Ecco la seconda.
Come ho già detto, sia questa che la successiva non sono minimamente
paragonabili alla prima; ma oramai sono state scritte e sinceramente ci
lavoro sopra da talmente tanto che se me le vedo ancora davanti gli occhi
prendo e cancello tutto -__-
Nota: Draco - il mio Draco - è plasmato sull'adorazione che io ho per mia
madre. Ho cercato di infondere in lui tutto ciò che provo per lei. Non so se
ci sono riuscita, è stato un tentativo, ma spero che non risulti davvero
troppo OOC.
Nel nome del padre
di
Afsaneh
"Un
buon lavoro, signor Malfoy"
I soliti complimenti, non immeritati, ma oramai senza più valore;
soprattutto se fatti da qualcuno che era sempre stato ospite più che gradito
nella loro casa, ma che al momento del bisogno si era rivelato il peggiore
di tutti i vigliacchi. Nessun aiuto, nessun cenno di supporto alla famiglia
che unica fra tutti i Death Eater lo aveva accolto come uno di loro, senza
negargli nulla. Lo aveva sempre reputato un amico fidato, qualcuno su cui
poter contare - perché così glielo aveva dipinto suo padre - e non riusciva
a credere che egli fosse riuscito ad ingannarli a tal punto.
Scelse cinque grani di ametista del Madagascar da ridurre in polvere e
versare nel calderone dove la pozione bolliva. Dopo gli otto giri
prescritti, iniziò la cernita dei più rossi tra i fiori di Artemisia che
uniti al resto della mistura, una volta ridotti anch'essi in fine polvere,
avrebbero fatto rilasciare un fumo bianco perlaceo con riflessi amaranto e
viola.
Mescolò ancora per qualche minuto sino ad ottenere un trasparente liquido
violetto di cui versò una dose in un fiala - accuratamente sigillata, con
sopra il suo nome - consegnandola poi al professore; prima di tornare
indietro e sistemare il proprio tavolo da lavoro per infine seguire gli
altri Slytherin nell'uscita dalla classe.
"Ma che gli è preso?"
"Secondo voi Snape cosa gli farà?"
"Magari è la volta buona che riusciamo a togliercelo dai piedi!"
"Ehi, Draco, tu che ne pensi?"
Il ragazzo non rallentò neanche, continuando il proprio cammino verso la
biblioteca dove avrebbe iniziato a scrivere il tema che il professor
Flitwick aveva loro assegnato. Le crisi isteriche di Potter non erano affar
suo, e aveva di meglio da fare che non mettersi a blaterare su che punizione
o meno Snape avrebbe affibbiato al ragazzo. Per quanto lo riguardava,
l'unico Potter interessante era un Potter morto.
Cacciò un gruppetto di Ravenclaw del terzo anno dal suo posto abituale e
dopo aver recuperato i libri necessari iniziò il tema sugli incantesimi di
protezione a luoghi e persone: somiglianze, differenze e controindicazioni
se mal fatti.
Intinse la piuma nell'inchiostro e iniziò a scrivere alacremente, fermandosi
solo ogni tanto per massaggiare il polso dolorante. Il professore aveva
assegnato trenta centimetri e lui ne aveva già fatti almeno il doppio.
Decise che, una volta riletto il tutto, avrebbe aggiunto un paio di frasi
conclusive e poi basta.
Oramai era rimasto solo e dalla finestra non si vedeva più il lago, solo
l'oscurità della sera. A poca distanza da sé bruciava una lampada ad olio la
cui fiamma risplendeva riflessa sul vetro e che Madama Pince doveva avergli
posato accanto senza che se ne accorgesse. Avvolse il rotolo su se stesso,
lo chiuse con un nastro e sospirando soddisfatto ruotò le spalle irrigidite
per la scomoda posizione troppo a lungo assunta.
Sentiva già le voci eccitate degli studenti raggiungerlo fin lì, e l'idea di
unirsi a quella folla non era di certo il suo ideale di
lieta serata, ma non poteva
esimersene. La sua assenza sarebbe stata notata da troppe persone, e non ci
teneva ad essere al centro dell'attenzione - non in quel periodo.
Dopo ciò che era accaduto, sua madre aveva ventilato l'ipotesi di
trasferirlo in un'altra scuola, ma lui si era fermamente opposto: farlo
avrebbe voluto dire troppe cose, nessuna positiva nell'ottica di Hogwarts.
I sotterranei erano deserti, fortunatamente. Nessuno che lo evitasse o che
cercasse di entrare nelle sue grazie. Una volta nella Sala Comune trovò solo
il fuoco che scoppiettava ad accoglierlo e cercando di ignorare il suo
seducente invito si diresse nella propria stanza dove posò libri e pergamene
sulla scrivania per indossare il vestito che Narcissa aveva fatto
appositamente cucire per quella serata. Nascose la bacchetta nella tasca
interna della giacca e s'incamminò verso la Great Hall, desiderando
ardentemente che il momento propizio per squagliarsela giungesse in fretta.
"Harry!"
Vide la Granger correre giù per le scale, seguita da
fido-Weasley, incontro al loro
amichetto del cuore. Passò oltre, non visto.
Dumbledore, come sempre, aveva voluto strafare e l'intero salone era
irriconoscibile, tante e tali erano le decorazioni. Unica confortante
costante, il mutevole cielo sopra le loro teste che quella sera, grazie al
vento gelido delle montagne, era illuminato da milioni di stelle.
Riuscì a trovare un tavolo dove potersi sedere da solo, dopo aver recuperato
un bicchiere di punch analcolico, ad osservare gli altri. Coppie che
danzavano e piccoli gruppi che chiacchieravano, ridevano, si divertivano.
Una serata assolutamente noiosa, e quasi si trovò a rimpiangere l'abbandono
della scuola dei gemelli Weasley.
Sospirò disgustato. Era oramai abituato alle occhiate curiose alle sue
spalle, ma quanto gli sarebbe piaciuto che qualcuno avesse avuto anche il
coraggio di andare oltre! Limitarsi agli sguardi biechi, pieni di odio e
rancore, era una cosa di cui tutti erano capaci, ma il coraggio dei propri
sentimenti!
"Ma come si è conciato?"
"Forse non poteva permettersi un vestito decente!"
"Ehi, Potter! Che ti sei messo addosso?"
"Sarà il lenzuolo funebre del caro paparino!"
Patetico... era l'unico commento
degno di essere pronunciato alla vista dello squallido atteggiamento di
Potter. Ma gli stava dando l'opportunità di andarsene e di questo gliene
poteva essere moderatamente grato.
Respirò a pieni polmoni l'aria fredda della notte, il fiato che si
condensava in piccole nuvolette davanti al suo viso. Cosa non avrebbe dato
per farsi una galoppata in sella a Cremorne! Quell'estate non era uscito
neanche una volta; non se l'era sentita di attraversare le loro terre senza
suo padre di fianco a sé.
Il loro era un rito, sin dal giorno del suo settimo compleanno e i suoi
genitori gli avevano regalato il più bel purosangue che avesse mai pestato
il suolo inglese. Da quando era entrato a Hogwarts, durante le vacanze
estive lui e suo padre partivano per una o due settimane di campeggio per
trascorrere insieme del tempo, per parlare.
Sorrise nell'oscurità mentre camminava sul prato nelle vicinanze del lago.
Lui adorava suo padre. Gli riconosceva molti dei difetti di cui tutti lo
accusavano, ma l'amore filiale di Draco valicava quei confini. Lucius Malfoy
era incapace di qualsivoglia gesto di affetto spontaneo, ma era comunque
colui che lo aveva cresciuto nel modo migliore possibile; dedicandogli tutto
il tempo che aveva, facendogli amare libri che nessun suo coetaneo aveva mai
sentito nominare - e neanche molti adulti. Lucius Malfoy era indubbiamente
un fanatico, un uomo pieno di immotivato odio nei confronti di babbani,
mezzosangue e chissà quante altre categorie di cui non si ricordava, però
l'aveva sempre incoraggiato a appoggiato in tutte le sue scelte. L'aveva
allevato donandogli la cosa più preziosa per un essere umano: la fiducia in
sé stessi.
Ed era per queste ragioni - forse non le più giuste o intelligenti, ma erano
le sue ragioni - che aveva assunto
come proprie le convinzioni di suo padre. Forse anche solo per avere un
qualcosa in più da condividere insieme, ma Draco - da quando era in grado di
ricordare - non aveva desiderato altro che diventare come Lucius. Algido,
freddo, manipolatore, sicuro di sé. E se questo comprendeva l'essere un
Death Eater... beh, allora lo sarebbe stato. Nulla era abbastanza per
ripagare suo padre, nulla.
Però... poi era accaduto qualcosa. Qualcosa chiamato
confronto con la società. Finché
tutte le persone che conosceva e con cui interagiva erano appartenenti
all'alta società dei maghi era stato facile essere forti delle proprie
convinzioni: le famiglie purosangue sono le uniche degne di usare la magia,
i mezzosangue dovrebbero essere distrutti e i babbani non sono altro che
inutili seccature.
Ma poi aveva incontrato il mondo fuori dalla sua gabbia dorata e aveva
iniziato a vedere le sue convinzioni distrutte una ad una senza difficoltà
alcuna. Con quale coraggio, dentro di sé, avrebbe mai potuto continuare a
credere alla superiorità dei purosangue di fronte ad esempi come Crabbe e
Goyle? Specialmente se confrontati ad elementi come la Granger, mezzosangue
e quindi tecnicamente indegna di appartenere al loro mondo?
Non credeva più ciecamente in quelle idee, in quelle illusioni di un mondo
utopico, crudele e spietato, ma sapeva di
dover continuare a credere di fronte agli altri. Avrebbe voluto poter
esprimere liberamente le sue nuove opinioni; oppure non dire più niente,
fare finta di nulla, ma sapeva che neanche questo era possibile. Il problema
più grande - quasi insormontabile - con Voldemort, con i Death Eater, con
suo padre, era la scelta.
Con o
contro.
Nessun'altra via. L'indifferenza non esisteva e la neutralità non era
contemplata. Non era sicuro di voler scegliere
con, ma non farlo avrebbe
significato l'esilio o peggio, ma di più ancora avrebbe significato perdere
suo padre. E per questo non sarebbe mai stato pronto.
L'unica volta in cui Draco aveva pianto lacrime di vero dolore era stato
quando a quattordici anni aveva visto il padre cadere da cavallo e svenire,
iniziando a perdere sangue dalla testa. Aveva avuto paura Lucius che
morisse, che non gli sarebbe più stato concesso di trascorrere il tempo col
padre, di parlare con lui. Il dolore che aveva provato era stato tanto
lancinante da non permettergli neanche di chiamare aiuto, l'unica cosa che
era riuscito a fare era stato inginocchiarsi al suo fianco e piangere sul
suo petto sino a quando uno degli elfi domestici accodati a loro non li
aveva scorti.
Calciò un sassolino mandandolo ad esplorare il fondo del lago davanti a lui.
Il risucchio risuonò nell'aria immobile della sera.
Con i suoi voti avrebbe potuto scegliere qualsiasi carriera e, sebbene non
ne fosse ancora del tutto convinto, in linea generale l'idea di diventare un
guaritore non gli dispiaceva. Ma farlo cosa avrebbe significato? Abbandonare
suo padre. E questo non lo voleva, non era neanche in grado di concepirla
una vita senza la presenza del genitore al suo fianco. Sapeva, non era uno
sciocco, di dipendere troppo da quell'uomo. Il suo era un attaccamento
filiale morboso, insano, malato... ma a lui stava bene così.
Un rumore, al limitare della Foresta Proibita, lo riscosse dai suoi pensieri
e vide Hagrid incamminarsi verso la propria capanna, un pesante sacco sulla
spalla. Rabbrividì al pensiero della lezione di Cura delle Creature Magiche
dell'indomani. Le luci lungo i corridoi della scuola stavano spegnendosi,
segno che la festa doveva essersi conclusa. Anche lui sarebbe dovuto tornare
all'interno ma non ne aveva alcuna voglia.
Lui desiderava semplicemente continuare la sua passeggiata notturna. E che,
per l'amor del cielo, nessuno lo raggiungesse. Non era in vena di
chiacchiere, voleva solamente - udite udite - cercare di capire cosa fare
della sua vita.
Si fermò, alzando lo sguardo per osservare il cielo, cercando le
costellazioni che suo padre gli aveva insegnato a riconoscere, ben prima di
iniziare Astronomia. Per ogni costellazione c'era un ricordo, per ogni
stella una risata.
Non voleva fare la sua fine. Draco voleva una vita semplice, senza
complicazioni; ma sapeva di non poterla avere. Una volta finita Hogwarts
avrebbe potuto illudersi per qualche tempo, ma alla fine Voldemort avrebbe
voluto il suo sacrificio.
Smise di respirare per alcuni secondi, quando quel pensiero gli attraversò
il cervello per la prima volta. La sua vita sarebbe potuta essere ciò che
davvero voleva se quando fosse giunto il momento decisivo Voldemort non
fosse più esistito. Ma quest'idea comportava troppe cose, e per nessuna di
esse Draco si sentiva pronto.
Diventare un traditore, fare il doppio gioco, mentire alla sua famiglia e a
suo padre. Soprattutto a suo padre. La persona a cui avrebbe dovuto carpire
il maggior numero di informazioni possibili,
ingannarlo. No, non sarebbe mai
stato in grado di farlo. Per quanto avrebbe voluto crederci, sapeva che la
sola idea di tradire suo padre era ridicola.
Piano, iniziò a risalire la collina. Nessuna luce a guidarlo nel buio se non
quella delle stelle e della falce di Luna, ma anche questa scomparve dietro
una nuvola passeggera. Alzando il volto il primo fiocco di neve di quell'anno
gli bagnò le labbra e un sorriso triste gli dipinse le labbra al pensiero
che anche desiderandolo non avrebbe mai potuto giocare con essa come tutti
quanti facevano, non importava a quale Casa o a quale anno appartenessero.
Lui non aveva mai giocato alle battaglie di neve.
Si sedette sui gradini di accesso, continuando ad osservare la neve cadere.
Non rimpiangeva nulla della sua vita e non rinnegava la sua famiglia, ma
quanto più semplice sarebbe stato non essere ciò che era? Ovviamente non
desiderava essere un mezzosangue o, peggio, un babbano, ma ogni tanto si
lasciava trastullare da sciocche fantasie in cui lui era il semplice figlio
di una semplice famiglia di maghi. Niente magia oscura, niente sangue da
dover mantenere puro, niente di niente. Solo lui, suo padre e sua madre. Una
famiglia di maghi come ne esistevano tante nel loro mondo.
Perché a lui tutto questo doveva essere precluso? Ridacchiò piano fra sé e
sé: si detestava quando diventava tanto patetico.
"Signor Malfoy... non mi aspettavo di trovare qualcuno ancora in piedi"
Si voltò al suono di quella voce sorpresa e cordiale, osservando l'anziano
sedersi - non senza un po' di fatica, notò - al suo fianco e sorridergli con
gli occhi, da dietro i suoi occhiali dalle lenti a forma di mezzaluna.
"Stavo per andare, signore" mormorò, ma senza accennare a muoversi. Rimasero
in silenzio per alcuni minuti. Il Preside dava l'impressione di essere
tranquillo e di non avere un solo pensiero per la testa.
"La festa non era di suo gradimento? Ho notato che se n'è andato piuttosto
presto"
"Non ero in vena di festeggiamenti, signore"
L'anziano annuì, dando una veloce occhiata al suo orologio da tasca "Le do
la buona notte, signor Malfoy. A quest'ora sarei già dovuto essere nel mondo
dei sogni... e anche lei, se non sbaglio" fece per alzarsi quando la voce di
Draco lo costrinse a fermarsi ancora.
"Vol... Colui che non deve essere nominato... crede davvero che Potter sia
in grado di distruggerlo?" gli occhi fissi a terra, le mani tanto strette
fra loro da tremare.
Dumbledore rimase in silenzio per molto tempo. Distruggere Voldemort - Tom -
non era mai stato il suo obiettivo, ma non poteva ancora continuare a negare
l'esistenza di una profezia il cui significato era davvero ben poco oscuro e
l'evidenza del fatto che essa era l'unica possibilità per tutti loro di
tornare ad avere una vita serena.
"Se il signor Potter non riuscisse nella difficile missione affidatagli dal
destino, temo che dovremmo prepararci a vivere giorni ben tristi, signor
Malfoy"
"Ma... ma se qualcuno... lo aiutasse... gli dicesse... dove poter trovare il
Dark Lord" si morse la lingua per aver usato un appellativo che solo coloro
vicino a Voldemort usavano, ma... c'era davvero bisogno che si nascondesse,
di fronte a Dumbledore? "A quel punto il compito di Potter sarebbe molto più
facile, non è vero?"
"Naturalmente. Eppure potrebbe egualmente fallire" il Preside osservò un
tentacolo della piovra gigante uscire dall'acqua e poi lentamente tornare
indietro "Voldemort è un mago potente e vuole vendetta. Una valida
motivazione nella sua lotta contro la morte"
E così, anche se li avesse aiutati, se anche avesse tradito suo padre...
quell'inetto di Potter non poteva garantirgli la vita che desiderava.
"Ma è anche vero che il signor Potter non si troverà mai solo di fronte a
Voldemort. Ci saranno con lui i suoi amici, coloro che credono in lui e
coloro che vogliono aiutarlo... e tutto questo potrebbe persino rivelarsi
più forte del desiderio di vendetta di Voldemort. Non trova, signor Malfoy?"
L'unità. L'amicizia. Il sostegno di un gruppo, di persone che provavano
affetto nei suoi confronti per combattere una battaglia personale. Non
credeva che fosse sufficiente, ma era la sua unica possibilità.
"Potrebbe, signor Preside" le mani che piano si scioglievano dalla loro
stretta, ancora un po' indeciso.
L'anziano annuì e gli sorrise col suo fare pieno di mistero, poi si alzò
dirigendosi verso l'interno "Le consiglio di abbandonarsi ad una notte di
riposo, signor Malfoy. Non dovrei dirlo, ma... mi pare di aver sentito la
professoressa McGonagall parlare di un compito a sorpresa per la sua classe,
domani" e gli fece l'occhiolino prima di sparire dietro il pesante portone
di legno.
Draco tornò a fissare l'oscurità di fronte a sé. Con la coda dell'occhio
poteva ancora vedere una luce accesa nella torre dei Grifondoro. Quella
piccola e fioca luce era la sua unica possibilità. Lottando contro tutto se
stesso, contro ciò che era e ciò che amava al di sopra di ogni cosa,
cominciò a pensare che forse - davvero - Harry Potter era la sua unica via
d'uscita.
La domanda che lo angosciava era però: suo padre, una volta scopertolo,
sarebbe mai stato in grado di perdonarlo?
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