un dossier perfetto, altro che ricattatore! Mentre la moglie si struggeva di preoccupazione, il tipo viveva una vita parallela, in cui della pallida consorte non rimaneva nemmeno l’ombra. Donnie non riuscì a trattenere un ghigno di soddisfazione: non poteva nascondersi che quella situazione gli desse un minimo di senso di superiorità su quella donna che sembrava avere proprio tutto. Già, nel momento in cui le avrebbe rivelato la dura realtà sapeva che lei sarebbe stata molto peggio di lui, una cosa quasi incredibile in condizioni normali.

Tirò fuori il tubetto di colla UHU, preparandolo per il mattino successivo, quando sarebbe andato dal Totò a ritirare le fotografie, e poi decise che quella dura giornata di lavoro era terminata, e che finalmente poteva rilassarsi un pochino con la maratona dedicata a Thomas Millian… sì, proprio er Mondezza: un Uomo, un Modello.

Il giorno dopo, di buon mattino, e cioè verso l’una, Donnie si recò al negozio di Totò per ritirare il malloppo, e, come era prevedibile, scoprì che il risultato delle sue fatiche allettava non poco quel maniaco del fotografo:

“Ehi Donnie! Sicuro che non me le fai usà ‘ste foto? Sono certo – e qui l’occhio critico del professionista tradì un guizzo di autentico apprezzamento – sono certo de avecce la clientela giusta”.

 “Scordatelo” ribatté Donnie, senza distrarre l’attenzione dalle immagini. Valeriuska, la sua macchina fotografica russa, aveva fatto il suo dovere e le foto erano veramente perfette… nitide e limpide che sembrava quasi di essere in tre su quel letto! Per non parlare di quelle nella vasca da bagno, poi…

“Dai, Donnie, in nome dei vecchi tempi! E poi famo 50 e 50, come veri amici!”

“Totò, t’ho detto de chiude quel forno! Non sono in vendita, e sbrighiamoci a regolare che devo tornare a casa a lavorare, IO”.

Il fotografo scosse la testa, lanciando un ultimo sguardo di cupidigia alle immagini che forse sarebbero anche riuscite a vincere il primo premio del concorso ‘Occhio al Dettaglio’, quello del settimanale Zoom Indiscreto.

“Ok, ma te stai a perde un affarone. Contento te… pello sviluppo famo 20 euri e nun ne parlamo più” e Totò allungò la serie completa verso il suo cliente.

“Cinque carte, crepi l’avarizia” rilanciò Donnie.

Dopo una lunga contrattazione come non se ne erano mai viste neanche al bazar di Samarcanda, i due si misero d’accordo per dieci euro e tredici centesimi.

Uscito dal negozio, Stallone emise un sospiro di sollievo: non ci mancava che trovare le foto che aveva scattato su qualche sito a luci rosse! Chissà come avrebbe reagito la Sophy se si fosse trovata in mano una rivista e, a sorriderle dalla pagina patinata, avesse trovato il marito in evoluzioni ginniche con l’amante? Sarebbe stato il colpo finale…

A casa riprese il dossier e attaccò le immagini più significative: il cancello dell’albergo, il portiere, la sua Ritmo gialla, un primo piano di Donnie con gli occhiali scuri e l’impermeabile, e poi, quasi come appendice, il servizio fotografico su Mr Nome Chilometrico. La sua infinita bontà d’animo lo portò ad evitare di inserire la serie di scatti topica, quella che dimostrava chiaramente quanto il Tedeschi se la stesse godendo, e lasciò solo quelle scattate appena prima dei numerosi momenti clou, scrivendoci sotto, con il pennarello, prima volta, seconda volta, e così via fino a dieci. Sì, la delicatezza era uno dei tratti caratteristici di un vero investigatore privato.

Lasciò asciugare la colla UHU, poi infilò la relazione in una cartelletta e finalmente poté fumarsi una sigaretta… come sempre l’ultima prima di smettere definitivamente. Era un rito quello di fumarsi la sigaretta alla chiusura di un caso, un’abitudine che era arrivata a sostituire la fumatina post estasi, visto che Jimmy non sembrava aver troppo gradito l’incendio del materasso del loro letto, una notte che la stanchezza per l’intensa attività amatoria aveva portato Donnie a lasciar cadere il cilindretto incandescente sulle lenzuola.

Jimmy… non vedeva l’ora di poterlo riabbracciare! Erano mesi che non vivevano una settimana come quella, e lui stava cominciando a non farcela più… Guardò il cellulare e sospirò pesantemente: quanto avrebbe voluto sentire il jingle di Goldrake…

Con sofferenza lasciò andare il suo ululato di sofferenza repressa, “ALABARDA SPAZIALE”!

Del resto… cosa altro gli era rimasto da fare?

Da quando Jimmy si era sposato, avevano sempre dovuto vivere dei ritagli di tempo rubati al lavoro e al matrimonio, e Donnie non ne era certo entusiasta, sebbene avesse capito che era una cosa inevitabile e che doveva affrontare la situazione da vero uomo qual era.

Quante serate aveva passato ad ascoltare i mitici Pooh cantare solo per lui ‘L’altra donna’, mangiando Mon Cherie nel vano tentativo di annegare la sua disperazione nell’alcol? Innumerevoli.

Per fortuna, però, non aveva mai avuto alcuna ragione di dubitare dei sentimenti del suo amore, e così, pur soffrendo per tutto il tempo che il legame ‘ufficiale’ di Jimmy toglieva al loro rapporto, aveva imparato a conviverci. Con questo non bisogna credere, però, che lui avesse smesso di sperare che prima o poi la situazione potesse migliorare.

Donnie raddrizzò le spalle e tirò indietro la testa: non era assolutamente il momento giusto per abbandonarsi a quei pensieri… era invece arrivato il momento di chiamare la Rambaldi e fissare l’appuntamento finale.

Formulò il numero sul disco del telefono grigio di nonna Ada e presto il maggiordomo, o chi per lui, degli Altieri Tedeschi lo mise in comunicazione con la Sophy:

“Ha risolto il caso? Non… non riesco a crederci, ho quasi paura!” sussurrò la voce stenta della donna.

“Avevi dubbi, bambo… signora?” si risentì Donnie “Stallone-la-tua-soluzione non fallisce mai!” sottolineò.

La tipa biascicò qualcosa che doveva sicuramente essere una commovente preghiera di perdono, o almeno così la interpretò Donnie, poi si arrivò al dunque, stabilendo ora e luogo dell’appuntamento.

Terminata la conversazione, l’investigatore si sentì leggermente svuotato: ogni volta che terminava un’indagine e consegnava il dossier finale per lui era un po’ come strapparsi un figlio dal petto, ma stavolta c’era anche qualcosa di più, un senso di freddo alla bocca dello stomaco dovuto al fatto che sapeva che ciò che aveva in mano stava per far crollare il mondo di quella donna…

Oddio… non che non se lo meritasse!

****

Passata la nottata, Donnie si svegliò agitato addirittura prima che la scatoletta di plastica suonasse, e cioè alle 14:28. Proprio in quel momento, dimostrando che il loro legame superava qualsiasi barriera, il telefono intonò la sua canzone preferita, e su ‘mille armi tu hai, non arrenderti mai’ Donnie sollevò lo sportelletto:

“Jimmy!”

Parlarono per qualche minuto, approfittando dei pochi istanti che ancora mancavano alla riunione che Jimmy avrebbe dovuto cominciare con ben dieci pezzi grossi del suo studio.

Non era una telefonata programmata e questo lo rendeva ancora più contento, perché voleva dire che Jimmy aveva compreso il suo stato d’animo e che in qualche modo stesse tentando di dargli un po’ di incoraggiamento. E infatti dopo Donnie si sentì più carico, pronto a mettere a punto gli ultimi preparativi per l’incontro con la Rambaldi con la mente molto più libera.

Erano le cinque quando varcò il cancello della villa dell’Olgiata. Sofia gli aveva detto che l’Edo era a lavoro e che quindi non vedeva alcun motivo per non incontrarsi direttamente a casa, davanti ad un tè freddo. Donnie, pur avendo mangiato la foglia, e cioè aver capito che la tipa non si era sentita in grado di eguagliare la sua classe nella scelta dei locali, decise di accontentarla… del resto le stava per arrivare la tramvata, quindi lui poteva anche dimostrarsi un po’ più accomodante.

“Investigatore… entri, prego, la stavo aspettando”.

“Peermeesso” disse lui, mostrando tutta l’educazione che gli aveva insegnato mamma Amalia (i nomi femminili con la A erano una tradizione, in famiglia).

La casa non era male: certo, in qualche particolare poteva ancora migliorare, e lui un paio di suggerimenti per rendere il posto più confortevole ce li aveva. Magari avrebbe potuto portarle quei doppioni di quadretti che nonna Ada aveva preso nella sua ultima vacanza a Monte Porzio Catone, quelli in plastica ceramicata con scritto sopra L’ospite è come il pesce, dopo tre giorni puzza, oppure quell’altra massima che gli era sempre piaciuta un sacco Chi beve per dimenticare, prima si ricordi di pagare il conto, che doveva essere stato il pezzo di pregio di qualche Fraschetta, o ancora Grazie Dio di avermi fatto bello e giallorosso, pezzo di classe che non poteva assolutamente mancare in nessuna casa dotata di un minimo di calore umano.

Per non ferire la donna che gli stava dando lavoro, però, decise di tacere.

Quando si furono seduti, Sofia sembrò non voler perdere tempo; in bilico sull’estremità della poltroncina, lo pressò immediatamente:

“Allora, mi dica tutto: chi è che lo sta ricattando? E perché? Edo… mio marito non è tipo da far male a nessuno, è un uomo straordinario, non riesco a credere che qualcuno voglia o possa rovinarlo!”

Donnie cominciò ad agitarsi sulla sedia: la situazione si stava facendo complicata, e non c’era niente di peggio che dover far cadere il castello di illusioni che una donna era capace di costruirsi per non affrontare la realtà. Nonostante in tutti quei giorni non avesse fatto altro che cercare velatamente di far capire alla sua cliente che doveva guardarsi intorno, di farle notare che le cose erano diverse da come lei credeva, il cetriolo, come si suol dire, era tornato in mano all’ortolano, e su di lui, sebbene incolpevole in tutto quel pasticcio, era ricaduto il compito di rivelare esplicitamente la verità.

 “Sophy, la situazione non è esattamente questa…” cominciò.

La donna rimase a guardarlo, quasi non avesse compreso le sue parole.

Donnie si alzò in piedi e aprì la sua cartella, estraendo uno dei dossier affogati in mezzo a copie ormai storiche del Corriere dello Sport.

“La mia indagine dimostra al di là di ogni possibile sospetto che il pedinato non è vittima di un ricatto, ma che risulta invischiato in qualcosa di molto più… torrido”, questa era una parola che aveva letto la sera prima nelle dispense dei 101 modi per spiegare la crescita delle corna.

Si fermò, vedendo la donna aprire la bottiglietta di pasticche appoggiata accanto alla sua tazza di tè ed ingoiarne un paio. La guardò interrogativo, sebbene non fossero certo necessarie le sue doti investigative per capire che non potevano essere pastiglie per la gola.

“Non è niente… servono per la pressione” mormorò la donna dopo averci bevuto sopra un bicchiere d’acqua.

Ok, era arrivato il momento:

“Stavo dicendo che l’imputato ha una re…”

Vide la sua cliente portarsi la mano sul petto e poi lasciarsi andare pesantemente contro lo schienale della sedia.

“Tutto a posto?” provò a chiederle, pensando in realtà se le foto che stava per mostrarle fossero abbastanza nitide.

“E’ il caldo, il medico dice che è normale”.

“Allora posso proseguire – e Donnie tornò al suo miglior tono professionale – Insomma, dopo una lunga e perigliosa indagine, in cui ho dovuto superare mille ostacoli, rischiare la vita, sfidare l’omertà della gente…ehm, insomma, al termine delle mie investigazioni, il caso si è rivelato diverso da come facevano presagire i pochi elementi inizialmente in nostro possesso”.

Era stato perfetto, non aveva sbagliato neanche una parola.

Si rigirò la cartelletta tra le mani: preparare la sua cliente, e quindi rovinare l’effetto sorpresa, o passarle direttamente la bomba?

Decise di arrivare al punto gradualmente:

“Tuo marito non viene ricattato”

La donna si levò dritta a sedere:

“Oh, signor Stallone, è meraviglioso! Non sa di quale peso mi stia alleggerendo” e la Rambaldi allungò le mani poggiandole sulle sue.

Donnie si ritrasse come punto da una tarantola; perché la tipa stava facendo di tutto per metterlo a disagio?

“Non ho ancora finito – riprese, giocando con gli occhiali – Non viene ricattato, ma le sue assenze, il fatto che ti trascuri sono dovuti alla presenza di un’altra persona nella sua vita. Una persona che sembra importante per lui… se posso osare, una persona che occupa ogni suo pensiero”.

Forse ci era andato pesante, ma era meglio essere chiari, e dire la verità era sempre stata una cosa in grado di dargli la massima soddisfazione.

“Vuol dire che… si vede con qualcuno?” le parole della donna uscirono strozzate, il suo respiro si era fatto irregolare e adesso le dita lunghe e pallide arpionavano il bracciolo della sedia, mentre gli occhi erano diventati grandi e lucidi come quelli di Bambi.

Donnie annuì lentamente. Il momento era importante, la donna pendeva dalle sue labbra e lui si sentiva addosso il potere dell’oracolo.

“E’… più bella di me?” Sofia mormorò, tentando di aprire nuovamente, con le mani tremanti, il tubetto delle pasticche.

Come poteva mentirle?

Donnie annuì ancora.

“Edoardo non ha mai mostrato interesse per nessun’altra!” sembrava proprio che la Rambaldi non riuscisse a capacitarsi di aver perso il marito, ma lui cosa poteva farci? Quella pertinacia gli dava quasi fastidio.

“Sono sicuro che non volesse ferire nessuno…” si trovò a mormorarle, avvertendo perfettamente la poca convinzione nelle proprie parole.

La donna allungò un braccio, e Donnie capì che era arrivato il momento più doloroso. Con un sospiro le passò la cartelletta gonfia delle prove raccolte, e si appoggiò allo schienale della sedia, accendendosi una sigaretta per smorzare la tensione.

L’ultima sigaretta prima di smettere definitivamente, si ripeté.

La vide sfogliare le prime pagine senza leggere neanche una riga di quel saggio che gli era costato ore e ore di fatica, poi l’attenzione della donna sembrò finalmente concentrarsi sui fogli che aveva davanti.

Dall’espressione incredibilmente somigliante a quella di un tricheco con il mal di denti, doveva essere arrivata alle fotografie del Golf Hotel.

La sentì emettere un rantolo soffocato, poi sollevare verso di lui uno sguardo sconvolto, pieno di domande e incredulità…

“Non è possi…” la sentì squittire con una voce acuta e impastata. Lo sguardo poi le tornò, come calamitato, alle immagini che aveva ancora davanti a sé, e dopo un altro miagolio strozzato, ci fu il tracollo.

Donnie la vide accasciarsi sul bracciolo, il dossier scivolarle di lato, sul pavimento.

Balzò in piedi, piegandosi immediatamente su di lei. La scosse per le spalle, tentando istintivamente di farla riprendere, poi la adagiò dolcemente contro lo schienale, passandole delicatamente le mani sugli occhi, quindi scrollò tristemente la testa, continuando a guardare quel corpo ormai inanimato… no, non c’era più assolutamente niente da fare.

Raccolse il dossier e lo infilò nuovamente dentro la sua borsa; non c’era alcuna utilità a far ritrovare quel materiale accanto al corpo della sua cliente, non era assolutamente necessario che qualcun altro scoprisse cosa si nascondesse dietro quel matrimonio apparentemente felice.

Velocemente ripulì e rimise a posto il proprio bicchiere, sistemò anche la sedia, togliendo ogni traccia della propria presenza. Come gli avevano mostrato nei filmati del corso 101 modi per non farsi incastrare, era sempre meglio evitare di ritrovarsi dal lato sbagliato della lampada a 1000 watt nella stanza spoglia di un commissariato.

Attraversò in silenzio la casa vuota, sentendosi stranamente privo di qualsiasi emozione, e si richiuse con delicatezza la porta alle spalle.

Carolina lo aspettava fedele appena fuori del cancello, dietro il grosso cespuglio di oleandri rosa.

Aprì il cofano e buttò dentro il dossier che aveva provocato nella fu Sofia Rambaldi quella reazione tanto esagerata quanto prevedibile, e nell’atterraggio non proprio morbido qualche fotografia scivolò fuori dalla cartelletta.

Donnie sorrise: non aveva approvato la scelta del Golf Hotel sulla Roma-Fiumicino, avrebbe preferito cambiare per una volta, ma alla fine aveva ceduto e tutto era stato perfetto, come sempre.

Diede un’ultima occhiata ai due corpi avvinghiati e rapiti dalla passione e di nuovo si congratulò con se stesso…

Non c’era niente da fare: insieme, lui e il suo Edoardo Giovanni Maria Altieri Tedeschi, per lui solo Jimmy dalle iniziali dei nomi di mezzo, erano semplicemente meravigliosi!

 

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Sono passate due settimane, quattordici interi giorni durante i quali il mio Jimmy ed io ci siamo potuti  sentire solo raramente, brevi conversazioni in codice per assicurarci di star bene e di sopportare lo stress della lontananza con la solita forza.

Sulla morte di Sofia Rambaldi, sposata Altieri Tedeschi, non è stata aperta neanche una inchiesta. Sembra proprio che la sua malattia fosse nota e già destasse preoccupazione in famiglia, quindi l’evidenza dell’attacco cardiaco come causa della sua morte ha fatto sì che non si scatenasse nessun fastidioso sospetto, e questo ha anche fatto sì che il mio nome non venisse fuori… non che ci sia da dubitare sul fatto che sarei stato perfettamente in grado di affrontare con l’impassibilità di un vero giocatore di poker anche l’interrogatorio più stressante!

Accarezzo Millo sulla testa, e non posso fare a meno di sorridere: c’è voluto tutto il genio del cervello di Jimmy per organizzare questo piano perfetto, e tutta la mia prontezza atletica e abilità di attore per metterlo in atto (sono sicuro che in questo momento Humphrey, ovunque sia, mi stia guardando con approvazione), e adesso io e il mio amore siamo di nuovo insieme, senza più mogli di troppo e con in più una bella eredità, il che non guasta. Quello che è importante è che finalmente non ci saranno più giorni di festa da passare separati o incontri clandestini in squallidi alberghetti a cinque stelle sulle consolari.

Io, Jimmy e Millo siamo tornati ad essere una vera famiglia.

Sui giornali non hanno fatto che parlare del mio amore, definendolo il vedovo inconsolabile, impegnato in una riunione con parecchi pezzi grossi della finanza romana mentre la moglie, sola in casa, veniva colta dal malore che l’avrebbe uccisa. Anche lì devo dire che la sua idea è stata perfetta, io non avrei mai pensato di organizzarmi un alibi (ammetto che mi sembrava inutile), ma aveva ragione lui, e adesso persino la famiglia Rambaldi si è stretta intorno al povero genero distrutto dalla tragedia…

Sì, ne siamo usciti proprio puliti. Del resto… non per cavillare, ma noi abbiamo solo mostrato delle foto, niente di più! Ovviamente né io, né Jimmy siamo stati felicissimi che la Sophy abbia dovuto terminare la propria permanenza tra i vivi in maniera tanto repentina, ma lei e i suoi soldi avevano osato intromettersi tra noi, e quindi la tipa cosa poteva aspettarsi? Anzi che la mia idea iniziale, quella del pilone di cemento sul tronchetto della Roma-l’Aquila, è stata scartata…

Ripensando a quando ho dovuto pedinare Jimmy, scuoto la testa congratulandomi ancora di come tutto abbia funzionato come un meccanismo oliato e perfetto: Ludy, il portiere del Golf Hotel, si è confermato un amico fidato, mostrandosi più che accondiscendente nel passarmi la chiave della stanza attigua a quella di Jimmy… del resto non è quello che fa sempre quando ci  incontriamo lì? E poi, dopo aver sistemato il treppiede con la Valeriuska programmata per gli autoscatti, il mio amore ed io ci siamo dati alla pazza gioia… per fortuna che poi ho potuto approfittare della doccia! Inoltre, in quel periodo di vacche magre, rubare un pomeriggio tutto per noi è sembrato incredibile… e tutto questo con il beneplacito di Sofia Rambaldi.

E poi al circolo Canottieri: è stato bello poter osservare il mio amore nello spogliatoio! E vedere che il suo primo pensiero era stato telefonami mi ha davvero commosso, pure se avevo lasciato il cellulare spento e quindi accorgendomene solo una volta tornato a casa…

‘Rispondi, accidenti’ aveva mormorato il mio Jimmy non riuscendo a raggiungermi, e poi la sua sorpresa quando ero uscito dal bagno e lo avevo baciato sotto la doccia… se solo non fosse arrivata la tipa del bar a rompere le scatole e a costringermi alla fuga!

Per un momento ripenso a tutte quelle befane che sbavavano dietro al mio fidanzato: vecchie galline, possono anche crepare. Nessuno mi porterà mai via il mio amore, e a testimoniarlo c’è anche il bellissimo primo piano, con tanto di occhiali neri e impermeabile, che Jimmy conserva religiosamente nel portafoglio.

“Ehi, a cosa pensi, Don?”

Il mio Edo Altieri, con i jeans che gli evidenziano le gambe lunghe e snelle e la camicia di lino bianco con i primi tre bottoni slacciati, sta entrando dalla porta-finestra di quello che abbiamo sempre considerato come il nostro appartamento, quello all’Aventino, buttando il cellulare sul divano.

Per un attimo, canotta nera un po’ slabbrata, jeans stinti ad arte e stivali a punta a completare quel look da camionista nel giorno di libertà che io adoro, mi sembra di essere tornati indietro al nostro primo incontro.

“Non posso ancora crederci” rispondo, allungando un braccio per afferrare saldamente la vita del mio uomo.

“Ti avevo detto che sarebbe andato tutto bene” e Jimmy mi si siede sulle gambe, passandomi le braccia intorno al collo.

“Hai ragione, è stata dura, ma ce l’abbiamo fatta” e gli sorrido. Non che ne abbia mai davvero dubitato. Una volta compresa la mia parte, il resto è stato un gioco da ragazzi per un professionista come me.

Lui mi appoggia la testa sulla spalla:

“Nessuno può mettersi fra noi. Non lo permetterò mai” sibila con tono quasi minaccioso.

 Sorrido di nuovo, posandogli un bacio sui capelli chiari: è quello che Jimmy mi ha detto sin da subito, e, nonostante all’inizio non fossi molto convinto che lo pensasse sul serio, adesso so che era la verità…

Do un’ultima occhiata al giornale con la foto della Sophy e mi rendo conto che adesso ne ho anche le prove.

E cosa ci vuole di più per convincere un investigatore?

Fine

 

N.B. In genere non mi piace aggiungere note, ma voglio ricordare ancora il contributo di Ria alla nascita e allo sviluppo di  Donnie: lo abbiamo creato insieme e segnalarci a vicenda le battute da mettergli in bocca è stato un divertimento (e una sfida) che già mi manca!

Grazie, Ria!